il giorno - Davide Grassi

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il giorno - Davide Grassi
GIUSEPPE PARINI
IL GIORNO
Analisi, commento e versione in lingua corrente a cura della
cl. III A magistrale A.S. 1999/2000
Prefazione e revisione del prof. Davide Grassi
LICEO SCIENTIFICO “L. DA VINCI” - SEZIONE MAGISTRALE DI
PONTREMOLI
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PREFAZIONE DEL PROF. DAVIDE
GRASSI
Il Giorno di Giuseppe Parini è un testo
molto noto, ma forse non sempre
studiato e approfondito con i dovuti
particolari e soprattutto con l’attenzione
che merita un Maestro del pensiero
laico ed illuminista quale fu, a mio
giudizio, l’Abate milanese. Per questo
motivo mi è parso utile fornire agli
studenti un sussidio didattico costituito
dall’<<edizione>> integrale dell’opera,
commentata,
parafrasata
ed
accompagnata dall’analisi stilistica e
retorica. Tale sussidio potrà, così,
servire per strumento di studio e per la
migliore conoscenza dell’opera, che
merita la lettura e l’analisi integrale.
Tuttavia non è questo l’unico motivo per
il quale questo lavoro è stato scritto e
prodotto. Esso, infatti, si inserisce in un
più ampio progetto didattico ed in una
più vasta prospettiva metodologica, che
è stata elaborata ed in parte già
realizzata, almeno nella sua fase
iniziale. Mi riferisco alla stampa della
versione in lingua corrente del Principe
di Niccolò Machiavelli, avvenuta nel
novembre 1999 ad opera dell’allieva
Silvia
Beccari,
che
con
tanta
encomiabile pazienza ha lavorato alla
realizzazione del libro. Questa volta il
lavoro si presenta più ambizioso,
almeno nella sua fase realizzatoria.
Infatti alla produzione dell’opera hanno
lavorato tutte le allieve della classe III A
magistrale dell’Istituto “Malaspina” di
Pontremoli. In tal modo ciò che prima
era stato il prodotto di un’unica mente,
si è trasformato in un lavoro risultante
dalla collaborazione di un’intera classe
scolastica, che si è dedicata allo studio
dell’autore e all’analisi dell’opera. Non
più quindi un unico soggetto attivo, ma
una pluralità di soggetti, che hanno
insieme realizzato e concretizzato un
interessante materiale didattico prodotto
per lo studio della Letteratura. Devo,
inoltre, aggiungere che la versione in
lingua corrente, che accompagna
l’analisi ed il commento dell’opera,
appare, anche in questo caso, un
interessantissimo ed efficace strumento
propedeutico, per poter avvicinare tutti
gli studenti (e non solo quelli forniti di
grandi capacità, di doti e di mezzi –
magari familiari-) allo studio ed alla
conoscenza degli autori e delle opere.
In tal modo la barriera che separa la
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Nostra Letteratura dalla fruizione di un
più ampio pubblico -barriera che ha
origini antiche e che affonda le sue
radici nella cultura umanistica e
nell’arcaismo cristallizzato della nostra
lingua letteraria- potrà essere meglio
superata ed avvicinare così i discenti
alla diretta ed integrale conoscenza dei
capolavori della nostra Letteratura.
Senza contare che ciò che è stato fatto,
e specificamente la resa della lingua del
1700 in Italiano moderno, è risultato poi
un viaggio affascinante nelle strutture
della nostra lingua. Ciò non può che
fare piacere a chi della Storia della
lingua italiana ha fatto argomento dei
propri studi universitari, nella ferma
convinzione che, a fronte della
mutevolezza
e
della
precarietà
dell’interpretazione contenutistica delle
“incertezze
filosofiche”
che
caratterizzano i singoli autori, l’analisi
linguistica rappresenta un baluardo di
“certezza” e di scientificità per un’analisi
corretta del pensiero dell’uomo, o
quantomento ne potrà rappresentare il
presupposto essenziale, presupposto
che coniuga, in un sinolo interattivo, la
cultura e l’approccio storico-letterario
con quello scientifico e filologico.
Nel presentare il lavoro, voglio
ringraziare con sincerità le mie allieve,
che, con tanta buona volontà, hanno
prodotto questo libro, dedicando parte
del loro tempo alla cultura e non alla
vuota ricerca di futili superficialità.
In un’epoca che ha fatto del <<tutto e
subito>> il proprio credo e il proprio
disvalore fondamentale, l’impegno di chi
sceglie di passare il proprio tempo per
lo studio e per la cultura è veramente un
fatto di rilievo e merita di essere
premiato e sinceramente apprezzato e
lodato.
Un particolare ringraziamento va inoltre
al mio amico e collega, prof. Antonio
Bianchi, che si è rivelato un validissimo
collaboratore nella redazione delle note
al testo e nella revisione dell’opera
prima della sua definitiva stesura.
Prof. Davide Grassi
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AVVERTENZE
Del Giorno di Parini esistono due
redazioni distinte, (oltre che a varie
lezioni e rielaborazioni successive). Una
redazione corrisponde all’originario
progetto, di un’opera che doveva essere
divisa in tre parti. Di queste parti l’autore
realizzò la prima e la seconda, cioè il
Mattino (1763) e il Mezzogiorno (1765)
che possono essere considerati poemi
a sé stanti. La terza parte, che doveva
intitolarsi La Sera, non venne alla luce.
In seguito Parini elaborò una seconda
redazione, che però rimase autografa e
non fu pubblicata. Essa corrisponde ad
un progetto dell’opera in quattro parti: Il
Mattino, Il Meriggio, Il Vespro, La Notte.
Queste ultime due parti furono, poi,
messe insieme ai due poemi del 1763
e 1765 dall’editore Reina (1801) e da
altri successivi. Si è pertanto operata
una contaminazione tra due versioni
dell’opera, che corrispondono a fasi
differenti dell’autore e a due diversi
schemi di impostazione.
Il nostro lavoro si basa, invece, su
un’unica versione e precisamente su
quella che non è stata pubblicata ed è
conservata autografa in quattro parti: Il
Mattino, Il Meriggio, Il Vespro, La Notte.
Tale versione ci è sembrata più
rispondente al pensiero dello scrittore e
comunque essa ha il pregio di non
operare contaminazioni tra scritti di fasi
diverse
e
concepiti
per
opere
diversamente strutturate. Si è, in
pratica, voluto evitare la confusione che
–come sottolinea Dante Isella- ha
accompagnato a lungo questo testo,
mentre è preferibile (secondo lo stesso
Isella) <<tenere distinte le due
redazioni>>, anche per un approccio più
filologicamente corretto, a dispetto di
tanta manualistica scolastica ancora
dura a morire.
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SCHEMA DEL LAVORO
INTRODUZIONE: (Il Giorno, caratteristiche e
struttura dell’opera, temi centrali) Serena Fiori
IL VESPRO: (Commento introduttivo) Giulia
Agostini
1-188
189- 349
Silvestri
Tagliatti
LA LINGUA DEL GIORNO: (Caratteristiche
linguistiche dell’opera) Eleonora Pinelli
ANALISI DELL’OPERA
IL MATTINO: (Commento introduttivo)
Barbara Pennucci
1-136
137-266
267-469
470-665
666-864
865-1064
1065-1166
Agostini
Bazzigalupi
Bellacci
Cappè
Cocchi
Del Ponte
Fiori
LA NOTTE: (Commento introduttivo) Sara
Bazzigalupi
1-224
225-464
465-673
Tedeschi
Tomaselli
Vasoli
IL MERIGGIO: (Commento introduttivo)
Barbara Ricci
1-206
207-405
406-593
594-793
794-911
912-1041
1042-1179
Franchini
Lombardi
Magnani
Montali
Pennucci
Pinelli
Ricci
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INTRODUZIONE
A CURA DI SERENA FIORI
Il Giorno è il capolavoro di Parini: incompiuto
poema in endecasillabi sciolti. L’opera è divisa
in quattro parti, e il poeta in vita ne pubblicò
solo due: Il Mattino nel 1763 e Il Mezzogiorno
nel 1765. Negli ultimi anni della sua vita si
dedicò con grande impegno alla composizione
delle due parti mancanti, Il Vespro e La Notte.
L’oggetto del poema è il racconto di una
giornata esemplare della vita di un giovane
nobile, scandita nei quattro momenti della
giornata, corrispondenti alle quattro parti
dell’opera. Il racconto è svolto dal punto di
vista del precettore, che intende guidare il
“Giovin signore” attraverso le distinte tappe
della sua giornata. Il precettore incarna una
prospettiva decisamente critica e dissacratoria.
In questo modo le meschinità, le vanità, i vizi e
la corruzione del mondo aristocratico
divengono oggetto di una caricatura feroce e di
una denuncia antinobiliare. Prendendo quindi
a enunciare i propri insegnamenti, il precettore
mostra come la propria funzione sia piuttosto
quella di scrivere la vita reale del suo rampollo
che non quella di educarlo veramente a
qualcosa.
La descrizione si apre all’alba che vede tutti i
comuni mortali riprendere i propri lavori,
mentre il Giovin signore va finalmente a
dormire, stanco del teatro e del gioco. Parini
utilizza il meccanismo antifrastico, per mezzo
del quale il narratore giustifica questa diversità,
affermando che tutti gli altri devono lavorare
proprio perché il Giovin signore possa invece
oziare e divertirsi. Dietro questa maschera
ironica si nasconde la denuncia della
assurdità e ingiustizia della classe nobiliare.
MODELLI E FONTI
Nel Settecento vi è un grande ricorso alla
poesia per tematiche di carattere filoisofico,
sociale, politico, perfino tecnico – scientifico.
L’opera di Parini si colloca all’interno di questa
tendenza, non soltanto italiana, ma europea. È
risaputo infatti che Parini prese come modelli
opere a livello internazionale. Per citare un
esempio possiamo ricordare “The rape of the
lock” dell’inglese Alexander Pope; l’opera uscì
in Italia tradotta dal padovano Antonio Conti
nel 1756, proprio nel periodo in cui Parini stava
componendo Il Giorno.
Nella tradizione letteraria italiana, l’uso del
poemetto sopracitato conta numerosi esempi
tra Seicento e Settecento, benchè nessuno di
essi possa competere con il risultato artistico
raggiunto da Parini. Insieme a questo modello
dobbiamo considerare i classici, ai quali Parini
guarda costantemente. È opportuno ricordare
Le Georgiche di Virgilio e Le Satire di Orazio.
Ma non va comunque dimenticata l’ideologia
fondamentale del Poema, rappresentata dalla
cultura illuminista e specialmente da quella di
Rousseau che Parini predilige.
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LA METRICA E LO STILE
Parini sceglie come metro della sua opera
l’endecasillabo sciolto, cioè privo di rime, il
quale è proprio di una poesia didascalica,
divulgativa, polemica, satirica, largamente
diffusa nel Settecento. Poiché si riscontra sia
in situazioni epiche che in contesti didascalici e
il suo uso è già attestato nel Rinascimento,
l’endecasillabo sciolto risponde alla volontà
classicistica di riprodurre l’andamento narrativo
didascalico
dell’esametro
latino.
È
interessante, però, notare come Parini
giustifichi questa scelta di metro non per
questa tradizione illustre, ma per la
consapevolezza di utilizzare uno stile “alla
moda” cioè pienamente aggiornato e moderno.
Sapientissima
è
la
costruzione
dell’endecasillabo pariniano, piegato a tutte le
sfumature espressive e narrative grazie ad
un’attenta dosatura di cesure, accenti, fonemi.
L’utilizzo dell’enjambement dà solennità al
costrutto sintattico. D’altra parte lo scopo
pariniano è quello di far cooperare
organicamente la metrica e lo stile. In più la
satira pariniana non agisce abbassando il
registro eroico in modo da deformarlo e
sconvolgerlo, ma piuttosto mantendo fermo il
registro eroico sul piano formale, applicato
però ad oggetti, personaggi e situazioni
inadeguati ad esso, cioè niente affatto eroici.
Insomma, Parini non trasporta nel fango gli
eroi tradizionali, ma innalza il fango al livello
degli eroi classici. Infine è da ricordare
l’incredibile raffinatezza dello stile pariniano,
che riguarda ogni piano del discorso: la
morfologia, il lessico, le costruzioni sintattiche
e le figure retoriche.
LO SPAZIO E IL TEMPO DEL RACCONTO
Nel Giorno prevale il momento descrittivo su
quello drammatico – narrativo, così che
assume una notevole importanza lo spazio
della rappresentazione. Si possono distinguere
due tipologie spaziali: gli interni e gli esterni. I
primi sono assai più numerosi e qualificanti, ed
è in essi che si svolge la vita fastosa e
superficiale del Giovin signore. Gli interni
rappresentati corrispondono ai vari luoghi del
palazzo nobiliare, la camera da letto, la sala
della toeletta, il salotto per il caffè, le varie sale
del palazzo, tutte quante caratterizzate da una
crescente severità nel diritto d’accesso. Con
questa chiusura degli interni si vuole delineare
il privilegio sociale, ovvero isolandosi dalla
popolazione, l’interno del palazzo diventa uno
stile di vita fondato sul sopruso e privo di
giustificazioni e valori morali, retto soltanto
dalla propria fastosità.
Al contrario, gli esterni sono introdotti nel
poema con l’esplicito scopo di fare contrasto
con la vita nobiliare e non per rappresentare la
propria naturalità e la propria socialità. Non
minore importanza ha il tempo, che costituisce,
anzi, il criterio organizzativo della materia
narrata. Infatti non è da dimenticare che il titolo
stesso del poema, nonché i titoli delle quattro
parti in cui esso è suddiviso: Mattino,
Mezzogiorno e poi Mattino, Meriggio, Vespro,
Notte, sono centrati sulla corrispondenza tra
ore della giornata e capitoli del racconto. Infine
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vi è la concentrazione di molti eventi, sia pure
insignificanti, in un’unica giornata, la quale è
costretta, in termini realistici, a dilatarsi in
modo artificiale per non far scorgere la vita
superficiale e frivola del protagonista.
eventi, cui è ridotta la giornata tipo di un
aristocratico.
I PROTAGONISTI: IL PRECETTORE E IL
GIOVIN SIGNORE
La maggior parte degli altri personaggi del
poema, a partire dalla dama, manca –come il
Giovin signore – di spessore psicologico e di
personalità. Infatti sono anonimi anche gli altri
personaggi dell’opera, tanto che appartengono
all’ampio corteggio dei servitori e non al
mondo dei pari. Il mondo dei nobili non
presenta margini di libertà maggiori di quelli
concessi ai servi. La debolezza caratteriale dei
padroni
risulta
semmai
aggravata
dall’invadenza di nevrosi e di ossessioni,
scambiate, magari, per qualità e doti.
Il protagonista ufficiale del Giorno è il Giovin
signore, a cui il narratore si rivolge attraverso
la
seconda
persona
singolare,
ora
descrivendo, per mezzo del modo indicativo,
ora esortando, per mezzo dell’imperativo. Il
fatto è che di questo protagonista non viene
detto neppure il nome ed egli non pronuncia
nemmeno una battuta. È un personaggio per
cui la personalità è l’identità. Al contrario, una
posizione più complessa è quella del
narratore, il quale può essere interpretato
come il vero protagonista dell’opera. Il
narratore presenta se stesso come precettore
della vita e quindi dei piaceri del Giovin
signore, quindi si mostra inserito in un
meccanismo di complicità nei confronti del
Giovine. Ma si tratta, anche qui, di una
maschera: dietro la finzione del precettore si
nasconde un dissimulato castigatore dei
costumi corrotti. In qualunque modo vi è una
complicità tra il Giovin signore ed il precettore.
Il primo, vivendo senza senso critico una vita
di apparenze, la crede eroica, così che il
precettore ne offre la corrispondente
definizione
linguistica,
proponendo
un’interpretazione appunto eroica dei miseri
GLI ALTRI PERSONAGGI DEL POEMA:
FIGURE SOCIALI E TIPI UMANI
LE FAVOLE MITOLOGICHE
Alcune parti che formano il poema pariniano
contengono favole mitologiche. Per esempio, Il
Mattino e Il Mezzogiorno ospitano due favole
ciascuno: Il Mattino quella di Amore e Imene e
quella dell’origine della cipria; Il Mezzogiorno
quella del Piacere e quella del gioco del tric
trac. Nella Notte si trova, infine, la favola
dell’origine e degli sviluppi del canapè.
La funzione di tali inserti mitologici entro la
trama del poema è molteplice. Da una parte
servono per nobilitare la materia del racconto,
poiché i miti costituiscono esemplificazioni
dell’origine e del significato storico di fenomeni
sociali, e pertanto rispondono alla cultura
dell’Illuminismo; però d’altra parte servono
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anche a sottolineare la struttura raffinata del
poema. Un’importanza particolare riveste la
favola del Piacere, poiché in essa viene
affrontato il tema della diseguaglianza tra gli
uomini e quindi la loro divisione in classi
sociali. La favola narra che gli uomini erano
originariamente uguali, legati a bisogni primari
ed attenti solo a fuggire i dolori. Le diversità
nacquero allorchè fu mandato sulla Terra dagli
Dei il Piacere; nel tentativo di raggiungere
questo gli uomini si divisero, con la
conseguenza che quelli che seppero
sviluppare una sensibilità più raffinata
primeggiarono, mentre rimasero al rango di
subalterni tutti gli altri.
IL GIORNO NEL SISTEMA DEI GENERI
LETTERARI
Il Giorno si colloca all’incrocio di di vari generi
letterari. Da una parte si basa sul poema
didascalico, anche per quanto riguarda la
metrica. È però la costruzione antifrastica e
ironica della struttura pariniana che crea una
pregiudiziale satirica che non può essere
ignorata. Infatti Il Giorno rientra in una
tradizione satirico – burlesca. La poetica
pariniana gioca però anche su un doppio
registro, cioè su una sproporzione tra altezza
del registro stilistico e irrilevanza dei contenuti
referenziali.
LA RETORICA DELLO STRANIAMENTO
Dal punto di vista narratologico, come si è
visto, il poema presenta uno sfasamento ed
una tensione tra punto di vista esibito dal
narratore e punto di vista risultante dalla
costruzione d'autore; dal punto di vista stilistico
- retorico, una funzione portante è stata
riconosciuta alla nobilitazione operata dalle
perifrasi e dalle inversioni sintattiche. Un altro
elemento importantissimo è anche l’ironia,
utilizzata dall’autore in modo antifrastico, per
fare dire al precettore il contrario di quello che
pensa. In questo modo la denuncia nobiliare
diventa
sempre
più
consistente
nell’interpretazione dell’opera; però è proprio
per questo opportuno aggiungere che,
mancando dentro l’opera un punto di vista
alternativo alla società nobiliare, vuota e
corrotta, il lettore deve mettersi a fare i conti
con una narrazione ostaggio di quella società
che chiede l’attribuzione di un significato
dall’esterno per essere “liberata”. In questo
modo la scrittura letteraria è coinvolta in un
processo ambivalente, poiché da un lato essa
si configura in termini di inattendibilità, di
inautenticità e di finzione, dall’altro valorizza la
possibilità di poter smascherare la parola
posseduta e definita del potere.
Questa
ambivalenza
costituisce
un
elemento
interessantissimo nel capolavoro pariniano.
LA RICEZIONE DEL GIORNO TRA
CONTEMPORANEI E NELL’OTTOCENTO
I
Durante il periodo in cui Parini scrisse la sua
opera giovò all’autore la presenza di un
ambiente prestigioso a lui favorevole, come il
Circolo dei Trasformati, che era in grado di
apprezzare la raffinata fattura dei suoi versi.
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GIUSEPPE BARETTI fu un importante critico
legato all’Accademia. Egli fece la prima
recensione al Mattino appena stampato. Nel
1763 salutò il poema pariniano con adesione
convinta al messaggio. PIETRO VERRI si
contrappose al giudizio di Baretti non appena
venne pubblicato Il Mezzogiorno. Verri aveva
molte ragioni, anche personali, per non gradire
il successo di Parini; ed oltre a ciò c’era poi tra
i due una diversità ideologica profonda, che
collocava i due intellettuali ai poli opposti dello
schieramento illuminista: Parini era su
posizioni moderate, Verri su posizioni radicali.
La generazione successiva propose, anche
attraverso la mediazione di FOSCOLO e di
LEOPARDI, una vera e propria mitizzazione
dell’uomo – Parini: dignitoso, incorrotto e
modello di virtù civili. In più la contrapposizione
tra l’uomo e il poeta avrebbe avuto larga
fortuna tra gli intellettuali dell’Ottocento,
arrivando fino a DE SANCTIS. Intanto
MANZONI
aveva
criticato
la
poetica
aristocratica di Parini, inadatta a rivolgersi a
una cerchia allargata di lettori.
crociani è la rilettura positiva e allargata
dell’Arcadia, come fase durevole e dominante
della cultura settecentesca. È questa la lettura
di MARIO FUBINI. Tra i critici più recenti
ricordiamo WALTER BINNI che distingue due
fasi nell’opera pariniana: una legata alla
poetica del sensismo e alla cultura illuminista
(a questa si rifarebbe la prima parte del
Giorno) e un’altra, invece, segnata da posizioni
neoclassiche di minor impegno civile e di
ripiegamento (a questa fase apparterebbe la
seconda parte dell’opera). Infine DANTE
ISELLA ha fornito una pregevole edizione
critica dell’opera, interessante sotto l’aspetto
filologico e linguistico. Non particolarmente
intenso, se non decisamente in ribasso, è lo
studio del Giorno e di Parini negli ultimi anni.
I GIUDIZI DELLA CRITICA ATTUALE
La prima metà del Novecento è dominata da
una prospettiva idealista; pertanto vengono
valorizzati i momenti “puri” isolando gli episodi
e gli elementi del poema meno direttamente
collegati all’intento polemico e ideologico. È
questa
la
prospettiva
di
ATTILIO
MOMIGLIANO e di DOMENICO PETRINI.
Conseguenza
della
valorizzazione
dell’elemento letterario puro, operato dai critici
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LA LINGUA DEL <<GIORNO>>
A CURA DI ELEONORA PINELLI
Parini ebbe della poesia una concezione assai
vicina a quella dei classici, tendente insieme al
piacere e all’utile. Fu però uomo del suo
tempo, appoggiò le riforme e lottò contro
privilegi, ingiustizie e mentalità antiquate di
certi ambienti. Il linguaggio del “Giorno”
rispecchia le scelte del Parini, la sua adesione
al
rinnovamento
culturale
propugnato
dall’Illuminismo, l’accettazione dell’estetica del
sensismo, l’esigenza di conciliare le nuove
ideologie con la migliore tradizione classica.
Ecco, allora la sua attenzione alle cose ed alla
natura, l’aggettivazione precisa e concreta,
che evidenzia la realtà in tutte le sue
sfaccettature e , nel contempo, una poesia con
una funzione di utilità morale e di tono
altisonante. Caratteristica del “Giorno” è infatti
l’assenza di qualsiasi tono dimesso e
colloquiale. Parini, in questa satira della
nobiltà, usò un linguaggio sempre elevato per
almeno due motivi.
Il primo è legato alla struttura stessa
dell’opera. Il “Giovin signore” è presentato
come un eroe, quasi un semidio, anche se con
intenti ironici, dato che la sua giornata si rileva
piena di occupazioni futili. Le espressioni
solenni, dunque, si adattano al mondo
esteriore del protagonista, ma contrastano con
la materia realmente trattata, generando effetti
ironici.
Infatti
tutto
il
discorso
del
<<precettore>>
si
fonda
sulla
figura
dell’antifrasi, secondo cui viene affermato il
contrario di ciò che si vuol fare intendere.
Alla base dell’altro motivo c’era la volontà del
Parini di dimostrare, a gran parte del mondo
culturale dell’epoca, che la tradizione letteraria
offriva ancora strumenti validissimi. È proprio
la grazia del linguaggio classicheggiante che
favorisce il riso sottile, l’ironico giro di frase, il
periodare armonioso e leggero, e che lascia
trasparire più chiaramente il giudizio. Questo
linguaggio
classicheggiante,
insomma,
ingigantisce dall’esterno la visibile figura del
“Giovin signore”, mostrandone di riflesso
l’inconsistenza materiale e spirituale. Il tono
descrittivo prevale su quello narrativo. D’altra
parte la rappresentazione di un eroe negativo,
di una vita che non è azione, determina un
ritmo narrativo lento, una mancanza di
movimento;
soprattutto
due
elementi
concorrono ad ottenere questo ritmo: il tempo
e lo spazio della vicenda. Quella descritta non
è una giornata particolare, precisa, ma una
giornata “tipo”: le ore in cui si collocano le
vicende sono poche (perché il signorotto si
alza a giorno fatto), ma la monotonia di gesti e
parole le fa sembrare lunghissime. Anche lo
spazio ristretto, limitato e quasi sempre chiuso,
dà l’impressione di un mondo morto e di un
tempo infinito e vuoto. È proprio per
interrompere questa lentezza e questo vuoto
che Parini inserì le rappresentazioni della
nobiltà guerriera di un tempo e delle classi
popolari (soggetti contrapposti per sentimenti
ed azioni alla nobiltà protagonista del poema)
e le favole mitologiche (quella di Amore e
Imene e del Piacere, ad esempio), al
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contempo esemplificazioni dell’origine e del
significato storico di fenomeni sociali. La
poesia, comunque, si concentra nella
descrizione, nel particolare, nella sfumatura.
Lo stile molto raffinato è fondato soprattutto
sugli iperbati. Ad
esempio: MT v. 498
<<Nembo dintorno a lui vola d'odori>>, MG v.
39-40 << I mille intorno / Dispersi arnesi>>, NT
v. 198 << Pronta di servi mano a terra proni >>.
La raffinatezza, però, riguarda ogni piano del
discorso: la morfologia (la scelta di Parini
premia sempre le forme letterarie più
preziose), il lessico (sempre i termini più
ricercati ed inusuali), le figure retoriche. Da
ricordare metafore nobiliari, come MT v. 589 –
590 <<i ridenti avorj / Del bel collo>>, oppure
similitudini esagerate, ad esempio MG v. 957 –
958 << Ma tu come sublime aquila vola / Dietro
a i sofi novelli>>. Comunque, in questo studio,
riguardo la lingua del “Giorno”, sono da
evidenziare le correzioni fatte al “Mattino” e al
“Mezzogiorno”, dopo le apparizioni del 1763 e
1765. Nel lavoro di revisione pariniana
prevalgono intenti di tipo aulico e di recupero
latineggiante; ad esempio: VENENOSO,
ANTIQUI, FUORA, LUNGE, CONTRA. In
campo morfologico si nota l’introduzione di
numerosi interventi sui verbi. Nelle correzioni
linguistiche di “Mattino” e “Mezzogiorno” è
importante evidenziare due aspetti particolari
della strategia pariniana: da un lato
l’elaborazione peculiare, dall’altro la dose
costante di veste linguistica caratterizzata dalle
scelte aulicizzanti – arcaizzanti, dalla selezione
lessicale e dalle alternative morfologiche e
sintattiche. Per quanto concerne le altre due
parti del “Giorno”, cioè “Vespro” e “Notte” resta
irrisolto il problema se esista o meno
successione costante con le revisioni del
“Mattino” e del “Mezzogiorno”. Resta
comunque da tener presente l’incremento del
lessico “eroico” con tendenza, sempre di tipo
lessicale, al contrappunto comico.
IL MATTINO
A CURA DI BARBARA PENNUCCI
“Il Mattino”
esce, come primo poemetto
anonimo, nel 1763 e rappresenta una prima
parte del primitivo progetto pariniano non
concluso. Nella seconda redazione Parini
introduce, come apertura alla sua opera “Il
Mattino”, un nobile di giovane età e fa
emergere come, già dall’alba, questo
rappresentante di una nobiltà in disfacimento,
presenti un comportamento di superiorità, di
uomo simboleggiante una parte di classe
nobiliare priva di ogni virtù, ma piena di vizi.
L’opera inizia con l’alba, in cui Parini fa
chiaramente notare come questo sia il
momento in cui tutti i “comuni mortali”
riprendono il proprio lavoro, mentre per il
“Giovin signore” è il momento in cui finalmente
arriva il riposo, dopo gli avvenimenti mondani,
come il teatro ed il gioco. Proprio qui il
narratore sottolinea come sia necessario il
lavoro delle persone “comuni”, affinchè il
nobile possa oziare e divertirsi. In chiave
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antifrastica viene manifestata la denuncia di
Parini dell’assurdità e dell’ingiustizia di questo
comportamento. Arriva poi il momento del
risveglio; in questo momento il giovane deve
affrontare alcune preoccupazioni su come
debbano essere i suoi movimenti, come ad
esempio lo sbadigliare in modo aristocratico.
Viene poi portata la colazione al “Giovin
signore” e anche qui c’è la necessità di
scegliere tra vari cibi. In seguito arrivano le
prime visite: il maestro di ballo, di canto, di
violino, che esaltano, ancora in chiave
antifrastica, le virtù del nobile. Una volta che il
giovane si è levato da letto, avviene la
vestizione, con abiti alla moda e tipici di una
vanità aristocratica; si compie anche il rito
dell’incipriatura, che sottolinea la personalità
del giovane. Il pensiero del nobile viene poi
rivolto alla propria dama, di cui egli è cavalier
servente; invia così un messaggero, per
sapere se abbia o meno trascorso una
piacevole notte. Nel frattempo il signore è
impegnato a leggere libri illuministi, ancora in
chiave ironica, in quanto Parini cerca di fare
emergere l’intelligenza di tale figura. Infine il
“Giovin signore”, pronto per mostrarsi, sale
sulla carrozza, e si dirige dalla propria dama
per il pranzo.
sicuramente meno faticoso degli altri due
personaggi, ed è descritto con minuzia. Parini
racconta come il giovane, dopo aver
festeggiato fino a tarda notte, al mattino venga
svegliato dai servi con molta cautela; vari
comportamenti sono descritti con similitudini e
metafore.
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Sorge il mattino1 in compagnia dell'alba
Dinanzi al sol che di poi grande appare
Su l'estremo orizzonte a render lieti
Gli animali e le piante e i campi e l'onde 2.
Allora il buon villan sorge dal caro
Letto3 cui la fedel moglie e i minori
Suoi4 figlioletti intiepidir la notte:
Poi sul dorso portando i sacri arnesi
Che prima ritrovò Cerere o Pale 5
Move seguendo i lenti bovi, e scote
Lungo il picciol sentier da i curvi rami
Fresca rugiada che di gemme al paro 6
La nascente del sol luce rifrange.
Allora sorge il fabbro, e la sonante
Officina7 riapre, e all'opre torna
L'altro di non perfette; o se di chiave
Ardua e ferrati ingegni all'inquieto
Ricco l'arche assecura; o se d'argento
E d'oro incider vuol gioielli e vasi
Per ornamento a nova sposa o a 8 mense.
Ma che? Tu inorridisci e mostri in capo
Qual istrice pungente9 irti i capelli
1
il Mattino, l’Alba = personificazioni
Gli animali e… e…e = enumerazione polisindetica e anafora
di “e”
3
caro / letto = enjambement
4
minori / suoi = enjambement
5
Cerere e Pale = divinità agresti
6
di gemme al paro = similitudine
7
sonante / officina = enjambement
8
a nova sposa o a mense = anafora di “a”
9
qual istrice pungente = similitudine
2
vv. 1-136 a cura di Giulia Agostini
Nei primi versi del poema Parini descrive il
risveglio del Giovin signore, mettendolo a
confronto con quello di un villano e di un
fabbro. Il risveglio del giovane appare
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Al suon di mie parole? Ah il tuo mattino
Signor questo non è. Tu col cadente
Sol10 non sedesti a parca cena, e al lume
Dell'incerto crepuscolo non gisti
Ieri a posar qual nei tugurj suoi
Entro a rigide coltri il vulgo vile11
A voi celeste prole a voi 12 concilio
Almo di semidei altro concesse
Giove benigno: e con altr'arti e leggi
Per novo calle a me guidarvi è d'uopo.
Tu tra le veglie e le canore scene
E il patetico gioco oltre più assai
Producesti la notte: e stanco alfine
In aureo cocchio col fragor di calde
Precipitose rote e il calpestio
Di volanti corsier13 lunge agitasti
Il queto aere notturno; e le tenèbre
Con fiaccole superbe intorno apristi 14
Siccome allor che il Siculo terreno
Da l'uno a l'altro mar rimbombar fèo
Pluto15 col carro a cui splendeano innanzi
Le tede de le Furie anguicrinite16.
Tal ritornasti a i gran palagi17: e quivi
Cari conforti a te porgea la mensa
Cui ricoprien prurigginosi cibi
E licor lieti di Francesi colli
E d'Ispani e di Toschi o l'Ungarese
Bottiglia18 a cui di19 verdi ellere Bromio 20
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cadente / sol = enjambement
vulgo vile = allitterazione in “v”
12
A voi celeste prole a voi … = anafora e metafora
antifrastica
13
volanti corsier = metafora
14
le tenèbre … apristi = metafora
15
Pluto = dio degli inferi
16
Furie anguicrinite = divinità infernali dai capelli
serpentiformi
17
Siccome allor … Tal … palagi = similitudine
18
Ungarese / bottiglia = enjambement (si allude al Tokaj)
19
e licor lieti di … e di Ispani e di … di verdi = anafora di “e”
e “di” allitterazione in “l”
20
Bromio = Bacco
Concedette corona, e disse: or siedi
De le mense reina. Alfine il Sonno
Ti sprimacciò di propria man le còltrici
Molle cedenti, ove te accolto il fido
Servo calò le ombrifere cortine:
E a te soavemente i lumi21 chiuse
Il gallo che li suole aprire altrui. 22
Dritto è però che a te gli stanchi sensi
Da i tenaci papaveri Morfeo 23
Prima non solva che già grande il giorno24
Fra gli spiragli penetrar contenda
De le dorate imposte; e la parete
Pingano a stento in alcun lato i rai
Del sol ch'eccelso a te pende sul capo 25.
Or qui principio le leggiadre cure
Denno aver del tuo giorno: e quindi io deggio
Sciorre il mio legno26, e co' precetti miei
Te ad alte imprese ammaestrar cantando.
Già i valetti gentili udir lo squillo
De' penduli metalli27 a cui da lunge
Moto improvviso la tua destra impresse;
E corser pronti a spalancar gli opposti
Schermi a la luce28; e rigidi osservàro
Che con tua pena non osasse Febo29
Entrar diretto a saettarte i lumi 30
Ergi dunque il bel fianco, e si ti appoggia
Alli origlier31 che lenti degradando
All'omero ti fan molle sostegno;
lumi = metonimia per occhi
il gallo … altrui = metafora
23
Morfeo = dio del sonno (personificazione)
24
grande il giorno = metonimia
25
Del sol … capo = metafora
26
Sciorre il mio legno = metafora classica e metonimia (legno
per barca)
27
lo squillo / De’ penduli metalli = perifrasi per indicare il
campanello – esempio di applicazione delle teorie sensistiche
introdotte in Italia da Condillac
28
gli opposti / Schermi a la luce = enjambement e anastrofe
29
Febo = dio del sole (personificazione)
30
Entrar … lumi = metafora
31
origlier = francesismo per cuscini
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79. E coll'indice destro lieve lieve
80. Sovra gli occhi trascorri, e ne dilegua
81. Quel che riman de la Cimmeria nebbia 32;
82. Poi de' labbri formando un picciol arco
83. Dolce a vedersi33 tacito sbadiglia.
84. Ahi se te in sì vezzoso atto mirasse34
85. Il duro capitan quando tra l'arme
86. Sgangherando la bocca un grido innalza
87. Lacerator di ben costrutti orecchi,
88. S'ei te mirasse allor, certo vergogna
89. Avria di sè più che Minerva35 il giorno
90. Che di flauto sonando al fonte scorse
91. Il turpe aspetto de le guance enfiate.
92. Ma il damigel ben pettinato i crini
93. Ecco s'innoltra; e con sommessi accenti
94. Chiede qual più de le bevande usate
95. Sorbir tu goda in preziosa tazza.
96. Indiche merci son tazza e bevande:
97. Scegli qual più desii. S'oggi a te giova
98. Porger dolci a lo stomaco fomenti
99. Onde con legge il natural calore
100. V'arda temprato, e al digerir ti vaglia,
101. Tu il cioccolatte eleggi, onde tributo
102. Ti diè il Guatimalese e il Caribeo 36
103. Che di barbare penne avvolto ha il crine:
104. Ma se noiosa ipocondria ti opprime,
105. O troppo intorno a le divine membra
106. Adipe cresce 37, de' tuoi labbri onora
107. La nettarea bevanda38 ove abbronzato
108. Arde e fumica il grano a te d'Aleppo
32
Quel … nebbia = perifrasi per indicare il sonno (I Cimmeri
abitavano, secondo Omero, nei pressi dell’Ade, in una regione
coperta dalla nebbia. Cfr. Odissea XI, 14)
33
Dolce a vedersi = espressione latineggiante modellata sul
supino passivo in –u. Cfr. dulce visu
34
se … sì vezzoso … mirasse = allitterazione in “s”
35
Minerva = dea della sapienza
36
Guatimalese e Caribeo = popolazioni amerinde
37
O troppo … cresce = perifrasi per indicare che il Giovin
signore tende ad ingrassare
38
nettarea bevanda = perifrasi per indicare il caffè, paragonato
al nettare degli dei
109. Giunto e da Moca 39 che di mille navi40
110. Popolata mai sempre insuperbisce.
111. Certo fu d'uopo che da i prischi seggi
112. Uscisse un regno, e con audaci vele
113. Fra straniere procelle e novi mostri
114. E teme e rischi ed inumane fami41
115. Superasse i confin per tanta etade
116. Inviolati42 ancora: e ben fu dritto
117. Se Pizzarro e Cortese 43 umano sangue
118. Più non stimàr quel ch'oltre l'Oceàno
119. Scorrea le umane membra; e se tonando
120. E fulminando alfin spietatamente
121. Balzaron giù da i grandi aviti troni
122. Re Messicani e generosi Incassi,
123. Poi che nuove così venner delizie
124. O gemma degli eroi44 al tuo palato
125. Cessi '1 cielo però che in quel momento
126. Che le scelte bevande a sorbir prendi,
127. Servo indiscreto a te improvviso annunci
128. O il villano sartor che non ben pago
129. D'aver teco diviso i ricchi drappi
130. Oso sia ancor con polizza infinita
131. Fastidirti la mente; o di lugubri
132. Panni45 ravvolto il garrulo forense
133. Cui de' paterni tuoi campi e tesori
134. Il periglio s'affida; o il tuo castaldo
135. Che già con l'alba a la città discese
136. Bianco di gelo mattutin la chioma 46
39
Aleppo e Moca = località del Medio oriente, Aleppo in Siria
e Moca in Arabia
40
mille navi = iperbole
41
e con audaci … e novi … e teme e rischi ed inumane fami =
anafora di “e”
42
confin … inviolati = perifrasi per indicare le Colonne
d’Ercole
43
Pizzarro e Cortese = conquistatori spagnoli, famosi per le
loro crudeltà – il tono di questi versi è chiaramente sarcastico,
in quanto si finge che la conquista delle Americhe sia
avvenuta per garantire al Giovin signore il cioccolato e il caffè
44
O gemma degli eroi = metafora antifrastica riferita al
Giovin signore
45
lugubri / Panni = enjambement
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vv. 137-266 a cura di Sara Bazzigaluppi
Continua la mattinata del Giovin signore con
la visita del maestro di ballo, del maestro di
canto, del maestro di violino e, infine, del
precettore di Francese. Si procede poi alla
vestizione e alla toeletta, descritte con
eleganza di particolari. Ha inizio il tema della
satira contro il cicisbeismo.
137. Così zotica pompa i tuoi maggiori
138. Al di nascente si vedean dintorno:
139. Ma tu gran prole 47in cui si fèo scendendo
140. E più mobile il senso e più 48 gentile
141. Ah sul primo tornar de' lievi spirti
142. All'uficio diurno ah49 non ferirli
143. D'imagini50 si sconce. Or come i detti
144. Di costor soffrirai barbari e rudi;
145. Come il penoso articolar di voci
146. Smarrite titubanti al tuo cospetto;
147. E tra l'obliquo profondar d'inchini
148. Del calzar polveroso in su i tapeti
149. Le impresse orme indecenti? 51 Ahimè che fatto
150. Il salutar licore agro e indigesto
151. Ne le viscere tue te 52allor faria
152. E in casa e fuori e nel teatro e al corso 53
46
Servo indiscreto … O il villano sartor … o … il garrulo
forense … o il tuo castaldo = i personaggi in rassegna
costituiscono un’elencazione di soggetti che potrebbero, in
qualche modo, infastidire il Giovin signore
47
gran prole = iperbole ironica e metonimia per figlio
48
E più … e più = iterazione e polisindeto
49
Ah … ah = iterazione
50
ferirli / D'imagini = enjambement e metafora
51
Come il penoso … orme indecenti? = interrogativa retorica
52
tue te = allitterazione
53
E in casa e fuori e nel teatro e al corso = enumerazione e
polisindeto
153. Ruttar plebeiamente il giorno intero!54
154. Non fia che attenda già ch'altri lo annunci
155. Gradito ognor benchè improvviso il dolce
156. Mastro55 che il tuo bel piè come a lui piace
157. Guida e corregge56. Egli all'entrar s'arresti
158. Ritto sul limitare, indi elevando
159. Ambe le spalle qual testudo il collo 57
160. Contragga alquanto, e ad un medesmo tempo
161. Il mento inchini, e con l'estrema falda
162. Del piumato cappello il labbro tocchi.
163. E non men di costui facile al letto58
164. Del mio signor t'innoltra o tu che addestri
165. A modular con la flessibil voce
166. Soavi canti59; e tu che insegni altrui
167. Come vibrar con maestrevol arco 60
168. Sul cavo legno armoniose fila61.
169. Nè la squisita a terminar corona 62
170. Che segga intorno a te manchi o signore
171. Il precettor del tenero idioma
172. Che da la Senna de le Grazie madre 63
173. Pur ora a sparger di celeste ambrosia 64
174. Venne all'Italia nauseata65 i labbri66.
54
Ruttar plebeiamente il giorno intero! = abbassamento del
registro linguistico
55
il dolce / Mastro = enjambement
56
Mastro che il tuo bel piè come a lui piace / Guida e
corregge = perifrasi per indicare il maestro di ballo
57
qual testudo il collo = similitudine e latinismo (testudo)
58
E non men di costui facile al letto = litote
59
o tu che addestri / A modular con la flessibil voce / Soavi
canti = perifrasi per indicare il maestro di canto
60
maestrevol arco = enallage
61
e tu che insegni altrui / Come vibrar con maestrevol arco /
Sul cavo legno armoniose fila = perifrasi per indicare il
maestro di violino
62
Nè la squisita a terminar corona = iperbato
63
da la Senna de le Grazie madre = metonimia per indicare
Parigi
64
celeste ambrosia = metafora
65
nauseata = disgustata dalla propria lingua
66
Il precettor del tenero idioma / Che da la Senna de le Grazie
madre / Pur ora a sparger di celeste ambrosia / Venne all'Italia
15
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175. All'apparir di lui l'Itale voci
176. Tronche cedano il campo al lor tiranno 67:
177. E a la nova inefabil melodia
178. De' sovrumani accenti 68odio ti nasca
179. Più grande in sen contro a le bocche impure 69
180. Ch'osan macchiarse ancor di quel sermone 70
181. Onde in Valchiusa fu lodata e pianta71
182. Già la bella Francese72; e i culti campi
183. All'orecchio de i re cantati furo
184. Lungo il fonte gentil da le bell'acque73.
185. Or te questa o signor leggiadra schiera 74
186. Al novo di trattenga: e di tue voglie
187. Irresolute75 ancora or quegli or questi 76
188. Con piacevol discorso il vano adempia,
189. Mentre tu chiedi lor tra i lenti sorsi
190. Dell'ardente bevanda77 a qual cantore78
191. Nel vicin verno 79si darà la palma80
192. Sovra le scene; e s'egli è il ver che rieda
193. L'astuta Frine 81che ben cento folli
194. Milordi82 rimandò nudi al Tamigi83;
195. O se il brillante danzator Narcisso 84
196. Torni pur anco ad agghiacciare i petti 85
197. De' palpitanti Italici mariti 86.
198. Così poi che gran pezzo a i novi albori
199. Del tuo mattin teco scherzato fia
200. Non senza aver da te rimosso 87in prima
201. L'ipocrita pudore e quella schifa
202. Che le accigliate gelide matrone88
203. Chiaman modestia, alfine o a lor talento
204. O da te congedati escan costoro.
205. Doman quindi potrai o l'altro forse
206. Giorno a i precetti lor porgere orecchio 89
207. Se a' bei momenti tuoi cure minori
208. Porranno assedio 90. A voi divina schiatta91
209. Più assai che a noi mortali il ciel concesse
210. Domabile midollo 92entro al cerèbro 93,
211. Si che breve lavoro unir vi puote
212. Ampio tesor d'ogni scienza ed arte 94.
nauseata i labbri = ampia perifrasi per indicare il maestro di
Francese
67
al lor tiranno = la lingua francese
68
De' sovrumani accenti = iperbole e metonimia per indicare
la lingua francese
69
le bocche impure = enallage
70
macchiarse ancor di quel sermone = metafora
71
lodata e pianta = allusione alle due sezioni dei “Rerum
vulgarium fragmenta” in vita e in morte di Madonna Laura
72
la bella Francese = Laura, nata e vissuta in Provenza
73
quel sermone / Onde … e i culti campi … bell’acque =
ampia perifrasi per indicare la lingua italiana, con la quale in
Valchiusa fu lodata e compianta Laura da Petrarca (1304 –
1374), e con la quale Luigi Alamanni (1495 – 1556) scrisse il
suo poema “La coltivazione dei campi”, dedicato al re di
Francia Francesco I (1515 – 1547)
74
Or te questa o signor leggiadra schiera = iperbato
75
voglie / Irresolute = enjambement
76
or quegli or questi = iterazione
77
ardente bevanda = perifrasi per indicare il caffè
78
cantore = cantante lirico
79
vicin verno = allitterazione
80
la palma = metafora
81
L'astuta Frine = antonomasia. Frine fu una celebre
cortigiana dell’antica Grecia; col suo nome il poeta intende
indicare qualche astuta avventuriera di analoghi costumi
82
cento folli / Milordi = si notino: l’iperbole “cento”,
l’enjambement e il calco semantico “Milordi” per indicare gli
aristocratici inglesi
83
Tamigi = metonimia per Londra
84
Narcisso = antonomasia; Narciso nella mitologia era figlio
del fiume Cefiso e della ninfa Liriope, morto annegato per
essersi invaghito della propria immagine riflessa nell’acqua.
Col suo nome il poeta indica qualche vano ballerino infatuato
della sua bellezza per il quale le dame spasimavano
ingelosendo i mariti
85
agghiacciare i petti = metafora
86
palpitanti Italici mariti = enallage
87
Non senza aver da te rimosso = litote
88
matrone = latinismo
89
l'altro forse / Giorno a i precetti lor porgere orecchio =
enjambement e iperbato
90
Porranno assedio = metafora di ambito militare
91
A voi divina schiatta = iperbole ironica
92
Domabile midollo = metonimia per mente duttile
93
cerèbro = latinismo per cervello
16
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213. Il vulgo intanto a cui non lice95 il velo
214. Aprir de' venerabili misterj 96
215. Fie pago assai poi che vedrà sovente
216. Ire o tornar 97dal tuo palagio i primi
217. D'arte maestri98; e con aperte fauci
218. Stupefatto berà le tue sentenze99.
219. Ma già vegg'io che le oziose lane100
220. Premer non sai più lungamente: e in vano
221. Te l'ignavo tepor lusinga e molce101,
222. Però che te più gloriosi affanni
223. Aspettan l'ore ad illustrar del giorno.
224. O voi dunque del primo ordine 102servi
225. Che di nobil signor ministri al fianco
226. Siete incontaminati103, or dunque voi
227. Al mio divino Achille al mio Rinaldo 104
228. L'armi apprestate105. Ed ecco in un baleno
229. I damigelli a' cenni tuoi star pronti.
230. Già ferve il gran lavoro106. Altri ti veste
231. La serica zimarra 107ove bei fregi
232. Diramansi Chinesi; altri108 se il chiede
233. Più la stagione a te le membra copre
234. Di stese infino al piè tiepide pelli 109;
94
Ampio tesor d'ogni scienza ed arte = iperbato e ironia
lice = latinismo
96
il velo / Aprir … misterj = metafora
97
Ire o tornar = antitesi
98
i primi / D'arte maestri = enjambement e iperbato
99
berà le tue sentenze = metafora
100
le oziose lane = metonimia per letto ed enallage. Cfr.
Petrarca “Rerum vulgarium fragmenta” VII, 1
101
lusinga e molce = endiadi e latinismo
102
primo ordine = appartenenti alla prima schiera (con
reminiscenza della terminologia militare latina primi ordinis).
Sono i servi addetti alle mansioni più delicate e perciò scelti
103
incontaminati = ironia sarcastica
104
Al mio divino Achille al mio Rinaldo = iterazione. Achille
è l’eroe dell’Iliade, Rinaldo è un personaggio della
Gerusalemme liberata
105
L'armi apprestate = metafora
106
Già ferve il gran lavoro = ironia
107
serica zimarra = veste da camera di seta
108
Altri … altri = iterazione
95
235. Questi al fianco ti cinge il bianco lino110
236. Che sciorinato poi cada e difenda
237. I calzonetti; e quei d'alto curvando
238. Il cristallino rostro 111 in su le mani
239. Ti versa onde odorate 112, e da le mani113
240. In limpido bacin sotto le accoglie;
241. Quale il sapon del redivivo muschio114
242. Olezzante all'intorno; e qual ti porge
243. Il macinato di quell'arbor frutto
244. Che a Rodope fu già vaga donzella,
245. E piagne in van sotto mutate spoglie
246. Demofoonte ancor Demofoonte 115;
247. Un di soavi essenze intrisa spugna
248. Onde tergere i denti; e l'altro appresta
249. Onde116 imbiancar le guance util licore117.
250. Assai Signore a te pensasti: or volgi
251. L'alta mente118 per poco ad altri obbietti
252. Non men degni di te119. Sai che compagna
253. Con cui partir120 de la giornata illustre
109
Di stese infino al piè tiepide pelli = iperbato. Si tratta di
una calda pelliccia che arriva fino ai piedi
110
bianco lino = metonimia per salvietta che protegge i
calzoni
111
Il cristallino rostro = sineddoche per brocca di cristallo.
Rostro è il becco
112
onde odorate = allitterazione e metafora
113
le mani … le mani = epifora (vv. 238-239)
114
redivivo muschio = il muschio è un animale che secerne un
umore con il quale si fabbricano i profumi, i quali
impregnando il sapone, sembrano far rivivere la bestia
115
Il macinato di quell'arbor frutto / Che a Rodope fu già vaga
donzella, / E piagne in van sotto mutate spoglie / Demofoonte
ancor Demofoonte = ampia perifrasi per indicare la farina di
mandorle. Il mito greco, svolto per altro anche nelle Heroides
di Ovidio, narrava che Filli, credendosi abbandonata da
Demofoonte, suo promesso sposo, si gettò in mare da un
dirupo del monte Rodope in Tracia, e fu dagli dei trasformata
in mandorlo
116
Onde … Onde = anafora (vv. 248-249)
117
util licore = cosmetico preparato con la biacca
118
or volgi / L'alta mente = iperbole ironica
119
Non men degni di te = litote
17
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254. I travagli e le glorie121 il ciel destina
255. Al giovane signore. Impallidisci?
256. Ahi non parlo di nozze. Antiquo e vieto
257. Dottor122 sarei se così folle io dessi
258. A te consiglio. Di tant'alte doti123
259. Già non orni così lo spirto e i membri
260. Perchè in mezzo a la fulgida carriera 124
261. Tu il tuo corso interrompa, e fuora uscendo
262. Di cotesto a ragion detto bel mondo 125,
263. In tra i severi di famiglia padri 126
264. Relegato ti giacci a nodi avvinto127
265. Di giorno in giorno più noiosi e fatto
266. Ignobil fabbro de la razza umana 128
vv. 267 – 469 a cura di Pamela Bellacci
Tema centrale del passo è la favola di Amore
e Imene sull’origine dei cicisbei; si spiega
come accade che donne sposate si leghino ai
loro “cavalier serventi”.
272. La rimbambita fè 131la pudicizia
273. Severi nomi. E qual non suole a forza
274. Entro a' melati petti 132eccitar bile
275. Quando i computi vili del castaldo
276. Le vendemmie i ricolti i pedagoghi133
277. Di que' si dolci suoi bambini altrui
278. Gongolando ricorda 134; e non vergogna
279. Di mischiar cotai fole a peregrini
280. Subbietti135 a nuove del dir forme 136a sciolti
281. Da volgar fren concetti137, onde s'avviva
282. De' begli spirti il conversar sublime.
283. Non però tu senza compagna 138andrai;
284. Chè tra le fide altrui giovani spose
285. Una te n'offre inviolabil rito139
286. Del bel mondo onde sei parte si cara.
287. Tempo fu già che il pargoletto Amore 140
288. Dato era in guardia al suo fratello Imene 141;
289. Tanto la madre lor temea che il cieco
290. Incauto nume142 perigliando gisse
291. Misero e solo per oblique vie 143;
130
267. D'altra parte il marito ahi quanto spiace,
268. E lo stomaco move a i delicati
269. Del vostr'orbe felice 129 abitatori
270. Qualor de' semplicetti avoli nostri
271. Portar osa in ridevole trionfo 130
120
partir = dividere (latinismo)
I travagli e le glorie = antitesi ironica
122
Antiquo e vieto / Dottor = enjambement e latinismi
(precettore arcaico e noioso)
123
Di tant'alte doti = allitterazione in dentale sorda e sonora
124
fulgida carriera = iperboloe ironica
125
bel mondo = calco semantico sul Francese per indicare la
società aristocratica
126
In tra i severi di famiglia padri = iperbato
127
Relegato ti giacci a nodi avvinto = metafora
128
Ignobil fabbro de la razza umana = perifrasi per indicare la
paternità, che è sentita dal nobile come degradante funzione
riproduttiva
129
orbe felice = variazione iperbolica del “bel mondo”
121
ridevole trionfo = allitterazione in “r”
rimbambita fè = enallage: la fede che si addice ai vecchi
rimbambiti
132
melati petti = metafora (animi squisitamente sensibili)
133
Le vendemmie i ricolti i pedagoghi = enumerazione
asindetica
134
altrui / Gongolando ricorda = enjambement
135
peregrini / Subbietti = enjambement
136
a nuove del dir forme = perifrasi per indicare i neologismi
137
a sciolti / Da volgar fren concetti = perifrasi per indicare
discorsi liberi da inibizioni caratteristiche delle persone di
condizione modesta
138
Non però tu senza compagna = litote
139
inviolabil rito = allude al costume del cicisbeismo. La
parola cicisbeo sembra di origine onomatopeica, dal
cicaleccio dei colloqui galanti
140
pargoletto Amore = personificazione. Si noti l’aulicismo
pargoletto
141
Imene = dio delle nozze
142
cieco / Incauto nume = enjambement e perifrasi per
indicare l’Amore, raffigurato spesso bendato
143
oblique vie = metafora
131
18
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292. E che, bersaglio144 a gl'indiscreti colpi
293. Di senza guida e senza freno arciere145,
294. Immaturo al suo fin corresse il seme
295. Uman146 che nato è a dominar la terra.
296. Quindi la prole mal secura 147all'altra148
297. In cura dato avea sì lor dicendo:
298. Ite o figli del par; tu più possente
299. Il dardo scocca 149, e tu più150 cauto il reggi
300. A certa meta151. Così ognor congiunta
301. Iva la dolce coppia; e in un sol regno,
302. E d'un nodo comun l'alme strignea152.
303. Allora fu che il sol mai sempre uniti
304. Vedea153 un pastore ed una pastorella 154
305. Starsi al prato a la selva al colle al fonte 155:
306. E la suora di lui 156vedeali poi
307. Uniti ancor nel talamo beato 157
308. Ch'ambo gli amici numi a piene mani158
309. Gareggiando spargean di gigli e rose.
310. Ma che non puote anco in divini petti159
311. Se mai s'accende ambizion 160d'impero?
312. Crebber l'ali ad Amor, crebbe l'ardire 161;
144
bersaglio = apposizione fortemente prolettica
Di senza guida e senza freno arciere = iterazione e
metafora (arciere = amore)
146
seme / Uman = enjambement
147
prole mal secura = perifrasi per indicare Amore
148
altra = è Imene
149
Il dardo scocca = metafora
150
tu più … tu più = iterazione
151
certa meta = perifrasi per indicare il matrimonio
152
l'alme strignea = metafora (alme è un latinismo)
153
il sol … Vedea = umanizzazione
154
pastore … pastorella = poliptoto
155
al prato a la selva al colle al fonte = enumerazione di
ascendenza lirica e iterazione di al
156
la suora di lui = perifrasi per indicare la luna, in mitologia
Diana, sorella del Sole Febo
157
talamo beato = enallage
158
a piene mani = catacresi
159
divini petti = metafora
160
Se mai s'accende ambizion = metafora
145
313. Onde a brev'aere prima indi securo
314. A vie maggior fidossi, e fiero alfine162
315. Entrò nell'alto, e il grande arco crollando
316. E il capo risonar fece a quel moto
317. Il duro acciar 163che a tergo la faretra
318. Gli empie, e gridò: solo regnar vogl'io.
319. Disse, e volto a la madre: Amore adunque
320. Il più possente in fra gli dei, il primo
321. Di Citerea164 figliuol ricever leggi,
322. E dal minor german ricever leggi165
323. Vile alunno166 anzi servo? Or dunque Amore
324. Non oserà fuor ch'una unica volta
325. Fiedere167 un'alma come questo schifo
326. Da me pur chiede? E non potrò giammai
327. Da poi ch'io strinsi un laccio 168anco disciorlo
328. A mio talento, e se m'aggrada, un altro
329. Strignerne ancora? E lascerò pur ch'egli
330. Di suoi unguenti impece a me i miei 169dardi
331. Perchè men velenosi e men170 crudeli
332. Scendano a i petti? Or via perchè non togli
333. A me da le mie man 171quest'arco e queste
334. Armi172 da le mie spalle, e ignudo lasci
335. Quasi rifiuto de gli dei Cupido?
336. Oh il bel viver che fia quando tu solo
337. Regni in mio loco! Oh il bel 173vederti, lasso!
338. Studiarti a torre da le languid'alme 174
161
Crebber l'ali ad Amor, crebbe l'ardire = poliptoto e
personificazione di Amore
162
fidossi, e fiero alfine = allitterazione della “f”
163
duro acciar = metonimia
164
Citerea = epiteto di Venere, regina di Citera
165
ricever leggi (vv. 321-322) = epifora
166
alunno = latinismo
167
Fiedere = latinismo
168
strinsi un laccio = espressione metaforica che si ripete nel
trattare il legame dell’amore
169
impece a me i miei = allitterazione in “m” – impece: il
verbo potenzia metaforicamente il sostantivo unguenti
170
men … men = iterazione
171
A me da le mie man = allitterazione in “m”
172
queste / Armi = enjambement
173
Oh il bel … Oh il bel = iterazione
19
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339. La stanchezza e il fastidio, e spander gelo
340. Di foco175 in vece! Or genitrice intendi:
341. Vaglio e vo' regnar solo. A tuo piacere
342. Tra noi parti l'impero, ond'io con teco 176
343. Abbia omai pace; e in compagnia d'Imene
344. Me non veggan mai più le umane genti.
345. Amor qui tacque; e minaccioso in atto
346. Parve all'Idalia dea 177 chieder risposta.
347. Ella tenta placarlo, e preghi e pianti 178
348. Sparge ma in van; tal ch'a i due figli volta
349. Con questo dir pose al contender fine:
350. Poi che nulla tra voi pace esser puote,
351. Si dividano i regni: e perchè l'uno
352. Sia dall'altro fratello ognor disgiunto
353. Sien179 diversi tra voi e il tempo e l'opra.
354. Tu che di strali altero a fren non cedi
355. L'alme ferisci180, e tutto il giorno impera;
356. E tu che di fior placidi 181hai corona
357. Le salme accoppia, e con l'ardente face 182
358. Regna la notte. Or quindi almo Signore
359. Venne il rito gentil che ai freddi sposi
360. Le tenebre concede e de le spose
361. Le caste membra; e a voi beata gente 183
362. E di più nobil mondo il cor di queste
363. E184 il dominio del di largo destina 185.
364. Dunque ascolta i miei detti, e meco apprendi
365. Quai tu deggia il mattin cure a la bella186
174
le languid'alme = allitterazione in “l”
gelo / Di foco = enjambement e ossimoro
176
teco = latinismo
177
Idalia dea = Venere, alla quale era sacra la città di Idalio
nell’isola di Cipro
178
e preghi e pianti = allitterazione di “p” e iterazione di “e”
179
Sia … Sien = poliptoto in posizione forte all’inizio dei due
versi
180
L'alme ferisci = metafora
181
fior placidi = i papaveri che danno la tranquillità (enallage)
182
face = fiaccola (latinismo) insegna di Imene
183
e a voi beata gente = espressione ironica
184
E … E = anafora
185
dominio del di largo destina = allitterazione in “d”
186
Quai tu deggia il mattin cure a la bella = iperbato
175
366. Che spontanea o pregata a te si diede
367. In tua dama quel di lieto che a fida
368. Carta187, nè senza testimoni 188furo
369. A vicenda commessi i patti santi
370. E le condizion del caro nodo 189.
371. Già la dama gentile i vaghi rai190
372. Al novo giorno aperse; e suo primiero
373. Pensier191 fu dove teco ir più convenga
374. A vegliar questa sera; e gravemente
375. Consultò192 con lo sposo a lei vicino,
376. O a baciarle la man pur dianzi ammesso 193.
377. Ora è tempo o Signor che il fido servo
378. E il più accorto tra' tuoi voli 194 al palagio
379. Di lei chiedendo se tranquilli sonni
380. Dormio la notte; e se d'immagin liete
381. Le fu Mòrfeo195 cortese. E ver che ieri
382. Al partir l'ammirasti in viso tinta
383. Di freschissime rose196; e più che mai
384. Viva e snella balzar teco dal cocchio;
385. E la vigile tua mano per vezzo
386. Ricusar sorridendo allor che l'ampie
387. Scale197 salì del maritale albergo:
388. Ma ciò non basti ad acquetarti; e mai
389. Non obliar si giusti ufici198. Ahi quanti
390. Genj malvagi199 fra l'orror notturno200
187
fida / Carta = enjambement – si intende il contratto
matrimoniale (metonimia)
188
nè senza testimoni = litote
189
caro nodo = nota metafora per matrimonio. Si allude
all’usanza in base alla quale si prevedevano e si
legittimavano, anche nel contratto matrimoniale, i rapporti
della dama con il cicisbeo
190
vaghi rai = metonimia per occhi
191
primiero / Pensier = enjambement e allitterazione
192
gravemente / Consultò = ironia
193
O a baciarle la man pur dianzi ammesso = iperbato
194
voli = iperbole
195
Morfeo = dio del sonno
196
tinta / Di freschissime rose = enjambement e metafora
197
ampie / Scale = enjambement
198
obliar … ufici = latinismi
199
Genj malvagi = spiriti maligni
20
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391. Godono uscire, ed empier di perigli
392. La placida quiete de' viventi!
393. Poria, tolgalo il cielo, il picciol cane
394. Con latrato improvviso i cari sogni
395. Troncar201 de la tua dama; ond'ella, scossa
396. Da subito capriccio, a rannicchiarse
397. Astretta fosse di sudor gelato
398. E la fronte bagnando e il guancial molle.
399. Anco poria colui che si de' tristi
400. Come de' lieti sogni è genitore202,
401. Crearle in mente di nemiche idee
402. In un congiunte orribile chimera203;
403. Tal che agitata e in ansioso affanno
404. Gridar tentasse, e non però potesse
405. Aprire a i gridi tra le fauci il varco 204.
406. Sovente ancor de la passata sera
407. La perduta nel gioco aurea moneta
408. Non men che al cavalier suole a la dama
409. Lunga vigilia205 cagionar: talora
410. Nobile invidia de la bella amica
411. Vagheggiata da molti: e tal or breve
412. Gelosia n'è cagione. A questo aggiugni
413. Gl'importuni mariti i quai nel capo
414. Ravvolgendosi ancor le viete usanze,
415. Poi che cessero ad altri il giorno, quasi
416. Aggian fatto gran cosa, aman d'Imene
417. Con superstizion serbare i dritti 206,
418. E dell'ombra notturna esser tiranni,
419. Ahi con qual noia de le caste spose
200
fra l'orror notturno = allitterazione in “r”
i cari sogni / Troncar = enjambement e metafora
202
colui che si de' tristi / Come de' lieti sogni è genitore =
perifrasi per indicare il Sonno
203
In un congiunte orribile chimera = iperbato e metafora –
nella Chimera, il famoso mostro del mito classico, si
mescolavano i tratti di leone, capra e serpente; allo stesso
modo nell’incubo si fondono paurosamente diverse idee
204
Aprire a i gridi tra le fauci il varco = espressione
metaforica
205
vigilia = veglia (latinismo)
206
d'Imene / Con superstizion serbare i dritti = perifrasi per
indicare i diritti coniugali
201
420. Ch'indi preveggon fra non molto il fiore
421. Di lor fresca beltade 207 a sè rapito.
422. Mentre che il fido messagger sen rieda
423. Magnanimo signor già non starai
424. Ozioso però. Nel campo amato
425. Pur in questo momento il buon cultore
426. Suda e incallisce al vomere la mano
427. Lieto che i suoi sudor208 ti fruttin poi
428. Dorati cocchi e pellegrine mense 209.
429. Ora per te l'industre artier sta fiso
430. Allo scarpello all'asce al subbio all'ago 210:
431. Ed ora in tuo favor contende o veglia
432. Il ministro di Temi211. Ecco te pure
433. La tavoletta212 or chiama. Ivi i bei pregi
434. De la natura accrescerai con l'arte,
435. Ond'oggi, uscendo, del beante aspetto 213
436. Beneficar potrai le genti, e grato
437. Ricompensar di sue fatiche il mondo.
438. Ogni cosa è già pronta. All'un de' lati
439. Crepitar s'odon le fiammanti brage
440. Ove si scalda industrioso e vario
441. Di ferri arnese214 a moderar del fronte
442. Gl'indocili capei. Stuolo d'Amori
443. Invisibil sul foco agita i vanni215,
444. E per entro vi soffia alto gonfiando
445. Ambe le gote. Altri di lor v'appressa
207
il fiore / Di lor fresca beltade = metafora per indicare la
bellezza
208
Suda … sudor = figura etimologica
209
ti fruttin poi … pellegrine mense = si noti il sarcasmo e la
metonimia pellegrine mense (cibi raffinati)
210
Allo scarpello all'asce al subbio all'ago = enumerazione
asindetica
211
Il ministro di Temi = l’avvocato, servitore di Temi, dea
della Giustizia
212
tavoletta = la toilette (calco semantico)
213
beante aspetto = che dona beatitudine, vi è un’ironia circa
il ridicolo compenso che il nobile offre alle fatiche altrui
214
industrioso e vario / Di ferri arnese = perifrasi per indicare
il vario apparato di ferri di cui si serve il lavoro del
parrucchiere
215
vanni = penne delle ali
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446. Pauroso la destra; e prestamente
447. Ne rapisce un de' ferri: altri 216 rapito
448. Tenta com'arda in su l'estrema cima
449. Sospendendol dell'ala; e cauto attende
450. Pur se la piuma si contragga o fume:
451. Altri un altro217 ne scote; e de le ceneri
452. Fuligginose218 il ripulisce e terge.
453. Tali a le vampe dell'Etnèa fucina,
454. Sorridente la madre, i vaghi Amori
455. Eran ministri all'ingegnoso fabbro:
456. E sotto a i colpi del martel frattanto
457. L'elmo sorgea del fondator Latino 219.
458. All'altro lato con la man rosata 220
459. Como221 e di fiori inghirlandato il crine222
460. I bissi scopre ove di Idalj arredi 223
461. Almo tesor la tavoletta espone.
462. Ivi e nappi224 eleganti e di canori
463. Cigni morbide piume225; ivi raccolti
464. Di lucide odorate onde vapori;
465. Ivi226 di polvi227 fuggitive al tatto
466. Color diversi o ad imitar d'Apollo
467. L'aurato biondo o il biondo cenerino 228
216
Altri di lor … altri rapito = iterazione
Altri un altro = poliptoto
218
ceneri / Fuligginose = enjambement
219
Tali a le vampe … del fondator Latino = la similitudine
rievoca l’episodio del libro VIII dell’Eneide, nel quale Venere
si reca nella fucina di Vulcano sotto l’Etna e lo convince, con
le sue seduzioni, a fabbricare le armi per il figlio Enea
220
man rosata = metafora
221
Como = divinità delle mense
222
inghirlandato il crine = accusativo di relazione
223
Idalj arredi = strumenti cari a Venere idalia
224
nappi = boccetti
225
di canori / Cigni morbide piume = perifrasi per indicare i
piumini per cospargere di cipria
226
Ivi e nappi … ivi raccolti … Ivi di polvi = iterazione e
anafora
227
polvi = polveri (latinismo)
228
L'aurato biondo o il biondo cenerino = chiasmo e
iterazione. – il primo biondo era caratteristico di Apollo, il
secondo delle Muse
217
468. Che de le sacre Muse in su le spalle
469. Casca ondeggiando tenero e gentile229.
vv. 470 – 665 a cura di Monia Cappè
Prosegue la toeletta del Giovin signore con
l’acconciatura,
affidata
alle
mani
del
parrucchiere,
un’attività
che
consente
comunque al Nostro di dedicarsi alla lettura di
libri francesi alla moda o di ricevere un
mercante che gli offre le sue cianfrusaglie.
470. Che se a nobil eroe le fresche labbra
471. Repentino spirar di rigid'aura 230
472. Offese alquanto, v'è stemprato il seme
473. De la fredda cucurbita 231: e se mai
474. Pallidetto ei si scorga, è pronto all'uopo
475. Arcano a gli altri eroi vago cinabro 232.
476. Nè quando a un semideo 233 spuntar sul volto
477. Pustula temeraria osa pur fosse,
478. Multiforme di nei copia 234vi manca235,
479. Ond'ei l'asconda in sul momento, ed esca
480. Più periglioso a saettar coi guardi 236
481. Le belle inavvedute, a guerrier pari 237
482. Che, già poste le bende a la ferita,
483. Più glorioso e furibondo insieme
229
gentile = aggettivo della tradizione stilnovista
Repentino spirar di rigid'aura = allitterazione in “r”
231
cucurbita = zucca (latinismo)
232
Arcano a gli altri eroi vago cinabro = perifrasi per indicare
il rossetto sconosciuto agli eroi della tradizione
233
semideo = ironia
234
Multiforme di nei copia = iperbato
235
Né … vi manca = litote
236
a saettar coi guardi = metafora
237
guerrier pari = similitudine
230
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484. Sbaragliando le schiere238 entra nel folto.
485. Ma già velocemente il mio Signore
486. Tre volte e quattro il gabinetto scorse 239
487. Col crin disciolto e su gli omeri sparso,
488. Quale a Cuma solea l'orribil maga 240
489. Quando agitata dal possente nume241
490. Vaticinar s'udia. Così dal capo
491. Evaporar lasciò de gli olj sparsi
492. Il nocivo fermento 242e de le polvi
493. Che roder gli porien la molle cute,
494. O d'atroci emicranie a lui lo spirto
495. Trafigger lungamente243. Or ecco avvolto
496. Tutto in candidi lini 244a la grand'opra
497. E più grave del di s'appresta e siede.
498. Nembo dintorno a lui vola d'odori 245
499. Che a le varie manteche246 ama rapire
500. L'aura vagante lungo i vasi ugnendo
501. Le leggerissim'ale di farfalla247:
502. E lo speglio patente 248a lui dinanzi
503. Altero sembra di raccor nel seno
504. L'imagin diva249; e stassi a gli occhi suoi
505. Severo esplorator de la tua mano
506. O di bel crin volubile architetto.
507. O di bel crin volubile architetto 250
508. Tu pria chiedi all'eroe qual più gli aggrade
509. Spargere al crin, se i gelsomini o il biondo
510. Fior d'arancio 251 piuttosto o la giunchiglia
511. O l'ambra preziosa 252a gli avi nostri.
512. Ma se la sposa altrui cara all'eroe
513. Del talamo nuzial si lagna, e scosse
514. Pur or da lungo peso i casti lombi 253,
515. Ah fuggi allor tutti gli odori ah fuggi254;
516. Chè micidial potresti a un sol momento
517. Più vite insidiar255: semplici sieno
518. I tuoi balsami allor: nè oprarli ardisci
519. Pria che di lor deciso aggian le nari
520. Del mio signore e tuo. Pon mano poi
521. Al pettin liscio256, e con l'ottuso dente257
522. Lieve solca le chiome; indi animoso
523. Le turba e le scompiglia; e alfin da quella
524. Alta258 confusion traggi e dispiega,
525. Opra di tua gran mente, ordin superbo 259
526. Io breve a te parlai; ma il tuo lavoro
527. Breve260 non fia però; nè al termin giunto
528. Prima sarà che da' più strani eventi
529. S'involva o tronchi all'alta impresa il filo261.
530. Fisa i guardi a lo speglio; e là sovente
531. Il mio signor vedrai morder le labbra
532. Impaziente, ed arrossir nel volto.
238
Sbaragliando le schiere = metafora
Tre volte e quattro il gabinetto scorse = parodia del registro
epico
240
orribil maga = si intende la Sibilla che profetizzava a
Cuma; quando era ispirata assumeva un aspetto orribile
241
possente nume = si intende Apollo
242
nocivo fermento = le sostanze nocive alla salute contenute
nei cosmetici
243
Quale a Cuma … trafigger lungamente = ampia
similitudine di intonazione epica
244
candidi lini = metonimia
245
Nembo dintorno a lui vola d'odori = iperbato
246
manteche = pomate (latinismo)
247
Le leggerissim'ale di farfalla = il verso, di suono chiaro e
lieve è in sintonia con l’immagine della farfalla il cui volo
sembra davvero identificarsi coi moti dell’aura vagante
248
speglio patente = largo specchio (latinismo)
249
L'imagin diva = ironia
239
250
O di bel crin volubile architetto = perifrasi per indicare il
parrucchiere – il verso è ripetuto; l’aggettivo volubile è
polisemico, perché indica la creatività e l’incontentabilità del
parrucchiere
251
biondo / Fior d'arancio = enjambement
252
l'ambra preziosa = si tratta dell’ambra grigia, sostanza di
origine animale, impiegata per fabbricare profumi
253
scosse … i casti lombi = perifrasi per indicare il parto
254
Ah fuggi … ah fuggi = iterazione
255
potresti a un sol momento / Più vite insidiar = iperbole
ironica
256
Pon mano poi / Al pettin liscio = allitterazione in “p”
257
l'ottuso dente = il pettine con i denti arrotondati
258
quella / Alta = enjambement
259
Opra di tua gran mente, ordin superbo = iperbato
260
breve … Breve = iterazione
261
tronchi all'alta impresa il filo = metafora
23
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533. Sovente ancor, se men dell'uso esperta
534. Parrà tua destra, del convulso piede
535. Udrai lo scalpitar breve e frequente,
536. Non senza un tronco articolar di voce 262
537. Che condanni e minacci. Anco t'aspetta
538. Veder talvolta il cavalier sublime 263
539. Furiando agitarsi, e destra e manca
540. Porsi a la chioma, e dissipar con l'ugne
541. Lo studio di molt'ore in un momento.
542. Che più? Se per tuo male un di vaghezza
543. D'accordar ti prendesse al suo sembiante 264
544. Gli edifici del capo 265, e non curassi
545. Ricever leggi da colui che venne
546. Pur ier di Francia266, ah quale atroce folgore 267,
547. Meschino! allor ti penderia sul capo?
548. Tu allor l'eroe vedresti ergers'in piedi,
549. E per gli occhi versando ira e dispetto 268
550. Mille strazj imprecarti 269, e scender fino
551. Ad usurpar le infami voci al vulgo270
552. Per farti onta maggiore, e di bastone
553. Il tergo minacciarti, e violento
554. Rovesciare ogni cosa, al suol spargendo 271
555. Rotti cristalli 272e calamistri273 e vasi
556. E pettini ad un tempo. In simil guisa,
557. Se del tonante 274all'ara o de la Dea
262
Non senza un tronco articolar di voce = litote; si intende
voce spezzata dall’ira
263
il cavalier sublime = ironia
264
prendesse al suo sembiante = allitterazione
265
Gli edifici del capo = metafora
266
colui che venne / Pur ier di Francia = perifrasi per indicare
chi segue la moda francese
267
atroce folgore = metafora iperbolica per indicare la furia
signorile
268
per gli occhi versando ira e dispetto = metafora
269
Mille strazj imprecarti = iperbole
270
Ad usurpar le infami voci al vulgo = perifrasi per indicare
espressioni grossolane di insulto, caratteristiche del popolino
271
cosa, al suol spargendo = allitterazione in “s”
272
Rotti cristalli = metonimia
273
calamistri = i ferri per arricciare i capelli
274
tonante = epiteto di Giove
558. Che ricovrò dal Nilo il turpe Phallo 275
559. Tauro spezzava i raddoppiati nodi
560. E libero fuggia276, vedeansi a terra
561. Cader tripodi tazze bende scuri
562. Litui coltelli277, e d'orridi mugiti
563. Commosse rimbombar le arcate volte,
564. E d'ogni lato astanti e sacerdoti
565. Pallidi all'urto e all'impeto involarse
566. Del feroce animal che pria si queto
567. Gia di fior cinto; e sotto a la man sacra
568. Umiliava le dorate corna 278.
569. Tu non pertanto coraggioso e forte
570. Dura e ti serba a la miglior fortuna.
571. Quasi foco di paglia è foco d'ira 279
572. In nobil petto. Il tuo signor vedrai
573. Mansuefatto280 a te chieder perdono,
574. E sollevarti oltr'ogni altro mortale
575. Con preghi e scuse a niun altro concesse;
576. Tal che securo sacerdote a lui
577. Immolerai lui stesso, e pria d'ognaltro
578. Larga otterrai del tuo lavor mercede 281.
579. Or Signore a te riedo. Ah non sia colpa
580. Dinanzi a te s'io travviai col verso
581. Breve parlando ad un mortal 282 cui degni
582. Tu de gli arcani tuoi. Sai che a sua voglia
583. Questi ogni di volge e governa i capi
584. De' semidei 283più chiari: e le matrone
275
de la Dea / Che ricovrò dal Nilo il turpe Phallo = perifrasi
per indicare Iside, la dea che recuperò da Nilo il fallo del
marito Osiride, fatto a pezzi da Tisifone
276
In simil guisa … e libero fuggia = similitudine col toro,
poiché il signore arrabbiato viene paragonato ad un toro prima
di essere sacrificato
277
Cader tripodi tazze bende scuri / Litui coltelli =
enumerazione asindetica
278
dorate corna = metafora
279
Quasi foco di paglia è foco d'ira = metafora e iterazione
280
Mansuefatto = latinismo
281
Larga otterrai del tuo lavor mercede = iperbato
282
mortal = si intende il parrucchiere, al quale l’io lirico si è
rivolto precedentemente tralasciando il suo ruolo di precettore
del Giovin signore
24
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585. Che da i sublimi cocchi alto disdegnano
586. Chinar lo sguardo a la pedestre turba 284,
587. Non disdegnan sovente entrar con lui
588. In festevoli motti allor ch'esposti
589. A la sua man sono i ridenti avorj
590. Del bel collo 285 e del crin l'aureo volume286.
591. Però m'odi benigno or ch'io t'apprendo
592. L'ore a passar più graziose intanto
593. Che il pettin creator doni a le chiome
594. Leggiadra o almen non più veduta forma.
595. Breve libro elegante 287a te dinanzi
596. Tra gli arnesi vedrai che l'arte aduna
597. Per disputare a la natura il vanto
598. Del renderti si caro a gli occhi altrui.
599. Ei ti lusingherà forse con liscia
600. Purpurea pelle288 onde vestito avrallo
601. O Mauritano conciatore o Siro 289:
602. E d'oro fregi delicati e vago
603. Mutabile color 290che il collo imite
604. De la colomba v'avrà sparso intorno
605. Squisito legator Batavo o Franco 291:
606. E forse incisa con venereo stile
607. Vi fia serie d'imagini interposta,
608. Lavor che vince la materia, e donde
609. Fia che nel cor ti si ridesti e viva
610. La stanca di piaceri offusa voglia292.
283
semidei = ironia
la pedestre turba = la folla dei pedoni (latinismo)
285
i ridenti avorj / Del bel collo = metafora per indicare il
candore sfolgorante del collo
286
del crin l'aureo volume = metafora
287
Breve libro elegante = si tratta di un libro in cui vengono
esposti i precetti per rendere la bellezza del Giovin signore
un’opera d’arte
288
liscia / Purpurea pelle = enjambement
289
O Mauritano conciatore o Siro = si allude al libro rilegato
con pelle conciata in Marocco o in Siria
290
vago / Mutabile color = enjambement – si allude al colore
screziato che si soleva dare al taglio delle pagine, oppure ai
risguardi del libro
291
Squisito legator Batavo o Franco = raffinato rilegatore
olandese o francese
284
611. Or tu il libro gentil con lenta mano
612. Togli, e non senza sbadigliare un poco
613. Aprilo a caso o pur là dove il parta 293
614. Tra l'uno e l'altro foglio indice nastro 294.
615. O de la Francia Proteo multiforme 295
616. Scrittor296 troppo biasmato e troppo a torto 297
617. Lodato ancor, che sai con novi modi
618. Imbandir ne' tuoi scritti eterno cibo 298
619. A i semplici palati, e se maestro
620. Di color che a sè fingon di sapere,
621. Tu appresta al mio signor leggiadri studj
622. Con quella tua fanciulla all'Anglo infesta,
623. Onde l'Enrico tuo vinto è d'assai299,
624. L'Enrico tuo che in vano abbatter tenta
625. L'Italian Goffredo 300ardito scoglio301
626. Contro a la Senna d'ogni vanto altera.
627. Tu de la Francia onor, tu in mille scritti 302
292
E forse incisa con venereo stile … ottusa voglia = si dice
che il libro sarà illustrato da una serie di immagini erotiche
con un lavoro che sa vincere la materia e che è quindi in grado
di ridestare nel cuore del Giovin signore la voglia sfibrata di
piacere
293
parta = divida (latinismo)
294
indice nastro = il segnalibro
295
O de la Francia Proteo multiforme = perifrasi per indicare
Voltaire, che viene paragonato a Proteo per la sua versatilità.
Proteo era un dio marino che poteva trasformarsi a proprio
piacimento
296
multiforme / Scrittor = enjambement
297
Scrittor troppo biasmato e troppo a torto = si notino
l’allitterazione in “t” e l’iterazione di troppo
298
Imbandir ne' tuoi scritti eterno cibo = metafora
gastronomica
299
Con quella tua fanciulla all'Anglo infesta, / Onde l'Enrico
tuo vinto è d'assai = allusione a Giovanna d’Arco,
protagonista del poema voltairiano “La pucelle d’Orléans”
che Parini giudica superiore all’altro poema di Voltaire
“L’Henriade”, che ha per protagonista il re francese Enrico IV
300
L'Italian Goffredo = Goffredo di Buglione, cioè la
“Gerusalemme liberata” che Parini ritiene superiore alle
opere di Voltaire
301
ardito scoglio = metafora
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628. Celebrata da' tuoi novella Aspasia
629. Taide novella303 a i facili sapienti
630. De la Gallica Atene304 i tuoi precetti
631. Tu305 pur detta al mio eroe: e a lui non meno
632. Pasci l'alto pensier 306tu che all'Italia,
633. Poi che rapirle i tuoi l'oro e le gemme,
634. Invidiasti il fedo loto307 ancora
635. Onde macchiato è il Certaldese 308 o l'altro
636. Per cui va si famoso il pazzo Conte 309.
637. Questi o signore i tuoi studiati autori
638. Fieno e mill'altri 310che guidàro in Francia
639. I bendati Sultani i Regi Persi
640. E le peregrinanti Arabe dame,
641. O che con penna liberale a i cani
642. Ragion donàro e a i barbari sedili,
643. E dier feste e conviti e liete scene
644. A i polli ed alle gru d'amor maestre 311.
645. Oh pascol degno d'anima sublime312
302
Tu de la Francia onor, tu in mille scritti = iterazione e
iperbole
303
novella Aspasia / Taide novella = si tratta di Ninon de
Lenclos (1620 – 1705) personaggio celebre per il suo spirito e
per i suoi costumi alquanto liberi, autrice di numerosi scritti
brillanti. Parini la paragona ad Aspasia, celebre etera greca,
amante di Pericle, e a Taide, personaggio di Terenzio e di
Dante
304
la Gallica Atene = perifrasi per indicare Parigi
305
Tu = Jaean de La Fontaine (1621 – 1695), celebre al tempo
di Parini, oltre che per le Fables, per i suoi Contes, nei quali
prendeva spunti da argomenti licenziosi delle novelle di
Boccaccio e dell’Orlando furioso dell’Ariosto
306
Pasci l'alto pensier = metafora gastronomica ed ironia
307
il fedo loto = latinismo e metafora
308
il Certaldese = Giovanni Boccaccio (1313 – 1375)
309
l'altro / Per cui va si famoso il pazzo Conte = Ludovico
Ariosto (1474 – 1533)
310
mill'altri = iperbole
311
I bendati sultani … maestre = si allude alle mode letterarie
allora dominanti in Francia; i romanzi orientaleggianti (Le
lettere persiane di Montesquieu), la fortuna avuta dalle Mille
e una notte, e la moda dei romanzi allegorici che facevano
parlare animali e cose
646. Oh chiara oh nobil mente313! A te ben dritto
647. E' che s'incurvi riverente il vulgo,
648. E gli oracoli attenda 314. Or chi fie dunque
649. Si temerario che in suo cor ti beffe
650. Qualor partendo da sì gravi studj
651. Del tuo paese l'ignoranza accusi,
652. E tenti aprir col tuo felice raggio 315
653. La Gotica caliggine316 che annosa
654. Siede su gli occhi a le misere genti?
655. Così non mai ti venga estranea cura
656. Questi a troncar si preziosi istanti317
657. In cui del pari e a la dorata chioma 318
658. Splendor dai novo ed al celeste ingegno 319
659. Non pertanto avverrà che tu sospenda
660. Quindi a poco il versar de' libri amati,
661. E che ad altro ti volga. A te quest'ora
662. Condurrà il merciaiol che in patria or torna
663. Pronto inventor di lusinghiere fole320
664. E liberal di forastieri nomi
665. A merci che non mai varcàro i monti
vv. 666 – 864 a cura di Veronica Cocchi
Il Giovin signore continua ad agghindarsi e ad
impomatarsi. Abbiamo a questo punto il
celebre episodio della cipria: la polvere viene
312
Oh pascol degno d'anima sublime = metafora e ironia
Oh pascol … Oh chiara oh nobil mente = anafora e
iterazione
314
A te ben dritto … oracoli attenda = pungente ironia
315
E tenti aprir col tuo felice raggio = metafora illuministica
316
La Gotica caliggine = metafora per indicare il pensiero
oscurantista di origine medioevale
317
Questi a troncar si preziosi istanti = metafora
318
dorata chioma = metafora
319
celeste ingegno = ironia
320
lusinghiere fole = le brillanti invenzioni del ciarlatano, che
fanno presa sul nobile credulone - Cfr. Goldoni, “La famiglia
dell’antiquario”
313
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sparsa sui capelli per simulare le gesta degli
antenati, che erano ricoperti di fuligine e di
sangue.
666. Tu a lui credi ogni detto. E chi vuoi ch'ose
667. Unqua mentire ad un tuo pari in faccia?
668. Ei fia che venda se a te piace o cambi
669. Mille fregi e lavori321 a cui la moda
670. Di viver concedette un giorno intero
671. Tra le folte d'inezie illustri tasche:
672. Poi lieto se n'andrà con l'una mano
673. Pesante322 di molt'oro; e in cor gioiendo
674. Spregerà le bestemmie imprecatrici
675. E il gittato lavoro e i vani passi 323
676. Del calzolar diserto e del drappiere;
677. E dirà lor: "Ben degna pena avete
678. O troppo ancor religiosi servi
679. De la necessitade324, antiqua è vero
680. Madre e donna dell'arti, or nondimeno
681. Fatta cenciosa e vile. Al suo possente
682. Amabil vincitor v'era assai meglio
683. O miseri ubbidire. Il lusso il lusso 325
684. Oggi sol puote dal ferace corno
685. Versar su l'arti326 a lui vassalle applausi
686. E non contesi mai premj e ricchezze".
687. L'ore fien queste ancor che a te ne vegna
688. Il delicato miniator di belle
689. Che de la corte d'Amatunta327 uscio
690. Stipendiato ministro atto a gli affari
691. Sollecitar dell'amorosa diva.
692. Or tu l'affretta impaziente e sprona
693. Si ch'a te porga il desiato avorio
694. Che de le amate forme impresso ride,
695. Sia che il pennel cortese328 ivi dispieghi
696. L'alme329 sembianze del tuo viso, ond'aggia
697. Tacito pasco allor che te non vede
698. La pudica d'altrui sposa a te cara;
699. Sia che di lei medesma al vivo esprima
700. Il vago aspetto; o se ti piace ancora
701. D'altra beltà furtiva a te presenti
702. Con più largo confin le amiche membra330.
703. Doman fie poi che la concessa imago
704. Entro arnese gentil331 per te si chiuda
705. Con opposto cristallo ove tu faccia
706. Sovente paragon di tua beltade 332
707. Con la beltà de la tua dama; o a i guardi
708. Degl'invidi la tolga, e in sen l'asconda
709. Sagace tabacchiera; o a te riluca
710. Sul minor dito333 in fra le gemme e l'oro334;
711. O de le grazie del tuo viso desti
712. Soavi rimembranze al braccio avvolta
713. Dell'altrui fida sposa a cui se' caro.
714. Ed ecco alfin che a le tue luci335 appare
715. L'artificio compiuto. Or cauto osserva
716. Se bene il simulato al ver s'adegue,
717. Vie più rigido assai se il tuo sembiante
718. Esprimer denno i colorati punti
719. Che l'arte ivi dispose. Or brune troppo
720. A te parran le guance, or fia ch'ecceda
721. Mal frenata la bocca, or qual conviene 336
722. A camuso Etiòpe il naso fia337.
723. Anco sovente d'accusar ti piaccia
724. Il dipintor che non atteggi ardito
725. L'agili membra e il dignitoso busto;
328
321
Mille fregi e lavori = iperbole
322
mano / Pesante = enjambement
323
gittato … passi = metafora
324
O troppo … necessitade = metafora
325
Il lusso, il lusso = ripetizione che accentua l’ironia
pariniana
326
Versar su l’arti = metafora
327
Amatunta = Si intende Venere: dalla città di Amatunte
nell’isola di Cipro, sacra alla dea
pennel cortese = metafora
alme = latinismo
330
amiche membra = metafora
331
arnese gentil = perifrasi per indicare il medaglione
332
beltade = provenzalismo
333
Sul minor dito = perifrasi per indicare il mignolo
334
in fra le gemme e l’oro = perifrasi per indicare gli anelli
335
luci = metonimia per occhi
336
Or brune … or fia … or qual = iterazione
337
or qual … fia = perifrasi per naso nero
329
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726. O che mal tra le leggi a la tua forma
727. Dia contorno o la posi o la panneggi.
728. E' ver che tu del grande di Crotone 338
729. Non conosci la scola, e mai tua destra 339
730. Non abbassossi a la volgar matita
731. Che fu nell'altra età cara a' tuoi pari
732. Cui non gustate ancora eran più dolci
733. E più nobili cure a te serbate.
734. Ma che non puote quel d'ogni scienza
735. Gusto340 trionfator che all'ordin vostro
736. In vece di maestro il ciel concesse;
737. E d'onde a voi coniò le altere menti
738. Acciò che possan dell'uman confine
739. Oltrepassar la paludosa nebbia 341
740. E d'etere più puro abitatrici
741. Non fallibili scérre il vero e il bello?
742. Però qual più ti par loda o riprendi
743. Non men fermo d'allor che a scranna siedi
744. Raffael342 giudicando o l'altro egregio
745. Che del gran nome suo l'Adige onora 343;
746. E a le tavole ignote i noti nomi
747. Grave comparti di color che primi
748. Furo nell'arte. Ah s'altri è si procace
749. Ch'osi rider dite, costui pavente
750. L'augusta maestà del tuo cospetto,
751. Si volga a la parete, e mentre cerca
752. Por freno in van col morder de le labbra
753. A lo scrosciar de le importune risa
754. Che scoppian da' precordj, violenta
755. Convulsione a lui deforme il volto,
756. E lo affoghi aspra tosse344 e lo punisca
757. Di sua temerità. Ma tu non pensa
338
grande di Crotone = perifrasi per Zeusi
destra = metonimia per mano
340
Gusto = personificazione
341
Oltrepassar … nebbia = metafora
342
Raffael = si intende il grande Raffaello Sanzio (1483 –
1520)
343
l'altro egregio / Che del gran nome suo l'Adige onora =
perifrasi per indicare Paolo Caliari detto il Veronese (1528 –
1588)
344
E lo … tosse = metafora
339
758. Ch'altri ardisca di te rider giammai;
759. E mai sempre imperterrito decidi.
760. Or giunta è alfin del dotto pettin345 l'opra:
761. E il maestro elegante346 intorno spande
762. Da la man scossa polveroso nembo 347,
763. Onde a te innanzi tempo il crine imbianchi.
764. D'orribil piato risonar s'udio
765. Già la corte d'Amore 348. I tardi vegli
766. Grinzuti349 osàr co' giovani nipoti
767. Contendere di grado in faccia al soglio
768. Del comune lor dio 350. Rise la fresca
769. Gioventude351 animosa; e d'agri motti
770. Libera punse la senil baldanza.352
771. Gran tumulto nascea, se non che Amore353
772. Ch'ogni diseguaglianza odia in sua corte
773. A spegner354 mosse i perigliosi sdegni:
774. E a quei che militando incanutiro
775. Suoi servi apprese a simular355 con arte
776. I duo bei fior che in giovanile gota
777. Educa e nudre di sua man natura356:
778. Indi fe' cenno; e in un balen fur visti
779. Mille alati ministri357 alto volando
780. Scoter lor piume, onde fioccò leggera
781. Candida polve358 che a posar poi venne
782. Su le giovani chiome; e in bianco volse
345
dotto pettin = metafora
maestro elegante = perifrasi per indicare il parrucchiere
347
polveroso nembo = perifrasi per indicare la cipria
348
Amore = personificazione
349
vegli / Grinzuti = enjambement
350
comune lor dio = perifrasi per indicare Amore
351
Gioventude = latinismo
352
e d’agri … baldanza = metafora
353
Amore = personificazione
354
spegner = metafora
355
Suoi servi apprese a simular = allitterazione in “s”
356
I duo … natura = tradizionale metafora per i colori
dell’incarnato (giglio e rosa) – Cfr. Guinizzelli “Io voglio del
ver la mia donna laudare / ed asembrali la rosa e lo giglio”
357
Mille alati ministri = iperbole e perifrasi per indicare gli
Amorini
358
Candida polve = perifrasi per indicare la cipria
346
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783. E il biondo e il nero e l'odiato rosso 359.
784. L'occhio così nell'amorosa reggia
785. Più non distinse le due opposte etadi 360:
786. E solo vi restò giudice il tatto 361.
787. Tu pertanto o signor tu che se' il primo
788. Fregio ed onor dell'Acidalio regno 362
789. I sacri usi ne serba. Ecco che sparsa
790. Già da provvida man la bianca polve
791. In piccolo stanzin con l'aere pugna363,
792. E de gli atomi364 suoi tutto riempie
793. Egualmente divisa. Or ti fa core,
794. E in seno a quella vorticosa nebbia
795. Animoso ti avventa. Oh bravo! oh forte!
796. Tale il grand'avo tuo tra il fumo e il foco
797. Orribile di Marte 365 furiando
798. Gittossi allor che i palpitanti Lari366
799. De la patria difese, e ruppe e in fuga
800. Mise l'oste feroce. Ei nondimeno
801. Fuligginoso il volto e d'atro sangue
802. Asperso e di sudore e co' capelli
803. Stracciati ed irti de la mischia uscio
804. Spettacol fero a i cittadini stessi
805. Per sua man salvi367; ove tu, assai più vago
359
l’odiato rosso = riferimento ai pregiudizi popolari sulle
persone dai capelli rossi
360
opposte etadi = latinismo e perifrasi per indicare
giovinezza e vecchiaia
361
E solo vi restò giudice il tatto = l’unico senso a non poter
essere ingannato e perciò in grado di appurare la reale età
delle persone – si nota anche qui l’influenza delle teorie
sensiste (Cfr. nota n° 27)
362
Acidalio regno = regno di Venere, così chiamato da una
fonte in Beozia, nella quale la dea si lavava
363
con laere pugna = espressione metaforica
364
atomi = è evidente il gusto per un linguaggio filosofico di
derivazione materialista. Cfr. teorie atomistiche di Democrito
e di Epicuro
365
Marte = dio della guerra, adoperato in espressione
metaforica
366
palpitanti Lari = gli dei protettori della famiglia e anche
della patria che era considerata una grande famiglia, sono detti
palpitanti perché ansiosi relativamente all’esito della battaglia
806. E leggiadro a vederse in bianca spoglia
807. Scenderai quindi a poco a bear gli occhi
808. De la cara tua patria a cui dell'avo
809. Il forte braccio e il viso almo celeste sia
810. Del nipote dovean portar salute.
811. Non vedi omai368 qual con solerte mano
812. Rechin di vesti a te pubblico arredo
813. I damigelli tuoi? Rodano e Senna369
814. Le tesserono a gara; e qui cucille
815. Opulento sartor cui su lo scudo
816. Serpe intrecciato a forbici eleganti
817. Il titol di monsù: nè sol dà leggi
818. A la materia la stagion diverse,
819. Ma qual più si conviene al giorno e all'ora
820. Varj sono il lavoro e la ricchezza.
821. Vieni o fior de gli eroi 370 vieni; e qual suole
822. Nel più dubbio de' casi alto monarca
823. Avanti al trono suo convocar lento
824. Di satrapi concilio 371 a cui nell'ampia
825. Calvizie de la fronte il senno appare;
826. Tal di limpidi spegli a un cerchio in mezzo
827. Grave t'assidi, e lor sentenza ascolta.
828. Un giacendo al tuo piè mostri qual deggia
829. Liscia e piana salir su per le gambe
830. La docil calza372: un sia presente al volto,
831. Un dietro al capo 373: e la percossa luce374
832. Quinci e quindi tornando, a un tempo solo
833. Tutto al giudizio de' tuoi guardi esponga
834. L'apparato dell'arte. Intanto i servi
835. A te sudino intorno; e qual piegate
836. Le ginocchia in sul suol prono ti stringa375
367
Ei … salvi = descrizione concitata e drammatica di una
battaglia sottolineata da particolari realistici e cruenti
368
Non vedi omai = formula di transizione a scopo didattico
369
Rodano e Senna = metonimie per indicare rispettivamente
Lione e Parigi, famosi centri di produzione di tessuti pregiati
370
fior de gli eroi = metafora antifrastica
371
qual … Di satrapi concilio = similitudine con intento
antifrastico
372
docil calza = particolare dell’abbigliamento settecentesco
373
un sia presente … Un dietro al capo = iterazione
374
percossa luce = perifrasi per indicare lo specchio
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837. Il molle piè di lucidi fermagli;
838. E qual del biondo crin che i nodi eccede
839. Su le schiene ondeggiante in negro velo
840. I tesori raccoglia; e qual 376 già pronto
841. Venga spiegando la nettarea veste.
842. Fortunato garzone a cui la moda
843. In fiorài canestri e di vermiglia
844. Seta377 coperti preparò tal copia 378
845. D'ornamenti e di pompe! Ella pur ieri
846. A te dono ne feo. La notte intera
847. Faticaron per te cent'aghi e cento 379;
848. E di percossi e ripercossi 380 ferri
849. Per le tacite case andò il rimbombo:
850. Ma non in van poi che di novo fasto
851. Oggi superbo nel bel mondo andrai;
852. E per entro l'invidia e lo stupore
853. Passerai de' tuoi pari eguale a un dio 381
854. Folto bisbiglio sollevando intorno.
855. Figlie de la memoria 382 inclite suore
856. Che invocate scendendo i feri nomi
857. De le squadre diverse e de gli eroi
858. Annoveraste a i grandi che cantàro
859. Achille Enea e il non minor Buglione383,
860. Or m'è d'uopo di voi. Tropp'ardua impresa
861. E insuperabil senza vostr'aita
862. Fia ricordare al mio signor di quanti
863. Leggiadri arnesi graverà sue vesti384
864. Pria che di sé nel mondo esca a far pompa.
375
384
sul suol prono ti stringa = allitterazione in “s” e in “r”
E qual del biondo … e qual già pronto = iterazione
377
vermiglia / Seta = enjambement
378
copia = latinismo
379
Faticaron per te cent'aghi e cento = iperbole e metafora
380
percossi e ripercossi = replicazione
381
eguale a un dio = similitudine
382
Figlie de la memoria = perifrasi per indicare le Muse, figlie
di Zeus e di Mnemosine. L’invocazione alle Muse, prima di
iniziare a ricordare i grandi della letteratura, è un topos della
poesia epica. Cfr. l’incipit dell’Iliade, dell’Odissea, la protasi
della Gerusalemme liberata
383
i grandi … Buglione = perifrasi per indicare Omero,
Virgilio e Tasso che cantarono rispettivamente le imprese di
Achille, di Enea, e di Goffredo di Buglione, pari agli altri due
376
vv. 865 – 1064 a cura di Silvia Del Ponte
Graziosa descrizione di interni e di oggetti
preziosi ed esotici: una boccetta di cristallo
piena di profumo, un cuscino ripieno di erbe
profumate, un vasetto di cristallo di rocca …
865. Ma qual di tanti e sì leggiadri arnesi
866. Sì felice385 sarà che innanzi a gli altri
867. Signor386 venga a formar tua nobil soma?
868. Tutti importan del pari. Ecco l'astuccio
869. Di pelli rilucenti ornato e d'oro 387
870. Sdegnar la turba, e gli occhi tuoi primiero
871. Occupar di sua mole. Esso a cent'usi 388
872. Opportuno si vanta: e ad esso in grembo
873. Atta a gli orecchi a i denti a i peli all'ugne 389
874. Vien forbita famiglia390. A i primi onori
875. Seco391 s'affretta392 d'odorifer'onda
876. Pieno cristal 393che a la tua vita in forse394
877. Doni conforto allor che il vulgo395 ardisca
878. Troppo accosto vibrar da la vil salma
879. Fastidiosi effiuvj 396a le tue nari.
Leggiadri arnesi graverà sue vesti = perifrasi per indicare
gli ornamenti del Giovin signore, in senso eroicomico
385
felice = latinismo (fortunato)
386
Signor = allocuzione
387
ornato e d'oro = anastrofe
388
a cent'usi = iperbole
389
a gli orecchi a i denti a i peli all’ugne = iterazione
390
forbita famiglia = allitterazione
391
Seco = latinismo
392
Seco s’affretta = allitterazione
393
Pieno cristal = metonimia
394
a la tua vita in forse = iperbole . Il poeta esagera
ironicamente i rischi che il Signore può correre, mescolandosi
troppo da vicino al volgo
395
vulgo = latinismo
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880. Nè men pronto di quello e all'uopo 397 stesso
881. L'imitante un cuscin purpureo drappo398
882. Reca turgido il sen d'erbe odorate
883. Che l'aprica399 montagna in tuo favore
884. Al possente meriggio educa e scalda.
885. Ecco vien poi da cristallina rupe
886. Tolto nobil vasello. Indi traluce 400
887. Prezioso confetto ove a gli aromi
888. Stimolanti401 s'unì l'ambra o la terra
889. Che il Giappon manda a profumar de' grandi
890. L'etereo fiato402, o quel che il Caramano
891. Fa gemer latte dall'inciso capo
892. De' papaveri suoi403; perchè se mai
893. Non ben felice 404amor l'alma t'attrista,
894. Lene serpendo 405per li membri acquete
895. A te gli spirti406, e ne la mente induca
896. Lieta stupidità che mille407 adune
897. Imagin dolci e al tuo desio conformi.
898. A tanto arredo il cannocchial succeda
899. E la chiusa tra l'oro Anglica lente408.
900. Quel409 notturno favor ti presti 410allora
901. Che al teatro t'assidi, e t'avvicini
902. O i piè leggeri o le canore labbra
903. Da la scena remota; o con maligno
904. Guardo411 dell'alte vai logge spiando
905. Le abitate tenèbre; o miri altronde 412
906. Gli ognor nascenti e moribondi amori 413
907. De le tenere dame 414, onde s'appresti
908. All'eloquenza tua nel di venturo
909. Lunga e grave materia. A te la lente
910. Nel giorno assista; e de gli sguardi tuoi
911. Economa presieda; e si li parta
912. Che il mirato da te vada superbo,
913. Nè i mal visti accusarte osin giammai.
914. La lente ancor su l'occhio tuo sedendo
915. Irrefragabil giudice condanni415
916. O approvi di Palladio 416 i muri e gli archi
917. O417 di Tizian418 le tele419: essa a le vesti
918. A i libri a i volti420 feminili applauda
919. Severa o li dispregi: e chi del senso
920. Comun421 sì privo fia che insorger osi
921. Contro al sentenziar de la tua lente422?
922. Non per questa però sdegna o signore 423
923. Giunto a lo speglio in Gallico sermone 424
396
411
397
412
fastidiosi effluvj = allitterazione
uopo = latinismo
398
L'imitante un cuscin purpureo drappo = iperbato
399
aprica = soleggiata (latinismo)
400
da seganalre l’assonanza rupe – traluce (vv. 885,886)
401
aromi / Stimolanti = enjambement
402
etereo fiato = alito (ironia)
403
o quel che … suoi = perifrasi per indicare l’oppio, che gli
abitanti della Caramania, in Asia minore, ricavavano dal
lattice dei papaveri
404
Non ben felice = litote
405
Lene serpendo = lene serpendo
406
per li membri acquete / A te gli spirti = enjambement e
iperbato
407
mille = iperbole
408
E la chiusa tra l'oro Anglica lente = perifrasi per indicare la
lorgnette (l’occhialino), montata in oro e con lente di marca
inglese
409
Quel = si intende il cannocchiale
410
notturno favor ti presti = iperbato
maligno / Guardo
O i piè … o le canore … o con maligno … o miri =
polisindeto e iterazione
413
Gli ognor nascenti e moribondi amori = antitesi e iperbato
414
tenere dame = enallage dell’aggettivo
415
assista … presieda … parta … sedendo … condanni =
umanizzazione degli oggetti
416
Palladio = Andrea Palladio (1508 – 1580) celebre
architetto vicentino
417
O approvi … O di Tizian = anafora
418
Tizian = Tiziano Vecellio (1490 – 1576) celebre pittore,
nato a Pieve di Cadore
419
tele = sineddoche
420
a le vesti / A i libri a i volti = iterazione
421
senso / Comun = enjambement
422
Contro al sentenziar de la tua lente = umanizzazione degli
oggetti
423
o signore = apostrofe
424
Gallico sermon = latinismo e perifrasi per indicare la
lingua francese
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924. Il vezzoso giornal425, non le notate426
925. Eburnee tavolette 427a guardar preste
926. Tuoi sublimi pensier 428fin ch'abbian luce
927. Doman tra i belli spirti; e non isdegna
928. La picciola guaina429 ove al tuo cenno
929. Mille ognora stan pronti argentei spilli430.
930. Oh quante volte a cavalier sagace
931. Ho vedut'io le man render beate 431
932. Uno apprestato a tempo unico spillo!
933. Ma dove ahi dove 432inonorato e solo
934. Lasci '1 coltello a cui l'oro e l'acciaro
935. Donàr gemina433 lama, e a cui la madre
936. De la gemma più bella d'Anfitrite434
937. Diè manico elegante, onde il colore
938. Con dolce variar l'iride imìta?
939. Verrà il tempo verrà 435 che ne' superbi
940. Convivj436 ognaltro avanzerai per fama
941. D'esimio trinciatore437; e i plausi e i gridi
942. De' tuoi gran pari ecciterai qualora,
943. Pollo o fagian con le forcine in alto
944. Sospeso, a un colpo il priverai dell'anca
945. Mirabilmente. Or qual più resta omai
946. Onde colmar tue tasche inclito438 ingombro439?
947. Ecco a molti colori oro distinto,
948. Ecco440 nobil testuggine 441su cui
949. Voluttuose imagini lo sguardo
950. Invitan de gli eroi442. Copia443 squisita
951. Di fumido rapè quivi è serbata
952. E di spagna oleoso 444, onde lontana
953. Pur come suol fastidioso insetto445
954. Da te fugga la noia. Ecco che smaglia
955. Cupido446 a te di circondar le dita
956. Vivo splendor di preziose anella 447.
957. Ami la pietra ove si stanno ignude
958. Sculte le Grazie448, e che il Giudeo449 ti fece
959. Creder opra d'Argivi allor ch'ei chiese
960. Tanto tesoro450, e d'erudito il nome
961. Ti comparti prostrandosi a' tuoi piedi?
962. Vuoi tu i lieti451 rubini? O più t'aggrada
963. Sceglier quest'oggi l'Indico452 adamante453
964. Là dove il lusso incantator costrinse
965. La fatica e il sudor 454di cento buoi455
438
inclito = latinismo
inclito ingombro = ossimoro
440
Ecco … Ecco (vv. 947-48) = anafora
441
nobil testuggine = metonimia per contenitore fatto di
tartaruga
442
lo sguardo / Invitan de gli eroi = iperbato
443
Copia = latinismo
444
Di fumido rapè … E di Spagna oleoso = due qualità di
tabacco da naso
445
come suol fastidioso insetto = similitudine – si noti la rima
interna : fastidioso oleoso
446
smaglia / Cupido = umanizzazione degli oggetti
447
anella = latinismo
448
ignude / Sculte le Grazie = enjambement. Si indica un
cammeo in cui sono incise le Grazie nella loro nudità (sculte
participio latineggiante, ripreso al v. 969)
449
Giudeo = metonimia (il commerciante ebreo)
450
Tanto tesoro = iperbole e allitterazione
451
lieti = con valore attivo <<che allietano chi li guarda>>
452
Indico = da notare l’esotismo dell’aggettivo
453
adamante = diamante (provenzalismo: adamas) Cfr. Guido
Guinizzelli “Al cor gentil …”
439
425
Il vezzoso giornal = un giornale forse di moda
non le notate = allitterazione
427
Eburnee tavolette = perifrasi per indicare il tacquino per
annotazioni rilegato in avorio, pronto a custodire le battute
che il Giovin signore sfoggerà nella conversazione il giorno
dopo, facendo finta, forse, di improvvisarle
428
sublimi pensier = ironia
429
picciola guaina = astuccio (latinismo)
430
Mille ognora stan pronti argentei spilli = iperbato e
iperbole
431
sagace – beate = assonanza
432
Ma dove ahi dove = ripetizione
433
gemina = latinismo. Si intende una doppia lama: una di
acciaio, una dorata
434
la madre / De la gemma più bella d'Anfitrite = perifrasi per
indicare la madreperla. Anfitrite, figlia dell’Oceano e moglie
di Nettuno, sta qui per mare, la cui gemma più bella è la perla
435
Verrà … verrà = iterazione
436
superbi / Convivj = enjambement
437
esimio trinciatore = iperbole ironica
426
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966. Che pria vagando per le tue campagne
967. Facean sotto a i lor piè nascere i beni?
968. Prendi o tutti o qual vuoi456; ma l'aureo cerchio457
969. Che sculto intorno è d'amorosi motti
970. Ognor teco458 si vegga, e il minor dito459
971. Premati alquanto, e sovvenir ti faccia
972. Dell'altrui fida sposa a cui se' caro.
973. Vengane alfin de gli orioi gemmati
974. Venga460 il duplice pondo 461; e a te de l'ore
975. Che all'alte imprese dispensar conviene
976. Faccia rigida prova. Ohimè che vago
977. Arsenal462 minutissimo di cose
978. Ciondola quindi, e ripercosso insieme
979. Molce463 con soavissimo tintinno464!
980. Ma v'hai tu il meglio? Ah si che i miei precetti
981. Sagace prevenisti. Ecco risplende
982. Chiuso in breve cristallo il dolce pegno
983. Di fortunato amor: lungi o profani465,
984. Chè a voi tant'oltre penetrar non lice 466.
985. Compiuto è il gran lavoro. Odi Signore 467
986. Sonar già intorno la ferrata zampa 468
987. De' superbi corsier che irrequieti
988. Ne' grand'atrj sospinge arretra e volge 469
989. La disciplina dell'ardito auriga.
990. Sorgi e t'appresta 470a render baldi e lieti
454
fatica e il sudor = endiadi
cento buoi = iperbole
456
o tutti o qual vuoi = polisindeto e iterazione
457
l'aureo cerchio = metonimia per anello
458
teco = latinismo
459
minor dito = perifrasi per indicare il mignolo
460
Venga … Venga (vv 973-74) = anafora
461
il duplice pondo = si tratta del peso di due orologi ornati di
pietre preziose. Da notare il latinismo pondo
462
vago / Arsenal = enjambement
463
Molce = latinismo
464
tintinno = onomatopea
465
lungi o profani = apostrofe
466
lice = latinismo
467
Odi Signore = apostrofe
468
ferrata zampa = sineddoche
469
sospinge arretra e volge = climax discendente
455
991. Del tuo nobile incarco i bruti ancora.
992. Ma a possente signor scender non lice
993. Da le stanze superne 471infin che al gelo
994. O al meriggio non abbia il cocchier stanco
995. Durato un pezzo, onde l'uom servo intenda
996. Per quanto immensa via 472natura il parta
997. Dal suo signore. Or dunque i miei precetti
998. Io seguirò, chè varie al tuo mattino
999. Portar dee cure il variar 473 de' giorni:
1000. Tu dolce intanto prenderai solazzo
1001. Ad agitar fra le tranquille dita
1002. Dell'oriolo i ciondoli vezzosi.
1003. Signore al ciel non è cosa più cara
1004. Di tua salute: e troppo a noi mortali
1005. E' il viver de' tuoi pari util tesoro 474.
1006. Uopo è talor che da gli egregi affanni 475
1007. T'allevj alquanto, e con pietosa mano 476
1008. Il teso per gran tempo arco rallente 477.
1009. Tu dunque allor che placida mattina
1010. Vestita riderà 478 d'un bel sereno
1011. Esci pedestre, e le abbattute membra
1012. All'aura salutar snoda e rinfranca.
1013. Di nobil cuoio a te la gamba calzi
1014. Purpureo stivaletto, onde giammai
1015. Non profanin tuo piè la polve o il limo 479
1016. Che l'uom calpesta. A te s'avvolga intorno
1017. Veste leggiadra che sul fianco sciolta
1018. Sventoli andando; e le formose braccia
470
Sorgi e t'appresta = apostrofe
stanze superne = allitterazione
472
Per quanto immensa via = iperbole ironica
473
varie … variar = figura etimologica
474
Signore al ciel non è cosa più cara / Di tua salute: e troppo
a noi mortali / E' il viver de' tuoi pari util tesoro = captatio
benevolentiae ironica
475
egregi affanni = ossimoro
476
pietosa mano = enallage
477
Il teso per gran tempo arco rallente = iperbato e
allitterazione
478
placida mattina / Vestita riderà = umanizzazione della
Natura
479
polve o il limo = latinismi
471
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1019.
1020.
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1044.
Stringa in maniche anguste a cui vermiglio
O cilestro ermesino 480 orni gli estremi
Del bel color che l'elitropio 481 tigne
O pur482 d'oriental candido bisso
Voluminosa benda indi a te fasci
La snella gola. E il crin... Ma il crin 483 signore
Forma non abbia ancor da la man dotta 484
Dell'artefice suo; chè troppo fora 485,
Ahi troppo 486 grave error lasciar tant'opra
De le licenziose aure 487 in balia.
Nè senz'arte però vada negletto 488
Su gli omeri a cader; ma o che natura
A te il nodrisca; o che da ignote 489 fronti
Il più famoso parrucchier lo involi,
E lo adatti al tuo capo, in sul tuo capo 490
Ripiegato l'afferri e lo sospenda
Con testugginei denti il pettin curvo.
Ampio cappello alfin che il disco agguagli
Del gran lume Febeo 491tutto ti copra,
E allo sguardo profan tuo nume asconda.
Poi che così le belle membra ornate
Con artificj negligenti 492avrai,
Esci soletto a respirar talora
I mattutini fiati: e lieve canna
Brandendo con la man, quasi baleno
Le vie trascorri, e premi ed urta il vulgo 493
1045.
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1048.
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1050.
1051.
1052.
Che s'oppone al tuo corso. In altra guisa
Fora494 colpa l'uscir; però che andrièno
Mal dal vulgo distinti i primi eroi
Tal giorno ancora, o d'ogni giorno forse
Fien qualch'ore serbate al molle ferro 495
Che i peli a te rigermoglianti a pena 496
D'in su la guancia miete497; e par che invidj
Ch'altri fuor che sè solo indaghi o scopra
1053.
Unqua498 il tuo sesso. Arroge a questo il giorno
1054.
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1060.
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1062.
1063.
1064.
Che di lavacro universal 499convienti
Terger le vaghe membra. E' ver che allora
D'esser mortal dubiterai 500; ma innalza
Tu allor la mente a i grandi aviti onori
Che fino a te per secoli cotanti
Misti scesero al chiaro altero sangue 501;
E il pensier ubbioso al par di nebbia 502
Per lo vasto vedrai aere smarrirsi 503
A i raggi de la gloria 504onde t'investi;
E di te pago sorgerai qual pria
Gran semideo che a sé solo somiglia 505
vv. 1065 – 1166 a cura di Serena Fiori
Completata la sua preparazione il giovane
aristocratico può finalmente raggiungere la sua
dama in carrozza con una corsa folle per le vie
480
ermesino = seta leggiera proveniente da Ornus, nel Golfo
persico
481
elitropio = grecismo per girasole
482
O cilestro … O pur (vv. 1020-1022) = anafora
483
E il crin … ma il crin = sospensione e anadiplosi
484
Forma non abbia ancor da la man dotta = assonanza
paragrammatica
485
dotta – fora = assonanza vocalica
486
troppo … / Ahi troppo = anadiplosi
487
aure = aulicismo
488
negletto = latinismo
489
o che natura … o che da ignote = polisindeto e iterazione
490
capo … capo = iterazione
491
lume Febeo = perifrasi per indicare il sole
492
artificj negligenti = ossimoro
493
e lieve canna … e premi ed urta il vulgo = polisindeto
494
Fora = sarebbe (latinismo)
molle ferro = ossimoro
496
i peli a te rigermoglianti a pena = perifrasi per indicare la
barba
497
miete = metafora
498
Unqua = latinismo
499
lavacro universal = aulicismo
500
D'esser mortal dubiterai = ironia
501
chiaro altero sangue = ironia
502
al par di nebbia = similitudine
503
Per lo vasto vedrai aere smarrirsi = iperbato
504
i raggi de la gloria = metafora
505
qual pria / Gran semideo che a sé solo somiglia =
similitudine e allitterazione in “s”
495
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della città, mettendo
l’incolumità dei passanti.
1065.
1066.
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1089.
1090.
1091.
1092.
506
in
serio
pericolo
Fama è così che il dì quinto le Fate 506
Loro salma immortal vedean coprirsi
Già d'orribili scaglie, e in feda serpe
Volta strisciar sul suolo a sè 507 facendo
De le marcate spire impeto e forza:
Ma il primo sol le rivedea più belle
Far beati gli amanti e a un volger d'occhi
Mescere a voglia lor la terra e il mare.
Assai l'auriga bestemmiò finora
I tuoi nobili indugi: assai508 la terra
Calpestàro i cavalli. Or via veloce
Reca o servo gentil, reca 509 il cappello
Ch'ornan fulgidi nodi: e tu frattanto
Fero genio di Marte a guardar posto
De la stirpe de' numi il caro fianco,
Al mio giovan eroe cigni la spada
Corta e lieve non già, ma qual richiede
La stagion bellicosa510 al suol cadente,
E di triplice taglio armata e d'else
Immane. Quanto esser può mai sublime
L'annoda pure onde 511 la impugni all'uopo512
La destra furibonda in un momento.
Nè disdegnar con le sanguigne dita513
Di ripulire ed ordinar quel nastro 514
Onde l'else è superbo. Industre studio
E' di candida mano. Al mio signore
Dianzi donollo, e gliel appese al brando
L'altrui fida consorte a lui si cara.
Fama … Fate = allitterazione
scaglie, e in feda serpe / Volta strisciar sul suolo a sé =
allitterazione
508
Assai … assai = iterazione
509
Reca … reca = iterazione
510
stagion bellicosa = metafora
511
annoda … onde = allitterazione
512
uopo = latinismo Cfr. opus est
513
sanguigne dita = aggettivazione icastica
514
nastro = sineddoche
507
1093.
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Tal del famoso Artù 515 vide la corte
Le infiammate d'amor donzelle ardite
Ornar di piume e di purpuree fasce
I fatati guerrier; si che poi lieti
Correan mortale ad incontrar periglio 516
In selve orrende fra i giganti e i mostri 517.
Volgi o invitto campion, volgi518 tu pure
Il generoso piè dove la bella
E de gli eguali tuoi scelto drappello 519
Sbadigliando t'aspetta all'alte mense.
Vieni, e godendo, nell'uscire il lungo
Ordin520 superbo di tue stanze ammira.
Or già siamo all'estreme: alza i bei lumi 521
A le pendenti tavole vetuste522
Che a te de gli avi tuoi serbano ancora
Gli atti e le forme. Quei che in duro dante 523
Strigne le membra, e cui si grande ingombra
Traforato collar le grandi spalle,
Fu di macchine autor; cinse d'invitte
Mura524 i Penati525; e da le nere torri
Signoreggiando il mar, verso le aduste
Spiagge526 la predatrice Africa spinse.
Vedi quel magro a cui canuto e raro
Pende il crin da la nuca, e l'altro a cui
Su la guancia pienotta e sopra il mento
515
Artù = leggendario re celtico (Artus), protagonista di
numerosi romanzi del ciclo brettone. Cfr. Chrétien de Troyes:
Lancelot, Cliges, Perceval … La sua presenza nell’opera
testimonia la profonda cultura letteraria di Parini. – Si nota il
fascino degli oggetti, messo in evidenza dall’ambientazione
cortese
516
Correan mortale ad incontrar periglio = iperbato
517
Tal … sì che … mostri = similitudine
518
Volgi … volgi = iterazione
519
scelto drappello = metafora di ambito militare
520
lungo / Ordin = enjambement
521
lumi = metonimia per occhi
522
pendenti tavole vetuste = allitterazione in “t”
523
duro dante = allitterazione
524
invitte / Mura = enjambement
525
Penati = gli dei della Patria
526
aduste / Spiagge = enjambement
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527
Serpe triplice pelo 527? Ambo s'adornano
Di toga magistral cadente a i piedi:
L'uno a Temi528 fu sacro: entro a' Licei
La gioventù pellegrinando ei trasse
A gli oracoli suoi; indi sedette
Nel senato de' padri; e le disperse
Leggi529 raccolte, ne fe' parte al mondo:
L'altro sacro ad Igeia 530. Non odi ancora
Presso a un secol di vita il buon vegliardo
Di lui narrar quel che da' padri suoi
Nonagenarj udì, com'ei spargesse
Su la plebe infelice oro 531 e salute
Pari a Febo 532 suo nume? Ecco quel grande
A cui si fosco parruccon s'innalza533
Sopra la fronte spaziosa; e scende 534
Di minuti botton serie infinita
Lungo la veste. Ridi? Ei novi aperse
Studj a la patria; ei di perenne aita
I miseri dotò; portici e vie
Stese per la cittade; e da gli ombrosi
Lor lontani recessi a lei dedusse
Le pure onde535 salubri, e ne' quadrivj
E in mezzo a gli ampli fori alto le fece
Salir scherzando a rinfrescar la state 536
Madre di morbi popolari. Oh come
Ardi a tal vista di beato orgoglio
Magnanimo garzon! Folle! A cui parlo?
Ei già più non m'ascolta: odiò que' ceffi
Vedi quel magro … Pende … e l’altro … guancia pienotta
… triplice pelo = rappresentazione realistica secondo i canoni
del sensismo
528
Temi = la dea della Giustizia Cfr. Parini “La salubrità
dell’aria” v. 116 <<Gridan le leggi, è vero; / e Temi bieco
guata>>
529
disperse / Leggi = enjambement
530
Igeia = la dea della salute: perifrasi per indicare il medico
531
oro = metonimia per denaro
532
Febo = dio del sole (Apollo)
533
si fosco parruccon s'innalza = allitterazione in “s”
534
Sopra la fronte spaziosa; e scende = allitterazione in “s”
535
onde = metonimia per acque
536
Salir scherzando a rinfrescar la state = allitterazione in “s”
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Il suo guardo gentil: noia lui prese
Di si vieti racconti: e già s'affretta
Giù per le scale impaziente. Addio
De gli uomini delizia e di tua stirpe,
E de la patria tua gloria e sostegno 537.
Ecco che umili in bipartita schiera 538
T'accolgono i tuoi servi. Altri già pronto
Via se ne corre ad annunciare al mondo
Che tu vieni a bearlo; altri539 a le braccia
Timido ti sostien mentre il dorato
Cocchio540 tu sali, e tacito e severo
Sur un canto ti sdrai. Apriti o vulgo 541
E cedi il passo al trono ove s'asside
Il mio signore. Ah te meschin s'ei perde
Un sol per te de' preziosi istanti!
Temi il non mai da legge o verga o fune
Domabile cocchier: temi 542 le rote
Che già più volte le tue membra
Avvolser seco, e del tuo impuro sangue
Corser macchiate, e il suol di lunga striscia
Spettacol miserabile! segnàro 543.
IL MERIGGIO
A CURA DI BARBARA RICCI
Nella prima redazione questa parte, a sé
stante,
si
intitolava
“Il
Mezzogiorno”.
Successivamente la parte venne revisionata,
537
De gli uomini delizia e di tua stirpe, / E de la patria tua
gloria e sostegno = metafora e iperbato
538
bipartita schiera = metafora di ambito militare
539
Altri … altri = iterazione
540
dorato / Cocchio = enjambement
541
vulgo = latinismo
542
Temi … temi = iterazione
543
Avvolser seco … sangue / corser … suol … striscia /
Spettacol miserabile! segnaro = allitterazione in “s” – si nota
la sottolineatura della scena cruenta
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con significativi mutamenti di carattere
linguistico – strutturale e con spostamenti di
episodi. Il titolo venne cambiato in “Meriggio”.
Motivo conduttore del “Meriggio” è il
cicisbeismo, quel costume per cui una dama
sposata aveva diritto ad un cavalier servente.
La scena si apre con la dama, davanti alla
toilette, circondata da alcuni “giovani eroi” che
spettegolano sugli amori altrui, mentre il
marito, in disparte, sorride. Arriva, quindi, il
“Giovin signore”, che fa dileguare tutti i
presenti. I due giovani siedono vicino,
scambiandosi complimenti e battute pungenti.
Viene poi il momento del pranzo, durante il
quale si assaggiano le vivande prelibate, più
per voluttà, propria degli spiriti raffinati, che per
bisogno, proprio della plebe. Qui si inserisce la
favola mitologica del Piacere: un tempo gli
uomini erano uguali tra loro; poi gli dei
inviarono sulla terra il Piacere, il quale fece
sviluppare in alcuni uomini una maggiore
sensibilità, così che costoro primeggiarono,
lasciando gli altri in balia degli istinti primitivi.
Tra i commensali, che siedono alla mensa c’è
una serie di tipi umani, tra cui un grande
mangiatore,
ma
spicca
soprattutto
il
vegetariano, che condanna l'uccisione degli
animali. A questo punto si inserisce l’episodio
della “Vergine cuccia”. Infatti la dama, udendo
il vegetariano, versa una lacrima, ricordando la
sua cagnetta, colpita un giorno dal calcio di un
servitore. Questi fu licenziato e condannato a
chiedere, senza risultato, l’elemosina, insieme
alla moglie ed ai figli, così da risarcire la
“Vergine cuccia” del suo dolore. Il “Giovin
signore”, durante il pranzo, deve badare ai
bisogni della dama e contemporaneamente
partecipare brillantemente alla conversazione,
facendo sfoggio della sua cultura. Esalta,
infatti, il commercio, disprezzando, invece,
l’agricoltura, discute con l’astronomo e
l’ingegnere, inserendo nella conversazione
qualche
vocabolo
scientifico,
ascoltato
precedentemente; si beffa del poeta, parlando
di filosofia. Dopo il pranzo, i convitati si
trasferiscono in un’altra stanza, a prendere il
caffè, mentre fuori del palazzo una folla di
mendicanti, con le narici spalancate, gusta i
profumi della mensa. Mentre si prepara il tric
trac, gioco in voga a quel tempo, il “Giovin
signore” sceglie con cura la carrozza, con la
quale portare in giro la dama, nella
passeggiata pomeridiana.
VV. 1 – 206 a cura di Franchini Stefania
All’inizio di questa seconda parte il poeta ci
avverte che
descriverà il Giovin signore
impegnato nella partecipazione ai banchetti
illustri. Vi sono riferimenti al banchetto che
Didone aveva dato in onore di Enea e ai
conviti presenti nell’Odissea. È ripreso il
motivo del cicisbeismo, già incontrato nel
“Mattino”, attraverso la rappresentazione di
schermaglie amorose. Notevoli sono la
macchietta del marito docile e compiacente, la
similitudine col musulmano, la caricatura del
saluto galante alla dama, la commedia
dell’amore trai due protagonisti. In ultimo vi è
una digressione sulla truce gelosia dei tempi
passati.
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Ardirò ancor fra i desinari illustri
Sul meriggio innoltrarmi umil cantore,
Poi che troppa di te cura mi punge 544
Signor, ch'io spero un dì veder maestro
E dittator 545 di graziosi modi
All'alma546 gioventù che Italia onora.
Tal fra le tazze547 e i coronati vini548
Onde all'ospite suo fe' lieta pompa
La punica regina549, i canti alzava
Jopa550 crinito; e la regina in tanto
Dal bel volto straniero 551 iva beendo
L'oblivion del misero Sichèo552:
E tale553, allor che l'orba Itaca 554in vano
Chiedea a Nettun555 la prole di Laerte 556,
Femio557 s'udia co' versi e con la cetra
La facil mensa 558rallegrar de' proci 559,
Cui dell'errante Ulisse i pingui agnelli
E i petrosi licori 560e la consorte561
troppa di te cura mi punge = metafora
dittator = arbitro
546
alma = latinismo
547
Tal fra le tazze = allitterazione in “t” – similitudine
548
i coronati vini = metonimia per indicare le tazze di vino
adorne di fiori
549
La punica regina = perifrasi per indicare Didone , regina di
Cartagine
550
Jopa = il cantore di Didone , discepolo di Atlante Cfr.
Eneide I, 740-746
551
Dal bel volto straniero = sineddoche per indicare Enea
552
beendo / L'oblivion del misero Sichèo = metafora; Sicheo
era il marito di Didone, ucciso dal fratello di lei Pigmalione –
cfr. Eneide I, 749 << Infelix Dido longumque bibebat
amorem>>
553
E tale … = similitudine
554
l'orba Itaca = Itaca privata del suo re
555
Nettun = dio del mare
556
la prole di Laerte = perifrasi per indicare Ulisse
557
Femio = il cantore di Ulisse
558
facil mensa = perché non pagata
559
proci = i pretendenti alla mano di Penelope
545
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Convitavano in folla. Amici or china
Giovin Signore al mio cantar gli orecchi,
Or che tra nuove Elise e nuovi proci
E tra fedeli ancor Penelopèe 562
Ti guidano a la mensa i versi miei.
Già dall'alto del cielo il sol fuggendo 563
Verge all'occaso564: e i piccoli mortali
Dominati dal tempo escon di novo
A popolar le vie ch'all'oriente
Spandon ombra già grande. A te null'altro
Dominator fuor che te stesso è dato
Stirpe di numi565: e il tuo meriggio è questo.
Al fin di consigliarsi al fido speglio
La tua dama cessò. Cento già volte566
O chiese o rimandò567 novelli ornati;
E cento ancor 568de le agitate ognora
Damigelle or con vezzi or 569 con garriti570
Rovesciò la fortuna. A sè medesma
Quante volte convien piacque e dispiacque571;
E quante volte572 è d'uopo a sè ragione
Fece e a' suoi lodatori. I mille intorno
Dispersi arnesi573 al fin raccolse in uno
La consapevol del suo cor ministra574:
Al fin velata di legger zendado575
560
i petrosi licori = enallage per indicare i vini prodotti dalla
petrosa Itaca
561
la consorte = Penelope
562
tra nuove Elise e nuovi proci / E tra fedeli ancor Penelopèe
= antonomasie. Elissa era un altro nome di Didone
563
il sol fuggendo = metafora
564
Verge all'occaso = latinismi
565
Stirpe di numi = iperbole ironica
566
Cento già volte = iperbole
567
O … o = iterazione e polisindeto
568
E cento ancor = iperbole
569
or … or = iterazione
570
vezzi … garriti = antitesi
571
piacque e dispiacque = antitesi
572
Quante volte … E quante volte = anafora
573
I mille intorno / Dispersi arnesi = iperbole e iperbato
574
La consapevol del suo cor ministra = perifrasi per indicare
la cameriera preferita
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49.
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51.
52.
53.
54.
55.
56.
57.
58.
59.
60.
61.
62.
63.
64.
65.
66.
67.
68.
575
È l'ara tutelar di sua beltade:
E la seggiola sacra un po' rimossa
Languidetta l'accoglie. Intorno a lei
Pochi giovani eroi 576van rimembrando
I cari lacci altrui, mentre da lunge
Ad altra intorno i cari lacci vostri 577
Pochi giovani eroi 578van rimembrando.
Il marito gentil queto sorride
A le lor celie; o, s'ei si cruccia alquanto,
Del tuo lungo tardar solo si cruccia 579.
Nulla però di lui cura te prenda 580
Oggi o Signore. E s'ei del vulgo a paro 581
Prostrò l'animo imbelle; e non sdegnosse
Di chiamarsi marito, a par del vulgo 582
Senta la fame esercitargli in petto
Lo stimol fier de gli oziosi sughi
Avidi d'esca583: o se a i mariti alcuno
D'anima generosa impeto resta,
Ad altra mensa il piè rivolga; e d'altra
Dama584 al fianco si assida, il cui marito
Pranzi altrove lontan d'un'altra585 al fianco
Che lungi abbia lo sposo: e cosi nuove
Anella586 intrecci a la catena immensa
Onde alternando Amor l'anime avvince587.
Pur sia che vuol; tu baldanzoso innoltra
Ne le stanze più interne. Ecco precorre
zendado = velo. Citazione da ”Orlando furioso” VII, 28.2
<<che venne avvolta in un leggier zendado>>
576
Pochi giovani eroi = iperbole ironica
577
I cari lacci altrui … i cari lacci vostri = metafore e
iterazione. – si noti la posizione chiastica
578
Pochi giovani eroi = ripresa del v. 46
579
si cruccia alquanto … si cruccia = iterazione
580
Nulla però di lui cura te prenda = iperbato e invocazione
581
E s'ei del vulgo a paro = similitudine
582
a par del vulgo = ripresa della fine del v. 54 con inversione
dei sintagmi
583
lo stimol fier … esca = metafore sensistiche
584
d'altra / Dama = enjambement
585
Ad altra mensa … d’altra … d’un’altra = iterazione
586
nuove / Anella = enjambement
587
e così nuove / Anella … avvince = metafora
69.
70.
71.
72.
73.
74.
75.
76.
77.
78.
79.
80.
81.
82.
83.
84.
85.
86.
87.
88.
89.
90.
Ad annunciarti al gabinetto estremo
Il noto scalpiccio de' piedi tuoi.
Già lo sposo t'incontra. In un baleno
Sfugge dall'altrui man l'accorta mano588
De la tua dama: e il suo bel labbro 589 in tanto
Ti apparecchia un sorriso. Ognun s'arretra
Che conosce tuoi dritti; e si conforta
Con le adulte speranze590, a te lasciando
Libero e scarco 591 il più beato seggio.
Tal, colà dove in fra gelose mura
Bizanzio ed Ispaàn 592 guardano il fiore
De la beltà593 che il popolato Egèo 594
Manda e l'Armeno e il Tartaro e il Circasso 595
Per delizia d'un solo, a bear entra
L'ardente sposa il grave Musulmano596.
Nel maestoso passeggiar gli ondeggiano597
Le late598 spalle, e su per l'alta testa
Le avvolte fasce599: dall'arcato ciglio
Intorno ei volge imperioso il guardo:
Ed ecco al suo apparire umil chinarsi
E il piè ritrar l'effeminata occhiuta
Turba600 che d'alto sorridendo ei spregia.
588
dall’altrui man l’accorta mano = iterazione ed enallage
labbro = sineddoche per bocca
590
adulte speranze = le speranze mature (latinismo)
591
Libero e scarco = dittologia sinonimica
592
Bizanzio ed Ispaàn = Costantinopoli e Ispahan in Persia
593
il fiore / De la beltà = enjambement e metafora
594
il popolato Egèo = metonimia per indicare le popolose
isole del Mare Egeo
595
e l'Armeno e il Tartaro e il Circasso = polisindeto e
metonimie per indicare il popolo armeno, il tartaro e il
circasso
596
Tal … a bear … Musulmano = questa similitudine si
spiega con il gusto per l’esotico che si è riscontrato anche
nella digressione sulle letture mattutine del Giovin signore. Vi
è comunque ironia nel paragonare al signore di un harem la
presunzione galante del nobile
597
Nel maestoso passeggiar gli ondeggiano = endecasillabo
sdrucciolo
598
late = larghe (latinismo)
599
Le avvolte fasce = perifrasi per indicare il turbante
589
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91. Or comanda o signor che tutte a schiera
92. Vengan le grazie tue601; si che a la dama
93. Quanto elegante esser più puoi ti mostri.
94. Tengasi al fianco la sinistra mano
95. Sotto al breve giubbon celata; e l'altra
96. Sul finissimo lin602 posi, e s'asconda
97. Vicino al cor; sublime alzisi il petto;
98. Sorgan gli omeri entrambi; a lei converso
99. Scenda603 il duttile collo; a i lati un poco
100. Stringansi i labbri; ver lo mezzo acuti
101. Escano alquanto; e da la bocca poi,
102. Compendiata in forma tal, sen fugga
103. Un non inteso mormorio604. Qual fia
104. Che a tante di beltade arme possenti
105. Schermo si opponga? 605 Ecco la destra ignuda
106. Già la bella ti cede. Or via la strigni;
107. E con soavi negligenze al labbro
108. Qual tua cosa l'appressa; e cader lascia
109. Sovra i tiepidi avorj 606 un doppio bacio 607.
110. Siedi fra tanto; e d'una mano istrascica
111. Più a lei vicin la seggioletta. Ognaltro
112. Tacciasi; ma tu sol curvato alquanto
113. Seco susurra ignoti detti, a cui
114. Concordin vicendevoli sorrisi
115. E sfavillar di cupidette luci608,
116. Che amor dimostri o che il somigli al meno
117. Ma rimembra o signor che troppo nuoce
118. In amoroso cor lunga e ostinata
119. Tranquillità609. Nell'oceàno ancora
600
l'effeminata occhiuta / Turba = enjambement e perifrasi per
indicare la folla effeminata e vigile degli eunuchi
601
le grazie tue = metonimia per indicare le buone maniere.
602
finissimo lin = metonimia per camicia
603
Sorgan … Scenda = antitesi
604
Tengasi … mormorio = è descritto l’inchino
605
Qual fia / Che a tante di beltade arme possenti / Schermo si
opponga? = iperbato e metafora
606
i tiepidi avorj = metafora per indicare le mani bianche e
calde
607
Ecco la destra ignuda … bacio = è descritto il baciamano
608
cupidette luci = metafora per indicare gli sguardi che
brillano di desiderio
120. Perigliosa è la calma. Ahi quante volte
121. Dall'immobile prora il buon nocchiero
122. Invocò la tempesta; e sì crudele
123. Soccorso610 ancor gli fu negato; e giacque
124. Affamato assetato estenuato611
125. Dal venenoso aere612 stagnante oppresso
126. Fra le inutili ciurme al suol languendo!
127. Dunque a te giovi de la scorsa notte
128. Ricordar le vicende; e con obliqui
129. Motti pugnerla alquanto613, o se nel volto
130. Paga più che non suole accòr fu vista
131. Il novello straniero, e co' bei labbri
132. Semiaperti aspettar quasi marina
133. Conca614 la soavissima rugiada
134. De' novi accenti; o se cupida 615 troppo
135. Col guardo accompagnò di loggia in loggia
136. L'almo alunno di Marte616, idol vegliante
137. De' femminili voti617, a la cui chioma
138. Col lauro trionfal mille s'avvolgono
139. E mille frondi618 dell'Idalio mirto 619.
140. Colpevole o innocente allor la bella
141. Dama620 improvviso adombrerà la fronte
142. D'un nuvoletto di verace sdegno
143. O simulato, e la nevosa spalla621
609
lunga e ostinata / Tranquillità = enjambement – si sostiene
che la bellezza dell’amore risiede nella continua irrequietezza
610
crudele / Soccorso = enjambement
611
Affamato assetato estenuato = climax asindetico
612
venenoso aere = latinismi
613
e con obliqui / Motti pugnerla alquanto = enjambement e
metafora
614
quasi marina / Conca = enjambement e similitudine
615
cupida = latinismo
616
L'almo alunno di Marte = perifrasi per indicare l’ufficiale
617
idol vegliante / De' femminili voti = metafora per indicare
l’ufficiale quale idolo dei sogni ad occhi aperti delle donne
618
Col lauro trionfal mille … E mille = iperbole e iterazione –
si intende che le corone dell’ufficiale non sono solo di alloro,
simbolo delle vittorie militari, ma anche di mirto, simbolo
delle conquiste amorose
619
Idalio mirto = il mirto era la pianta sacra a Venere
620
la bella / Dama = enjambement
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144. Scoterà un poco; e volgeransi al fine
145. Gli altri a bear le sue parole estreme.
146. Fors'anco rintuzzar di tue rampogne
147. Saprà l'agrezza, e noverarti a punto
148. Le visite furtive a i cocchi a i tetti622
149. E all'alte logge de le mogli illustri
150. Di ricchi popolari 623, a cui sovente
151. Scender per calle dal piacer segnato 624
152. La maestà di cavalier 625non teme.
153. Felice te, se mesta o disdegnosa
154. Tu la guidi a la mensa; o se tu puoi
155. Solo piegarla a tollerar de' cibi
156. La nausea universal! Sorridan pure
157. A le vostre dolcissime querele 626
158. I convitati; e l'un l'altro percota
159. Col gomito maligno627. Ahi non di meno
160. Come fremon lor alme! e quanta invidia
161. Ti portan te mirando unico scopo
162. Di si bell'ire! Al solo sposo è dato
163. In cor nodrir 628magnanima quiete,
164. Aprir nel volto629 ingenuo riso e tanto
165. Docil fidanza ne le innocue luci630.
166. Oh tre fiate avventurosi e quattro631
167. Voi del nostro buon secolo mariti 632
168. Quanto diversi da' nostr'avi! Un tempo
169. Uscia d'averno con viperei crini,
170. Con torbid'occhi irrequieti, e fredde
621
la nevosa spalla = metafora
tetti = sineddoche
623
ricchi popolari = si tratta dei ricchi borghesi
624
calle dal piacer segnato = metafora per significare una
strada indicata dalla ricerca di piacere
625
La maestà di cavalier = metonimia
626
dolcissime querele = ossimoro e latinismo
627
gomito maligno = enallage
628
In cor nodrir = metafora
629
In cor nodrir magnanima quiete / Aprir nel volto ingenuo
riso = chiasmo
630
luci = metonimia per occhi
631
Oh tre fiate avventurosi e quattro = parodia del registro
epico
632
Voi del nostro buon secolo mariti = iperbato
622
171. Tenaci branche633 un indomabil mostro634,
172. Che ansando e anelando intorno giva
173. A i nuziali letti, e tutto empiea
174. Di sospetto e di fremito e di sangue 635.
175. Allor gli antri domestici le selve
176. L'onde le rupi 636alto ulular s'udièno
177. Di femminili stridi637. Allor le belle
178. Dame638 con mani incrocicchiate639, e luci
179. Pavide640 al ciel tremando lagrimando
180. Tra la pompa feral de le lugubri
181. Sale641 vedean dal truce sposo offrirsi
182. Le tazze attossicate o i nudi stili642.
183. Ahi pazza Italia643, il tuo furor medesmo
184. Oltre l'alpe oltre il mar 644destò le risa
185. Presso a gli emuli tuoi, che di gelosa
186. Titol ti dièro; e t'è serbato ancora
187. Ingiustamente. Non di cieco amore
633
fredde / Tenaci branche = enjambement
Uscia d’averno … indomabil mostro = perifrasi per
indicare la gelosia immaginata come una Furia infernale con
vipere al posto dei capelli
635
Di sospetto e di fremito e di sangue = climax ascendente e
polisindeto
636
gli antri domestici le selve / L'onde le rupi = enumerazione
asindetica
637
alto ulular s'udièno / Di femminili stridi = questa
descrizione effettuata con cupe tinte preromantiche ha
chiaramente una sfumatura parodistica, in quanto si tratta di
una materia truculenta, lontana dal gusto e dall’equilibrio di
Parini
638
le belle / Dame = enjambement
639
incrocicchiate = l’aggettivo rende in maniera evidente
l’atteggiamento delle mani convulsamente intrecciate in gesto
di preghiera
640
luci / Pavide = enjambement e metonimia
641
lugubri / Sale = enjambement
642
Le tazze attossicate o i nudi stili = chiasmo. Cfr. Alfieri
“Filippo” Atto V, sc. IV in cui il re offre a scelta ai due
amanti <<quel pugnale, o quel nappo >>
643
Ahi pazza Italia = l’Italia per questi eccessi si era fatta la
fama di gelosa, coprendosi di ridicolo di fronte agli stranieri
644
Oltre l'alpe oltre il mar = iterazione
634
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188. Vicendevol desire alterno impulso,
189. Non di costume simiglianza or guida645
190. Giovani incauti al talamo bramato 646:
191. Ma la prudenza co i canuti padri
192. Siede647 librando il molto oro 648e i divini
193. Antiquissimi sangui649: e allor che l'uno
194. Bene all'altro risponda, ecco Imenèo 650
195. Scoter sue faci651; e unirsi al freddo sposo,
196. Di lui non già ma de le nozze amante
197. La freddissima vergine652, che in core
198. Già i riti volge del bel mondo; e lieta
199. La indifferenza maritale 653affronta.
200. Cosi non fien de la crudel Megera654
201. Più temuti gli sdegni. Oltre Pirene655
202. Contenda or pur le desiate porte 656
203. A i gravi amanti; e di femminee risse
204. Turbi oriente. Italia oggi si ride
205. Di quello ond'era già derisa 657: tanto
206. Puote una sola età volger le menti
vv. 207 – 405 a cura di Arianna Lombardi
Tema centrale di questi versi è l’origine della
disuguaglianza tra gli uomini, inserita
all’interno di una favola mitologica. Il
precettore, rivolgendosi al nobile, ironicamente
gli spiega come il Piacere, inviato sulla terra
dai Celesti, abbia modificato la società umana
dividendo quanti erano dotati di organi più
sensibili e perfetti da quanti invece erano dotati
di “ebeti fibre”: gli uni furono in grado di
assecondare gli stimoli del Piacere, gli altri si
mostrarono sensibili solo a quelli del bisogno;
gli uni diedero origine alla nobiltà, gli altri alla
plebe. L’attenzione si riconcentra poi sul
Giovin signore, colto nell’esercizio delle sue
varie funzioni di cavalier servente della dama a
mensa
207. Ma già rimbomba d'una in altra sala
208. Signore il nome tuo. Di già l'udiro
209. L'ime officine 658ove al volubil tatto
210. De gl'ingenui palati arduo s'appresta
211. Solletico che molle i nervi scota 659
212. E varia seco voluttà conduca
213. Fino al centro dell'alma 660. In bianche spoglie661
214. Affrettansi a compir la nobil opra
215. Gravi ministri662: e lor sue leggi detta
216. Una gran mente del paese uscita
217. Ove Colberto e Risceliù 663fur chiari664.
218. Forse con tanta maestade in fronte
219. Presso a le navi ond'Ilio arse e cadèo 665
645
Non di cieco amore … non di costume … guida = litote
talamo bramato = enallage
647
la prudenza … Siede = personificazione
648
il molto oro = metonimia
649
i divini / Antiquissimi sangui = metonimia e enjambement
650
Imenèo = il dio del matrimonio
651
faci = latinismo
652
freddo sposo … freddissima vergine = il Parini insiste nella
condanna di una vita sentimentale fondata sull’insincerità
653
indifferenza maritale = Cfr. nota precedente
654
Megera = una delle tre Furie; qui antonomasia per gelosia
655
Pirene = i Pirenei in Spagna
656
desiate porte = enallage
657
ride … derisa = antitesi
646
658
L'ime officine = latinismo: si tratta delle cucine situate
nella parte bassa della casa
659
arduo s'appresta / Solletico che molle i nervi scota =
metafora
660
al centro dell'alma = è evidente l’influsso su Parini della
contemporanea psicologia sensistica
661
bianche spoglie = vestiti di bianco
662
Gravi ministri = i cuochi
663
Colberto e Risceliù = Colbert e Richelieu, ministri
rispettivamente di Luigi XIV e di Luigi XIII
664
Una gran mente … chiari = perifrasi per indicare un cuoco
francese
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220. A gli ospiti famosi il grande Achille
221. Disegnava la cena: e seco in tanto
222. Le vivande cocean su i lenti fochi
223. Pàtroclo666 fido e il guidator di carri
224. Automedonte667. O tu sagace mastro668
225. Di lusinghe al palato, udrai fra poco
226. Sonar le lodi tue dall'alta mensa.
227. Chi fia che ardisca di trovar mai fallo
228. Nel tuo lavoro? 669 Il tuo signor fia tosto
229. Campion de le tue glorie: e male a quanti
230. Cercator di conviti 670oseran motto
231. Pronunciar contro a te; chè sul cocente
232. Meriggio671 andran peregrinando poi
233. Miseri e stanchi; e non avran cui piaccia
234. Più popolar de le lor bocche i pranzi 672.
235. Imbandita è la mensa. In piè d'un salto
236. Alzati e porgi almo garzon la mano
237. A la tua dama; e lei dolce cadente
238. Sopra di te col tuo valor sostieni,
239. E al pranzo l'accompagna. I convitati
240. Vengan dopo di voi: quindi lo sposo
241. Ultimo segua. O prole alta di numi 673,
242. Non vergognate di donar voi anco
243. Brevi al cibo momenti 674. A voi non vile
244. Cura fia questa. A quei soltanto è vile675
245. Che il duro irrefrenabile bisogno
246. Stimola e caccia676. All'impeto di quello
247. Cedan l'orso la tigre il falco il nibbio
665
Presso a le navi … cadeo = riferimento ai poemi della
classicità Cfr. Eneide III, 1-3
666
Patroclo = il grande amico di Achille
667
Automedonte = l’auriga di Achille
668
O tu sagace mastro = apostrofe al cuoco esperto
669
Chi fia … lavoro? = interrogativa retorica
670
Cercator di conviti = i parassiti
671
cocente / Meriggio = enjambement
672
Più popolar de le lor bocche i pranzi = sineddoche e
allitterazione in “p”
673
O prole alta di numi = invocazione ironica
674
Brevi al cibo momenti = iperbato
675
vile … vile = epifora (vv. 243 – 244)
676
Stimola e caccia = metafora
248. L'orca il delfino 677e quanti altri animanti678
249. Crescon qua giù: ma voi con rosee labbra
250. La sola voluttade al pasto appelli,
251. La sola voluttà679 che le celesti
252. Mense680 apparecchia, e al nèttare 681 convita
253. I viventi per sè dei sempiterni682.
254. Vero forse non è683; ma un giorno è fama
255. Che fur gli uomini eguali: e ignoti nomi
256. Fur nobili e plebei 684. Al cibo al bere
257. All'accoppiarse d'ambo i sessi al sonno 685
258. Uno istinto medesmo un'egual forza686
259. Sospingeva gli umani: e niun consiglio
260. Nulla scelta d'obbietti o lochi o tempi
261. Era lor conceduto. A un rivo stesso
262. A un medesimo frutto a una stess'ombra687
263. Convenivano insieme i primi padri
264. Del tuo sangue o signore e i primi padri 688
265. De la plebe spregiata: e gli stess'antri
266. E il medesimo suol porgeano loro
267. Il riposo e l'albergo, e a le lor membra
268. I medesmi animai le irsute vesti.
269. Sola una cura a tutti era comune689
677
Cedan l'orso la tigre il falco il nibbio / L'orca il delfino =
enumerazione asindetica. – si noti come vi siano due animali
di terra, due d’aria, due marini
678
animanti = latinismo
679
La sola voluttade … La sola voluttà = anafora (vv. 250 –
251)
680
celesti / Mense = enjambement
681
nèttare = la bevanda degli dei
682
I viventi per sè dei sempiterni = ironia
683
Vero forse non è = da questo verso inizia la favola del
Piacere, celebre episodio del Giorno, in cui si finge di
giustificare la disuguaglianza tra gli uomini – l’affermazione è
ironica
684
nobili e plebei = antitesi
685
Al cibo al bere / All’accoppiarse … al sonno = iterazione
686
Uno istinto medesmo un'egual forza = chiasmo
687
A un rivo stesso / A un medesimo frutto a una stess’ombra
= iterazione
688
i primi padri … i primi padri = epifora (vv. 263 – 264)
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270. Di sfuggire il dolore690: e ignota cosa
271. Era il desire a gli uman petti ancora.
272. L'uniforme de gli uomini sembianza
273. Spiacque a' celesti: e a variar lor sorte
274. Il Piacer 691fu spedito. Ecco il bel Genio 692,
275. Qual già d'Ilio693 su i campi Iride694 o Giuno
276. A la terra s'appressa 695: e questa ride
277. Di riso696 ancor non conosciuto. Ei move
278. E l'aura estiva del cadente rivo
279. E dei clivi odorosi 697 a lui blandisce
280. Le vaghe membra; e lenemente sdrucciola698
281. Sul tondeggiar de' muscoli gentile699.
282. A lui giran dintorno i vezzi e i giochi;
283. E come ambrosia le lusinghe scorrono 700
284. Da le fraghe del labbro 701; e da le luci
285. Socchiuse702 languidette umide fuora
286. Di tremulo fulgore escon scintille703,
287. Ond'arde l'aere che scendendo ei varca 704.
689
… cura comune = l’aggettivazione vuol rendere il motivo
dell’uguaglianza nelle cose stesse. Cfr. nei versi precedenti:
<<un istinto medesmo, un’ugual forza un rivo stesso, un
medesimo frutto, una stess’ombra, i medesm’antri, il
medesimo suol, i medesmi animai>>
690
sfuggire il dolore = si avverte l’influenza della filosofia
empirico-sensista
691
Il Piacer = personificazione
692
il bel Genio = personificazione per il Piacere
693
Ilio = Troia
694
Iride = messaggera degli dei
695
Qual già d’Ilio … s’appressa = similitudine
696
ride / Di riso = figura etimologica in enjambement
697
E l’aura estiva … E dei clivi odorosi = anafora
698
Le vaghe membra; e lenemente sdrucciola = endecasillabo
sdrucciolo
699
Sul tondeggiar de' muscoli gentile = si intende la dolce
rotondità delle forme – è evidente il richiamo sensista
700
E come ambrosia le lusinghe scorrono = similitudine. Si
noti il verso sdrucciolo
701
Da le fraghe del labbro = metafora
702
le luci / Socchiuse = enjambement e metonimia
703
Di tremulo fulgore escon scintille = metafora
704
Ond'arde l'aere… varca = allitterazione in “r” e metafora
288. Al fin sul dorso tuo 705sentisti o terra
289. Sua prima orma stamparsi: e tosto un lento
290. Fremere706 soavissimo si sparse707
291. Di cosa in cosa; e ognor crescendo tutte
292. Di natura le viscere commosse708:
293. Come nell'arsa state il tuono s'ode 709,
294. Che di lontano mormorando viene,
295. E col profondo suon di monte in monte
296. Sorge; e la valle e la foresta intorno
297. Mugon di smisurato alto rimbombo 710.
298. Oh beati fra gli altri e cari al cielo
299. Viventi a cui con miglior man Titàno711
300. Formò gli organi egregi, e meglio tese
301. E di fluido agilissimo inondolli!712
302. Voi l'ignoto solletico sentiste
303. Del celeste motore 713. In voi ben tosto
304. La voglia s'infiammò714, nacque il desio:
305. Voi primieri scopriste il buono il meglio
306. Voi con foga715 dolcissima correste
307. A possederli. Allor quel de i duo sessi,
308. Che necessario in prima era soltanto 716,
309. D'amabile e di bello il nome ottenne.
310. Al giudizio di Paride 717fu dato
705
sul dorso tuo = metafora
lento / Fremere = enjambement
707
soavissimo si sparse = allitterazione
708
Di natura le viscere commosse = metafora
709
Come nell'arsa state il tuono s'ode = similitudine
710
Mugon di smisurato alto rimbombo = verso onomatopeico
e allitterazione in “m”
711
Titàno = metonimia per indicare Prometeo della stirpe dei
Titani, che secondo il mito avrebbe creato l’uomo col fango,
infondendogli la vita con una scintilla rapita al sole
712
E di fluido agilissimo inondolli! = allitterazione in “l”
713
celeste motore = perifrasi per indicare il Piacere, principio
che mette in moto un nuovo modo di vivere
714
La voglia s'infiammò, nacque il desio = metafora e
chiasmo
715
Voi primieri … Voi con foga = anafora
716
quel de i duo sessi, / Che necessario in prima era soltanto =
perifrasi per indicare il sesso femminile
706
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311. Il primo esempio: tra femminei volti
312. A distinguer s'apprese: e fur sentite
313. Primamente le grazie. Allor tra mille
314. Sapor 718fur noti i più soavi. Allora
315. Fu il vin preposto all'onda 719; e il vin si elesse
316. Figlio de' tralci più riarsi 720, e posti
317. A più fervido sol ne' più sublimi
318. Colli dove più zolfo721 il suolo impingua.
319. Cosi l'uom si divise: e fu il signore
320. Da i mortali distinto, a cui nel seno
321. Giacquero ancor l'èbeti fibre 722, inette
322. A rimbalzar sotto a i soavi colpi
323. De la nova cagione onde fur tocche;
324. E quasi bovi al suol curvati 723ancora
325. Dinanzi al pungol del bisogno 724andàro;
326. E tra la servitude e la viltade
327. E il travaglio e l'inopia725 a viver nati
328. Ebber nome di plebe. Or tu garzone
329. Che per mille feltrato invitte reni
330. Sangue racchiudi726, poi che in altra etade
331. Arte forza o fortuna i padri tuoi
332. Grandi rendette727; poi che il tempo al fine
333. Lor divisi tesori in te raccolse,
334. Godi de gli ozj tuoi a te da i numi
335. Concessa parte: e l'umil vulgo in tanto
336. Dell'industria donato 728a te ministri
337. Ora i piaceri tuoi, nato a recarli
338. Su la mensa regal, 729non a gioirne.
339. Ecco splende il gran desco. In mille forme
340. E di mille sapor di color mille 730
341. La variata eredità de gli avi
342. Scherza in nobil di vasi ordin disposta 731.
343. Già la dama s’appressa: e già da i servi 732
344. Il morbido per lei seggio s’adatta.
345. Tu signor di tua mano all’agil fianco
346. Il sottopon si che lontana troppo
347. Ella non sieda o da vicin col petto
348. Ahi di troppo non prema: indi un bel salto
349. Spicca, e chino raccogli a lei del lembo
350. Il diffuso volume733: e al fin t’assidi
351. Prossimo a lei. A cavalier gentile
352. Il lato abbandonar de la sua dama
353. Non fia lecito mai; se già non sorge
354. Strana cagione a meritar ch’ei tolga
355. Tanta licenza. Un nume 734ebber gli antiqui
356. Immobil sempre, che al medesmo padre
717
Al giudizio di Paride = secondo la leggenda Paride sarebbe
stato scelto come giudice di una gara di bellezza tra Era,
Atena, Afrodite. Vinse Afrodite
718
tra mille / Sapor = enjambement e iperbole
719
onda = metonimia per acqua
720
tralci più riarsi = sineddoche. Si intende il vino prodotto
con le vigne cresciute sui terreni più asciutti
721
più riarsi … più fervido … più sublimi … più zolfo =
l’iterazione di più vuole esprimere la rara qualità di un vino
che deve essere frutto di tante condizioni favorevoli e mette in
evidenza il gusto raffinatissimo dei nobili toccati dal Piacere
722
l'èbeti fibre = le fibre nervose più insensibili. Ebeti è
latinismo
723
E quasi bovi al suol curvati = similitudine
724
Dinanzi al pungol del bisogno = metafora
725
E tra la servitude e la viltade / E il travaglio e l’inopia =
iterazione e anafora ed enumerazione polisindetica
726
Che per mille feltrato invitte reni / Sangue racchiudi =
iperbole ironica e iperbato
727
Arte forza o fortuna i padri tuoi / Grandi rendette =
allitterazione in “r” – i tre termini gettano un’ombra sul
costituirsi delle fortune nobiliari, formatesi per violenza o per
fortuna o per astuzia, non con l’onesto lavoro
728
Dell'industria donato = costrutto latineggiante (donare
aliquem aliqua re)
729
regal, = aggettivo iperbolico
730
In mille forme / E di mille sapor di color mille = iperbole e
iterazione
731
Scherza in nobil di vasi ordin disposta = iperbato
732
Già la dama … già da i servi = iterazione
733
del lembo / Il diffuso volume = le vaste pieghe dell’abito
(volume è latinismo)
734
Un nume = vi è un chiaro riferimento a Livio “Ab Urbe
condita” I, 55 in cui si racconta la storia del dio Termine.
Questi, quando a Roma fu costruito il tempio di Giove sul
Campidoglio, restò dov’era, mentre le immagini degli altri dei
vennero trasferite
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357. De gli dei735 non cedette allor ch’ei scese
358. Il Campidoglio ad abitar, sebbene
359. E Giuno e Febo e Venere e Gradivo 736
360. E tutti gli altri dei da le lor sedi
361. Per riverenza del tonante737 usciro.
362. Indistinto ad ognaltro il loco sia
363. All’alta mensa intorno: e, s’alcun arde
364. Ambizioso di brillar fra gli altri 738,
365. Brilli739 altramente. Oh come i varj ingegni
366. La libertà del genial convito
367. Desta ed infiamma!740 Ivi il gentil motteggio741,
368. Malizioso svolazzando reca
369. Sopra le penne fuggitive ed agita
370. Ora i raccolti da la fama errori 742
371. De le belle lontane, or de gli amanti
372. Or de’ mariti i semplici costumi;
373. E gode di mirar l’intento sposo
374. Rider primiero, e di crucciar con lievi
375. Minacce743 in cor de la sua fida sposa
376. I timidi segreti. Ivi abbracciata
377. Co’ festivi racconti esulta e scherza
378. L’elegante licenza744. Or nuda appare
379. Come le Grazie745; or con leggiadro velo
380. Solletica più scaltra746; e pur fatica
735
padre / De gli dei = enjambement e perifrasi per indicare
Giove
736
E Giuno e Febo e Venere e Gradivo = enumerazione
polisindetica. Gradivo è Marte
737
tonante = epiteto di Giove
738
arde / Ambizioso di brillar fra gli altri = metafora.
739
Brillar … Brilli = poliptoto
740
Desta ed infiamma! = metafora
741
motteggio = personificazione per indicare la maldicenza
che l’autore ingentilisce con eufemismi (gentil, malizioso) e
raffigura come un Amorino in stile rococò
742
Ora i raccolti da la fama errori = iperbato (errori sono le
avventure sentimentali)
743
lievi / Minacce = enjambement
744
L’elegante licenza = metonimia per discorsi licenziosi fatti
con spirito e con grazia
745
Or nuda appare / Come le Grazie = similitudine – si
intende il discorso apertamente licenzioso
381. Di richiamar de le matrone al volto
382. Quella rosa natia che caro fregio
383. Fu dell’avole nostre; ed or ne’ campi
384. Cresce solinga; e tra i selvaggi scherzi
385. A le rozze villane il viso adorna 747.
386. Forse a la bella di sua man le dapi 748
387. Piacerà ministrar, che novi al senso
388. Gusti otterran da lei. Tu dunque il ferro 749,
389. Che forbito ti giace al destro lato,
390. Quasi spada sollecito snudando750,
391. Fa che in alto lampeggi; e chino a lei
392. Magnanimo lo cedi. Or si vedranno
393. De la candida mano all’opra intenta
394. I muscoli giocar soavi e molli 751:
395. E le grazie 752piegandosi con essa
396. Vestiran nuove forme, or da le dita
397. Fuggevoli 753scorrendo, ora su l’alto
398. De’ bei nodi insensibili aleggiando,
399. Ed or de le pozzette in sen cadendo
400. Che de’ nodi754 al confin v’impresse Amore755.
401. Mille baci 756di freno impazienti
746
or con leggiadro velo / Solletica più scaltra = si intendono
le espressioni velate che stuzzicano maggiormente l’interesse
747
Quella rosa natia che caro fregio / Fu dell’avole nostre; ed
or ne’ campi / Cresce solinga; e tra i selvaggi scherzi / A le
rozze villane il viso adorna = metafora per indicare lo
spontaneo rossore sintomo del pudore femminile, tipico delle
gentildonne antiche e che il poeta trova ora solo fra le
contadine
748
le dapi = le vivande (latinismo)
749
il ferro = metonimia per coltello
750
Quasi spada sollecito snudando = similitudine e
allitterazione in “s”
751
I muscoli giocar soavi e molli = riferimento alle teorie
sensiste
752
le grazie = personificazione
753
dita / Fuggevoli = enjambement
754
nodi = giunture. Il poeta sembra vedere le grazie
personificate aggirarsi intorno alle varie parti della mano
(dita, giunture e pozzette), regolandone con eleganza i
movimenti
755
Amore = personificazione
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402. Ecco sorgon dal labbro a i convitati:
403. Già s’arrischian già volano già un guardo757
404. Sfugge da gli occhi tuoi, che i vanni audaci
405. Fulmina ed arde758 e tue ragion difende
vv. 406 – 593 a cura di Ilaria Magnani
Abbiamo la descrizione dei partecipanti al
banchetto, rappresentati con manie e
caratteristiche proprie.
406. Sol de la fida sposa a cui se’ caro
407. Il tranquillo marito immoto siede:
408. E nulla impression l’agita o move
409. Di brama o di timor; però che Imene 759
410. Da capo a piè fatollo. Imene 760 or porta
411. Non più serti di rose al crine avvolti;
412. Ma stupido papavero grondante
413. Di crassa onda letèa 761, che solo insegna
414. Pur dianzi era del Sonno 762. Ahi quante volte
415. La dama delicata invoca il Sonno
416. Che al talamo presieda; e seco in vece
417. Trova Imenèo763; e timida s’arretra
418. Quasi al meriggio stanca villanella764,
419. Che fra l’erbe innocenti adagia il fianco
420. Lieta e secura; e di repente vede 765
421. Un serpe, e balza in piedi inorridita,
422. E le rigide man stende, e ritragge 766
423. Il cubito, e l’anelito sospende,
424. E immota e muta767 e con le labbra aperte
425. Il guarda obliquamente. Ahi quante volte
426. Incauto amante a la sua lunga pena
427. Cercò sollievo; e d’invocar credendo
428. Imène, ahi folle! invocò768 il Sonno: e questi
429. Di fredda oblivion 769 l’alma gli asperse770;
430. E d’invincibil noia e di torpente
431. Indifferenza771 gli ricinse il core772.
432. Ma se a la dama dispensar non piace
433. Le vivande o non giova, allor tu stesso
434. La bell’opra773 intraprendi. A gli occhi altrui
435. Più così smaglierà l’enorme gemma,
436. Dolc’esca a gli usurai che quella osàro774
437. A le promesse di signor preporre
438. Villanamente; e contemplati fièno
439. I manichetti, la più nobil opra
440. Che tessesser giammai angliche Aracni775.
441. Invidieran tua delicata mano
442. I convitati; inarcheran le ciglia
443. Al difficil lavoro: e d’oggi in poi
444. Ti fia ceduto il trinciator coltello
445. Che al cadetto guerrier serban le mense.
446. Sia tua cura fra tanto errar su i cibi
447. Con sollecita occhiata, e prontamente
448. Scoprir qual d’essi a la tua bella è caro;
449. E qual di raro augel, di stranio pesce
450. Parte776 le aggrada. Il tuo coltello Amore
766
stende e ritragge = hysteron proteron
immota e muta = paronomasia
768
d’invocar … invocò = poliptoto
769
oblivion = latinismo
770
l’alma gli asperse = metafora
771
torpente / Indifferenza = enjambement
772
gli ricinse il core = metafora
773
opra = sincope per opera
774
osàro = sincope per osarono
775
angliche Aracni = antonomasia per tessitrici inglesi.
Aracne era una fanciulla abile nella tessitura, che per aver
sfidato Atena in quell’arte, venne trasformata in ragno. Cfr.
Ovidio Metamorfosi
776
E qual di raro augel … parte = iperbato
767
756
Mille baci = iperbole
Già s’arrischian già volano già un guardo = iterazione di
“già”
758
i vanni audaci / Fulmina ed arde = metafora. I vanni sono
le ali dei baci
759
Imene = divinità protettrice dei matrimoni
760
Imene … Imene = iterazione
761
crassa onda letèa = metafora. Il Lete è il fiume dell’oblio.
762
Sonno = personificazione
763
Imeneo = metonimia per il desiderio erotico del marito
764
Quasi … villanella = similitudine
765
repente vede = assonanza
757
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451. Anatomico renda, Amor 777 che tutte
452. De gli animanti annoverar le membra778
453. Puote, e discerner sa qual aggian tutte
454. Uso e natura. Più d’ognaltra cosa
455. Però ti caglia rammentar mai sempre
456. Qual più cibo le noccia o qual più 779 giovi;
457. E l’un rapisci a lei, l’altro concedi
458. Come d’uopo a te pare. Oh dio, la serba
459. Serbala780 a i cari figli. Essi, dal giorno
460. Che le alleviàro il delicato fianco
461. Non la rivider più: d’ignobil petto
462. Esaurirono i vasi781: e la ricolma
463. Nitidezza lasciàro al sen materno.
464. Sgridala, se a te par ch’avida troppo
465. Al cibo agogni; e le ricorda i mali,
466. Che forse avranno altra cagione, e ch’ella
467. Al cibo imputerà nel dì venturo.
468. Nè al cucinier perdona, a cui non calse
469. Tanta salute. A te ne’ servi altrui
470. Ragion fu data in quel beato istante
471. Che la noia e l’amore ambo vi strinse
472. In dolce nodo; e pose ordini e leggi.
473. Per te sgravato d’odioso incarco
474. Ti fia grato colui che dritto vanta
475. D’impor novo cognome a la tua dama 782;
476. E pinte strascinar su gli aurei cocchi783
477. Giunte a quelle di lei le proprie insegne:
478. Dritto784 sacro a lui sol, ch’altri giammai
479. Audace non tentò divider seco.
480. Vedi come col guardo a te fa cenno
481. Pago ridendo, e a le tue leggi applaude;
482. Mentre l’alta forcina in tanto ei volge
483. Di gradite vivande al piatto ancora.
484. Non però sempre a la tua bella intorno
777
Amore … Amor = iterazione e personificazione
De gli animanti … le membra = iperbato
779
Qual più … qual più = iterazione
780
serba / Serbala = anadiplosi
781
vasi = metonimia per latte
782
Colui che … dama = perifrasi per indicare il marito
783
E pinte strascinar su gli aurei cocchi = iperbato
784
Dritto = sincope per diritto
778
485. Sudin785 gli studj tuoi. Anco tal volta
486. Fia lecito goder brevi riposi;
487. E de la quercia trionfale all’ombra,
488. Te de la polve olimpica tergendo,
489. Al vario ragionar de gli altri eroi 786
490. Porgere orecchio 787; e il tuo sermone a i loro
491. Frammischiar ozioso. Uno già scote
492. Le architettate del bel crine anella
493. Su la guancia ondeggianti; e ad ogni scossa
494. De’ convitati a le narici manda
495. Vezzoso nembo 788 d’Arabi profumi.
496. A lo spirto 789 di lui l’alma natura
497. Fu prodiga cosi che più non seppe
498. Di che il volto abbellirgli; e all’arte disse:
499. Tu compi il mio lavoro: e l’arte suda 790
500. Sollecita dintorno all’opra illustre.
501. Molli tinture preziose linfe
502. Polvi pastiglie delicati unguenti
503. Tutto arrischia per lui. Quanto di novo
504. E mostruoso più sa tesser spola
505. O bulino intagliar gallico ed anglo
506. A lui primo concede. Oh lui beato
507. Che primo ancor di non più viste forme
508. Tabacchiera mostrò. L’etica invidia
509. I grandi eguali a lui lacera e mangia;
510. Ed ei pago di sè, superbamente
511. Crudo, fa loro balenar su gli occhi
512. L’ultima gloria onde Parigi ornollo.
513. Forse altera cosi d’Egitto in faccia
514. Vaga prole di Sèmele 791 apparisti
515. I giocondi rubini792 alto levando
785
Sudin gli studj tuoi= metonimia
E de la quercia … eroi = iperbato
787
Porgere orecchio = metafora
788
Vezzoso nembo = metafora
789
spirto = sincope
790
l’arte suda = metonimia
791
Sèmele = la madre di Dioniso, incenerita da Giunone. Cfr.
Ovidio, Metamorfosi, IV e Dante, Inferno, XXX: <<Nel tempo
che Iunone era crucciata / per Semelè contra ‘l sangue
tebano>>
792
rubini = metafora per chicchi
786
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516. Del grappolo primiero: e tal tu forse
517. Tessalico garzon793 mostrasti a Jolco 794
518. L’auree lane795 rapite al fero drago.
519. Or vedi or vedi 796 qual magnanim’ira
520. Nell’eroe che dell’altro a canto siede
521. A sì novo spettacolo si desta!
522. Vedi quanto ei s’affanna; e il pasto sembra
523. Obliar declamando! Al certo al certo 797
524. Il nemico è a le porte. Oimè i Penati
525. Tremano e in forse è la civil salute!
526. Ma no; più grave a lui più preziosa
527. Cura lo infiamma. Oh depravato ingegno
528. De gli artefici nostri!798 In van si spera
529. Da la inerte lor man lavoro egregio
530. Felice invenzion d’uom nobil degna.
531. Chi sa intrecciar chi sa799 pulir fermaglio
532. A patrizio calzar; chi tesser drappo
533. Soffribil tanto che d’ornar presuma
534. I membri di signor che un lustro a pena
535. Conti di feudo? In van s’adopra e stanca
536. Chi la lor mente sonnolenta e crassa
537. Cerca destar: di là dall’Alpi 800 è d’uopo
538. Appellar l’eleganza: e chi giammai
539. Fuor che il genio di Francia osato avria
540. Su i menomi lavori i grechi ornati
541. Condur felicemente? Andò romito
542. Il bongusto finora spaziando
543. Per le auguste cornici e per gli eccelsi
544. Timpani801 de le moli a i numi sacre
545. O a gli uomini scettrati802; ed or ne scende
546. Vago al fin d’agitar gli austeri fregi
547. Entro a le man di cavalieri e dame.
793
Tessalico garzon = antonomasia per Giasone
Jolco = località della Tessaglia, patria di Giasone
795
L’auree lane = il vello d’oro
796
Or vedi or vedi = iterazione
797
Al certo al certo = iterazione
798
Oh depravato ingegno / De gli artefici nostri! = epifonema
799
Chi sa … chi sa = iterazione
800
di là dall’Alpi = francesismo
801
eccelsi / Timpani = enjambement
802
uomini scettrati = perifrasi per indicare i re
794
548. Ben tosto si vedrà strascinar anco
549. Fra i nuziali doni e i lievi veli803
550. Le greche travi: e docile trastullo
551. Fien de la moda le colonne e gli archi
552. Ove sedeano i secoli canuti804.
553. "Commercio" alto gridar, gridar "commercio" 805
554. All’altro lato de la mensa or odi
555. Con fanatica voce: e tra il fragore
556. D’un peregrino d’eloquenza fiume806
557. Di bella novità stampate al conio
558. Le forme apprendi, onde assai meglio poi
559. Brillantati i pensier picchin lo spirto. 807
560. Tu pur grida "commercio": e un motto ancora
561. La tua bella ne dica. Empiono è vero
562. Il nostro suol di Cerere 808 i favori,
563. Che per folti di biade immensi campi
564. Ergesi altera; e pur ne mostra a pena
565. Tra le spighe confuso il crin dorato. 809
566. Bacco e Vertunno810 i lieti poggi e il monte
567. Ne coronan di poma 811: e Pale812 amica
568. Latte ne preme a larga mano; e tonde
569. Candidi velli; e per li prati pasce
570. Mille al palato uman vittime sacre813.
571. Sorge fecondo il lin soave cura
572. De’ verni rusticali: e d’infinita
573. Serie814 ne cinge le campagne
574. Che vale or ciò? Su le natie lor balze il tanto
575. Per la morte di Tisbe arbor famoso. 815
803
lievi veli = allitterazione
sedeano i secoli canuti = metafora
805
"Commercio" alto gridar, gridar "commercio" = chiasmo
806
D’un peregrino d’eloquenza fiume = metafora e iperbato
807
pensier picchin lo spirto = allitterazione in “p”
808
Cerere = dea delle messi
809
crin dorato = metafora
810
Vertunno = divinità agreste
811
poma = latinismo
812
Pale = divinità agreste
813
Mille al palato uman vittime sacre = iperbole e iperbato
814
infinita / Serie = enjambement
815
il tanto / Per la morte di Tisbe arbor famoso.= perifrasi per
indicare il gelso, albero i cui fiori si macchiarono di rosso,
804
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576. Rodan le capre; ruminando 816 il bue
577. Per li prati natii vada; e la plebe
578. Non dissimile a lor si nudra e vesta
579. De le fatiche sue817: ma a le grand’alme
580. Di troppo agevol ben schife Cillenio818
581. Il comodo ministri, a cui le miglia
582. Pregio acquistino e l’oro: e d’ogn’intorno
583. "Commercio" risonar s’oda "commercio". 819
584. Tale da i letti de la molle rosa
585. Sibari820 un dì gridar soleva; e i lumi821
586. Disdegnando volgea da i frutti aviti
587. Troppo per lei ignobil cura; e mentre
588. Cartagin dura822 a le fatiche e Tiro823
589. Pericolando per l’immenso sale 824
590. Con l’oro altrui le voluttà cambiava,
591. Sibari si volgea su l’altro lato;
592. E non premute ancor rose cercando
593. Pur di commercio novellava e d’arti
vv. 594 – 793 a cura di Ilaria Montali
Prosegue la descrizione dei commensali, tra
cui si distingue un vegetariano, che non
mangia carne per pietà verso gli animali. Alla
dama torna così alla mente l’episodio della
Vergine cuccia: la sua adorata cagnetta aveva
morsicato il piede di un servo, ricevendone un
dopo il sacrificio di Tisbe e Piramo Cfr. Ovidio Metamorfosi
IV, 55-166
816
Rodan le capre; ruminando = allitterazione in “r”
817
De le fatiche sue = metonimia
818
Cillenio = epiteto di Mercurio
819
"Commercio" risonar s’oda "commercio". = chiasmo
820
Sibari = colonia dorica dell’Italia meridionale, famosa per
il lusso degli abitanti
821
lumi = metonimia per occhi
822
cura … dura = rima interna
823
Cartagine … Tiro = note colonie fenice
824
sale = metonimia per mare
calcio; per questo il servo era stato licenziato
dalla dama.
594. Ma chi è quell’eroe che tanta parte
595. Colà ingombra di loco; e mangia e fiuta
596. E guata; e825 de le altrui fole ridendo
597. Sì superba di ventre agita mole?
598. Oh di mente acutissima dotate
599. Mamme826 del suo palato!827 Oh da’ mortali
600. Invidiabil anima che siede
601. Fra l’ammiranda lor testura, e quindi
602. L’ultimo del piacer deliquio sugge!828
603. Chi più acuto di lui penètra e intende
604. La natura migliore? O chi più industre
605. Converte a suo piacer l’aria829 la terra
606. E il ferace di mostri ondoso abisso?
607. Qualora ei viene al desco altrui paventano
608. Suo gusto inesorabile le smilze
609. Ombre830 de gli avi, che per l’aria lievi
610. Aggiransi vegliando ancor dintorno
611. A i ceduti tesori; e piangon lasse
612. Le mal spese vigilie, i sobrj pasti,
613. Le in preda all’aquilon case831, le antique
614. Digiune rozze, gli scommessi cocchi
615. Forte assordanti per stridente ferro 832
616. Le piazze e i tetti833: e lamentando vanno
617. Gl’invan nudati rustici, le fami
618. Mal desiate, e de le sacre toghe
619. L’armata in vano autorità sul vulgo834.
825
e mangia e fiuta / E guata; e … = iterazione di “e” e climax
Mamme = metafora
827
Oh di mente … palato! = apostrofe
828
Oh da mortali / Invidiabile anima … sugge = apostrofe e
metafora
829
Converte a suo piacer l’aria … = metafora
830
smilze / Ombre = enjambement
831
Le in preda all’aquilon case = iperbato
832
Forte assordanti per stridente ferro = allittrazione in “t” e
in “r”
833
tetti = sineddoche
834
L’armata in vano autorità sul vulgo = iperbato
826
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620. L’altro vicin chi fia? Per certo il caso
621. Congiunse accorto 835i duo leggiadri estremi,
622. Perchè doppio spettacolo campeggi;
623. E l’un dell’altro al par più lustri e splenda.
624. Falcato dio de gli orti 836, a cui la greca
625. Làmsaco837 d’asinelli offrir solea
626. Vittima degna, al giovane seguace
627. Del sapiente di Samo 838 i doni tuoi
628. Reca sul desco. Egli ozioso siede
629. Aborrendo le carni; e le narici
630. Schifo raggrinza; e in nauseanti rughe
631. Ripiega i labbri; e poco pane 839 in tanto
632. Rumina lentamente. Altro giammai
633. A la squallida inedia eroe non seppe
634. Durar sì forte: nè lassezza il vinse
635. Nè deliquio giammai nè febbre ardente 840:
636. Tanto importa lo aver scalze le membra
637. Singolare il costume e nel bel mondo
638. Onor di filosofico talento.
639. Qual anima è volgar la sua pietate
640. Serbi per l’uomo: e facile ribrezzo
641. Dèstino in lei del suo simile i danni
642. O i bisogni o le piaghe. Il cor di questo
643. Sdegna comune affetto; e i dolci moti
644. A più lontano limite sospigne.
645. "Pera colui che prima osò la mano
646. Armata alzar su l’innocente agnella
647. E sul placido bue 841: nè il truculento
648. Cor gli piegàro i teneri belati 842,
835
Congiunse accorto = allitterazione
Falcato dio de gli orti = perifrasi per indicare Priapo,
rappresentato con una falce in mano
837
Lamsaco = località della Nisia in cui era particolarmente
vivo il culto di Priapo
838
Del sapiente di Samo = perifrasi per indicare Pitagora, la
cui filosofia proibiva il consumo delle carni
839
Ripiega i labbri; e poco pane = allitterazione in “p”
840
nè lassezza … Né deliquio … né febbre ardente =
iterazione e climax
841
Pera colui … bue = imprecazione. Cfr. Parini La salubrità
dell’aria v. 25 <<Pèra colui che primo / a le triste, oziose /
acque e al fetido limo / la mia cittade espose>>
836
649. Nè i pietosi mugiti843, nè le molli
650. Lingue lambenti844 tortuosamente
651. La man che il loro fato aimè stringea".
652. Tal ei parla o signor 845: ma sorge in tanto
653. A quel pietoso favellar da gli occhi
654. De la tua dama dolce lagrimetta
655. Pari a le stille tremule brillanti846,
656. Che a la nova stagion 847gemendo vanno
657. Da i palmiti di Bacco 848entro commossi
658. Al tiepido spirar de le prim’aure
659. Fecondatrici849. Or le sovvien del giorno,
660. Ahi fero giorno! allor che la sua bella
661. Vergine cuccia850 de le Grazie alunna851,
662. Giovanilmente vezzeggiando, il piede
663. Villan852 del servo con gli eburnei denti853
664. Segnò di lieve nota854: e questi audace
665. Col sacrilego piè 855lanciolla: ed ella
666. Tre volte rotolò; tre volte scosse 856
667. Lo scompigliato pelo, e da le vaghe
668. Nari857 soffiò la polvere rodente 858:
842
teneri belati = sinestesia
pietosi mugiti = metafora
844
molli / Lingue lambenti = enjambement e allitterazione in
“l”
845
o signor = intervento dell’io narrante
846
Pari a le stille tremule brillanti = similitudine
847
nova stagion = perifrasi per primavera
848
Da i palmiti di Bacco = perifrasi per indicare le foglie della
vite
849
aure / Fecondatrici = enjambement
850
bella / Vergine cuccia = enjambement e perifrasi (la
cagnetta)
851
de le Grazie alunna = iperbato e latinismo
852
piede / Villan = enjambement e enallage antifrastica.
L’aggettivo villano deve essere inteso in senso ironico e va
riferito al sostantivo “servo”
853
eburnei denti = metafora antifrastica
854
Segnò di lieve nota = perifrasi eufemistica
855
sacrilego piè = iperbole ironica
856
Tre volte rotolò; tre volte scosse = iterazione e parodia del
registro epico. Cfr. Virgilio, Eneide VI, vv. 700 – 701 e
Dante, Purgatorio II, vv. 79-81
843
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669. Indi i gemiti alzando, aita aita 859
670. Parea dicesse; e da le aurate volte
671. A lei la impietosita Eco 860 rispose;
672. E dall’infime chiostre i mesti servi
673. Asceser tutti; e da le somme stanze
674. Le damigelle pallide tremanti
675. Precipitàro 861. Accorse ognuno: il volto
676. Fu d’essenze spruzzato a la tua dama:
677. Ella rinvenne al fine. Ira e dolore
678. L’agitavano ancor: fulminei sguardi862
679. Gettò sul servo; e con languida voce
680. Chiamò tre volte la sua cuccia863: e questa
681. Al sen le corse; in suo tenor vendetta
682. Chieder sembrolle: e tu vendetta avesti
683. Vergine cuccia de le Grazie alunna864.
684. L'empio servo865 tremò; con gli occhi al suolo
685. Udì la sua condanna. A lui non valse
686. Merito quadrilustre: a lui non valse866
687. Zelo d’arcani ufici. Ei nudo andonne
688. De le assise spogliato onde pur dianzi
689. Era insigne a la plebe: e in van novello
690. Signor867 sperò; chè le pietose dame
691. Inorridiro; e del misfatto atroce 868
692. Odiàr l’autore. Il perfido si giacque
693. Con la squallida prole e con la nuda
694. Consorte a lato su la via spargendo
695. Al passeggero inutili lamenti869:
857
vaghe / Nari = enjambement
polvere rodente = allitterazione in “r”
859
aita aita = iterazione e onomatopea
860
Eco = ninfa amata da Zeus, trasformata in pura voce
861
E da l’infime chiostre … Asceser … e da le somme stanze
… precipitaro = antitesi
862
fulminei sguardi = metafora
863
Chiamò tre volte la sua cuccia Cfr. nota 246
864
Vergine cuccia de le Grazie alunna = è ripetuto il v. 661
865
L'empio servo = aggettivazione antifrastica
866
A lui non valse … a lui non valse = epifora
867
novello / Signor = enjambement
868
misfatto atroce = aggettivazione antifrastica
858
696. E tu vergine cuccia idol placato
697. Da le vittime umane870 isti superba.
698. Nè senza i miei precetti o senza 871 scorta
699. Inerudito andrai signor, qualora
700. Il perverso destin dal fianco amato
701. Ti allontani a la mensa. Avvien sovente
702. Che con l’aio seguace o con l’amico
703. Un grande illustre or l’Alpi or l’oceàno
704. Varchi e scenda in Ausonia872, orribil ceffo
705. Per natura o per arte, a cui Ciprigna 873
706. Rose le nari874; o sale impuro e crudo
707. Snudò i denti ineguali. Ora il distingue
708. Risibil gobba, or furiosi sguardi
709. Obliqui o loschi: or rantoloso avvolge
710. Fra le tumide875 fauci ampio volume
711. Di voce, che gorgoglia876, ed esce al fine
712. Come da inverso fiasco onda che goccia 877;
713. Or d’avi or di cavalli ora 878 di Frini879
714. Instancabile parla; or de’ celesti
715. Le folgori deride880. Aurei monili
716. E nastri e gemme gloriose pompe
717. L’ingombran tutto: e gran titolo suona881
718. Dinanzi a lui. Qual più tra noi risplende
869
Con la squallida prole e con la nuda / Consorte … inutili
lamenti = l’aggettivazione evidenzia la condizione di povertà
a cui viene costretto il servo con la sua famiglia
870
idol placato / Da le vittime umane = metafora
871
senza … senza = iterazione
872
Ausonia = antico nome dell’Italia
873
Ciprigna = metonimia per malattia venerea
874
Rose le nari = espressione metaforica
875
denti ineguali … Risibil gobba … furiosi sguardi / Obliqui
o loschi: or rantoloso … tumide fauci = aggettivazione
realistica, secondo i canoni sensistici
876
gorgoglia = verbo onomatopeico
877
Come da inverso fiasco onda che goccia = similitudine
878
Or … or … ora = iterazione
879
Frini = antonomasia per cortigiane
880
or de’ clesti / Le folgori deride = allusione alle idee
ateistiche dell’Illuminismo francese, alle quali Parini si
oppose sempre con tenacia
881
gran titolo suona = metafora
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719. Inclita stirpe ch’onorar non voglia
720. D’un ospite sì degno i Lari882 suoi?
721. Ei però col compagno ammessi fièno
722. Di Giuno a i fianchi883: e tu lontan da lei
723. Co’ Silvani capripedi884 n’andrai
724. Presso al marito; e pranzerai negletto
725. Fra il popol folto de gli dei minori.
726. Ma negletto885 non già da gli occhi andrai
727. De la dama gentil, che a te rivolti
728. Incontreranno i tuoi. L’aere886 a quell’urto
729. Arderà di faville887: e Amor con l’ali
730. L’agiterà.888 Nel fortunato incontro
731. I messagger pacifici dell’alma
732. Cambieran lor novelle: e alternamente
733. Spinti ritorneranno a voi con dolce
734. Delizioso tremito su i cori.
735. Allor tu le ubbidisci; o se t’invita
736. Le vivande a gustar, che a lei vicine
737. L’ordin dispose; o se889 a te chiede in vece
738. Quella che innanzi a te sue voglie pugne890
739. Non col soave odor, ma con le nove
740. Leggiadre forme891 onde abbellir la seppe
741. Dell’ammirato cucinier la mano892.
742. Con la mente si pascono le dive893
743. Sopra le nubi del brillante Olimpo:
744. E lor labbra immortali irrita 894 e move
745. Non la materia, ma il divin lavoro.
746. Nè allor men destro ad ubbidir sarai
747. Che di raro licor la bella strigne
882
Lari = divinità del focolare domestico
Di Giuno a i fianchi = designazione iperbolica della donna
884
Silvani capripedi = perifrasi per indicare i satiri
885
negletto = latinismo
886
aere = latinismo
887
Arderà di faville = metafora
888
Amor con l’ali / L’agiterà.= personificazione e metafora
889
o se … o se = iterazione
890
sue voglie pugne = metafora
891
nove / Leggiadre forme = enjambement
892
Dell’ammirato cucinier la mano = iperbato
893
Con la mente si pascono le dive = espressione metaforica
894
lor labbra immortali irrita = allitterazione in “r”
883
748. Colmo bicchiere, a lo cui orlo intorno
749. Serpe striscia dorata 895; e par che dica:
750. "Lungi o labbra profane: a i labbri solo
751. De la diva che qui soggiorna e regna
752. È il castissimo calice896 serbato:
753. Nè cavalier con alito maschile
754. Osi appannarne il nitido cristallo 897;
755. Nè dama convitata unqua898 presuma
756. I labbri apporvi; e sien pur casti e puri 899,
757. E quanto esser può mai cari all’Amore 900".
758. Tu al cenno de’ bei guardi e de la destra,
759. Che reggendo il bicchier sospesa ondeggia
760. Affettuoso attendi. I lumi901 tuoi
761. Di gioia sfavillando accolgan pronti
762. Il brindisi segreto: e ti prepara
763. In simil modo a tacita risposta 902.
764. Ecco d’estro già punta ecco 903 la Musa
765. Brindisi grida all’uno e all’altro amante;
766. All’altrui fida sposa a cui se’ caro,
767. E a te signor sua dolce cura e nostra.
768. Quale annoso licor Lièo904 vi mesce,
769. Tale Amore a voi mesca eterna gioia 905
770. Non gustata al marito, e da coloro
771. Invidiata che gustata l’hanno.
772. Veli con l’ali sue sagace oblio906
773. Le alterne infedeltà che un cor dall’altro
895
Serpe striscia dorata = metafora – si nota il fascino degli
oggetti
896
castissimo calice = allitterazione
897
cristallo = metonimia per bicchiere
898
unqua = latinismo
899
I labbri apporvi; e sien pur casti e puri = allitterazione in
“r” e dittologia sinonimica
900
Amore = personificazione
901
lumi = metonimia per occhi
902
tacita risposta = ossimoro
903
Ecco … ecco = iterazione
904
Lièo = epiteto di Bacco, che significa colui che scioglie
dalle cure
905
mesca eterna gioia = metafora
906
Veli con l’ali sue sagace oblio = metafora e allitterazione
in “v,l,s”
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774. Porieno un giorno separar per sempre:
775. E solo a gli occhi vostri Amor discopra
776. Le alterne infedeltà, che in ambo i petti 907
777. Ventilar ponno le cedenti fiamme908.
778. Di sempiterno indissolubil nodo
779. Canti augurj per voi vano cantore909:
780. Nostra nobile musa a voi desia
781. Sol quanto piace a voi durevol nodo.
782. Duri910 fin che a voi piace911: e non si scioglia
783. Senza che Fama912 sopra l’ale immense
784. Tolga l’alta novella913; e grande n’empia
785. Col reboato dell’aperta tromba 914
786. L’ampia cittade e dell’Enotria915 i monti,
787. E le piagge sonanti, e s’esser puote,
788. La bianca Teti916 e Guadiana e Tule917.
789. Il mattutino gabinetto il corso
790. Il teatro e la mensa in vario stile 918
791. Ne ragionin gran tempo. Ognun ne chieda
792. Il dolente marito: ed ei dall’alto
793. La lamentabil favola cominci
vv. 794 – 911 a cura di Barbara Pennucci
907
petti = metonimia
cedenti fiamme = metafora
909
Canti augurj per voi vano cantore = figura etimologica e
allitterazione in “v”
910
durevol … / Duri = figura etimologica
911
piace a voi … a voi piace = chiasmo
912
Fama = personificazione
913
sopra l’ale immense / Tolga l’alta novella = metafora
914
Col reboato dell’aperta tromba = verso allitterante e
onomatopeico
915
Enotria = antica denominazione dell’Italia
916
bianca Teti = antonomasia per indicare il mare
biancheggiante di onde spumose
917
Guadiana e Tule = perifrasi per indicare le terre bagnate
dal fiume Guadiana in Spagna e l’Islanda
918
vario stile = reminiscenza petrarchesca (Canzoniere I: del
vario stil …) in funzione antifrastica
908
Abbiamo la descrizione di alcuni cibi e
l’esaltazione dell’ambiente in cui avviene il
banchetto. Notiamo la satira nei confronti delle
discussioni conviviali, nelle quali si affrontano
vari temi. In seguito, emerge di nuovo l’ironia
di Parini quando loda i nobili che sono in grado
di conoscere il Latino e la Scienza, mentre in
realtà non è così. Il poeta paragona questi
nobili ai discepoli di Archimede, facendo loro
credere di essere persone colte. Si affronta poi
il tema dell’amore e citando il pianeta Venere
l’autore allude all’incostanza amorosa dei
nobili.
794. Tal su le scene, ove agitar solea
795. L’ombre tinte di sangue919 Argo piagnente920,
796. Squallido messo al palpitante coro
797. Narrava come furiando Edipo
798. Al talamo sen corse incestuoso921,
799. Come le porte rovescionne 922, come923
800. Al subito spettacolo ristette
801. Quando vicina del nefando letto
802. Vide in un corpo solo e sposa e madre 924
803. Pender strozzata; e del fatale uncino
804. Le mani armosse; e con le proprie mani 925
805. A sè le care luci926 da la testa
806. Con le man proprie misero strapposse 927.
919
L’ombre tinte di sangue = metafora per indicare i
personaggi delle tragedie
920
Argo piagnente = perifrasi per indicare i tragici greci
921
Incestuoso = allusione al mito di Edipo
922
rovescionne = enclisi pronominale
923
Come … come = iterazione
924
e sposa e madre = iterazione
925
Le mani armosse; e con le proprie mani = iterazione
enfatica in chiasmo
926
luci = metonimia per occhi
927
strapposse = enclisi pronominale; è riassunta in questo
verbo la vicenda della tragedia di Sofocle
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807. Ma già volge al suo fine il pranzo illustre:
808. Già Como e Dionisio 928 al desco intorno
809. Rapidissimamente in danza girano929
810. Con la libera Gioia 930. Ella saltando
811. Or questo or 931 quel de’ convitati lieve
812. Tocca col dito: e al suo toccar 932 scoppiettano
813. Brillanti vivacissime scintille,
814. Ch’altre ne destan poi. Sonan le risa:
815. Il clamoroso disputar s’accende:
816. La nobil vanità pugne le menti933:
817. E l’amor di sè sol, baldo scorrendo 934,
818. Porge un scettro a ciascuno; e dice: "regna".
819. Questi i concili di Bellona935, e quegli
820. Pènetra i tempj de la Pace 936. Un guida
821. I condottieri: a i consiglier consiglio 937
822. L’altro dona; e divide e capovolge 938
823. Con seste ardite939 il pelago e la terra.
824. Qual di Pallade940 l’arti e de le Muse941
825. Giudica e libra; qual 942 ne scopre acuto
826. L’alte cagioni; e i gran principj abbatte
928
Como e Dionisio = il primo è il dio dei banchetti, il
secondo è il dio del vino
929
Rapidissimamente in danza girano = endecasillabo
sdrucciolo, con ritmo molto veloce
930
Gioia = personificazione
931
Or … or = iterazione
932
Tocca … toccar = poliptoto
933
s’accende … pugne le menti = metafore
934
sè sol, baldo scorrendo = allitterazione
935
concili di Bellona = perifrasi per problemi militari (Bellona
era una divinità guerriera). Cfr. Foscolo Ode all’amica
risanata v. 67-68 <<Are così a Bellona, / un tempo invitta
amazzone >>
936
tempi della Pace = perifrasi per indicare le questioni che si
pongono in pace
937
consiglier consiglio = figura etimologica
938
e divide e capovolge = iterazione e ironia tipica dell’autore
939
seste ardite = audaci compassi
940
Pallade = dea della sapienza e delle arti
941
Muse = le nove figlie di Zeus e di Mnemosine (la
Memoria) – sono immagini metaforiche
942
Qual … qual = iterazione
827. Cui creò la natura, e che tiranni
828. Sopra il senso de gli uomini regnàro
829. Gran tempo in Grecia, e nel paese Tosco
830. Rinacquer poi più poderosi e forti 943.
831. Cotanto adunque di saper fia dato
832. A nobil capo? Oh letti oh specchi oh mense
833. Oh corsi oh scene oh feudi oh sangue oh avi944
834. Che per voi non s’apprende? Or tu signore
835. Co’ voli arditi del felice ingegno945
836. Sovra ognaltro t’innalza. Il campo è questo
837. Ove splender più dei. Nulla scienza,
838. Sia quant’esser mai puote arcana o grande,
839. Ti spaventi giammai. Se cosa udisti
840. O leggesti al mattino onde tu deggia
841. Gloria sperar; qual cacciator che segue
842. Circuendo la fera, e sì la guida
843. E volge di lontan che a poco a poco
844. A le insidie s’accosta e dentro piomba,
845. Tal tu il sermone altrui volgi sagace
846. Fin che là cada ove spiegar ti giove
847. Il tuo novo tesoro 946. E se pur ieri
848. Scesa in Italia pellegrina forma
849. Del parlar t’è già nota, allor tu studia
850. Materia espor che favellando ammetta
851. La nova gemma947; e poi che il punto hai colto,
852. Ratto la scopri; e sfolgorando abbaglia
853. Qual altra è mente che superba andasse
854. Di squisita eloquenza a i gran convivj.
855. In simil guisa il favoloso mago948,
943
Gran tempo in Grecia, e nel paese Tosco / Rinacquer poi
più poderosi e forti = allusione allo splendore dell’arte
classica e del Rinascimento toscano
944
Oh letti … oh avi = iterazione con forte senso ironico
945
Co’ voli arditi del felice ingegno = espressione metaforica,
in cui il signore viene paragonato ad un’audace aquila che
vola sopra tutto
946
qual cacciator … Tal tu il sermone … tesoro = ampia
similitudine in cui il signore è paragonato ad un cacciatore
che cattura la sua preda
947
Scesa in Italia … la nova gemma = lunga perifrasi per
indicare il neologismo
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856. Che fe’ gran tempo desiar l’amante949
857. All’animosa vergin di Dordona950,
858. Da i cavalier che l’assalien bizzarri
859. Oprar lasciava ogni lor possa ed arte
860. Poi ecco in mezzo a la terribil pugna
861. Strappava il velo a lo incantato scudo 951;
862. E quei sorpresi dal bagliore immenso
863. Ciechi spingeva e soggiogati a terra.
864. Talor di Zoroastro 952 o d’Archimede953
865. Discepol sederà teco a la mensa 954.
866. Tu a lui ti955 volgi, seco lui ragiona,
867. Suo linguaggio ne apprendi; e quello poi
868. Qual se innato a te fosse alto ripeti.
869. Nè paventar quel che l’antica fama
870. Narra de’ lor compagni 956. Oggi la diva
871. Urania957 il crin compose; e gl’irti alunni
872. Smarriti958 vergognosi balbettanti959
873. Trasse da le lor cave, ove già tempo
874. Col profondo silenzio e con la notte
875. Tenean consiglio: e le servili braccia
876. Fornien di leve onnipotenti960, ond’alto
877. Salisser poi piramidi obelischi
878. Ad eternar de’ popoli superbi
879. I gravi casi: o pur con feri dicchi 961
880. Stavan contra i gran letti962: o di pignone963
881. Audace armati, spaventosamente
882. Cozzavan con la piena, e giù a traverso
883. Spezzate rovesciate dissipavano 964
884. Le tetre corna965: decima fatica
885. D’Ercole966 invitto. Ora i selvaggi amici
886. Urania ingentilì967. Baldi e leggiadri
887. Nel gran mondo li guida, o tra il clamore
888. De’ frequenti convivi, o pur tra i vezzi
889. De’ gabinetti968; ove a la docil dama
890. E al caro cavalier mostran qual via
891. Venere tenga, e in quante forme o quali
892. Suo volto lucidissimo si cangi969.
893. Nè del poeta temerai che beffi
894. Con satira indiscreta i detti tuoi;
895. O che a maligne risa esponer osi
896. Tuo talento immortale. All’alta mensa
897. Voi lo innalzaste970; e tra la vostra luce
898. Beato l’avvolgeste971; e de le Muse
899. A dispetto e d’Apollo al sacro coro
900. L’ascriveste de’ vati972. Ei de la mensa
948
il favoloso mago = perifrasi per indicare Atlante,
personaggio dell’Orlando furioso
949
amante = si intende Ruggero
950
animosa vergin di Dordona = perifrasi per indicare
Bradamante, coraggiosa eroina dell’Orlando furioso
951
incantato scudo = allusione allo scudo incantato di Atlante,
che abbagliava i nemici
952
Zoroastro = leggendario astronomo persiano
953
Archimede = celeberrimo scienziato greco
954
Discepol sederà teco a la mensa = perifrasi per indicare gli
scienziati
955
Tu … ti = poliptoto
956
Né paventar … compagni = la leggenda attribuiva agli
scienziati la fama di scarsa socievolezza
957
diva / Urania = enjambement. Urania è la musa
dell’Astronomia. Cfr. Manzoni “Urania” (1809)
958
alunni / Smarriti = enjambement
959
Smarriti vergognosi balbettanti = asindeto e climax
960
e le servili braccia / Fornien di leve onnipotenti = metafora
per indicare macchine per il lavoro manuale
961
dicchi = le dighe
gran letti = sineddoche per fiumi
963
pignone = rostro che sporgeva dalla diga per rompere la
corrente
964
Spezzate rovesciate dissipavano = endecasillabo sdrucciolo
965
tetre corna = metafora per indicare la forza del fiume
966
fatica / D’Ercole = enjambement. La decima fatica di
Ercole fu la lotta contro il fiume Acheloo
967
Urania ingentilì = allusione alla diffusione, tipica del
Settecento, della letteratura di divulgazione scientifica
968
vezzi / De’ gabinetti = enjambement. Il gabinetto era la
stanza di ricevimento della dama
969
qual via / Venere tenga … Suo volto … si cangi = verso
ironico in cui l’autore sottolinea l’incostanza dell’amore
970
A l’alta mensa / Voi lo innalzaste = metafora
971
e tra lo vostra luce / Beato l’avvolgeste = metafora
972
e de le Muse / a dispetto e d’Apollo al sacro coro /
L’ascriveste de’ vati = metafora in cui si evidenzia come il
962
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901. Fece il suo Pindo973: e guai a lui se quindi
902. Le dee sdegnate giù precipitando
903. Con le forchette il cacciano974. Meschino!
904. Più non poria su le dolenti membra
905. Del suo infermo signor chiedere aita
906. Da la buona Salute975; o con alate
907. Odi976 ringraziar, nè tesser inni
908. Al barbato figliuol di Febo intonso 977.
909. Più del giorno natale i chiari albori
910. Salutar non potrebbe; e l’auree frecce 978
911. Nomi-sempiternanti all’arco imporre 979.
vv. 912 – 1041 a cura di Eleonora Pinelli
Si parla dell’imposizione ai nobili da parte della
Moda di conoscenze relative ad Orazio,
Petronio, Rousseau e Voltaire per far sfoggio
di una cultura che non è tale. Infatti i nobili
ricavano dalle nuove idee filosofiche solo ciò
che è loro comodo, evitando i veri principi.
Negli ultimi versi vengono descritti i poveri,
ammoniti dai nobili che hanno da poco
terminato il pranzo ricco di vivande, e pertanto
la vista di questi miserabili rappresenta un
attentato ai loro stomaci da poco appagati.
Parini, comunque, sembra utilizzare toni di
accusa e di critica nei confronti di Voltaire e di
poeta cortigiano non sia, agli occhi di Parini, poeta degno del
nome che porta
973
Pindo = il monte delle muse
974
Le dee sdegnate … cacciano = metafora
975
Salute = personificazione
976
alate / Odi = enjambement e personificazione
977
barbato figliuol di Febo intonso = perifrasi per indicare
Esculapio, dio della medicina, figlio di Apollo.
978
auree frecce = metafora
979
Nomi-sempiternanti all’arco imporre = metafora
Rousseau; pare infatti distaccarsi dalle loro
idee antireligiose.
912. Non più gli urti festevoli980, o sul naso
913. L’elegante scoccar d’illustri dita
914. Fora dato sperare. A lui tu dunque
915. Non disdegna o signor981 volger talora
916. Tu’ amabil voce; a lui tu canta i versi
917. Del delicato cortigian d’Augusto982,
918. O di quel che tra Venere e Lièo
919. Pinse Trimalcion983: la Moda984 impone
920. Ch’Arbitro985 o Flacco986 a i begli spirti ingombri
921. Spesso le tasche. Oh come il vate amico
922. Te udrà meravigliando il sermon prisco 987
923. O sciogliere o frenar988 qual più ti piace!
924. E per la sua faretra e per li cento
925. Destrier focosi che in Arcadia 989 pasce990
926. Ti giurerà che di Donato991 al paro
927. Il difficil sermone intendi e gusti!
928. E questo ancor di rammentar fia tempo
929. I novi Sofi992 che la Gallia o l’Alpe993
980
urti festevoli = ossimoro
o signor = intervento del narratore
982
delicato cortigian d’Augusto = perifrasi per indicare Orazio
983
quel che … Trimalcion = perifrasi per indicare Petronio
arbitro che, in un capitolo del Satyricon, descrisse il ricco
Trimalcione preda dell’ubriachezza (Lièo è epiteto di Bacco)
e della lussuria (Venere)
984
Moda = personificazione
985
Arbitro = Petronio
986
Flacco = Orazio
987
sermon prisco = perifrasi per indicare la Lingua latina
988
O sciogliere o frenar = iterazione. Si allude al fatto di
pronunciare il Latino allungando o abbreviando le sillabe
senza alcun criterio
989
Arcadia = mitica regione della Grecia
990
E per la sua faretra … pasce = metafora. Si ironizza sulle
finzioni dei poeti arcadici
991
Donato = notissimo grammatico latino del IV sec. D.C
992
Sofi = gli enciclopedisti e in generale gli illuministi
francesi
981
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930. Ammirando persegue; e dir qual arse
931. De’ volumi infelici, o andò macchiato
932. D’infame nota994; e quale asilo appresti
933. Filosofia al morbido Aristippo 995
934. Del secol nostro, e qual ne appresti al novo
935. Diogene996 dell’auro sprezzatore
936. E della opinione de’ mortali. 997
937. Lor famosi volumi, o a te discesi
938. Per calle obliquo 998 e compri a gran tesoro 999,
939. O da cortese man prestati, fièno
940. Lungo ornamento a lo tuo speglio innante.
941. Poi che brevi gli avrai scorsi momenti
942. Ornandoti o a la man garrendo 1000 indotta
943. Del parrucchier; poi che t’avran più notti
944. Conciliato il facil sonno, al fine
945. Anco a lo speglio passeran di lei,
946. Che comuni ha con te studj e licèo,
947. Ove togato in cattedra elegante
948. Siede interprete Amore 1001. Or fia la mensa
949. Il favorevol loco, onde al sol esca
950. De’ brevi studj il glorioso frutto.
951. Chi por freni oserà d’inclita stirpe
952. All’animo a la mente?1002 Il vulgo tema
953. Oltre natura: e quei cui dona il vulgo1003
954. Titol di saggio mediti romito
955. Il ver celato1004; e al fin cada adorando
956. La sacra nebbia1005 che lo avvolge intorno.
957. Ma tu come sublime aquila1006 vola
958. Dietro a i sofi novelli. Alto dia plauso
959. Tutta la mensa1007 al tuo poggiare1008 audace.
960. Te con lo sguardo e con l’orecchio beva 1009
961. La dama da le tue labbra 1010 rapita:
962. Con cenno approvator vezzosa il capo
963. Pieghi sovente: e il calcolo e la massa
964. E la inversa ragion1011 sonino ancora
965. Su la bocca amorosa. Or più non odia
966. De le scole il sermone Amor 1012 maestro1013:
967. E l’accademia1014 e i portici1015 passeggia
968. De’ filosofi al fianco; e con la molle
969. Mano1016 accarezza le cadenti barbe 1017.
993
1002
Alpe = sineddoche per Svizzera. È un chiaro riferimento al
ginevrino Rousseau
994
qual arse … D’infame nota = allusione ai libri bruciati per
decreto della Magistratura come immorali o politicamente
pericolosi
995
morbido Aristippo = Voltaire paragonato al filosofo antico
fondatore dell’Edonismo
996
novo / Diogene = enjambement. Rousseau è paragonato
all’antico filosofo cinico che ostentava disprezzo per le
ricchezze
997
e quale asilo appresti / Filosofia al morbido Aristippo … e
qual ne appresti al novo / Diogene … de’ mortali = metafore
in cui si allude all’esilio al quale furono costretti Voltaire e
Rousseau per evitare le persecuzioni politiche cui sarebbero
stati soggetti in Francia. Vi è una punta ironica quando si
afferma che la Filosofia (nella tradizione povera e inutile) è
invece ora in grado di fornire comode residenze a questi
filosofi alla moda
998
Per calle obliquo = metafora
999
a gran tesoro = iperbole
1000
garrendo = rimproverando
1001
Amore = personificazione
Chi por freni oserà d’inclita stirpe / All’animo a la mente?
= interrogativa retorica
1003
Il vulgo tema … dona il vulgo = iterazione e chiasmo
1004
Il ver celato = perifrasi per indicare la religione
1005
La sacra nebbia = perifrasi per indicare le superstizioni
religiose
1006
come sublime aquila = similitudine
1007
Tutta la mensa = metonimia per commensali
1008
poggiare = levarsi in volo
1009
beva = metafora
1010
labbra = metonimia per parole
1011
e il calcolo e la massa / E la inversa ragion = iterazione. Si
tratta di locuzioni e termini tipici del linguaggio scientifico
che il Giovin signore introduce a sproposito nei propri
discorsi
1012
Amor = personificazione
1013
scole il sermone Amor maestro = allitterazione in “s” e in
“r”
1014
accademia = allusione per antonomasia all’Accademia di
Platone
1015
portici = allusione agli aristotelici
1016
molle / Mano = enjambement e allitterazione
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970. Ma guardati o signor guardati 1018oh dio
971. Dal tossico mortal che fuora esala
972. Da i volumi famosi1019: e occulto poi
973. Sa per le luci penetrato all’alma
974. Gir serpendo ne’ cori; e con fallace
975. Lusinghevole stil1020 corromper tenta
976. Il generoso de le stirpi orgoglio,
977. Che ti scevra dal vulgo. Udrai da quelli
978. Che ciascun de’ viventi all’altro è pari;
979. E caro a la natura e caro al cielo 1021
980. E’ non manco dite colui che regge
981. I tuoi destrieri e quel ch’ara i tuoi campi 1022;
982. E che la tua pietade o il tuo rispetto
983. Devrien fino a costor scender vilmente.
984. Folli sogni d’infermo! Intatti lascia
985. Così strani consigli: e solo attigni
986. Ciò che la dolce voluttà rinfranca,
987. Ciò che scioglie i desiri e ciò 1023 che nudre
988. La libertà magnanima1024. Tu questo
989. Reca solo a la mensa; e sol da questo
990. Plauso cerca ed onor: così dell’api
991. L’industrioso popolo ronzando
992. Gira di fiore in fior di prato in prato 1025;
993. E i dissimili sughi 1026raccogliendo
994. Tesoreggia nell’arnie: un giorno poi
995. Ne van colme le pàtere 1027 dorate
996. Sopra l’ara de’ numi; e d’ogni lato
997. Ribocca la fragrante alma dolcezza.
998. Or versa pur dall’odorato grembo
999. I tuoi doni o Pomona 1028; e l’ampie colma
1000. Tazze1029 che d’oro e di color diversi
1001. Fregia il Sassone1030 industre. E tu da i greggi
1002. Rustica Pale1031 coronata vieni
1003. Di melissa olezzante o di ginebro 1032;
1004. E co’ lavori tuoi di presso latte 1033
1005. Declina vergognando a chi ti chiede;
1006. Ma deporli non osa. In su la mensa
1007. Porien deposti le celesti nari 1034
1008. Pungere ahi troppo; e con ignobil senso
1009. Gli stomachi agitar: soli torreggino
1010. Sul ripiegato lino in varia forma
1011. I latti tuoi cui di serbato verno
1012. Assodarono i sali 1035, e fecer atti
1013. A dilettar con subito rigore
1014. Di convitato cavalier le labbra.
1015. Tu signor che farai poi che la dama
1016. Con la mano e col piè lieve puntando
1017. Move in giro i begli occhi; e altrui dà cenno
1018. Che di sorger è tempo? In piè d’un salto
1019. Balza primo di tutti; a lei soccorri,
1020. La seggiola rimovi, la man porgi,
1021. Guidala in altra stanza, e più non soffri
1022. Che lo stagnante de le dapi 1036 odore1037
1017
accarezza le cadenti barbe = allitterazione in “c” e in “r”
guardati o signor guardati = iterazione che sottolinea con
enfasi la funzione conativa
1019
Dal tossico mortal … volumi famosi = metafora per
indicare la pericolosità di alcune dottrine filosofiche
1020
fallace / Lusinghevole stil = enjambement e allitterazione
in “l”
1021
E caro a la natura e caro al cielo = iterazione
1022
ciascun de’ viventi all’altro è pari … campi = viene
definito il principio di uguaglianza
1023
Ciò che … Ciò che … ciò che = anafora
1024
nudre / La libertà magnanima = enjambement ed
eufemismo sarcastico
1025
di fiore in fior di prato in prato = iterazione
1026
dissimili sughi = metafora per indicare il polline di fiori
diversi e allitterazione in “s”
1018
1027
pàtere = tazze (latinismo)
Pomona = dea della frutta (celebre l’affresco del
Pontormo, che raffigura Vertumno e Pomona nella Villa
medicea di Poggio a Caiano)
1029
l’ampie colma / Tazze = iperbato
1030
Sassone = allusione alle celebri ceramiche di Sassonia
1031
Pale = divinità pastorale
1032
Di melissa olezzante o di ginebro = piante aromatiche
1033
presso latte = perifrasi per indicare il formaggio
1034
celesti nari = punta ironica
1035
I latti tuoi … i sali = perifrasi per indicare i gelati di crema
fatti con il ghiaccio, conservato dall’inverno precedente,
mescolato a sale
1036
dapi = vivande (latinismo)
1037
Che lo stagnante de le dapi odore = iperbato
1028
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1023.
1024.
1025.
1026.
1027.
1028.
1029.
1030.
1031.
1032.
1033.
1034.
1035.
1036.
1037.
1038.
1039.
1040.
1041.
1038
Il celabro 1038 le offenda1039. Ivi con gli altri
Gratissimo vapor la invita, ond’empie
L’aere1040 il caffè, che preparato fuma1041
In tavola minor, cui vela ed orna
Indica tela1042. Ridolente1043 gomma
Quinci arde in tanto, e va lustrando e purga 1044
L’aere profano, e fuor caccia de’ cibi
Le volanti reliquie1045. Egri1046 mortali,
Che la miseria e la fidanza1047 un giorno
Sul meriggio guidàro a queste porte
Tumultuosa ignuda atroce folla1048
Di tronche membra e di squallide facce
E di bare e di grucce 1049, or via da lunge
Vi confortate; e per le alzate nari
Del divin prandio il nettare 1050 beete,
Che favorevol aura a voi conduce:
Ma non osate i limitari illustri1051
Assediar, fastidioso offrendo
Spettacolo di mali ai nostri eroi.
Il celabro = cervello
Il celabro le offenda = perifrasi per indicare il mal di testa
1040
aere = aria (latinismo)
1041
caffè, che preparato fuma = allitterazione in “f”
1042
Indica tela = perifrasi per indicare la tovaglia di seta
indiana
1043
Ridolente = profumata (latinismo)
1044
e va lustrando e purga = iterazione ed endiadi
1045
Le volanti reliquie = metafora per indicare l’odore dei cibi
che resta nella stanza
1046
Egri = malati (latinismo)
1047
fidanza = arcaismo per fiducia
1048
Tumultuosa ignuda atroce folla = asindeto trimembre
1049
Di tronche membra e di squallide facce / E di bare e di
grucce = enumerazione particolarmente realistica attraverso
efficaci sineddochi
1050
nettare = bevanda degli dei, qui metafora per indicare il
profumo del pranzo
1051
limitari illustri = allitterazione in “l” ed enallage
1039
vv. 1042 – 1179 a cura di Barbara Ricci
L’ultima parte del Meriggio è dedicata alla
passeggiata sul corso in carrozza e al gioco da
organizzare prima di uscire. Qui si colloca il
racconto sulle origini del gioco del tric-trac.
1042.
1043.
1044.
1045.
1046.
1047.
1048.
1049.
1050.
1051.
1052.
E a te nobil garzon la tazza in tanto 1052
Apprestar converrà, che i lenti sorsi
Ministri poi de la tua bella a i labbri 1053
E memore avvertir s’ella più goda,
O sobria o liberal 1054temprar col dolce
La bollente bevanda1055: o se più forse
L’ami così come sorbir la gode
Barbara sposa 1056, allor che molle assisa
Ne’ broccati di Persia al suo signore
Con le dita pieghevoli il selvoso
Mento1057 vezzeggia; e la svelata fronte
1053.
Alzando il guarda; e quelli sguardi
1054.
1055.
1056.
1057.
1058.
1059.
1060.
1061.
1062.
1063.
Di far che a poco a poco di man cada
Al suo signore la fumante canna1059.
Mentre i labbri e la man v’occupa e scalda
L’odoroso licor 1060, sublimi cose
Macchinerà tua infaticabil mente.
Quale oggi coppia di corsier de’ il carro
Condur de la tua bella; o l’alte moli
Che per le fredde piagge educa il Cimbro;
O quei che abbeverò la Drava; o quelli
Che a le vigili guardie un dì fuggiro
1058
han possa
1052
tazza in tanto = allitterazione in “t”
labbri = metonimia per bocca
1054
O sobria o liberal = iterazione
1055
bollente bevanda = allitterazione in “b” e perifrasi per
indicare il caffè
1056
Barbara sposa = similitudine con la sposa orientale, che
beve il caffè amaro
1057
selvoso / Mento = enjambement e metafora
1058
guarda … sguardi = figura etimologica
1059
fumante canna = perifrasi per indicare la pipa o il narghilè
1060
odoroso licor = perifrasi per indicare il caffè
1053
60
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1064.
1065.
1066.
1067.
1068.
1069.
1070.
1071.
1072.
1073.
1074.
1075.
1076.
1077.
1078.
1079.
1080.
1081.
1082.
1083.
1084.
1085.
1086.
1087.
1088.
1089.
De la stirpe Campana 1061: oggi qual meglio
Si convegna ornamento a i dorsi alteri;
Se semplici e negletti, o se pomposi
Di ricche nappe e variate stringhe
Andran su l’alto collo i crin volando,
E sotto a cuoi vermigli e ad auree fibbie 1062
Ondeggeranno li ritondi fianchi.
Quale oggi 1063cocchio trionfanti al corso
Vi porterà; se quel cui l’oro copre
Fulgido al sole; e de’ vostr’alti aspetti
Per cristallo settemplice concede
Al popolo bearsi 1064; o quel, che tutto
Caliginoso e tristo e a la marmorea
Tomba simil1065 che de’ vostr’avi chiude
I cadaveri eccelsi, ammette a pena
Cupido sguardo altrui. Cotanta mole
Di cose a un tempo sol nell’alto ingegno
Tu verserai1066; poi col supremo auriga 1067
Arduo consiglio ne terrai; non senza
Qualche lieve garrir1068 con la tua dama.
Servi l’auriga ogni tua legge: e in tanto
Altra cura subentri. Or mira i prodi
Compagni1069 tuoi che, ministrato a pena
Dolce conforto di vivande a i membri,
Già scelto il campo, e già 1070 distinti in bande
Preparansi giocando a fieri assalti. 1071
1090.
1091.
1092.
1093.
1094.
1095.
1096.
1097.
1098.
1099.
1100.
1101.
1102.
1103.
1104.
1105.
1106.
1107.
1108.
1109.
1110.
1111.
1112.
1113.
Così a queste, o signore 1072, illustre inganno
Ore lente1073 si faccia. E s’altri ancora
Vuole Amor1074 che s’inganni; altronde pugni
La turba1075 convitata; e tu da un lato
Sol con la dama tua quel gioco eleggi,
Che due soltanto a un tavoliere ammetta.
Già per ninfa gentil tacito ardea
D’insoffribile ardor1076 misero amante,
Cui null’altra eloquenza usar con lei
Fuor che quella de gli occhi era concesso:
Poi che il rozzo marito ad Argo eguale 1077
Vigilava mai sempre; e quasi biscia 1078
Ora piegando or 1079 allungando il collo
Ad ogni verbo con gli orecchi acuti
Era presente. Oimè, come con cenni
O con notate tavole giammai
O con1080 servi sedotti a la sua 1081bella
Chieder pace ed aita? Ogni d’Amore
Stratagemma finissimo vincea
La gelosia del rustico marito.
Che più lice1082 sperare? Al tempio ei viene
Del nume accorto che le serpi annoda
All’aurea verga, e il capo e le calcagna
D’ali fornisce1083. A lui si prostra umile;
1071
1061
o l’alte moli / Che per le fredde piagge educa il Cimbro …
De la stirpe Campana = elencazione delle diverse razze di
cavalli: quelli di grande taglia, provenienti dall’Holstein,
regione tedesca un tempo abitata dai Cimbri; quelli
dell’Ungheria, che si sono abbeverati nel fiume Drava; infine
quelli di razza campana
1062
ricche nappe … variate stringhe … cuoi vermigli … auree
fibbie = fascino degli oggetti
1063
Quale oggi = ripresa del verso 1059
1064
e de’ vostr’alti aspetti … Al popolo bearsi = iperbato
1065
marmorea / Tomba simil = enjambement e similitudine
1066
verserai = metafora
1067
supremo auriga = il cocchiere che siede in alto, a cassetta
1068
non senza / Qualche lieve garrir = litote
1069
prodi / Compagni = enjambement
1070
Già … già = iterazione
scelto il campo … fieri assalti = ironia: il tavolo da gioco
è paragonato al campo di battaglia
1072
o signore = intervento dell’io narrante
1073
queste … Ore lente = iperbato
1074
Amor = personificazione
1075
turba = latinismo
1076
ardea … ardor = figura etimologica
1077
ad Argo eguale = similitudine. Argo era il mostro
mitologico dai cento occhi
1078
quasi biscia = similitudine
1079
Ora … or = iterazione
1080
O con … O con = anafora
1081
servi sedotti a la sua = allitterazione in “s”
1082
lice = latinismo
1083
nume accorto che le serpi annoda / All’aurea verga, e il
capo e le calcagna / D’ali fornisce = perifrasi per indicare
Mercurio, dio del commercio e degli inganni, che ha come
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1114.
1115.
1116.
1117.
1118.
1119.
1120.
1121.
1122.
1123.
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1134.
1135.
1136.
1137.
1138.
1139.
1140.
1141.
E in questi detti lagrimando il prega.
"O propizio a gli amanti, o buon figliuolo
De la candida Maia 1084, o tu1085 che d’Argo
Deludesti i cent’occhi, e a lui rapisti
La guardata giovenca1086, i preghi accogli
D’un amante infelice; e a lui concedi
Se non gli occhi ingannar, gli orecchi almeno
D’importuno marito". Ecco si scote
Il divin simulacro, a lui s’inchina,
Con la verga pacifica la fronte
Gli percote tre volte 1087: e il lieto amante
Sente dettarsi ne la mente un gioco,
Che i mariti assordisce1088. A lui diresti
Che l’ali del suo piè concesse ancora
Il supplicato dio, cotanto ei vola
Velocissimamente a la sua donna.
Là bipartita tavola prepara,
Ov’èbano ed avorio intarsiati
Regnan sul piano, e partono alternando
In due volte sei case ambe le sponde.
Quindici nere d’èbano rotelle
E d’avorio bianchissimo altrettante
Stan divise in due parti; e moto e norma
Da duo dadi gittati attendon, pronte
Gli spazj ad occupar, e quinci e quindi
Pugnar contrarie. Oh cara a la fortuna
Quella che corre innanzi all’altre; e seco
Trae la compagna, onde il nemico assalto
insegna il caduceo, verga adornata di due serpi intrecciate, e
che porta cappello e sandali alati
1084
Maia = figlia di Atlante, Titano, e di Pleione, ninfa del
mare
1085
O propizio … o buon figliolo… o tu = iterazione ed
invocazione
1086
La guardata giovenca = perifrasi per indicare la ninfa Io,
che Giunone per gelosia aveva trasformato in giovenca
1087
tre volte = parodia del registro epico
1088
un gioco, / Che i mariti assordisce = si tratta del tric trac,
una sorta di dama, le cui mosse erano regolate dal lancio di
due dadi. Nei versi seguenti (vv. 1130 – 1147) sono descritte,
anche con metafore militari, le regole del gioco e la forma
della scacchiera
1142.
1143.
1144.
1145.
1146.
1147.
1148.
1149.
1150.
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1153.
1154.
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1160.
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1164.
1165.
1166.
1167.
1168.
1169.
1170.
Forte sostenga! Oh giocator felice
Chi pria l’estrema casa occupa; e l’altro
De gli spazj a sè dati ordin riempie
Con doppio segno! Ei trionfante allora
Da la falange il suo rival combatte;
E in proprio ben rivolge i colpi ostili.
Al tavolier s’assidono ambidue
L’amante cupidissimo e la ninfa.
Quella una sponda ingombra e questi l’altra.
Il marito col gomito s’appoggia
All’un de’ lati; ambo gli orecchi tende;
E sotto al tavolier di quando in quando
Guata con gli occhi. Or l’agitar de i dadi
Entro a sonanti bòssoli comincia,
Ora il picchiar de’ bòssoli sul piano,
Ora il vibrar lo sparpagliar l’urtare
Il cozzar dei duo dadi, or de le mosse
Rotelle il martellar. 1089 Torcesi e freme
Sbalordito il geloso 1090: a fuggir pensa,
Ma rattienlo il sospetto. Il fragor cresce
Il rombazzo il frastono il rovinio 1091:
Ei più regger non puote, in piedi balza,
E con ambe le man tura gli orecchi.
Tu vincesti o Mercurio. Il cauto amante
Poco disse: e la bella intese assai 1092.
Tal ne la ferrea età 1093, quando gli sposi
Folle superstizion 1094chiamava allarme
Giocato fu. Ma poi che l’aureo venne
Secol 1095di novo; e che del prisco errore
1089
Or l’agitar … Ora il picchiar … Ora il vibrar … or … il
martellar = iterazione che sottolinea i vari momenti del gioco
1090
il geloso = il marito. Il termine è mediato dalla tradizione
lirica occitanica (gilos)
1091
Il fragor cresce / Il rombazzo il frastono il rovinio =
climax e asindeto
1092
Poco disse: e la bella intese assai = antitesi e chiasmo. Si
nota che la bella è al centro del verso, a sottolineare
l’importanza della figura della dama, oggetto di tutte le
attenzioni
1093
la ferrea età = metafora per indicare l’epoca medioevale
1094
Folle superstizion = perifrasi per indicare la gelosia
1095
l’aureo venne / Secol = iperbato e metafora
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1171.
1172.
1173.
1174.
1175.
1176.
1177.
1178.
Si spogliàro i mariti 1096, al sol diletto
La dama e il cavalier volsero il gioco
Che la necessità trovato avea.
Fu superfluo il romor: di molle panno
La tavola vestissi e de’ patenti
Bòssoli il sen1097: lo schiamazzio molesto
Tal rintuzzossi: e durò al gioco il nome,
Che ancor l’antico strepito dinota.
IL VESPRO
A CURA DI GIULIA AGOSTINI
Il “Vespro” è la terza parte dell’opera di Parini.
Venne pubblicato nel 1801 dal frate Francesco
Reina, a causa della morte di Parini, assieme
alla “Notte”. Comprende all’incirca 350 versi, ai
quali sono stati aggiunti altri versi della parte
conclusiva del “Meriggio”, come testimonia la
prima edizione scritta dal poeta. Il Vespro
quindi può essere considerata una parte
dell’opera in alcuni punti incompleta. In questi
versi Parini ci racconta la serata del “Giovin
signore”, e quindi la serata di qualsiasi nobile.
Il Vespro si articola su un episodio principale:
la passeggiata in carrozza del “Giovin signore”
con la sua Dama. La passeggiata dei due
viene spesso interrotta da varie visite; una di
queste conduce il “Giovin signore” e la Dama
alla casa di un’amica di quest’ultima, che il
giorno precedente aveva avuto una crisi
isterica. Qui il “Giovin signore” si trova a
calmare gli animi delle dame presenti, che si
divertono a infastidirsi, attraverso pettegolezzi
sull’accaduto, l’una con l’altra. Più tardi, poi, i
due giovani nobili riprendono la loro
passeggiata, e questa volta vanno a trovare
una giovane donna che ha partorito da poco il
figlio primogenito. Il lieto evento, in questa
casa, viene celebrato e cantato da alcuni poeti
presenti; il “Giovin signore” si dimostra
indignato di questi poeti, che egli stesso
definisce <<grilli>> e <<rane>>. Le uniche
parole pronunciate dal nobile sono rivolte al
neonato, a cui dice che sarà simile al suo
genitore. Nella decrizione della passeggiata in
carrozza Parini sottolinea abbondantemente la
ricchezza della nobiltà, in quanto sono tante le
carrozze in giro per le strade. La passeggiata è
comunque ritenuta una costante della classe
nobiliare, priva, però, di principii e di
significato. Naturalmente, come in tutta l’opera
pariniana, questo aspetto è raccontato con la
struttura antifrastica. Alcuni critici, però, hanno
notato che nel “Vespro” ed anche nella “Notte”
la polemica antinobiliare si fa più tenue e
sfumata. Non c’è un vero e proprio
cambiamento ideologico, perché resta il
carattere ironico che fa risaltare il vuoto di
quell’ambiente, ma questa ironia –secondo i
critici- perde gran parte dello sdegno morale
del poeta.
1096
del prisco errore / Si spogliàro i mariti = metafora
di molle panno / La tavola vestissi e de’ patenti / Bossoli
il sen = metafora
1097
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vv. 1 – 188 a cura di Patrizia Silvestri
In questa prima parte del Vespro viene svolto
soprattutto il tema dell’amicizia; degna di nota
è la scena in cui il giovin Marchese balza al
collo del giovin Conte e gli imprime le gote di
baci.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
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11.
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20.
21.
1098
Ma de gli augelli e de le fere il giorno
E de’ pesci squammosi e de le piante
E dell’umana plebe1098 al suo fin corre.
Già sotto al guardo de la immensa luce
Sfugge l’un mondo: e a berne i vivi raggi1099
Cuba s’affretta e il Messico e l’altrice
Di molte perle California estrema 1100:
E da’ maggiori colli e dall’eccelse
Rocche il sol manda gli ultimi saluti1101
All’Italia fuggente; e par che brami
Rivederti o Signor prima che l’alpe
O l’appennino o il mar curvo 1102ti celi
A gli occhi suoi. Altro finor non vide
Che di falcato mietitore i fianchi
Su le campagne tue piegati e lassi,
E su le armate mura or braccia or spalle
Carche di ferro, e su le aeree capre 1103
De gli edificj tuoi man scabre e arsicce 1104,
E villan polverosi innanzi a i carri
Gravi del tuo ricolto, e su i canali
E su i fertili laghi irsuti petti
e de le fere … E de’ pesci … e de le piante / E dell’umana
plebe = iterazione ed anafora
1099
berne i vivi raggi = metafora
1100
l’altrice / Di molte perle California estrema = iperbato. La
California, posta all’estremo occidente dell’America, è
produttrice di perle
1101
il sol manda gli ultimi saluti = metafora
1102
O l’appennino o il mar curvo = iterazione
1103
or braccia or spalle / Carche di ferro, e su le aeree capre =
iterazione e allitterazione in “r”
1104
scabre e arsicce = allitterazione in “s” e in “r”
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41.
42.
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44.
45.
46.
Di remigante che le alterne merci1105
A’ tuoi comodi guida ed al tuo lusso;
Tutti ignobili aspetti. Or colui veggia
Che da tutti servito a nullo serve1106.
Pronto è il cocchio felice 1107. Odo le rote
Odo1108 i lieti corsier che all’alma sposa
E a te suo fido cavalier nodrisce
Il placido marito. Indi la pompa
Affrettasi de’ servi1109; e quindi attende
Con insigni berretti e argentee mazze
Candida gioventù che al corso1110 agogna
I moti espor de le vivaci membra:
E nell’audace cor forse presume
A te rapir de la tua bella i voti.
Che tardi omai? Non vedi tu com’ella
Già con morbide piume a i crin leggeri
La bionda che svani polve rendette1111;
E con morbide piume 1112in su la guancia
Fe’ più vermiglie rifiorir che mai
Le dall’aura predate amiche rose 1113?
Or tu nato di lei ministro e duce 1114
L’assisti all’opra; e di novelli odori
La tabacchiera e i bei cristalli aurati 1115
Con la perita mano a lei rintègra:
Tu il ventaglio le scegli adatto al giorno;
1105
i carri / Gravi … ricolto … fertili … irsuti … remigante
… alterne merci = allitterazione in “r”
1106
Che da tutti servito a nullo serve = si nota la sottile ironia
(il Giovin signore non serve a nulla); servito … serve =
poliptoto
1107
cocchio felice = metafora
1108
Odo … Odo = iterazione
1109
Indi la pompa / Affrettasi de’ servi = iperbato
1110
corso = si allude alla passeggiata che si svolgeva sul corso
di Porta orientale
1111
La bionda che svani polve rendette = iperbato
1112
con morbide piume = ripresa del v. 37. Si allude al ritocco
del trucco
1113
Le dall’aura predate amiche rose = iperbato.
1114
ministro e duce = antitesi
1115
La tabacchiera e i bei cristalli aurati = fascino degli
oggetti
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76.
1116
E tenta poi fra le giocose dita
Come agevole scorra. Oh qual con lieti
Nè ben celati a te guardi e sorrisi
Plaude la dama al tuo sagace tatto!1116
Ecco ella sorge; e del partir dà cenno:
Ma non senza sospetti e senza1117 baci
A le vergini ancelle il cane affida
Al par de’ giochi al par 1118 de’ cari figli
Grave sua cura1119: e il misero dolente
Mal tra le braccia contenuto e i petti
Balza e guaisce in suon che al rude vulgo
Ribrezzo porta di stridente lima 1120;
E con rara celeste melodia
Scende a gli orecchi de la dama e al core.
Mentre così fra i generosi affetti
E le intese blandizie e i sensi arguti
E del cane1121 e di sè la bella oblia
Pochi momenti; tu di lei più saggio
Usa del tempo: e a chiaro speglio innante
I bei membri ondeggiando alquanto libra
Su le gracili gambe; e con la destra
Molle1122 verso il tuo sen piegata e mossa
Scopri la gemma1123 che i bei lini1124 annoda;
E in un di quelle ond’hai si grave il dito
L’invidiato folgorar cimenta:
Poi le labbra componi; ad arte i guardi
Tempra qual più ti giova; e a te sorridi.
Al fin tu da te sciolto, ella dal cane
Ambo al fin v’appressate. Ella da i lumi1125
Spande sopra di te quanto a lei lascia
Oh qual con lieti / Nè ben celati a te guardi e sorrisi /
Plaude la dama al tuo sagace tatto! = iperbato
1117
non senza … senza = iterazione e litote
1118
Al par … al par = iterazione
1119
cura = latinismo
1120
rude vulgo / Ribrezzo porta di stridente lima =
allitterazione in “r”
1121
E le intese … E del cane = anafora
1122
destra / Molle = enjambement
1123
gemma = la spilla (sineddoche)
1124
lini = le trine della camicia (metonimia)
1125
lumi = metonimia per occhi
77. D’eccitata pietà l’amata belva1126;
78. E tu sopra di lei da gli occhi versi
79. Quanto in te di piacer destò il tuo volto.
80. Tal seguite ad amarvi: e insieme avvinti,
81. Tu a lei sostegno, ella di te 1127conforto,
82. Itene omai de’ cari nodi vostri
83. Grato dispetto a provocar nel mondo.
84. Qual primiera sarà che da gli amati
85. Voi sul vespro nascente alti palagi
86. Fuor conduca o Signor voglia1128 leggiadra?
87. Fia la santa Amistà1129, non più feroce
88. Qual ne’ prischi eccitar tempi godea1130
89. L’un per l’altro a morir gli agresti eroi1131;
90. Ma placata e innocente al par di questi
91. Onde la nostra età sorge sì chiara
92. Di Giove alti incrementi1132. Oh dopo i tardi
93. De lo specchio consigli e dopo i giochi
94. Dopo le mense1133, amabil dea, tu insegni
95. Come il giovin Marchese al collo balzi
96. Del giovin Conte; e come a lui di baci
97. Le gote imprima; e come il braccio annode
98. L’uno al braccio dell’altro; e come insieme 1134
99. Passeggino elevando il molle mento1135
100. E volgendolo in guisa di colombe 1136;
101. E palpinsi1137 e sorridansi e rispondansi1138
102. Con un vezzoso tu. Tu1139 fra le dame
1126
amata belva = metafora
Tu a lei sostegno, ella di te = poliptoto
1128
Qual primiera … voglia = iperbato
1129
Amistà = personificazione
1130
Qual ne’ prischi eccitar tempi godea = iperbato
1131
agresti eroi = i rozzi eroi primitivi
1132
Di Giove alti incrementi = nobile progenitura di Giove (vi
è una punta di ironia)
1133
dopo … dopo i giochi / Dopo le mense = iterazione
1134
Come il giovin Marchese …e come a lui …e come il
braccio …e come insieme = iterazione
1135
molle mento = allitterazione
1136
in guisa di colombe = similitudine
1137
E volgendolo … E palpinsi = anafora
1138
E palpinsi e sorridansi e rispondansi = polisindeto ed
enclisi pronominale
1127
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103. Sul mobil arco de le argute lingue
104. I già pronti a scoccar dardi trattieni 1140
105. S’altra giugne improvviso a cui rivolti
106. Pendean di già: tu fai che a lei presente
107. Non osin dispiacer le fide amiche:
108. Tu le carche faretre 1141a miglior tempo
109. Di serbar le consigli. Or meco scendi;
110. E i generosi ufici e i cari sensi
111. Meco detta al mio eroe; tal che, famoso
112. Per entro al suon de le future etadi 1142,
113. E a Pilade1143 s’eguagli e a quel che trasse
114. Il buon Tesèo da le Tenarie foci 1144.
115. Se da i regni che l’alpe o il mar divide
116. Dall’Italico lido1145 in patria or giunse
117. Il caro amico; e da i perigli estremi
118. Sorge d’arcano mal, che in dubbio tenne
119. Lunga stagione i fisici eloquenti1146,
120. Magnanimo garzone andrai tu forse
121. Trepido ancora per l’amato capo 1147
122. A porger voti sospirando? Forse
123. Con alma dubbia e palpitante i detti
124. E i guardi e il viso1148 esplorerai de’ molti
125. Che il giudizio di voi menti si chiare
126. Fra i primi assunse d’Esculapio alunni1149?
1139
… tu. Tu … = anadiplosi
Tu fra le dame / Sul mobil arco de le argute lingue / I già
pronti a scoccar dardi trattieni = iperbato e metafora. – Si
coglie una sottile ironia
1141
carche faretre = continua la metafora già iniziata, con la
quale si paragonano le maldicenze alle frecce
1142
suon de le future etadi = metafora
1143
Pilade = personaggio mitologico che offrì la propria vita
in cambio di quella dell’amico Oreste
1144
quel che trasse / Il buon Tesèo da le Tenarie foci =
perifrasi per indicare Ercole che liberò Teseo dall’inferno (le
Tenarie foci sono l’ingresso dell’inferno)
1145
da i regni che l’alpe … Italico lido = vari paesi confinanti
con l’Italia
1146
i fisici eloquenti = i medici chiacchieroni (punta ironica)
1147
amato capo = sineddoche
1148
E i guardi e il viso = iterazione
1149
d’Esculapio alunni = perifrasi per indicare i medici
1140
127. O di leni origlieri1150 all’omer lasso
128. Porrai sostegno; e vital sugo 1151a i labbri
129. Offrirai di tua mano? O pur con lieve
130. Bisso1152 il madido fronte a lui tergendo,
131. E le aurette agitando, il tardo sonno
132. Inviterai a fomentar con l’ali1153
133. La nascente salute? Ahi no; tu lascia
134. Lascia che il vulgo di sì tenui cure
135. Le brevi anime ingombri; e d’un sol atto
136. Rendi l’amico tuo felice a pieno.
137. Sai che fra gli ozj del mattino illustri1154,
138. Del gabinetto al tripode sedendo,
139. Grand’arbitro del bello oggi creasti
140. Gli eccellenti nell’arte. Onor cotanto
141. Basti a darti ragion su le lor menti
142. E su l’opre di loro. Util ciascuno
143. A qualch’uso ti fia. Da te mandato
144. Con acuto epigramma il tuo poeta
145. La mentita virtù1155 trafigger puote1156
146. D’una bella ostinata: e l’elegante
147. Tuo dipintor1157 può con lavoro egregio
148. Tutti dell’amicizia onde ti vanti
149. Compendiar gli ufici1158 in breve carta1159;
150. O se tu vuoi che semplice vi splenda
151. Di nuda maestade il tuo gran nome;
152. O se in antica lapide imitata
153. Inciso il brami; o se 1160 in trofeo sublime
154. Accumulate a te mirar vi piace
155. Le domestiche insegne, indi un lione
1150
origlieri = cuscini (francesismo)
vital sugo = perifrasi per indicare le medicine
1152
lieve / Bisso = enjambement
1153
ali = metafora per ventaglio
1154
gli ozj del mattino illustri = iperbato
1155
mentita virtù = ossimoro
1156
trafigger puote = metafora
1157
elegante / Tuo dipintor = enjambement
1158
Tutti dell’amicizia onde ti vanti / Compendiar gli ufici =
iperbato
1159
breve carta = metonimia per biglietto da visita
1160
O se tu vuoi … O se in antica … o se = anafora e
iterazione
1151
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156. Rampicar furibondo e quindi l’ale
157. Spiegar l’augel che i fulmini ministra1161,
158. Qua timpani e vessilli e lance e spade,
159. E là scettri e collane e manti e velli 1162
160. Cascanti argutamente1163. Ora ti vaglia
161. Questa carta o signor serbata all’uopo;
162. Or fia tempo d’usarne. Esca e con essa
163. Del caro amico tuo voli a le porte
164. Alcun de’ nuncj1164 tuoi; quivi deponga
165. La tessera beata1165; e fugga; e torni
166. Ratto su l’orme tue pietoso eroe,
167. Che già pago di te ratto 1166 a traverso
168. E de’ trivii e del popolo dilegui.
169. Già il dolce amico tuo nel cor commosso,
170. E non senza versar 1167qualche di pianto
171. Tenera stilla1168 il tuo bel nome or legge,
172. Seco dicendo: "oh ignoto al duro vulgo
173. Sollievo almo de’ mali! Oh sol concesso
174. Facil commercio a noi alme sublimi
175. E d’affetti e di cure! Or venga il giorno
176. Che sì grate alternar nobili veci
177. A me sia dato!1169" Tale sbadigliando
178. Si lascia da la man lenta cadere
179. L’amata carta; e te la carta 1170e il nome
180. Soavemente in grembo al sonno oblia.
181. Tu fra tanto 1171colà rapido il corso
1161
l’augel che i fulmini ministra = perifrasi per indicare
l’aquila
1162
timpani e vessilli e lance e spade, / E là scettri e collane e
manti e velli = enumerazione e polisindeto
1163
argutamente = con arguzia. Allude al concettismo
seicentesco che ebbe un ampio terreno su cui sbizzarrirsi
nell’immaginare emblemi
1164
nuncj = latinismo
1165
tessera beata = metonimia per indicare il biglietto da
visita, reso beato dal nome che porta
1166
Ratto su l’orme … ratto = iterazione
1167
E non senza versar = litote
1168
qualche di pianto / Tenera stilla = iperbato
1169
oh ignoto … Oh sol … Or venga … dato = invocazione e
iterazione
1170
L’amata carta; e te la carta = iterazione e metonimia
182. Declinando intraprendi ove la dama
183. Co’ labbri desiosi 1172e il premer lungo
184. Del ginocchio sollecito ti spigne
185. Ad altre opre cortesi. Ella non meno
186. All’imperio possente1173 a i cari moti
187. Dell’amistà risponde. A lei non meno1174
188. Palpita nel bel petto 1175un cor gentile1176
vv. 189 – 349 a cura di Debora Tagliatti
Abbiamo la descrizione della visita della dama
a un’amica, reduce da un attacco isterico. E’
questo il pretesto per evidenziare rapporti
umani basati sul vuoto, su una ostilità
mascherata da una falsa attenzione verso il
prossimo. Segue la visita all’amica che ha
appena partorito.
189. Che fa l’amica sua? Misera! Ieri,
190. Qual fusse la cagion, fremer fu vista
191. Tutta improvviso, ed agitar repente 1177
192. Le vaghe membra. Indomito rigore
193. Occupolle 1178le cosce; e strana forza
194. Le sospinse le braccia. Illividiro
195. I labbri onde l’Amor l’ali rinfresca 1179;
196. Enfiò la neve de la bella gola 1180;
197. E celato candor da i lini 1181 sparsi
1171
Tu fra tanto = allitterazione in “t”
labbri desiosi = metonimia
1173
non meno / … possente … risponde. = litote
1174
non meno … non meno = epifora
1175
Palpita nel bel petto = allitterazione in “p”
1176
cor gentile = allusione alla poetica del Dolce stil nuovo.
Cfr. Guinizzelli “Al cor gentil rempaira sempre Amore”
1177
fremer … improvviso, ed agitar repente = allitterazione in
“r”
1178
Occupolle = enclisi pronominale
1179
Amor l’ali rinfresca = personificazione e metafora
1180
la neve de la bella gola = metafora
1172
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198. Effuso rivelossi 1182a gli occhi altrui.
199. Gli Amori1183 si schermiron con la benda;
200. E indietro rifuggironsi le Grazie1184.
201. In vano il cavaliere, in van lo sposo
202. Tentò frenarla, in van1185 le damigelle
203. Che su lo sposo e il cavaliere e lei
204. Scorrean col guardo; e poi 1186 ristrette insieme
205. Malignamente1187 sorrideansi in volto.
206. Ella truce guatando curvò in arco
207. Duro e feroce le gentili schiene1188
208. Scalpitò col bel piede; e ripercosse
209. La mille volte 1189ribaciata1190 mano
210. Del tavolier ne le pugnenti sponde1191.
211. Livida pesta scapigliata 1192e scinta
212. Al fin stancò tutte le forze; e cadde
213. Insopportabil pondo 1193 sopra il letto.
214. Nè fra l’intime stanze o fra le chiuse
215. Gemine porte1194 il prezioso evento
216. Tacque ignoto molt’ore. Ivi la Fama 1195
1181
lini = metonimia
rivelossi = enclisi pronominale
1183
Amori = personificazione
1184
Grazie = personificazione. Le Grazie o Cariti erano figlie
di Zeus ed Eurimone e incarnavano i valori della grazia e
della bellezza; per questo era consueta la loro presenza nel
seguito di Afrodite
1185
In vano il cavalier, in van lo sposo … in van le damigelle
= iterazione
1186
e il cavaliere e lei … e poi = iterazione e polisindeto
1187
Malignamente = maliziosamente: viene messa in evidenza
la falsità e l’ipocrisia dei rapporti umani all’interno del mondo
nobiliare
1188
le gentili schiene = plurale poetico
1189
mille volte = iperbole
1190
ripercosse … ribaciata = ri – prefisso iterativo
1191
Del tavolier ne le pugnenti sponde = iperbato
1192
Livida pesta scapigliata = asindeto
1193
pondo = latinismo
1194
chiuse / Gemine porte = enjambement e latinismo
1195
Fama = personificazione. Era rappresentata come una
giovane donna con cento occhi e molti orecchi. Corrispondeva
alla greca Ossa
1182
217. Con uno il colse de’ cent’occhi suoi;
218. E il bel pegno rapito 1196uscì portando
219. Fra le adulte1197 matrone, a cui segreto
220. Dispetto1198 fanno i pargoletti amori,
221. Che da la maestà de gli otto lustri 1199
222. Fuggon volando a più scherzosi nidi1200.
223. Una è fra lor che gli altrui nodi or cela
224. Comoda e strigne; or d’ispida virtude
225. Arma suoi detti1201; e furibonda in volto
226. E infiammata ne gli occhi alto declama
227. Interpreta ingrandisce1202 i sagri arcani
228. De gli amorosi gabinetti; e a un tempo
229. Odiata e desiata 1203eccita il riso
230. Or co’ proprj misterj or 1204 con gli altrui.
231. La vide la notò, sorrise alquanto
232. La volatile dea1205, disse: tu sola
233. Sai vincere il clamor de la mia tromba.
234. Disse, e in lei si mutò. Prese il ventaglio,
235. Prese1206 le tabacchiere, il cocchio ascese;
236. E là venne trottando ove de’ grandi
237. È il consesso più folto. In un momento
238. Lo sbadigliar s’arresta. In un momento1207
239. Tutti gli occhi e gli orecchi e tutti i labbri 1208
1196
bel pegno rapito = metafora
adulte = mature: latinismo o eufemismo
1198
segreto / Dispetto = enjambement
1199
otto lustri = perifrasi per indicare i quaranta anni
1200
Fuggon volando a più scherzosi nidi = metafora
1201
Una è fra lor che gli altrui nodi or cela / Comoda e strigne;
or d’ispida virtude / Arma suoi detti = questi versi contengono
una perifrasi per indicare la dama che funge da mezzana;
un’iterazione di or; un’antitesi (cela / Comoda … d’ispida
virtude / Arma); una metafora (Arma suoi detti)
1202
declama / Interpreta ingrandisce = climax e allitterazione
in “i”
1203
Odiata e desiata = antitesi
1204
Or … or = iterazione
1205
La volatile dea = perifrasi per indicare la fama
1206
Prese … Prese = iterazione
1207
In un momento … In un momento = epifora
1208
Tutti gli occhi e gli orecchi e tutti i labbri = iterazione di
tutti; allitterazione in “chi”
1197
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240. Si raccolgono in lei: ed ella 1209al fine,
241. E ansando e percotendosi 1210con ambe
242. Le mani1211 le ginocchia, il fatto espone
243. E del fatto1212 le origini riposte.
244. Riser le dame allor pronte domane 1213
245. A fortuna simil, se mai le vaghe
246. Lor fantasie commoverà negato
247. Da i mariti compenso a un gioco avverso 1214,
248. O in faccia a lor per deità maggiore 1215
249. Negligenza d’amante, o al can diletto
250. Nata subita tosse: e rise ancora
251. La tua dama con elle: e in cor dispose
252. Di teco visitar l’egra1216 compagna.
253. Ite al pietoso uficio, itene 1217 or dunque:
254. Ma lungo consigliar duri tra voi
255. Pria che a la meta il vostro cocchio arrive.
256. Se visitar, non già veder l’amica
257. Forse a voi piace, tacita a le porte
258. La volubile rota il corso arresti 1218:
259. E il giovanetto messagger salendo
260. Per le scale sublimi 1219a lei v’annunzj
261. Si che voi non volenti ella non voglia1220.
262. Ma, se vaghezza poi ambo vi prende
263. Di spiar chi sia seco1221, e di turbarle
264. L’anima un poco, e ricercarle in volto
265. De’ suoi casi la serie, il cocchio allora
266. Entri: e improvviso ne rimbombi e frema 1222
267. L’atrio superbo. Egual piacere inonda 1223
268. Sempre il cor de le belle o che opportune
269. O giungano importune1224 alle lor pari.
270. Già le fervide amiche 1225ad incontrarse
271. Volano1226 impazienti; un petto all’altro
272. Già premonsi abbracciando; alto le gote
273. D’alterni baci risonar già fanno;
274. Già1227 strette per la man co’ dotti fianchi 1228
275. Ad un tempo amendue cadono a piombo 1229
276. Sopra il sofà. Qui l’una un sottil motto
277. Vibra al cor 1230dell’amica; e a i casi allude
278. Che la Fama narrò: quella repente
279. Con un altro l’assale. Una nel viso
280. Di bell’ire s’infiamma1231: e l’altra i vaghi
281. Labbri1232 un poco si morde: e cresce in tanto
282. E quinci ognor più violento e quindi1233
283. Il trepido agitar de i duo ventagli.
284. Così, se mai al secol di Turpino 1234
285. Di ferrate guerriere un paro illustre
286. Si scontravan per via, ciascuna ambiva
287. L’altra provar quel che valesse in arme1235;
288. E dopo le accoglienze oneste e belle
289. Abbassavan lor lance e co’ cavalli
290. Urtavansi 1236feroci; indi infocate
1222
1209
in lei: ed ella = poliptoto
1210
E ansando e percotendosi = iterazione, allitterazione in
“nd”
1211
ambe / Le mani = enjambement
1212
fatto … fatto = iterazione
1213
Riser le dame allor pronte domane = allitterazione in “r” e
in “d”
1214
negato / Da i mariti compenso a un gioco avverso =
iperbato
1215
deità maggiore = metafora
1216
egra = latinismo
1217
Ite … itene = iterazione
1218
tacita … il corso arresti = metafora
1219
scale sublimi = allitterazione in “s”
1220
voi non volenti ella non voglia = allitterazione e poliptoto
1221
spiar chi sia seco = allitterazione in “s”
rimbombi e frema = onomatopea
piacere inonda = metafora
1224
opportune … importune = antitesi
1225
fervide amiche = in senso ironico
1226
Volano = metafora iperbolica
1227
Già …Già … Già = anafora (vv. 270,272,274)
1228
dotti fianchi = metonimia
1229
cadono a piombo = metafora ironica
1230
Vibra al cor = metafora ironica
1231
Di bell’ire s’infiamma = metafora e metonimia
1232
vaghi / Labbri = enjambement
1233
quinci … quindi = antitesi
1234
Turpino = arcivescovo di Reims, personaggio della corte
di Carlo Magno
1235
Così … ciascuna ambiva / L’altra provar … arme =
similitudine
1236
Urtavansi = enclisi pronominale
1223
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291. Di magnanima stizza 1237i gran tronconi
292. Gittavan via de lo spezzato cerro 1238,
293. E correan con le destre a gli elsi enormi.
294. Ma di lontan per l’alta selva fiera
295. Un messagger con clamoroso suono
296. Venir s’udiva galoppando; e l’una
297. Richiamare a re Carlo, o al campo l’altra
298. Del giovane Agramante1239. Osa tu pure
299. Osa1240 invitto garzone il ciuffo e i ricci
300. Si ben finti stamane all’urto esporre
301. De’ ventagli sdegnati1241: e a nuove imprese
302. La tua bella invitando, i casi estremi
303. De la pericolosa ira sospendi 1242.
304. Oh solenne a la patria oh 1243all’orbe intero
305. Giorno fausto e beato al fin sorgesti
306. Di non più visto in ciel roseo splendore
307. A sparger l’orizzonte. Ecco la sposa
308. Di Ramni eccelsi 1244l’inclit’alvo1245 al fine
309. Sgravò di maschia desiata prole
310. La prima volta1246. Da le lucid’aure
311. Fu il nobile vagito accolto a pena,
312. Che cento messi a precipizio usciro
313. Con le gambe pesanti 1247e lo spron duro
314. Stimolando i cavalli, e il gran convesso
315. Dell’etere sonoro alto ferendo
316. Di scutiche e di corni1248: e qual si sparse
317. Per le cittadi popolose, e diede
318. A i famosi congiunti il lieto annunzio:
319. E qual 1249per monti a stento rampicando
320. Trovò le rocche e le cadenti mura
321. De’ prischi1250 feudi ove la polve e l’ombra
322. Abita e il gufo; e i rugginosi ferri1251
323. Sopra le rote mal sedenti al giorno
324. Di novo espose, e fe’ scoppiarne il tuono;
325. E i gioghi de’ vassalli e le vallèe1252
326. Ampie e le marche1253 del gran caso empièo.
327. Nè le Muse devote, onde gran plauso
328. Venne l’altr’anno a gl’imenei felici,
329. Già si tacquero1254 al parto. Anzi, qual suole
330. Là su la notte dell’ardente agosto
331. Turba di grilli, e più lontano ancora
332. Innumerabil popolo di rane
333. Sparger d’alto frastuono i prati e i laghi,
334. Mentre cadon su lor fendendo il buio
335. Lucide strisce1255, e le paludi accende
336. Fiamma improvvisa 1256che lambisce e vola;
337. Tal1257 sorsero i cantori a schiera a schiera 1258;
338. E tal piovve su lor foco febèo 1259,
339. Che di motti ventosi alta compaggine1260
1237
infocate / Di magnanima stizza = metafora ed ossimoro
i gran tronconi / Gittavan via de lo spezzato cerro =
iperbato e metonimia
1239
e l’una / Richiamare a re Carlo, o al campo l’altra / Del
giovane Agramante = richiamo a episodi e personaggi
dell’Orlando furioso
1240
Osa … Osa = iterazione
1241
ventagli sdegnati = metonimia
1242
i casi estremi / De la pericolosa ira sospendi = iperbato
1243
Oh … oh = invocazione e iterazione
1244
Ramni eccelsi = aristocratici di antichissima nobiltà. I
Ramni (o Ramnes) erano una delle tre tribù originarie
dell’antica Roma (le altre due erano costituite dai Tities e dai
Luceres)
1245
inclit’alvo = latinismo per nobile ventre
1246
Sgravò di maschia desiata prole / La prima volta = si
allude al parto
1247
gambe pesanti = pesanti a causa degli stivali
1238
1248
e il gran convesso / Dell’etere sonoro alto ferendo / Di
scutiche e di corni = metafora per indicare l’annunzio del lieto
evento
1249
e qual … E qual = iterazione
1250
prischi = latinismo
1251
i rugginosi ferri = metonimia
1252
vassalli e le vallèe = allitterazione in “v” e in “l”
1253
le marche = le regioni poste ai confini
1254
Né le Muse … si tacquero = litote
1255
Lucide strisce = metonimia per stelle cadenti
1256
Fiamma improvvisa = i fuochi fatui
1257
qual suole / Là su la notte … Tal = ampia similitudine in
cui il primo termine è costituito da grilli e rane ai quali
vengono paragonati i cantori del lieto evento (il parto). È
evidente il distanziamento ironico dell’io narrante.
1258
a schiera a schiera = ripetizione
1259
foco febèo = allitterazione e metafora
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340. Fe’ dividere in righe, o in simil suono1261
341. Uscir pomposamente. Altri scoperse
342. In que’ vagiti Alcide1262, altri d’Italia
343. Il soccorso promise, altri 1263 a Bizanzio
344. Minacciò lo sterminio. A tal clamore
345. Non ardi la mia Musa1264 unir sue voci:
346. Ma del parto divino al molle orecchio 1265
347. Appressò non veduta; e molto in poco
348. Strinse dicendo: "Tu sarai simile
349. Al tuo gran genitore1266
LA NOTTE
A CURA DI SARA BAZZIGALUPPI
Dell’opera “La Notte” rimangono poco meno di
700 versi, oltre ad un cospicuo numero di
frammenti più o meno lunghi, che sarebbero
stati collocati al loro posto in una successiva
elaborazione. Dopo aver invocato la Notte,
perché aiuti il poeta a guidare il “Giovin
signore” anche in questa ultima parte del
giorno, Parini presenta la Notte come una
1260
Che di motti ventosi alta compaggine = metafora e
iperbato; si noti l’endecasillabo sdrucciolo
1261
simil suono = allitterazione in “s”
1262
Alcide = appellativo di Eracle, figlio di Alcmena e nipote
di Alceo
1263
Altri … altri … altri = iterazione
1264
Musa = metonimia per poesia
1265
molle orecchio = sinestesia
1266
Al tuo gran genitore = emistichio settenario. – si nota la
pungente ironia dell’io narrante
figura inquietante, segnata dalla minaccia e
dall’ignoto. Segue poi un’antitesi tra la notte
come momento di riposo dei vecchi nobili,
affaticati dalle commissioni quotidiane, e la
notte come momento di piacere dei giovani
nobili, con balli e feste. Dopo il timore che il
“Giovin signore” abbia avuto un incidente,
scontrandosi con un’altra carrozza, il poeta lo
ritrova beatamente sdraiato a godersi il fresco
con la sua dama. Si recano insieme ad un
grande ricevimento notturno, dove nella sala
più lussuosa del palazzo c’è la <<Matrona>>
seduta sul “canapè”. Questo particolare divano
–secondo la tradizione mitologica- fu inventato
da Amore per consentire, in un angolo buio, la
complicità degli amanti. Il giovane nobile
passeggia tra i suoi pari, in una rassegna che
è nota come <<la sfilata degli imbecilli>> ed è
questo il momento culminante del grande
ricevimento notturno. Nel palazzo, dove il
“Giovin signore” è ospite, è descritta una folla
di persone deformate (anche fisicamente) dalla
vanità, dai vizi e dai <<valori distorti>> della
propria vita. Ognuno è dedito ad un
“passatempo”, ad una mania, in cui si
concentra tutta la sua personalità. Ad esempio,
uno sa fare schioccare la frusta, uno suona la
cornetta, un altro si dà al gioco, un altro pensa
ai cavalli… Infine abbiamo la padrona di casa,
che mostra la propria abilità nel disporre i
tavoli e gli ospiti: gli amanti del gioco delle
carte in un tavolo, le dame rivali l’una di fronte
all’altra, in modo tale che gli altri possano
sentire i loro battibecchi, i nuovi amori in
posizione privilegiata…
71
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vv. 1 – 224 a cura di Federica Tedeschi
E’ la parte più cupa e tetra del poema,
soprattutto quando l’autore fa riferimento alle
ombre terribili, alle alte torri disseminate di
teschi e agli uccelli tipicamente notturni, come
le upupe, i gufi e agli animali che non amano la
luce del sole. Parini parla di fantasmi
nell’oscurità, fino ad arrivare a citare l’Amore,
Venere e le altre divinità che corrono nella
notte. Il poeta parla poi dello scontro fra la
carrozza del suo Giovin signore con un’altra:
questo sarà motivo per far parlare il mondo di
lui. L’ultima parte è dedicata al rapporto del
Giovin signore con la sua dama, citando
Amore, testimone del desiderio adultero. Vi è
anche un riferimento al gioco, passione di
molta gente per dimenticare le delusioni
d’amore.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Nè tu contenderai benigna Notte1267,
Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi
Con gli estremi precetti entro al tuo regno.
Già di tenebre involta e di perigli,
Sola squallida1268 mesta alto sedevi1269
Su1270 la timida terra1271. Il debil raggio
De le stelle remote e de' pianeti,
Che nel silenzio camminando vanno1272,
Rompea gli orrori tuoi 1273sol quanto è duopo
1267
Né tu … Notte = personificazione e apostrofe
squallida = latinismo
1269
Sola squallida mesta alto sedevi = allitterazione in “s”
1268
1270
sedevi / su = enjambement
timida terra = allitterazione in “t”
1272
camminando vanno = metafora
1273
orrori tuoi = metonimia
1271
10.
11.
12.
13.
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17.
18.
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27.
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31.
32.
33.
34.
35.
A sentirli assai più. Terribil ombra
Giganteggiando si vedea salire
Su1274 per le case e su per l'alte torri
Di teschi antiqui seminate al piede.
E upupe e gufi e mostri 1275avversi al sole
Svolazzavan per essa; e con ferali
Stridi1276 portavan miserandi augurj.
E lievi dal terreno e smorte fiamme
Sorgeano in tanto; e quelle smorte fiamme1277
Di su di giù vagavano per l'aere
Orribilmente tacito ed opaco;
E al sospettoso adultero, che lento
Col cappel su le ciglia e tutto avvolto
Entro al manto sen gìa con l'armi ascose,
Colpieno il core, e lo strignean d'affanno1278.
E fama è ancor che pallide fantasime1279
Lungo le mura de i deserti tetti1280
Spargean lungo acutissimo lamento,
Cui di lontano per lo vasto buio
I cani rispondevano ululando1281.
Tal fusti o Notte1282 allor che gl'inclit'avi,
Onde pur sempre il mio garzon si vanta,
Eran duri ed alpestri 1283; e con l'occaso1284
Cadean dopo lor cene al sonno in preda;
Fin che l'aurora sbadigliante1285 ancora1286
Li richiamasse a vigilar 1287su l'opre
1274
salire / Su = allitterazione e enjambement
E upupe e gufi e mostri = iterazione e allitterazione in “u”
– le upupe sono ritenute erroneamente uccelli notturni
1276
ferali / Stridi = enjambement
1277
e smorte fiamme … e quelle smorte fiamme = epifora
1278
strignean d'affanno = metafora
1279
E fama è ancor che pallide fantasime = endecasillabo
sdrucciolo
1280
deserti tetti = sineddoche
1281
lungo acutissimo … Cui … buio … ululando =
allitterazione in “u”
1282
Notte = personificazione
1283
alpestri = rozzi (metafora)
1284
occaso = latinismo (tramonto)
1285
sbadigliante = ipallage
1286
… l'aurora … ancora = rima interna
1275
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51.
52.
53.
54.
1287
Dei per novo cammin guidati rivi1288
E su i campi nascenti; onde poi grandi
Furo i nipoti e le cittadi e i regni 1289.
Ma ecco Amore1290, ecco la madre Venere 1291,
Ecco del gioco, ecco 1292 del fasto i Genj1293,
Che trionfanti per la notte scorrono 1294,
Per la notte1295, che sacra è al mio signore
Tutto davanti a lor tutto1296 s'irradia
Di nova luce. Le inimiche tenebre
Fuggono1297 riversate; e l'ali spandono1298
Sopra i covili, ove le fere e gli uomini
Da la fatica condannati dormono.
Stupefatta la Notte 1299intorno vedesi1300
Riverberar più che dinanzi al sole
Auree cornici, e di cristalli e spegli
Pareti adorne, e vesti varie, e bianchi
Omeri1301 e braccia, e pupillette mobili,
E tabacchiere preziose, e fulgide
Fibbie1302 ed anella e mille cose e mille 1303.
a vigilar = metafora
a vigilar su l'opre / Dei per novo cammin guidati rivi =
enjambement e iperbato
1289
i nipoti e le cittadi e i regni = climax e polisindeto
1290
Amore = personificazione
1291
Venere = dea dell’amore
1292
ecco … ecco … Ecco … ecco = iterazione
1293
Genj = personificazione
1294
Che trionfanti per la notte scorrono = endecasillabo
sdrucciolo
1295
per la notte … Per la notte = iterazione
1296
Tutto … tutto = iterazione
1297
tenebre / Fuggono = enjambement e metafora
1298
l'ali spandono = metafora
1299
Stupefatta la Notte = allitterazione in “t”
1300
Di nova luce. Le inimiche tenebre / Fuggono riversate; e
l'ali spandono / Sopra i covili, ove le fere e gli uomini / Da la
fatica condannati dormono. / Stupefatta la Notte intorno
vedesi = si noti la sequenza dei cinque endecasillabi sdruccioli
1301
bianchi / Omeri = enjambement
1302
fulgide / Fibbie = allitterazione e enjambement
1303
e di cristalli e spegli / Pareti adorne, e vesti varie, e
bianchi / Omeri e braccia, e pupillette mobili, / E tabacchiere
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Cosi l'eterno caos, allor che Amore 1304
Sopra posovvi e il fomentò con l'ale 1305,
Sentì il generator moto crearsi,
Sentì1306 schiuder la luce; e sè medesmo
Vide meravigliando e i tanti aprirsi
Tesori di natura1307 entro al suo grembo.
O de' miei studj glorioso alunno1308,
Tu seconda me dunque, or ch'io t'invito
Glorie novelle ad acquistar là dove
O la veglia frequente o1309 l'ampia scena
I grandi eguali tuoi, degna de gli avi
E de i titoli loro e di lor sorte
E de i pubblici voti, ultima cura
Dopo le tavolette 1310 e dopo i prandj 1311
E dopo 1312 i corsi clamorosi occùpa.
Or dove ahi dove senza me t'aggiri
Lasso! 1313da poi che in compagnia del sole
T'involasti pur dianzi a gli occhi miei?
Qual palagio ti accoglie; o qual ti copre
Da i nocenti vapor ch'Espero 1314 mena
Tetto arcano e solingo1315; o di qual1316 via
1288
preziose, e fulgide / Fibbie ed anella e mille cose e mille = in
questi versi notiamo l’iterazione della “e”, che costituisce
anche un polisindeto; il ritmo, inoltre, viene rallentato, grazie
all’enumerazione degli oggetti. – si noti l’iperbole <<mille
cose e mille>>
1304
Amore = personificazione
1305
fomentò con l'ale = metafora
1306
Sentì … Sentì = anafora
1307
e i tanti aprirsi / Tesori di natura = iperbato
1308
O de' miei studj glorioso alunno = apostrofe
1309
O … o = iperbato
1310
tavolette = calco semantico dal Francese toilette
1311
prandj = latinismo
1312
E de i titoli … e di lor … E de i pubblici … e dopo … E
dopo = iterazione e anafora
1313
Or dove ahi dove senza me t'aggiri
Lasso! = apostrofe ed intervento dell’io narrante
1314
Espero = la stella della sera (personificazione)
1315
o qual ti copre … tetto arcano e solingo = iperbato. Si
tratta di una casa misteriosa e solitaria, sede di appuntamenti
clandestini
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76. L'ombre ignoto trascorri, ove la plebe
77. Affrettando tenton s'urta e confonde
78. Ahimè, tolgalo il ciel1317, forse il tuo cocchio,
79. Ove il varco è più angusto, il cocchio altrui
80. Incontrò violento: e qual dei duo
81. Retroceder convegna; e qual1318 star forte,
82. Dispùtano gli aurighi alto gridando.
83. Sdegna invitto garzon sdegna1319 d'alzare
84. Fra il rauco suon di Stèntori1320 plebei
85. Tu' amabil voce; e taciturno aspetta,
86. Sia che a l'un piaccia rovesciar dal carro
87. Lo suo rivale; o rovesciato1321 anch'esso
88. Perigliar tra le rote; e te per l'alto
89. De lo infranto cristal mandar carpone.
90. Ma l'avverso cocchier d'un picciol urto
91. Pago sen fugge o d'un resister breve:
92. Al fin libero andrai. Tu non pertanto
93. Doman chiedi vendetta; alto sonare
94. Fa il sacrilego fatto; osa pretendi 1322,
95. E i tribunali minimi e i supremi
96. Sconvolgi agita assorda1323: il mondo s'empia
97. Del grave caso; e per un anno almeno
98. Parli di te, de' tuoi corsier, del cocchio
99. E del cocchiere 1324. Di sì fatte cose
100. Voi progenie d'eroi famosi 1325 andate
101. Ne le bocche de gli uomini gran tempo.
102. Forse ciarlier fastidioso indugia
103. Te con la dama tua nel vuoto corso.
104. Forse1326 a nova con lei gara d'ingegno
105. Tu mal cauto venisti: e già la bella
106. Teco1327 del lungo repugnar s'adira;
107. Già la man, che tu baci arretra, e tenta
108. Liberar da la tua; e già 1328 minaccia
109. Ricovrarsi al suo tetto1329, e quivi sola
110. Involarse ad ognuno in fin che il sonno1330
111. Venga pietoso a tranquillar suoi sdegni.
112. Tu in van chiedi mercè; di mente in vano
113. Tu1331 a lei te stesso sconsigliata incolpi:
114. Ella niega placarse. Il cocchio freme
115. Dell'alterno clamore; e il cocchio 1332 in tanto
116. Giace immobil fra l'ombra: e voi sue care
117. Gemme1333 il bel mondo impaziente aspetta.
118. Ode il cocchiere al fin d'ambe le voci
119. Un comando indistinto; e bestemmiando
120. Sferza i corsieri; e via precipitando
121. Ambo vi porta: e mal sa dove ancora.
122. Folle! Di che temei? Sperdano i venti
123. Ogni augurio infelice. Ora il mio eroe
124. Fra l'amico tacer del vuoto corso
125. Lieto si sta la fresca 1334ora godendo
126. Che dal monte lontan spira e consola.
127. Siede al fianco di lui lieta non meno1335
128. L'altrui cara consorte. Amor 1336 nasconde
129. La incauta face1337; e il fiero dardo alzando 1338
130. Allontana i maligni. O nume invitto1339,
131. Non sospettar di me; ch'io già non vegno
1326
Forse … Forse = anafora
Tu … Teco =poliptoto
1328
Già … già = iterazione
1329
tetto = sineddoche
1330
sonno = personificazione
1331
Tu … Tu = anafora
1332
Il cocchio … il cocchio = iterazione
1333
care / Gemme = enjambement e metafora
1334
si sta la fresca = allitterazione in “s”
1335
lieta non meno = litote
1336
Amor = personificazione
1337
La incauta face = metafora
1338
e il fiero dardo alzando = iperbato e metafora
1339
O nume invitto = invocazione e perifrasi per indicare
l’amore
1327
1316
Qual palagio … qual ti copre … qual via = iterazione
tolgalo il ciel = allitterazione in “l”
1318
e qual de i duo … e qual = iterazione
1319
Sdegna … sdegna = iterazione
1320
Stentori = Stentore era un auriga, personaggio dell’Iliade,
dotato di una voce potentissima. Qui sta per i cocchieri, che
schiamazzano rumorosamente
1321
rovesciar … rovesciato = poliptoto
1322
sonare / Fa … osa pretendi = climax
1323
Sconvolgi agita assorda = climax ascendente asindetico
1324
de' tuoi corsier, del cocchio / E del cocchiere =
enumerazione, allitterazione in “c” e figura etimologica
1325
progenie d'eroi famosi = ironia
1317
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132. Invido esplorator, ma fido amico
133. De la coppia beata, a cui tu vegli.
134. E tu signor tronca gl'indugi1340. Assai
135. Fur gioconde quest'ombre, allor che prima
136. Nacque il vago desio, che te congiunse
137. All'altrui cara sposa or son due lune 1341.
138. Ecco il tedio a la fin serpe tra i vostri
139. Così lunghi ritiri1342: e tempo è ormai
140. Che in più degno di te pubblico agone
141. Splendano i genj tuoi1343. Mira la Notte1344,
142. Che col carro stellato alta sen vola
143. Per l'eterea campagna 1345; e a te col dito
144. Mostra Tèseo nel ciel, mostra Polluce,
145. Mostra1346 Bacco ed Alcide 1347 e gli altri egregi,
146. Che per mille d'onore ardenti prove 1348
147. Colà fra gli astri a sfolgorar saliro 1349.
148. Svegliati a i grandi esempi; e meco affretta.
149. Loco è, ben sai, ne la città famoso,
150. Che splendida matrona apre al notturno
151. Concilio de' tuoi pari 1350, a cui la vita
152. Fora senza di ciò mal grata e vile.
153. Ivi le belle, e di feconda prole
154. Inclite madri 1351ad obliar sen vanno
155. Fra la sorte del gioco i tristi eventi
156. De la sorte1352 d'amore, onde fu il giorno
1340
tronca gl'indugi = metafora
or son due lune = perifrasi e metonimia per indicare due
mesi fa
1342
il tedio a la fin serpe tra i vostri / Così lunghi ritiri =
enjambement e metafora
1343
Che in più degno di te pubblico agone / Splendano i genj
tuoi = iperbato
1344
Notte = personificazione
1345
l'eterea campagna = metafora
1346
Mostra … Mostra = anafora
1347
Tèseo … Polluce … Bacco … Alcide = divinità e
personaggi mitologici trasformati in altrettante costellazioni
1348
per mille d'onore ardenti prove = iperbole
1349
astri a sfolgorar saliro = allitterazione in “s”
1350
notturno / Concilio de' tuoi pari = enjambement e perifrasi
1351
le belle, e di feconda prole / Inclite madri = perifrasi per
indicare le nonne
1341
157. Agitato e sconvolto. Ivi le grandi
158. Avole auguste1353 e i genitor leggiadri
159. De' già celebri eroi il senso e l'onta
160. Volgon de gli anni a rintuzzar fra l'ire
161. Magnanime1354 del gioco. Ivi la turba
162. De la feroce gioventù divina1355
163. Scende a pugnar1356 con le mutabil'arme
164. Di vaghi giubboncei, d'atti vezzosi,
165. Di bei modi 1357 del dir1358 stamane appresi;
166. Mentre la vanità fra il dubbio marte 1359
167. Nobil furor ne' forti petti inspira 1360;
168. E con vario destin dando e togliendo
169. La combattuta palma 1361alto abbandona
170. I leggeri vessilli all'aure in preda.
171. Ecco che già di cento faci e cento 1362
172. Gran palazzo rifulge. Multiforme
173. Popol di servi 1363 baldanzosamente
174. Sale scende s'aggira1364. Urto e fragore
175. Di rote di flagelli e di 1365 cavalli1366
176. Che vengono che vanno, e stridi e fischi1367
177. Di gente, che domandan che rispondono 1368,
178. Assordan l'aria all'alte mura intorno.
1352
sorte …sorte = iterazione
Ivi le grandi / Avole auguste = enjambement e
allitterazione
1354
ire / Magnanime = enjambement e ossimoro
1355
feroce gioventù divina = ironia
1356
pugnar = latinismo
1357
Di vaghi … Di bei modi = anafora
1358
Di bei modi / Del dir = allitterazione in “d”
1359
marte = antonomasia e metafora
1360
furor ne' forti petti inspira = allitterazione in “r” (Petti è
metonimia)
1361
combattuta palma = metonimia
1362
cento faci e cento = iperbole
1363
Multiforme / Popol di servi = enjambement
1364
Sale scende s'aggira = allitterazione in “s” e asindeto
1365
Di … di … di = iterazione
1366
flagelli … cavalli = allitterazione in “l”
1367
e stridi e fischi = allitterazione in “i” e polisindeto
1368
Che vengono … che vanno … che domandan … che
rispondono = iterazione
1353
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179. Tutto è strepito e luce. O tu, che porti 1369
180. La dama e il cavalier dolci mie cure,
181. Primo di carri guidator, qua volgi;
182. E fra il denso di rote arduo cammino 1370
183. Con Olimpica man splendi1371; e d'un corso
184. Subentrando i grand'atrj, a dietro 1372 lascia
185. Qual pria le porte ad occupar tendea.
186. Quasi a propria virtù plauda al gran fatto
187. Il generoso eroe: plauda 1373 la bella,
188. Che con l'agil pensier scorre gli aurighi
189. De le dive rivali; e novi al petto
190. Sente nascer per te teneri orgogli.
191. Ma il bel carro s'arresta: e a te signore,
192. A te1374 prima di lei sceso d'un salto,
193. Affidata la dea, lieve balzando,
194. Col sonante calcagno il suol percote 1375.
195. Largo dinanzi a voi fiammeggi e grondi,
196. Sopra l'ara de' numi ad arder nato,
197. Il tesoro dell'api 1376: e a lei da tergo
198. Pronta di servi mano a terra proni 1377
199. Lo smisurato lembo alto sospenda:
200. Somma felicità, che lei separa
201. Da le ricche viventi1378, a cui per anco,
202. Misere! sopra il suol l'estrema veste
203. Sibila per la polvere strisciando 1379.
204. Ahi, se fresco sdegnuzzo 1380i vostri petti
205. Dianzi forse agitò, tu chino e grave
206. A lei porgi la destra; e seco innoltra,
207. Quale ibèro amador 1381quando, raccolta
208. Dall'un lato la cappa, contegnoso
209. Guida l'amanza1382 a diportarsi al vallo,
210. Dove il tauro1383, abbassando i corni irati 1384,
211. Spinge gli uomini in alto; o gemer s'ode
212. Crepitante Giudeo per entro al foco 1385.
213. Ma no; chè l'amorosa onda 1386pacata
214. Oggi siede per voi: e quanto è duopo
215. A vagarvi il piacer solo la increspa
216. Una lieve aleggiando aura soave1387.
217. Snello adunque e vivace offri a la bella
218. Mollemente piegato il destro braccio
219. Ella la manca v'inserisca. Premi
220. Tu col gomito un poco. Anch'ella un poco 1388
221. Ti1389 risponda premendo; e a la tua lena
222. Dolce peso 1390a portar tutta si doni,
223. Mentre a piccioli salti ambo affrettate
224. Per le sonanti scale 1391alto celiando.
1369
1380
O tu, che porti = invocazione al cocchiere del Giovin
signore
1370
E fra il denso di rote arduo cammino = iperbato
1371
Con Olimpica man splendi = metafora
1372
Subentrando i grand'atrj, a dietro = allitterazione in “t” e
in “r”
1373
plauda … plauda = iterazione
1374
a te, signore, / A te = iterazione e anafora
1375
Col sonante calcagno il suol percote = allitterazione in “c”
1376
Il tesoro dell'api = perifrasi per indicare i ceri
1377
Pronta di servi mano a terra proni = iperbato
1378
le ricche viventi = le ricche non aristocratiche che non
avevano diritto al vestito con strascico
1379
Misere! sopra il suol l'estrema veste / Sibila per la polvere
strisciando = allitterazione in “s” con la quale Parini ha
cercato di rendere l’intimo disprezzo della dama
se fresco sdegnuzzo = allitterazione in “s”
Quale ibèro amador = similitudine. Si tratta di un amante
spagnolo: la scena offre un esempio di quelli che il Russo ha
definito gli <<idoli epici>>, di origine esotica del Parini
1382
amanza = provenzalismo
1383
tauro = latinismo
1384
i corni irati = metonimia
1385
Crepitante Giudeo per entro al foco = allusione agli auto –
da – fé in cui gli Ebrei venivano condannati al rogo
dall’inquisizione spagnola
1386
l'amorosa onda = metafora
1387
Una lieve aleggiando aura soave = iperbato
1388
un poco … un poco = iterazione
1389
Tu … Ti = poliptoto
1390
Dolce peso = ossimoro
1391
sonanti scale = allitterazione in “s”
1381
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vv. 225 – 464 a cura di Serena Tomaselli
La parte più importante del passo è costituita
dalla sfilata degli “imbecilli”; in essa il
pessimismo di Parini si intensifica. I nobili
personaggi che popolano i saloni si mettono in
luce per le loro sciocche manie prive di senso
(schioccare la frusta, soffiare nella tromba …).
Il passatempo più assurdo è quello di disfare
sontuosi arazzi, riducendo in fili minutissimi i
loro disegni.
225. Oh come al tuo venir gli archi e le volte
226. De' gran titoli tuoi forte rimbombano 1392!
227. Come a quel suon volubili1393 le porte
228. Cedono spalancate; ed a quel suono
229. Degna superbia in cor ti bolle 1394; e face
230. L'anima eccelsa rigonfiar 1395più vasta!
231. Entra in tal forma; e del tuo grande ingombra
232. Gli spazj fortunati. Ecco di stanze
233. Ordin lungo a voi s'apre. Altra di servi
234. Infimo gregge alberga,1396 ove tra lampi
235. Di molteplice lume acceso e spento 1397,
236. E fra sempre incostanti ombre schiamazza
237. Il sermon patrio 1398e la facezia e il riso1399
238. Dell'energica plebe. Altra di vaghi
239. Zazzerati donzelli1400 è certa sede,
1392
De' gran titoli tuoi forte rimbombano = endecasillabo
sdrucciolo
1393
volubili = latinismo (che girano con facilità)
1394
Degna superbia in cor ti bolle = metafora
1395
L'anima eccelsa rigonfiar = metafora
1396
Ecco di stanze / Ordin lungo a voi s'apre. Altra di servi /
Infimo gregge alberga, = iperbato
1397
acceso e spento = antitesi
1398
Il sermon patrio = perifrasi per indicare il dialetto
milanese
1399
e la facezia e il riso = polisindeto e iterazione
240. Ove accento stranier misto al natio1401
241. Molle susurra: e s'apparecchia in tanto
242. Copia1402 di carte e multiforme avorio 1403,
243. Arme l'uno a la pugna, indice l'altro
244. D'alti cimenti e di vittorie illustri1404.
245. Al fin più interna, e di gran luce e d'oro
246. E di ricchi tapeti 1405aula superba
247. Sta servata per voi prole de' numi 1406.
248. Io, di razza mortale ignoto vate 1407,
249. Come ardirò di penetrar fra i cori
250. De' semidei1408, ne lo cui sangue in vano
251. Gocciola impura cercheria con vetro
252. Indagator1409 colui che vide a nuoto
253. Per l'onda genitale il picciol uomo? 1410
254. Qui tra i servi m' arresto; e qui da loro
255. Nuove del mio signor virtudi ascose1411
1400
vaghi / Zazzerati donzelli = enjambement. Si tratta di
servi distinti in parrucchino (zazzerati) che preparavano carte
da gioco e gettoni d’avorio da usare nelle partite. Donzelli è
un hapax ironico
1401
Ove accento stranier misto al natio = per alcuni
commentatori significa che questi servitori erano in parte
stranieri, per altri significa che parlavano un misto di dialetto
e di Francese
1402
Copia = latinismo
1403
multiforme avorio = metonimia per gettoni
1404
Arme l'uno a la pugna, indice l'altro / D'alti cimenti e di
vittorie illustri = metafora di ambito militare: le carte sono le
armi, i gettoni sono i segni dell’andamento dela gara
1405
e di gran luce e d'oro / E di ricchi tapeti = iterazione di “e”
e climax
1406
prole de' numi = ironia
1407
di razza mortale ignoto vate = poeta sconosciuto
proveniente da stirpe plebea (ironia)
1408
Come ardirò … De’ semidei = interrogativa retorica
ironica
1409
vetro / Indagator = enjambement e metonimia per
microscopio
1410
ne lo cui sangue in vano / Gocciola impura cercheria con
vetro / Indagator colui che vide a nuoto / Per l'onda genitale il
picciol uomo? = allusione all’olandese A. Van Leuwenhoeck
(1632 – 1723) scopritore degli spermatozoi
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256. Tacito apprenderò. Ma tu sorridi
257. Invisibil Camena1412; e me rapisci
258. Invisibil1413 con te fra li negati
259. Ad ognaltro profano aditi 1414 sacri.
260. Già il mobile de' seggi ordine augusto1415
261. Sovra i tiepidi strati 1416in cerchio volge:
262. E fra quelli eminente i fianchi estende
263. Il grave canapè1417. Sola da un lato
264. La matrona del loco ivi si posa;
265. E con la man, che lungo il grembo cade
266. Lentamente il ventaglio apre e socchiude
267. Or di giugner è tempo. Ecco le snelle
268. E le gravi per molto adipe dame 1418,
269. Che a passi velocissimi s'affrettano1419
270. Nel gran consesso. I cavalieri egregi
271. Lor camminano a lato: ed elle, intorno
272. A la sede maggior vortice fatto
273. Di sè medesme, con sommessa voce
274. Brevi note bisbigliano1420; e dileguansi
275. Dissimulando fra le sedie1421 umili.
276. Un tempo il canapè nido giocondo
277. Fu di risi e di scherzi, allor che l'ombre
278. Abitar gli fu grato ed i tranquilli
279. Del palagio recessi.1422 Amor1423 primiero
280. Trovò l'opra ingegnosa. Io voglio, ei disse,
281. Dono a le amiche mie far d'un bel seggio,
282. Che tre ad un tempo 1424nel suo grembo accoglia.
283. Così, qualor de gl'importuni altronde
284. Volga la turba1425, sederan gli amanti
285. L'uno a lato dell'altro, ed io con loro.
286. Disse, percosse ambe le palme 1426; e l'ali
287. Aprì volando1427 impaziente all'opra.
288. Ecco il bel fabbro 1428lungo pian dispone
289. Di tavole contesto1429, e molli cigne1430,
290. A reggerlo vi dà vaghe colonne,
291. Che del silvestre Pane1431 i piè leggieri
292. Imitano scendendo; al dorso poi
293. V'alza patulo appoggio 1432; e il volge a i lati,
294. Come far soglion 1433flessuosi acanti1434
295. O ricche corna d'Arcade 1435 montone.
296. Indi, predando a le vaganti aurette
297. L'ali e le piume, le condensa e chiude
298. In tumido cuscin, che tutta ingombri
299. La macchina elegante1436: e al fin l'adorna
300. Di molli sete1437 e di vernici e d'oro.
1422
tranquilli / Del palagio recessi. = enjambement e iperbato
Amor = personificazione
1424
tre ad un tempo = i due amanti insieme ad Amore
1425
la turba = latinismo
1426
le palme = sineddoche
1427
l'ali / Aprì volando = metafora
1428
il bel fabbro = perifrasi per indicare Amore
1429
contesto = latinismo
1430
molli cigne = cinghie elastiche
1431
Pane = Pan, divinità dei boschi, raffigurato con piedi
caprini
1432
patulo appoggio = ampia spalliera. Patulo è latinismo. Cfr.
Virgilio Ecloghe I,1 <<Tityre tu patulae recubans sub tegmine
fagi>>
1433
Come far soglion … = similitudine
1434
flessuosi acanti = la pianta che viene riprodotta nella
decorazione del capitello corinzio
1435
Arcade = epiteto esornativo. L’Arcadia era per
antonomasia il paese pastorale
1436
La macchina elegante = perifrasi per indicare il canapè
1423
1411
Nuove del mio signor virtudi ascose = iperbato e ironia
Camena = la Musa (latinismo)
1413
Invisibil … Invisibil = anafora (vv. 257-258)
1414
aditi = stanze (latinismo)
1415
Già il mobile de' seggi ordine augusto = iperbato
1416
i tiepidi strati = i tappeti (metonimia)
1417
canapè = particolare forma di divano. – inizia l’episodio
della favola del canapè, che da una parte è una specie di mito
sull’origine divina dell’arnese elegante, dall’altra una
narrazione dolorosa della caduta dell’oggetto da nido
giocondo di risi e scherzi a triste sede di tossi e sbadigli
1418
Ecco le snelle / E le gravi per molto adipe dame = antitesi
(snelle – gravi) e latinismo (adipe)
1419
Che a passi velocissimi s'affrettano = endecasillabo
sdrucciolo
1420
Brevi note bisbigliano = allitterazione
1421
dileguansi / Dissimulando fra le sedie = allitterazione di
“d” e “s”
1412
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301. Quanto il dono d'Amor piacque a le belle!
302. Quanti1438 pensier lor balenàro in mente!
303. Tutte il chiesero a gara: ognuna il volle
304. Ne le stanze più interne: applause ognuna1439
305. A la innata energia del vago arnese1440,
306. Mal repugnante e mal1441 cedente insieme
307. Sotto ai mobili fianchi1442. Ivi sedendo
308. Si ritrasser le amiche; e da lo sguardo
309. De' maligni lontane, a i fidi orecchi
310. Si mormoràro i delicati arcani 1443.
311. Ivi la coppia de gli amanti, a lato
312. Dell'arbitra sagace1444, o i nodi strinse1445;
313. O calmò l'ira, e nuove leggi apprese.
314. Ivi sovente l'amador1446 faceto
315. Raro volume 1447all'altrui cara sposa
316. Lesse spiegando; e con sorrisi arguti
317. Fe' tra i fogli notar lepida imago 1448.
318. Il fortunato seggio 1449invidia mosse
319. De le sedie minori al popol vario:
320. E fama è che talora invidia mosse 1450
321. Anco ai talami stessi. Ah perchè mai
322. Vinto da insana ambizione uscìo
323. Fra lo immenso tumulto e fra il clamore
324. De le veglie solenni! Avvi due Genj
325. Fastidiosi e tristi1451, a cui dier vita
326. L'Ozio e la Vanità, che noti al nome
327. Di Puntiglio e di Noia1452, erran cercando
328. Gli alti palagi e le vigilie illustri1453
329. De la prole de' numi 1454. Un1455 ne le mani
330. Porta verga fatale1456, onde sospende
331. Ne' miseri percossi ogni lor voglia;
332. E di macchine al par 1457, che l'arte inventi
333. Modera l'alme a suo talento e guida:
334. L'altro piove da gli occhi atro vapore 1458;
335. E da la bocca sbadigliante esala
336. Alito lungo1459, che sembiante a i pigri
337. Soffi 1460dell'austro, si dilata e volve,
338. E d'inane torpor le menti occùpa.
339. Questa del canapè coppia infelice 1461
340. Allor prese l'imperio; e i risi e i giochi
341. Ed Amor1462 ne sospinse. Il trono è questo
342. Ove le madri de le madri eccelse 1463
1437
1451
molli cigne … vaghe colonne … flessuosi acanti … molli
sete = si noti l’aggettivazione costante in direzione del
morbido e del gentile, tipica di Parini, preciso descrittore
didascalico – sensista, ma ingentilito di grazia rococò
1438
Quanto … Quanti = poliptoto
1439
ognuna il volle … applause ognuna = chiasmo
1440
vago arnese = il canapè
1441
Mal … mal = iterazione
1442
Sotto ai mobili fianchi = si intende la resistenza elastica
del canapè che insieme cede e resiste sotto il movimento dei
corpi
1443
i delicati arcani = i segreti amorosi
1444
arbitra sagace = l’astuta mezzana
1445
i nodi strinse = metafora
1446
l'amador = spagnolismo
1447
Raro volume = latinismo per libro
1448
lepida imago = immagine licenziosa – tutta la scena ha un
tono eufemistico. Si vuole infatti far capire che l’innamorato
mostra alla dama un libro proibito dalle illustrazioni lascive
1449
Il fortunato seggio = enallage
1450
invidia mosse … invidia mosse = epifora (vv. 318 – 320)
Genj / Fastidiosi e tristi = enjambement
Ozio … Vanità … Puntiglio … Noia = personificazioni
1453
vigilie illustri = latinismo (solenni ricevimenti notturni)
1454
De la prole de' numi = iperbole ironica
1455
Un = il Puntiglio
1456
verga fatale = la bacchetta incantata
1457
E di macchine al par = similitudine – il gusto per le
macchine artificiali era di moda nel Settecento
1458
L'altro piove da gli occhi atro vapore = si intende la Noia,
che fa piovere dagli occhi uno scuro vapore. Nei versi
successivi ci sono altri particolari descrittivi che rendono la
rappresentazione psicologica della Noia: bocca sbadigliante,
alito lungo, pigri soffi, inane torpor
1459
esala / Alito lungo = allitterazione in “l”
1460
i pigri / Soffi = enjambement
1461
Questa del canapè coppia infelice = iperbato; si allude al
Puntiglio e alla Noia, che hanno preso possesso del canapè,
scacciandone Amore
1462
e i risi e i giochi / Ed Amor = polisindeto e iterazione di
“e”
1463
le madri de le madri eccelse = perifrasi per indicare le ave
1452
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343. De' primi eroi esercitan lor tosse;
344. Ove l'inclite mogli1464, a cui beata
345. Rendon la vita titoli distinti
346. Sbadigliano distinte1465. Ah, se tu sai,
347. Fuggi ratto o signor, fuggi1466 da tanto
348. Pernicioso influsso: e là fra i seggi
349. De le più miti dèe 1467, quindi remoto
350. Con l'alma gioventù scherza e t'allegra.
351. Quanta folla d'eroi! 1468Tu, che modello
352. D'ogni nobil virtù, d'ogn'atto eccelso,
353. Esser dei fra' tuoi pari, i pari tuoi 1469
354. A conoscere apprendi 1470; e in te raccogli
355. Quanto di bello e glorioso e grande
356. Sparse in cento di loro 1471 arte o natura1472.
357. Altri di lor ne la carriera illustre
358. Stampa i primi vestigi1473; altri gran parte
359. Di via già corse1474; altri1475 a la meta è giunto1476.
360. In vano il vulgo temerario a gli uni
361. Di fanciulli dà nome; e quelli adulti,
362. Questi già vegli1477 di chiamare ardisce:
363. Tutti son pari. Ognun folleggia e scherza;
364. Ognun giudica e libra1478; ognun1479 del pari
365. L'altro abbraccia e vezzeggia: in ciò soltanto
366. Non simili 1480tra lor, che ognun sua cura
367. Ha diletta fra l'altre onde più brilli.
368. Questi è1481 l'almo garzon, che con maestri
369. Da la scutica1482 sua moti di braccio 1483
370. Desta sibili egregi; e l'ore illustra
371. L'aere agitando de le sale immense,
372. Onde i prischi1484 trofei pendono e gli avi.
373. L'altro è l'eroe 1485, che da la guancia enfiata
374. E dal torto oricalco 1486a i trivj annuncia
375. Suo talento immortal, qualor dall'alto
376. De' famosi palagi emula il suono
377. Di messagger, che frettoloso arrive.
378. Quanto è vago a mirarlo allor che in veste
379. Cinto spedita1487, e con le gambe assorte
380. In amplo cuoio 1488, cavalcando ai campi
381. Rapisce il cocchio, ove la dama è assisa
382. E il marito e l'ancella e il figlio e il cane! 1489
383. Quegli or esce 1490di là dove ne' fori1491
384. Si ministran bevande ozio e novelle.
385. Ei v'andò mattutin, partinne al pranzo,
1464
l'inclite mogli = ironia
distinti … distinte = poliptoto dall’effetto comico: la
distinzione nei titoli viene messa in relazione alla distinzione
nel modo di sbadigliare
1466
Fuggi … fuggi = iterazione e parodia del registro epico
Cfr. Virgilio Eneide III, 44 <<Heu fuge crudelis terras, fuge
litus avarum>>
1467
le più miti dèe = dame più arrendevoli
1468
Quanta folla d'eroi! = inizia da questo verso quella che il
Momigliano ha definito <<l’immortale sfilata degli
imbecilli>>
1469
dei fra' tuoi pari, i pari tuoi = chiasmo
1470
A conoscere apprendi = esortazione didattica
1471
in cento di loro = iperbole
1472
Tu che modello / d’ogni nobil virtù … arte o natura =
tutto il periodo è venato da una pungente ironia
1473
Stampa i primi vestigi = metafora (vestigi è latinismo)
1474
gran parte / Di via già corse = metafora
1475
Altri … altri … altri = iterazione
1476
a la meta è giunto = metafora
1477
vegli = aulicismo Cfr. Dante Purgatorio I, 31
1465
1478
giudica e libra = endiadi
Ognun … Ognun … ognun = iterazione
1480
Non simili = litote
1481
Questi è = il primo degli imbecilli è quello che si diverte a
far schioccare la frusta con abili moti del braccio
1482
scutica = frusta
1483
maestri / Da la scutica sua moti di braccio = inversione in
enjambement
1484
prischi = latinismo (antichi)
1485
L'altro è l'eroe = il secondo imbecille ha la mania di fare il
trombettiere
1486
torto oricalco = la tromba ricurva
1487
veste / Cinto spedita = veste succinta. Enjambement e
latinismo
1488
amplo cuoio = metonimia per stivali
1489
E il marito e l'ancella e il figlio e il cane! = polisindeto ed
anticlimax
1490
Quegli or esce = il terzo imbecille è il frequentatore delle
botteghe di caffè
1491
fori = latinismo per piazze
1479
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386. Vi tornò fino a notte1492: e già sei lustri1493
387. Volgon da poi che il bel tenor di vita
388. Giovinetto intraprese. Ah chi di lui
389. Può sedendo trovar più grati sonni
390. O più lunghi sbadigli; o più fiate
391. D'atro rapè 1494 solleticar le nari;
392. O a voce1495 popolare orecchi e fede
393. Prestar più ingordo e declamar più forte?
394. Ecco che il segue 1496del figliuol di Maia
395. Il più celebre alunno1497, al cui consiglio
396. Nel gran dubbio de' casi ognaltro cede;
397. Sia che dadi versati1498, o pezzi eretti 1499,
398. O giacenti pedine1500, o brevi o grandi 1501
399. Carte1502 mescan la pugna1503. Ei sul mattino
400. Le stupide micranie o l'aspre tossi
401. Molce giocando a le canute dame.
402. Ei, già tolte le mense, i nati or ora
403. Giochi1504 a le belle declinanti insegna.
404. Ei1505 la notte raccoglie a sè dintorno
1492
Ei v'andò mattutin, partinne al pranzo, / Vi tornò fino a
notte = si richiamano le parti originarie dell’opera (Il Mattino,
Il Mezzogiorno, La Sera)
1493
sei lustri = perifrasi per indicare 30 anni
1494
rapè = qualità di tabacco scura
1495
O più lunghi … o più fiate … O a voce = polisindeto e
iterazione e anafora (vv. 390 – 392)
1496
Ecco che il segue = il quarto imbecille è il giocatore
accanito
1497
del figliuol di Maia / Il più celebre alunno = perifrasi per
indicare il giocatore esperto. Mercurio, dio del gioco, era
figlio di Maia
1498
dadi versati = il gioco dei dadi
1499
pezzi eretti = scacchi
1500
giacenti pedine = la dama o il tric – trac
1501
o pezzi … O giacenti … o brevi o grandi = polisindeto e
iterazione
1502
grandi / Carte = enjambement – le carte grandi sono alla
francese, quelle piccole all’italiana
1503
mescan la pugna = metafora di ambito bellico
1504
i nati or ora / Giochi = iperbato
1505
Ei sul mattino … Ei, già tolte … Ei = anafora (vv. 402 –
404)
405. Schiera d'eroi 1506, che nobil estro infiamma1507
406. D'apprender l'arte, onde l'altrui fortuna
407. Vincasi e domi; e del soave amico
408. Nobil parte de' campi all'altro ceda.
409. Vuoi su lucido carro in di solenne
410. Gir trionfando 1508al corso? Ecco quell'uno 1509,
411. Che al lavor ne presieda. E legni e pelli
412. E ferri e sete e carpentieri e fabbri 1510
413. A lui son noti: e per l'Ausonia1511 tutta
414. E noto ei pure. Il Càlabro di feudi
415. E d'ordini superbo 1512; i duchi e i prenci,
416. Che pascon Mongibello1513; e fin gli stessi
417. Gran nipoti Romani 1514a lui sovente
418. Ne commetton la cura: ed ei sen vola
419. D'una in altra officina in fin che sorga,
420. Auspice lui1515, la fortunata mole1516.
421. Poi di tele ricinta, e contro all'onte
422. De la pioggia e del sol ben forte armata,
423. Mille e più passi 1517l'accompagna ei stesso
424. Fuor de le mura; e con soave sguardo
425. La segue ancor sin che la via declini.
426. Vedi giugner colui1518, che di cavalli
1506
Schiera d’eroi = ironia
nobil estro infiamma = metafora
1508
Gir trionfando = iperbole
1509
Ecco quell'uno = il quinto imbecille è il dilettante
carrozziere
1510
E legni e pelli / E ferri e sete e carpentieri e fabbri =
enumerazione polisindetica, che esalta l’eccezionale
competenza di questo maniaco
1511
Ausonia = Italia
1512
Il Càlabro di feudi / E d'ordini superbo = gli aristocratici
calabresi
1513
i duchi e i prenci, / Che pascon Mongibello = gli
aristocratici siciliani. Mongibello è l’Etna
1514
Gran nipoti Romani = gli aristocratici romani, quasi tutti
nipoti di papi
1515
Auspice lui = latinismo (sotto la sua direzione)
1516
la fortunata mole = la carrozza (parodia del registro epico)
1517
Mille e più passi = iperbole
1518
Vedi giugner colui = il sesto imbecille è il conoscitore di
razze equine
1507
81
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427. Invitto domator 1519divide il giorno
428. Fra i cavalli e la dama. Or de la dama
429. La man tiepida preme; or de' cavalli
430. Liscia i dorsi pilosi1520, ovver col dito
431. Tenta a terra prostrato 1521i ferri e l'ugna.
432. Aimè misera lei quando s'indice
433. Fiera altrove frequente! Ei l'abbandona;
434. E per monti inaccessi e valli orrende 1522
435. Trova i lochi remoti, e cambia o merca 1523.
436. Ma lei beata poi quand'ei sen torna
437. Sparso di limo 1524; e novo fasto adduce
438. Di frementi corsieri; e gli avi loro 1525
439. E i costumi e le patrie a lei soletta
440. Molte lune 1526ripete! Or vedi l'altro1527,
441. Di cui più diligente o più costante
442. Non fu mai damigella o a tesser nodi
443. O d'aurei1528 drappi a separar lo stame 1529.
444. A lui turgide ancora ambe le tasche
445. Son d'ascose materie. Eran già queste
446. Prezioso tapeto, in cui distinti
447. D'oro e lucide lane i casi apparvero
448. D'Ilio infelice1530: e il cavalier, sedendo
449. Nel gabinetto de la dama, ormai
450. Con ostinata man 1531tutte divise
1519
Invitto domator = epiteto
pilosi = hapax
1521
Tenta a terra prostrato = allitterazione in “t”
1522
E per monti inaccessi e valli orrende = iperbole ironica
1523
e cambia o merca = parodia del registro epico con
reminiscenza dantesca Cfr. Paradiso XVI, 61 <<Tal fatto è
fiorentino, e cambia e merca>>
1524
Sparso di limo = infangato
1525
gli avi loro = si intendono le genealogie equine
1526
Molte lune = molti mesi (metonimia)
1527
Or vedi l'altro = l’ultimo imbecille è lo sfilacciatore di
arazzi
1528
o più costante … o a tesser … o d’aurei = iterazione
1529
stame = filo (latinismo)
1530
i casi apparvero / D'Ilio infelice = si tratta dei resti di un
arazzo raffigurante la guerra di Troia
1531
Con ostinata man = l’aggettivo rende con fine notazione
psicologica il pensiero fisso del maniaco
1520
451. In fili minutissimi le genti
452. D'Argo e di Frigia1532. Un fianco solo avanza
453. De la bella rapita 1533; e poi l'eroe,
454. Pur giunto al fin di sua decenne impresa1534,
455. Andrà superbo al par d'ambo gli Atridi 1535.
456. Ma chi l'opre diverse o i varj ingegni
457. Tutti esprimer poria, poi che le stanze
458. Folte già son di cavalieri e dame? 1536
459. Tu per quelle t'avvolgi. Ardito e baldo
460. Vanne, torna, ti assidi, ergiti, cedi,
461. Premi, chiedi perdono, odi, domanda,
462. Sfuggi, accenna, schiamazza, entra 1537e ti mesci
463. A i divini drappelli 1538; e a un punto empiendo
464. Ogni cosa di te mira e conosci
vv. 465 – 673 a cura di Deborah Vasoli
Mentre continuano le conversazioni su
argomenti frivoli, la padrona di casa fa
sistemare i tavoli da gioco e i relativi occupanti
secondo il grado sociale e la situazione
sentimentale
di
ciascuno.
Iniziano
i
giochi:quello dei tarocchi, quello delle ombre e
la cavagnola, una specie di tombola nella
quale i numeri estratti vengono segnati su
cartelle illustrate.
1532
le genti / D'Argo e di Frigia = i Greci (D’ Argo) e i
Troiani (di Frigia) – è una sineddoche
1533
la bella rapita = perifrasi per indicare Elena
1534
decenne impresa = si intende l’opera di sfilacciatura
dell’arazzo durata 10 anni come la guerra di Troia
1535
al par d'ambo gli Atridi = similitudine. Gli Atridi sono
Menelao ed Agamennone
1536
Ma chi … dame? = interrogativa retorica
1537
Vanne, torna, ti assidi, ergiti, cedi, / Premi, chiedi
perdono, odi, domanda, / Sfuggi, accenna, schiamazza, entra
= enumerazione asindetica
1538
A i divini drappelli = allitterazione in “d” e ironia
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1539
465. Là i vezzosi d'amor novi seguaci
466. Lor nascenti fortune ad alta voce
467. Confidansi all'orecchio; e ridon forte;
468. E saltellando batton palme a palme:
469. Sia che a leggiadre imprese Amor li guidi
470. Fra le oscure mortali 1540: o che gli assorba
471. De le dive lor pari 1541entro alla luce.
472. Qui gli antiqui d'Amor noti campioni1542
473. Con voci esili e dall'ansante petto
474. Fuor tratte a stento rammentando vanno
475. Le superate al fin tristi vicende1543.
476. Indi gl'imberbi eroi 1544, cui diede il padre
477. La prima coppia di destrier pur ieri,
478. Con animo viril celiano al fianco
479. Di provetta beltà 1545, che a i risi loro
480. Alza scoppi di risa 1546; e il nudo spande,
481. Che di veli mal chiuso i guardi cerca,
482. Che il cercarono1547 un tempo1548. Indi gli adulti,
483. A la cui fronte il primo ciuffo appose
484. Fallace parrucchier1549, scherzan vicini
485. A la sposa novella; e di bei motti
486. Tendonle insidia1550, ove di lei s'intrichi
487. L'alma inesperta e il timido pudore 1551.
488. Folli! Chè ai detti loro ella va incontro
489. Valorosa così come una madre
490. Di dieci eroi 1552. V'ha in altra parte assiso
491. Chi di lieti racconti ovver di fole
492. Non ascoltate mai1553 raro promette
493. A le dame trastullo; e ride e narra
494. E ride ancor 1554, benchè a le dame in tanto
495. Sovra l'arco de' labbri 1555aleggi e penda
496. Insolente sbadiglio. Avvi chi altronde
497. Con fortunato studio in novi sensi
498. Le parole converte 1556; o i simil suoni
499. Pronto a colpir divinamente scherza.
500. Alto al genio di lui plaude il ventaglio
501. De le pingui matrone, a cui la voce
502. Di vernacolo accento anco risponde 1557.
503. Ma le giovani madri, al latte avvezze
504. Di più nuove dottrine1558, il sottil naso
505. Aggrinzan fastidite; e pur col guardo
506. Chieder sembran pietade a i belli spirti,
507. Che lor siedono a lato; e a cui gran copia
508. D'erudita efemeride1559 distilla
1539
Là i vezzosi d'amor novi seguaci = i damerini alle loro
prime imprese amorose
1540
Fra le oscure mortali = le donne borghesi
1541
De le dive lor pari = le dame del loro rango
1542
Qui gli antiqui d'Amor noti campioni = i cavalier serventi
veterani
1543
Le superate al fin tristi vicende = iperbato
1544
gl'imberbi eroi = i giovinetti
1545
provetta beltà = metonimia per dama matura dalle grazie
sfiorite
1546
risi … risa = poliptoto
1547
Che di veli … Che il cercarono = anafora (vv. 481 – 482)
1548
e il nudo spande, / Che di veli mal chiuso i guardi cerca, /
Che il cercarono un tempo = la dama matura mette in mostra
con vesti impudiche le nudità per attrarre gli sguardi maschili
che un tempo la cercavano spontaneamente. Il poliptoto cerca
– cercarono evidenzia questo cambiamento
1549
Fallace parrucchier = il parrucchiere è così chiamato
perché abile a manipolare i capelli finti che ingannano lo
sguardo sembrando veri
1550
di bei motti / Tendonle insidia = metafora. I bei motti
sono le battute a doppio senso
1551
L'alma inesperta e il timido pudore = chiasmo
1552
così come una madre / Di dieci eroi = similitudine
1553
fole / Non ascoltate mai = enjambement – le fole sono i
racconti umoristici
1554
e ride e narra / E ride ancor = iterazione
1555
l'arco de' labbri = metafora
1556
chi altronde / Con fortunato studio in novi sensi / Le
parole converte = è colui che usa le parole in doppio senso
1557
a cui la voce / Di vernacolo accento anco risponde = a
quelle battute risuona la divertita risposta in dialetto delle
anziane dame
1558
al latte avvezze / Di più nuove dottrine = metafora – si
intende che le giovani dame sono abituate ad una cultura più
raffinata e alla moda
1559
gran copia / D’erudita efemeride = perifrasi per indicare
una gran quantità di giornali dotti. – Il poeta allude
chiaramente alle riviste di divulgazione scientifica diffuse nel
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509. Volatile1560 scienza entro a la mente.
510. Altri altrove1561 pugnando audace 1562innalza
511. Sovra d'ognaltro il palafren 1563, ch'ei sale,
512. O il poeta o il cantor, che lieti ei rende
513. De le sue mense. Altri dà vanto all'else1564
514. Lucido e bello de la spada, ond'egli
515. Solo, e per casi non più visti, al fine
516. Fu dal più dotto Anglico artier 1565fornito.
517. Altri grave nel volto ad altri espone
518. Qual per l'appunto a gran convito apparve
519. Ordin di cibi 1566: ed altri stupefatto,
520. Con profondo pensier con alte dita 1567
521. Conta di quanti tavolieri a punto
522. Grande insolita veglia andò superba.
523. Un fra l'indice e il medio inflessi alquanto,
524. Molle ridendo, al suo vicin la gota
525. Preme furtivo: e l'un da tergo all'altro
526. Il pendente cappel sotto all'ascella
527. Ratto invola; e del colpo a sè dà plauso 1568.
528. Qual d'ogni lato i molti servi in tanto
529. E seggi e tavolieri e luci e carte 1569
530. Supellettile augusta entran portando?
531. E sordo stropicciar di mossi scanni 1570,
Settecento. Efemeride è un singolare usato al posto del
plurale, alla latina
1560
Volatile = superficiale
1561
Altri altrove = paronomasia
1562
pugnando audace = iperbole e latinismo
1563
il palafren = il cavallo (termine aulico)
1564
else = le impugnature delle spade
1565
più dotto Anglico artier = il più esperto artigiano armaiolo
inglese
1566
Qual per l'appunto a gran convito apparve / Ordin di cibi =
iperbato
1567
Con profondo pensier con alte dita = ironia
1568
Un fra l’indice e il medio … dà plauso = sono qui
descritte due macchiette che chiudono questo sguardo
d’insieme; uno prende per il ganascino il vicino, ridendo
scioccamente, l’altro sottrae ad un invitato il cappello
1569
E seggi e tavolieri e luci e carte = enumerazione degli
oggetti e polisindeto
1570
E sordo stropicciar di mossi scanni = allitterazione in “s”
532. E cigolìo1571 di tavole spiegate1572
533. Odo vagar fra le sonanti risa
534. Di giovani festivi e fra le acute
535. Voci 1573di dame cicalanti a un tempo,
536. Come intorno a selvaggio antico moro 1574
537. Sull'imbrunir del dì garrulo stormo
538. Di frascheggianti passere novelle?1575
539. Sola in tanto rumor tacita siede
540. La matrona del loco: e chino il fronte
541. E increspate le ciglia1576, i sommi labbri
542. Appoggia in sul ventaglio, arduo pensiere
543. Macchinando tra sè. Medita certo 1577
544. Come al candor come al pudor 1578si deggia
545. La cara figlia preservar, che torna
546. Doman da i chiostri, ove il sermon d'Italia
547. Pur giunse ad obliar, meglio erudita
548. De le Galliche grazie1579. Oh qual dimane1580
549. Ne i genitor, ne' convitati, a mensa
550. Ben cicalando ecciterai stupore
551. Bella fra i lari tuoi vergin straniera!1581
1571
E sordo … E cigolio = anafora di “e” (vv. 531 – 532)
cigolio è hapax
1572
tavole spiegate = tavoli da gioco con cerniera che si
possono ripiegare
1573
acute / Voci = enjambement
1574
moro = gelso
1575
Come intorno … novelle = similitudine
1576
e chino il fronte / E increspate le ciglia = complementi di
relazione
1577
Medita certo = ipotesi da parte del precettore che verrà
smentita al v. 552 – forse, egli dice, la dama sta pensando alle
responsabilità che l’aspettano con il ritorno della figlia
dall’educandato straniero (chiostri) in cui la fanciulla ha
dimenticato l’Italiano, imparando meglio il Francese.
Immagina poi la giovane, straniera in casa sua (fra i lari tuoi),
mentre affascina i commensali con la sua cultura esotica
1578
Come al candor come al pudor = iterazione
1579
le Galliche grazie = perifrasi ironica per indicare la
conoscenza del Francese e allitterazione
1580
dimane = toscanismo Cfr. Dante, Inferno XXXIII, 37
<<Quando fui desto innanzi la dimane >>
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552. Errai. Nel suo pensier volge di cose
553. L'alta madre d'eroi mole più grande 1582:
554. E nel dubbio crudel col guardo invoca
555. De le amiche l'aita; e a sè con mano
556. Il fido cavalier chiede a consiglio.
557. Qual mai del gioco a i tavolier diversi
558. Ordin porrà 1583, che de le dive accolte
559. Nulla obliata si dispetti; e nieghi
560. Più qui tornare ad aver scorno ed onte?
561. Come, con pronto antiveder, del gioco
562. Il dissimil tenore a i genj eccelsi1584
563. Assegnerà conforme;1585 ond'altri poi
564. Non isbadigli lungamente, e pianga
565. Le mal gittate ore notturne, e lei
566. De lo infelice oro perduto 1586incolpi?
567. Qual paro e quale al tavolier medesmo
568. E di campioni e di guerriere audaci
569. Fia che tra loro a tenzonar congiunga,
570. Sì che giammai, per miserabil caso,
571. La vetusta patrizia, ella e lo sposo
572. Ambo di regi favolosa stirpe 1587,
573. Con lei non scenda al paragon1588, che al grado
574. Per breve serie di scrivani 1589or ora
575. Fu de' nobili assunta: e il cui marito
576. Gli atti e gli accenti ancor serba del monte 1590?
577. Ma che non può sagace ingegno e molta
1581
Bella fra i lari tuoi vergin straniera! = iperbato per
indicare l’assurdità della situazione
1582
L'alta madre d'eroi mole più grande = iperbole ironica
1583
Qual mai del gioco a i tavolier diversi / Ordin porrà =
iperbato
1584
i genj eccelsi = iperbole ironica
1585
Come, con pronto antiveder … conforme = iperbato
1586
infelice oro perduto = metonimia ed enallage
1587
Ambo di regi favolosa stirpe = iperbole ironica
1588
scenda al paragon = metafora bellica
1589
Per breve serie di scrivani = si intende per merito di
qualche generazione di burocrati. – si allude alla così detta
nobiltà di toga
1590
Gli atti e gli accenti ancor serba del monte = metafora per
indicare un marito che conserva ancora tratti dell’originaria
rozzezza
578. D'anni e di casi esperienza? 1591 Or ecco
579. Ella compose i fidi amanti; e lungi
580. De la stanza nell'angol più remoto
581. Il marito costrinse, a dì sì lieti
582. Sognante ancor d'esser geloso. Altrove
583. Le occulte altrui, ma non fuggite all'occhio1592
584. Dotto1593 di lei benchè nascenti a pena
585. Dolci cure d'amor, fra i meno intenti
586. O i meno acuti a penetrar nell'alte
587. Dell'animo latèbre1594, in grembo al gioco
588. Pose1595 a crescer felici: e già in duo cori
589. Grazia e mercè de la bell'opra ottiene.
590. Qua gl'illustri e le illustri; e là gli estremi
591. Ben seppe unir de' novamente compri
592. Feudi1596, e de' prischi1597 gloriosi nomi
593. Cui mancò la fortuna.1598 Anco le piacque
594. Accozzar le rivali, onde spiarne
595. I mal chiusi dispetti1599. Anco per celia
596. Più secoli adunò1600, grato aspettando
597. E per gli altri e per sè riso dall'ire
598. Settagenarie1601, che nel gioco accense1602
599. Fien, con molta raucedine e con molto 1603
600. Tentennar di parrucche e cuffie alate1604.
1591
Ma che … esperienza? = interrogativa retorica
Le occulte altrui, ma non fuggite all'occhio = iperbato
1593
all'occhio / Dotto = enjambement
1594
nell'alte / Dell'animo latèbre = enjambement e metafora
1595
in grembo al gioco / Pose = metafora
1596
compri / Feudi = enjambement
1597
prischi = latinismo
1598
Qua … fortuna = la padrona di casa ha disposto da un lato
gli aristocratici di purissima nobiltà (gli illustri e le illustri), da
un altro ha messo insieme coloro che hanno comprato da poco
il titolo nobiliare in compagnia di nobili illustri ai quali però
sono venute meno le ricchezze
1599
accozzar … dispetti = in questa disposizione la matrona
ha ceduto un tantino alla malignità
1600
Più secoli adunò = metonimia – si intendono nobildonne
tanto vecchie la cui età assommata risultava plurisecolare
1601
ire / Settagenarie = settantenni. enjambement
1602
accense = latinismo e metafora
1603
molta … molto = poliptoto
1592
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601. Già per l'aula beata a cento intorno 1605
602. Dispersi tavolier seggon le dive
603. Seggon1606 gli eroi, che dell'Esperia 1607 sono
604. Gloria somma o speranza 1608. Ove1609 di quattro
605. Un drappel si raccoglie: e dove un altro
606. Di tre soltanto. Ivi di molti e grandi
607. Fogli dipinti1610 il tavolier si sparge:
608. Qui di pochi e di brevi 1611. Altri combatte1612;
609. Altri sta sopra a contemplar gli eventi
610. De la instabil fortuna e i tratti egregi
611. Del sapere o dell'arte 1613. In fronte a tutti
612. Grave regna il consiglio1614: e li circonda
613. Maestoso silenzio. Erran sul campo
614. Agevoli ventagli, onde le dame
615. Cercan ristoro all'agitato spirto
616. Dopo i miseri casi. Erran sul campo 1615
617. Lucide tabacchiere. Indi sovente
618. Un'util rimembranza un pronto avviso
1604
cuffie alate = cuffie con lembi che coprono le orecchie,
paragonabili ad ali
1605
a cento intorno = iperbole
1606
seggon … Seggon = iterazione
1607
Esperia = Italia
1608
Gloria somma o speranza = ironia
1609
Ove … brevi = a un tavolo giocano in quattro ai tarocchi,
a un altro in tre con poche carte piccole al gioco delle
“ombre”
1610
grandi / Fogli dipinti = enjambement
1611
di molti e grandi … di pochi e di brevi = antitesi
1612
combatte = metafora di ambito bellico. – il patetico gioco
accennato in sintesi nel “Mattino” viene qui svolto in chiave
parodistica di accesa battaglia, in cui il tavolo da gioco è
“campo” i ventagli e le tabacchiere “mezzi” per i combattenti
per attingere nuove energie contro la “instabil fortuna” e gli
avversi “destini del gioco”. Le reazioni psicologiche degli
“eroi” sono seguite con ironia dal poeta che si aggira trai vari
focolai di battaglia
1613
Del sapere o dell'arte = vi è forse un’allusione alla capcità
di barare
1614
il consiglio = personificazione
1615
Erran sul campo … Erran sul campo = epifora (vv. 613 –
616)
619. Con le dita si attigne: e spesso volge
620. I destini del gioco e de la veglia
621. Un atomo di polve 1616. Ecco sen ugne
622. La panciuta matrona intorno al labbro
623. Le calugini adulte1617: ecco sen ugne1618
624. Le nari delicate e un po' di guancia
625. La sposa giovinetta1619. In vano il guardo
626. D'esperto cavalier, che già su lei
627. Medita nel suo cor future imprese,
628. Le domina dall'alto i pregi ascosi 1620:
629. E in van d'un altro timidetto ancora
630. Il pertinace piè l'estrema punta
631. Del bel piè le sospigne 1621. Ella non sente
632. O non vede o non cura1622. Entro a que' fogli1623,
633. Ch'ella con man si lieve ordina o turba,
634. De le pompe muliebri a lei concesse
635. Or s'agita la sorte1624. Ivi è raccolto
636. Il suo cor la sua mente1625. Amor1626 sorride;
637. E luogo e tempo a vendicarsi aspetta.
638. Chi la vasta quiete osa da un lato
639. Romper con voci 1627successive or aspre
640. Or molli or alte ora profonde 1628, sempre
1616
Un atomo di polve = la presa di tabacco è assunta in
maniera eroicomica dal Parini come l’elemento imponderabile
che può cambiare il corso del gioco
1617
Le calugini adulte = la peluria delle labbra
1618
Ecco sen ugne … ecco sen ugne = epifora
1619
La panciuta matrona … Le calugini adulte … Le nari
delicate … La sposa giovinetta = chiasmo e antitesi
1620
i pregi ascosi = metafora (le bellezze nascoste della
scollatura)
1621
Il pertinace piè l'estrema punta / Del bel piè le sospigne =
allitterazione in “p” – quadretto di settecentesca galanteria: la
damina immersa nel gioco è al centro di approcci amorosi
1622
Ella non sente / O non vede o non cura = iterazione di non
1623
que' fogli = metonimia per carte
1624
De le pompe muliebri a lei concesse / Or s'agita la sorte =
si intende che nel gioco viene scommesso dalla dama il
denaro assegnatole dal marito per pagare i propri lussi
1625
ivi è raccolto / Il suo cor la sua mente = metafora
1626
Amor = personificazione
1627
Romper con voci = metafora
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641. Con tenore1629 ostinato al par di secchi,
642. Che scendano e ritornino piagnenti1630
643. Dal cupo alveo 1631dell'onda1632; o al par di rote 1633,
644. Che sotto al carro pesante, per lunga
645. Odansi strada scricchiolar 1634lontano?
646. L'ampia tavola1635 è questa, a cui s'aduna
647. Quanto mai per aspetto e per maturo
648. Senno1636 il nobil concilio ha di più grave1637
649. O fra le dive socere 1638o fra i nonni
650. O fra1639 i celibi già da molti lustri
651. Memorati nel mondo. In sul tapeto
652. Sorge grand'urna1640, che poi scossa in volta
653. La dovizia 1641de' numeri comparte
654. Fra i giocator, cui numerata 1642 è innanzi
655. D'immagini diverse alma vaghezza1643.
656. Qual finge il vecchio1644, che con man la negra
657. Sopra le grandi porporine brache
658. Veste raccoglie1645; e rubicondo il naso1646
659. Di grave stizza alto minaccia e grida
660. L'aguzza barba dimenando. Quale
661. Finge colui1647, che con la gobba enorme
662. E il naso enorme e la forchetta enorme 1648
663. Le cadenti lasagne avido ingoia.
664. Quale il multicolor zanni leggiadro1649,
665. Che, col pugno posato al fesso legno1650,
666. Sovra la punta dell'un piè s'innoltra;
667. E la succinta natica rotando,
668. Altrui volge faceto il nero ceffo1651.
669. Nè d'animali ancor copia vi manca,
670. O al par d'umana creatura 1652l'orso
671. Ritto in due piedi, o il miccio, o la ridente
672. Simmia1653, o il caro asinello 1654, onde a sè grato
673. E giocatrici e giocator 1655fan speglio1656
1645
1628
or aspre / Or molli or alte ora profonde = iterazione di
“or” ed antitesi
1629
tenore = tono della voce
1630
piagnenti = metafora
1631
cupo alveo = metonimia per pozzo
1632
Al par di secchi … onda = similitudine
1633
o al par di rote = similitudine
1634
Odansi strada scricchiolar = allitterazione in “s” e iperbato
1635
L'ampia tavola = la tavola per il gioco della cavagnola,
una specie di tombola
1636
maturo / Senno = enjambement
1637
il nobil concilio ha di più grave = ironia
1638
dive socere = il secondo termine annulla il primo
1639
O fra … O fra = anafora (vv. 649 – 650)
1640
grand'urna = urna dalla quale si estraevano i numeri per la
cavagnola
1641
dovizia = moltitudine (latinismo)
1642
numeri … numerata = figura etimologica
1643
D'immagini diverse alma vaghezza = le cartelle della
cavagnola erano figurate
1644
Qual finge il vecchio = su una cartella è raffigurata la
maschera veneziana di Pantalone, vestito di nero con i clazoni
rossi
che con man la negra / Sopra le grandi porporine brache /
Veste raccoglie = iperbato
1646
rubicondo il naso = accusativo alla greca
1647
Quale / Finge colui = su un’altra cartella è raffigurato
Pulcinella, mentre sta divorando lasagne che tiene sospese in
alto con la forchetta
1648
gobba enorme / E il naso enorme e la forchetta enorme =
iterazione ed epifora
1649
Quale il multicolor zanni leggiadro = una terza cartella
raffigura Arlecchino (o zanni) in abito multicolore e armato di
spatola
1650
fesso legno = metonimia per spatola. – questa era spaccata
perché risuonasse con effetto più plateale nelle scene di
bastonature frequenti nella commedia dell’arte
1651
il nero ceffo = la maschera nera che gli copriva il volto
1652
O al par d'umana creatura = similitudine
1653
ridente / Simmia = enjambement
1654
O al par … o il miccio, o la ridente / Simmia, o il caro
asinello = polisindeto e iterazione
1655
E giocatrici e giocator = poliptoto
1656
Né … speglio = sulle altre cartelle sono riprodotti alcuni
animali: l’orso, il gatto, la scimmia, l’asinello. I giocatori
fissano con tale intensità queste cartelle, che hanno davanti,
da sembrare rispecchiarsi in quelle figure animalesche
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“IL GIORNO”
DI
GIUSEPPE PARINI
Con testo a fronte in
lingua corrente
Versione in lingua corrente del
“Giorno”
di G. Parini
curata dalle allieve della
Cl. III A magistrale
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IL MATTINO
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Sorge il mattino in compagnia dell’alba
Dinanzi al sol che di poi grande appare
Su l’estremo orizzonte a render lieti
Gli animali e le piante e i campi e l’onde.
Allora il buon villan sorge dal caro
Letto cui la fedel moglie e i minori
Suoi figlioletti intiepidir la notte:
Poi sul dorso portando i sacri arnesi
Che prima ritrovò Cerere o Pale
Move seguendo i lenti bovi, e scote
Lungo il picciol sentier da i curvi rami
Fresca rugiada che di gemme al paro
La nascente del sol luce rifrange.
Allora sorge il fabbro, e la sonante
Officina riapre, e all’opre torna
L’altro di non perfette; o se di chiave
Ardua e ferrati ingegni all’inquieto
Ricco l’arche assecura; o se d’argento
E d’oro incider vuol gioielli e vasi
Per ornamento a nova sposa o a mense.
Ma che? Tu inorridisci e mostri in capo
Qual istrice pungente irti i capelli
Al suon di mie parole? Ah il tuo mattino
Signor questo non è. Tu col cadente
Sol non sedesti a parca cena, e al lume
Dell’incerto crepuscolo non gisti
Ieri a posar qual nei tugurj suoi
Entro a rigide coltri il vulgo vile
A voi celeste prole a voi concilio
Almo di semidei altro concesse
Giove benigno: e con altr’arti e leggi
Per novo calle a me guidarvi è d’uopo.
Tu tra le veglie e le canore scene
E il patetico gioco oltre più assai
Producesti la notte: e stanco alfine
In aureo cocchio col fragor di calde
Precipitose rote e il calpestio
IL MATTINO
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Il Mattino si alza in compagnia dell’alba
Incontro al sole mattutino che più tardi appare grande
All’orizzonte più lontano per rendere felici
Gli animali, le piante, i campi e i corsi d’acqua.
Quando sorge il Mattino l’onesto contadino si alza dal caro
Letto che la moglie fedele e i suoi figli
Più piccoli intiepidirono di notte:
Poi portando sulla schiena gli arnesi agricoli
Che per la prima volta furono inventati da Cerere e Pale
Va verso il campo con i buoi lenti, e scuote,
Passando lungo il piccolo sentiero dai rami ricurvi,
La fresca rugiada che come una gemma
Rifrange i raggi del sole nascente.
Allora si alza il fabbro, e la risonante
Bottega riapre, e torna ai lavori
Non terminati il giorno prima; o se per mezzo di una chiave
Di complicata struttura o di congegni metallici
Renda sicuri gli scrigni del ricco timoroso; o se d’argento
E d’oro vuole incidere gioielli e vasi
Per l’ornamento a una sposa o a un banchetto.
Ma che? Tu inorridisci, e mostri sul capo,
Quale istrice dagli aculei pungenti, i capelli irti
Al suono delle mie parole? Ah non è di questa specie
Il tuo mattino, Signore. Tu al tramonto
Non sedesti ad una tavola frugale, e alla luce
Del crepuscolo incerto non sei andato
Ieri a riposarti su un letto scomodo,
Come è costretto a fare il popolino.
A voi, discendenti degli dei, a voi assemblea
Colma di semidei terreni altro vi concesse
Il benigno Giove: e con stile e argomenti diversi
Per una strada differente mi conviene guidarvi.
Tu tra le conversazioni fino a tarda notte e i teatri lirici
E l’appassionante gioco molto di più
Protraesti la notte: e stanco infine
Nel cocchio d’oro, con le calde
E precipitose ruote e con il calpestio
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Di volanti corsier lunge agitasti
Il queto aere notturno; e le tenèbre
Con fiaccole superbe intorno apristi
Siccome allor che il Siculo terreno
Da l’uno a l’altro mar rimbombar fèo
Pluto col carro a cui splendeano innanzi
Le tede de le Furie anguicrinite.
Tal ritornasti a i gran palagi: e quivi
Cari conforti a te porgea la mensa
Cui ricoprien prurigginosi cibi
E licor lieti di Francesi colli
E d’Ispani e di Toschi o l’Ungarese
Bottiglia a cui di verdi ellere Bromio
Concedette corona, e disse: or siedi
De le mense reina. Alfine il Sonno
Ti sprimacciò di propria man le còltrici
Molle cedenti, ove te accolto il fido
Servo calò le ombrifere cortine:
E a te soavemente i lumi chiuse
Il gallo che li suole aprire altrui.
Dritto è però che a te gli stanchi sensi
Da i tenaci papaveri Morfeo
Prima non solva che già grande il giorno
Fra gli spiragli penetrar contenda
De le dorate imposte; e la parete
Pingano a stento in alcun lato i rai
Del sol ch’eccelso a te pende sul capo.
Or qui principio le leggiadre cure
Denno aver del tuo giorno: e quindi io deggio
Sciorre il mio legno, e co’ precetti miei
Te ad alte imprese ammaestrar cantando.
Già i valetti gentili udir lo squillo
De’ penduli metalli a cui da lunge
Moto improvviso la tua destra impresse;
E corser pronti a spalancar gli opposti
Schermi a la luce; e rigidi osservàro
Che con tua pena non osasse Febo
Entrar diretto a saettarte i lumi
Ergi dunque il bel fianco, e si ti appoggia
Alli origlier che lenti degradando
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Dei cavalli veloci da lontano turbasti
La quieta atmosfera notturna; e le tenebre
Per mezzo delle fiaccole levate in alto furono aperte intorno
Come quando la Sicilia
Da un mare all’altro fece rimbombare
Plutone con il suo carro davanti al quale splendevano
Le fiaccole delle Furie con serpenti al posto dei capelli.
Così ritornasti ai grandi palazzi: e qui
Faticose occupazioni ti porgeva la mensa
Che era ricoperta da cibi stuzzicanti
E vini che riempiono dall’allegria dei colli francesi
O della Spagna o della Toscana o l’Ungherese
Bottiglia a cui Bacco concedette la corona
Fatta di edera verde, e disse: <<siedi ora
Regina delle mense>>. Infine il dio del sonno
Ti rassettò i morbidi materassi
Con le sue stesse mani, dove dopo che fosti sistemato il fidato
Servo calò i drappeggi di seta
E a te dolcemente chiuse gli occhi
Il gallo che è solito aprire quelli degli altri.
Perciò è giusto che Morfeo non liberi
Le tue stanche membra dal profondo torpore
Che le avvince prima che il giorno ormai avanzato
Tenti di penetrare tra gli spiragli
Delle imposte dorate; ed è giusto che i raggi
Colpiscano appena la parete da qualche parte
Del sole che alto ti pende sopra la testa.
Ora qui devono cominciare le occupazioni
Della tua giornata: e quindi io devo
Salpare con la mia nave, e con i miei precetti
Educarti col canto all’alte imprese.
Già i valletti premurosi hanno udito lo squillo
Vicino del campanello a cui da lontano
La tua mano destra impresse il movimento;
E corsero prontamente a spalancare le imposte
Che proteggono dalla luce; e scrupolosamente badarono
Che Febo, cioè il sole, non osasse procurarti fastidio
Entrando direttamente negli occhi.
Solleva dunque il bel fianco, e così appoggiati
Ai cuscini i quali degradando dolcemente
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78. All’omero ti fan molle sostegno;
79. E coll’indice destro lieve lieve
80. Sovra gli occhi trascorri, e ne dilegua
81. Quel che riman de la Cimmeria nebbia;
82. Poi de’ labbri formando un picciol arco
83. Dolce a vedersi tacito sbadiglia.
84. Ahi se te in sì vezzoso atto mirasse
85. Il duro capitan quando tra l’arme
86. Sgangherando la bocca un grido innalza
87. Lacerator di ben costrutti orecchi,
88. S’ei te mirasse allor, certo vergogna
89. Avria di sè più che Minerva il giorno
90. Che di flauto sonando al fonte scorse
91. Il turpe aspetto de le guance enfiate.
92. Ma il damigel ben pettinato i crini
93. Ecco s’innoltra; e con sommessi accenti
94. Chiede qual più de le bevande usate
95. Sorbir tu goda in preziosa tazza.
96. Indiche merci son tazza e bevande:
97. Scegli qual più desii. S’oggi a te giova
98. Porger dolci a lo stomaco fomenti
99. Onde con legge il natural calore
100. V’arda temprato, e al digerir ti vaglia,
101. Tu il cioccolatte eleggi, onde tributo
102. Ti diè il Guatimalese e il Caribeo
103. Che di barbare penne avvolto ha il crine:
104. Ma se noiosa ipocondria ti opprime,
105. O troppo intorno a le divine membra
106. Adipe cresce, de’ tuoi labbri onora
107. La nettarea bevanda ove abbronzato
108. Arde e fumica il grano a te d’Aleppo
109. Giunto e da Moca che di mille navi
110. Popolata mai sempre insuperbisce.
111. Certo fu d’uopo che da i prischi seggi
112. Uscisse un regno, e con audaci vele
113. Fra straniere procelle e novi mostri
114. E teme e rischi ed inumane fami
115. Superasse i confin per tanta etade
116. Inviolati ancora: e ben fu dritto
117. Se Pizzarro e Cortese umano sangue
78. Ti fanno da molle sostegno alle spalle;
79. E con l’indice destro lieve lieve
80. Scorri sopra gli occhi, e togli da lì
81. Quello che rimane del sonno dei Cimmeri;
82. Poi marcando appena le labbra
83. Dolce a vedersi, silenziosamente sbadiglia.
84. Ahi se in un così grazioso atto ti vedesse
85. Il rozzo capitano mentre durante la battaglia
86. Aprendo sgangheratamente la bocca innalza un grido
87. Laceratore di orecchie ben abituate,
88. Se ti vedesse ancora egli, certamente, vergogna
89. Avrebbe di sé più che Minerva il giorno
90. In cui suonando il flauto alla fonte vide
91. Il brutto spettacolo delle sue gote rigonfie.
92. Ma il valletto, dai capelli ben pettinati,
93. Ecco si inoltra; e con accenti sommessi
94. Chiede quale più tra le bevande abituali oggi
95. Ti piaccia bere in questa tazza.
96. Le tazze e le bevande sono prodotti orientali:
97. Scegli quella che desideri di più. Se oggi ti piace
98. Porgere dolci allo stomaco bevande calde
99. Così che in giusta misura il naturale calore
100. Arda nello stomaco regolato, e faciliti la digestione,
101. Tu scegli la cioccolata, di cui tributo
102. Ti fanno gli abitanti del Guatemala e dei Caraibi
103. Che hanno il crine avvolto di penne barbare:
104. Ma se sei oppresso da fastidiosa depressione,
105. O se intorno alle tue divine membra troppo
106. Cresce il grasso, dalle tue labbra apprezza
107. Il caffè divino come il nettare, dove abbrustolito
108. Brucia e fuma il seme giunto fino a te da Aleppo
109. E da Moca che di mille navi
110. Popolata in continuazione si arricchisce.
111. Fu necessario che dai suoi primitivi confini
112. Uscisse la Spagna, e con le ardite barche
113. Fra tempeste di mari sconosciuti e fenomeni mai visti prima,
114. E paure e pericoli e privazioni bestiali
115. Superasse quei confini che per così gran tempo
116. Mai erano stati superati: e fu assolutamente giusto
117. Se Pizzarro e Cortes non ritennero sangue umano
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118. Più non stimàr quel ch’oltre l’Oceàno
119. Scorrea le umane membra; e se tonando
120. E fulminando alfin spietatamente
121. Balzaron giù da i grandi aviti troni
122. Re Messicani e generosi Incassi,
123. Poi che nuove così venner delizie
124. O gemma degli eroi al tuo palato
125. Cessi ‘1 cielo però che in quel momento
126. Che le scelte bevande a sorbir prendi,
127. Servo indiscreto a te improvviso annunci
128. O il villano sartor che non ben pago
129. D’aver teco diviso i ricchi drappi
130. Oso sia ancor con polizza infinita
131. Fastidirti la mente; o di lugubri
132. Panni ravvolto il garrulo forense
133. Cui de’ paterni tuoi campi e tesori
134. Il periglio s’affida; o il tuo castaldo
135. Che già con l’alba a la città discese
136. Bianco di gelo mattutin la chioma
137. Così zotica pompa i tuoi maggiori
138. Al di nascente si vedean dintorno:
139. Ma tu gran prole in cui si fèo scendendo
140. E più mobile il senso e più gentile
141. Ah sul primo tornar de’ lievi spirti
142. All’uficio diurno ah non ferirli
143. D’imagini si sconce. Or come i detti
144. Di costor soffrirai barbari e rudi;
145. Come il penoso articolar di voci
146. Smarrite titubanti al tuo cospetto;
147. E tra l’obliquo profondar d’inchini
148. Del calzar polveroso in su i tapeti
149. Le impresse orme indecenti? Ahimè che fatto
150. Il salutar licore agro e indigesto
151. Ne le viscere tue te allor faria
152. E in casa e fuori e nel teatro e al corso
153. Ruttar plebeiamente il giorno intero!
154. Non fia che attenda già ch’altri lo annunci
155. Gradito ognor benchè improvviso il dolce
156. Mastro che il tuo bel piè come a lui piace
157. Guida e corregge. Egli all’entrar s’arresti
118. Quello che oltre Oceano
119. Scorreva nelle membra umane; per cui a colpi d’arma da fuoco
120. E a colpi di cannone alfine spietatamente
121. Spodestarono giù dai paterni troni
122. I re messicani e i nobili Incas,
123. Poiché prelibatezze così sconosciute
124. O eroe degli eroi, vennero a l tuo palato.
125. Possa il Cielo far sì che in quel momento
126. In cui ti accingi a bere le bevande che hai scelto,
127. Il servo inopportuno non ti annunci improvvisamente
128. O il sarto villano che non soddisfatto
129. Di avere condiviso con te le stoffe preziose
130. Abbia osato ancora, con un conto interminabile,
131. Infastidirti la mente; o di lugubri
132. Panni avvolto, il rumoroso forense
133. A cui dei tuoi campi e tesori paterni
134. La sorte si affida; o il tuo amministratore di beni
135. Che già all’alba discese in città,
136. Bianco per il gelo della brina mattutina.
137. Così una pompa zotica i tuoi antenati
138. Al nascente giorno si vedevano intorno:
139. Ma tu, gran discendenza, in cui si fece progredendo
140. Più mobile il senso e anche più gentile
141. Ah sul primo ritorno dei lievi spiriti
142. Alle occupazioni mattutine, ah non colpirli
143. Con immagini sconce. Oppure come sopporterai le parole
144. Di queste persone barbare e rudi:
145. Come sopporterai il penoso chiacchierare di voci
146. Che si smarriscono timorose al tuo cospetto;
147. E trai profondi inchini come sopporterai
148. Della scarpa polverosa sui tappeti
149. Le impresse orme indecenti? Ahimè perché sai che
150. La bevanda acida e indigesta
151. Assimilata nelle tue viscere ti farebbe
152. E in casa e fuori e nel teatro
153. Ruttare plebeamente per tutto il giorno!
154. Non farai che io attenda che altri lo annuncino,
155. Gradito anche se improvviso, il maestro
156. Di ballo, che, come a lui piace, guida e corregge
157. I movimenti dei tuoi piedi. Egli si fermi sull’entrata
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158. Ritto sul limitare, indi elevando
159. Ambe le spalle qual testudo il collo
160. Contragga alquanto, e ad un medesmo tempo
161. Il mento inchini, e con l’estrema falda
162. Del piumato cappello il labbro tocchi.
163. E non men di costui facile al letto
164. Del mio signor t’innoltra o tu che addestri
165. A modular con la flessibil voce
166. Soavi canti; e tu che insegni altrui
167. Come vibrar con maestrevol arco
168. Sul cavo legno armoniose fila.
169. Nè la squisita a terminar corona
170. Che segga intorno a te manchi o signore
171. Il precettor del tenero idioma
172. Che da la Senna de le Grazie madre
173. Pur ora a sparger di celeste ambrosia
174. Venne all’Italia nauseata i labbri.
175. All’apparir di lui l’Itale voci
176. Tronche cedano il campo al lor tiranno:
177. E a la nova inefabil melodia
178. De’ sovrumani accenti odio ti nasca
179. Più grande in sen contro a le bocche impure
180. Ch’osan macchiarse ancor di quel sermone
181. Onde in Valchiusa fu lodata e pianta
182. Già la bella Francese; e i culti campi
183. All’orecchio de i re cantati furo
184. Lungo il fonte gentil da le bell’acque.
185. Or te questa o signor leggiadra schiera
186. Al novo di trattenga: e di tue voglie
187. Irresolute ancora or quegli or questi
188. Con piacevol discorso il vano adempia,
189. Mentre tu chiedi lor tra i lenti sorsi
190. Dell’ardente bevanda a qual cantore
191. Nel vicin verno si darà la palma
192. Sovra le scene; e s’egli è il ver che rieda
193. L’astuta Frine che ben cento folli
194. Milordi rimandò nudi al Tamigi;
195. O se il brillante danzator Narcisso
196. Torni pur anco ad agghiacciare i petti
197. De’ palpitanti Italici mariti.
158. Diritto sulla soglia, quindi, alzando
159. Entrambe le spalle, come una tartaruga contragga un po’ il collo,
160. E nello stesso tempo
161. Inchini il mento, e con l’estremità della falda
162. Tocchi il labbro del piumato cappello.
163. E non meno di lui, senza che altro lo annunci, al lato
164. Del mio Signor inoltrati, o tu che gli insegni
165. A modulare con la voce flessibile
166. Dolci canti; e tu che insegni
167. Come far vibrare con maestria
168. Sul violino le armoniose note.
169. Né a terminare la bella corte
170. Che siede intorno a te, manchi o Signore
171. Il precettore della bella lingua francese
172. Che dalla Senna, madre delle Grazie,
173. Venne in Italia, insofferente nei confronti della propria lingua,
174. A spargere di ambrosia celeste le labbra.
175. Quando appare, le parole italiane
176. Tronche cedano il campo al loro tiranno:
177. E alla inaudita ineffabile melodia
178. Dei superbi accenti ti nasca odio
179. Più grande in seno contro le bocche impure
180. Che osano ancora macchiarsi di quella lingua
181. Con la quale fu lodata e pianta già la bella Francese (Laura)
182. In Valchiusa; e campi coltivati
183. Furono cantati alle orecchie dei re
184. Lungo la dolce fonte dalle belle acque.
185. Dunque, o Signore, questa bella schiera
186. Ti trattenga al giorno appena iniziato:
187. E delle indecisioni sul da farsi o quelli o questi
188. Occupi i tempi vuoti con un piacevole discorso,
189. Mentre chiedi loro tra i lenti sorsi
190. Della bevanda calda a quale cantante lirico
191. Nell’inverno prossimo si darà la vittoria
192. Sopra le scene; e se è vero che torna
193. L’astuta Frine che ben cento
194. Signori rimandò poveri al Tamigi;
195. O se il ballerino vanesio Narciso
196. Torna pure ancora ad ingelosire
197. I mariti italici dai palpitanti petti.
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198. Così poi che gran pezzo a i novi albori
199. Del tuo mattin teco scherzato fia
200. Non senza aver da te rimosso in prima
201. L’ipocrita pudore e quella schifa
202. Che le accigliate gelide matrone
203. Chiaman modestia, alfine o a lor talento
204. O da te congedati escan costoro.
205. Doman quindi potrai o l’altro forse
206. Giorno a i precetti lor porgere orecchio
207. Se a’ bei momenti tuoi cure minori
208. Porranno assedio. A voi divina schiatta
209. Più assai che a noi mortali il ciel concesse
210. Domabile midollo entro al cerèbro,
211. Si che breve lavoro unir vi puote
212. Ampio tesor d’ogni scienza ed arte.
213. Il vulgo intanto a cui non lice il velo
214. Aprir de’ venerabili misterj
215. Fie pago assai poi che vedrà sovente
216. Ire o tornar dal tuo palagio i primi
217. D’arte maestri; e con aperte fauci
218. Stupefatto berà le tue sentenze.
219. Ma già vegg’io che le oziose lane
220. Premer non sai più lungamente: e in vano
221. Te l’ignavo tepor lusinga e molce,
222. Però che te più gloriosi affanni
223. Aspettan l’ore ad illustrar del giorno.
224. O voi dunque del primo ordine servi
225. Che di nobil signor ministri al fianco
226. Siete incontaminati, or dunque voi
227. Al mio divino Achille al mio Rinaldo
228. L’armi apprestate. Ed ecco in un baleno
229. I damigelli a’ cenni tuoi star pronti.
230. Già ferve il gran lavoro. Altri ti veste
231. La serica zimarra ove bei fregi
232. Diramansi Chinesi; altri se il chiede
233. Più la stagione a te le membra copre
234. Di stese infino al piè tiepide pelli;
235. Questi al fianco ti cinge il bianco lino
236. Che sciorinato poi cada e difenda
237. I calzonetti; e quei d’alto curvando
198. Dopo che gran parte
199. Del tuo mattino si sia scherzato con te,
200. Non senza aver prima rimosso da te
201. L’ipocrita pudore e quella riservatezza
202. Che le severe e accigliate gelide matrone
203. Chiamano modestia, al fine costoro escano o di loro volontà
204. O congedati da te.
205. Quindi domani o dopodomani, forse
206. Potrai porgere gli orecchi ai precetti loro
207. Se porranno assedio cure minori
208. Ai tuoi bei momenti. A voi, stirpe divina,
209. Il Cielo concesse più assai che a noi mortali
210. Più materia cerebrale dentro alla scatola cranica,
211. Così che vi può unire una minima fatica,
212. Ampio tesoro di ogni scienza e arte.
213. Il popolo intanto, a cui non è lecito aprire
214. Il velo dei venerabili misteri,
215. Sarà felice assai, poiché vedrà sovente
216. Andare o tornare dal tuo palazzo i primi
217. Maestri d’arte, e con le bocche aperte
218. Berrà stupefatto le tue sentenze.
219. Ma già vedo che i cuscini
220. Tu non premi già più lungamente: e invano
221. L’ignavo calore ti lusinga e ti accarezza
222. Poiché le ore del giorno ti attendono
223. Ad illustrarti più gloriose preoccupazioni.
224. O voi dunque servi del primo ordine
225. Che del nobile signore siete Ministri al suo fianco,
226. Or dunque voi, che siete incontaminati,
227. Al mio divino Achille, al Rinaldo
228. Preparate l’armi. Ed ecco in un attimo
229. I damigelli stanno pronti ai tuoi cenni.
230. Già ferve tanto lavoro: qualcuno ti mette
231. La veste da camera con ornamenti
232. Di tipo cinese; qualcun altro, se lo richiede
233. La stagione, ti copre le membra
234. Fino ai piedi di calde pelli;
235. Un altro ti cinge al fianco la bianca salvietta
236. Che stesa poi cade e ripara
237. I calzoncini; un altro, dall’alto curvandosi,
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238. Il cristallino rostro in su le mani
239. Ti versa onde odorate, e da le mani
240. In limpido bacin sotto le accoglie;
241. Quale il sapon del redivivo muschio
242. Olezzante all’intorno; e qual ti porge
243. Il macinato di quell’arbor frutto
244. Che a Rodope fu già vaga donzella,
245. E piagne in van sotto mutate spoglie
246. Demofoonte ancor Demofoonte;
247. Un di soavi essenze intrisa spugna
248. Onde tergere i denti; e l’altro appresta
249. Onde imbiancar le guance util licore.
250. Assai Signore a te pensasti: or volgi
251. L’alta mente per poco ad altri obbietti
252. Non men degni di te. Sai che compagna
253. Con cui partir de la giornata illustre
254. I travagli e le glorie il ciel destina
255. Al giovane signore. Impallidisci?
256. Ahi non parlo di nozze. Antiquo e vieto
257. Dottor sarei se così folle io dessi
258. A te consiglio. Di tant’alte doti
259. Già non orni così lo spirto e i membri
260. Perchè in mezzo a la fulgida carriera
261. Tu il tuo corso interrompa, e fuora uscendo
262. Di cotesto a ragion detto bel mondo,
263. In tra i severi di famiglia padri
264. Relegato ti giacci a nodi avvinto
265. Di giorno in giorno più noiosi e fatto
266. Ignobil fabbro de la razza umana.
267. D’altra parte il marito ahi quanto spiace,
268. E lo stomaco move a i delicati
269. Del vostr’orbe felice abitatori
270. Qualor de’ semplicetti avoli nostri
271. Portar osa in ridevole trionfo
272. La rimbambita fè la pudicizia
273. Severi nomi. E qual non suole a forza
274. Entro a’ melati petti eccitar bile
275. Quando i computi vili del castaldo
276. Le vendemmie i ricolti i pedagoghi
277. Di que’ si dolci suoi bambini altrui
238. Con il becco della brocca cristallina
239. Ti versa essenze profumate, e dalle mani
240. In un terso bacino le accoglie sotto;
241. Uno il sapone di muschio profumato
242. Che profuma tutt’intorno ti porge e un altro ancora ti porge
243. Il macinato del frutto di quell’albero (mandorlo)
244. Che a Rodope fu già una bella donzella
245. E piange sotto le mutate spoglie
246. Demofoonte, ancora Demofoonte;
247. Uno ti dà una spugna intrisa di soavi profumi
248. Con cui lavare i denti; e un altro si appresta
249. Ad incipriarti le guance di belletto.
250. Assai o Signore hai pensato a te stesso, ora volgi
251. Il tuo intelletto per un poco ad altri obiettivi
252. Non meno degni di te. Sai quale compagna
253. Con cui dividere i dolori e le glorie
254. Dell’illustre giornata, il Cielo riserva
255. Al giovane Signore? Impallidisci?
256. Non parlo di matrimonio. Sarei antiquato e superato
257. Dottore, se ti dessi così folle
258. Consiglio. Di tante alte doti
259. Non abbellisci già lo spirito e le membra,
260. Così che in mezzo alla fulgida carriera
261. Tu il tuo corso interrompa e uscendo fuori
262. Da questo mondo definito “bel mondo”
263. Trai severi padri di famiglia
264. Relegato tu possa giacere, legato ai nodi,
265. Di giorno in giorno sempre più noiosi, e possa diventare
266. Ignobile fabbro della razza umana.
267. Dall’altra parte il marito, ahi, quanto si dispera
268. E prova nausea verso i fini
269. Abitanti del vostro bel mondo,
270. Quando dei nostri semplici antenati
271. Osa portare in ridente trionfo
272. La fede dei rimbambiti avi e il pudore,
273. Nomi severi! E certamente in modo forzato non vuole
274. Suscitare ira negli animi sensibili e delicati,
275. Quando ricorda a qualcuno gli atteggiamenti del fattore,
276. Le vendemmie, i raccolti, gli insegnanti
277. Di quei bambini suoi così dolci,
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278. Gongolando ricorda; e non vergogna
279. Di mischiar cotai fole a peregrini
280. Subbietti a nuove del dir forme a sciolti
281. Da volgar fren concetti, onde s’avviva
282. De’ begli spirti il conversar sublime.
283. Non però tu senza compagna andrai;
284. Chè tra le fide altrui giovani spose
285. Una te n’offre inviolabil rito
286. Del bel mondo onde sei parte si cara.
287. Tempo fu già che il pargoletto Amore
288. Dato era in guardia al suo fratello Imene;
289. Tanto la madre lor temea che il cieco
290. Incauto nume perigliando gisse
291. Misero e solo per oblique vie;
292. E che, bersaglio a gl’indiscreti colpi
293. Di senza guida e senza freno arciere,
294. Immaturo al suo fin corresse il seme
295. Uman che nato è a dominar la terra.
296. Quindi la prole mal secura all’altra
297. In cura dato avea sì lor dicendo:
298. Ite o figli del par; tu più possente
299. Il dardo scocca, e tu più cauto il reggi
300. A certa meta. Così ognor congiunta
301. Iva la dolce coppia; e in un sol regno,
302. E d’un nodo comun l’alme strignea.
303. Allora fiu che il sol mai sempre uniti
304. Vedea un pastore ed una pastorella
305. Starsi al prato a la selva al colle al fonte:
306. E la suora di lui vedeali poi
307. Uniti ancor nel talamo beato
308. Ch’ambo gli amici numi a piene mani
309. Gareggiando spargean di gigli e rose.
310. Ma che non puote anco in divini petti
311. Se mai s’accende ambizion d’impero?
312. Crebber l’ali ad Amor, crebbe l’ardire;
313. Onde a brev’aere prima indi securo
314. A vie maggior fidossi, e fiero alfine
315. Entrò nell’alto, e il grande arco crollando
316. E il capo risonar fece a quel moto
317. Il duro acciar che a tergo la faretra
278. Con ottusa soddisfazione, e non si vergogna
279. Di confondere queste favole con argomenti
280. Singolari, con neologismi e nuove costruzioni,
281. Con concetti liberi da vincoli naturali, con cui viene
282. Ravvivato il parlare sublime dei bei spiriti!
283. Tu però non andrai senza compagna,
284. Perché tra le fedeli e giovani spose degli altri
285. Una te ne offre l’inviolabile rito
286. Del bel mondo, del quale sei parte così cara.
287. Ci fu un tempo in cui il fanciullo Amore
288. Era dato in custodia a suo fratello Imene,
289. Perché Venere temeva che Amore, cieca e incauta
290. Divinità, fuggisse, misero e solo, per vie
291. Ambigue, correndo rischi;
292. E che, bersaglio a colpi indistinti,
293. Arciere senza guida e senza freno,
294. Si estinguesse l’immaturo genere
295. Umano, che è nato per dominare la terra.
296. Quindi il figlio, esposto ai rischi,
297. Lo aveva dato in cura all’altro, dicendo così:
298. <<Andate insieme, tu più forte
299. scocca il dardo, e tu guidalo
300. all’obbiettivo giusto>>. Così ogni momento
301. La dolce coppia andava insieme e in un sol luogo
302. Stringevano le anime in un solo nodo.
303. Allora avvenne che il sole non vedeva mai sempre uniti
304. Un pastore ed una pastorella,
305. Mentre se ne stavano su un prato, nella selva, sul colle, al fiume
306. E la luna, sorella del sole, poi li vedeva
307. Ancora uniti nel letto beato,
308. Che entrambe le amiche divinità a piene mani
309. Spargevano di gigli e di rose a gara.
310. Ma che cosa non può accadere negli animi divini
311. Se si accende il desiderio di dominio?
312. Crebbero ad Amore le ali, crebbe il desiderio,
313. Poi, sempre più baldo e fiero, Amore
314. Si affidò a strade maggiori e, alla fine sicuro,
315. Insuperbì, e crollando il grande arco
316. E scuotendo il capo, fece risuonare, con quel movimento,
317. Le frecce, che dietro gli riempiono
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318. Gli empie, e gridò: solo regnar vogl’io.
319. Disse, e volto a la madre: Amore adunque
320. Il più possente in fra gli dei, il primo
321. Di Citerea figliuol ricever leggi,
322. E dal minor german ricever leggi
323. Vile alunno anzi servo? Or dunque Amore
324. Non oserà fuor ch’una unica volta
325. Fiedere un’alma come questo schifo
326. Da me pur chiede? E non potrò giammai
327. Da poi ch’io strinsi un laccio anco disciorlo
328. A mio talento, e se m’aggrada, un altro
329. Strignerne ancora? E lascerò pur ch’egli
330. Di suoi unguenti impece a me i miei dardi
331. Perchè men velenosi e men crudeli
332. Scendano a i petti? Or via perchè non togli
333. A me da le mie man quest’arco e queste
334. Armi da le mie spalle, e ignudo lasci
335. Quasi rifiuto de gli dei Cupido?
336. Oh il bel viver che fia quando tu solo
337. Regni in mio loco! Oh il bel vederti, lasso!
338. Studiarti a torre da le languid’alme
339. La stanchezza e il fastidio, e spander gelo
340. Di foco in vece! Or genitrice intendi:
341. Vaglio e vo’ regnar solo. A tuo piacere
342. Tra noi parti l’impero, ond’io con teco
343. Abbia omai pace; e in compagnia d’Imene
344. Me non veggan mai più le umane genti.
345. Amor qui tacque; e minaccioso in atto
346. Parve all’Idalia dea chieder risposta.
347. Ella tenta placarlo, e preghi e pianti
348. Sparge ma in van; tal ch’a i due figli volta
349. Con questo dir pose al contender fine:
350. Poi che nulla tra voi pace esser puote,
351. Si dividano i regni: e perchè l’uno
352. Sia dall’altro fratello ognor disgiunto
353. Sien diversi tra voi e il tempo e l’opra.
354. Tu che di strali altero a fren non cedi
355. L’alme ferisci, e tuffo il giorno impera;
356. E tu che di fior placidi hai corona
357. Le salme accoppia, e con l’ardente face
318. La faretra, e allora gridò: <<voglio regnare solo io!>>
319. Disse, e rivoltosi alla madre aggiunse: <<Amore dunque
320. È il più forte degli dei, il primo
321. Figlio di Venere a ricevere le leggi,
322. e allora dal fratello minore dovrebbe ricevere le leggi
323. Come un misero allievo, anzi come un servo? Ora dunque Amore
324. Non avrà che una sola volta per
325. Colpire l’anima, come questa renittente
326. A me chiede? E non potrò più stringere
327. Un laccio amoroso e scioglierlo a mio piacimento
328. E, se mi fa piacere, stringerne
329. ancora un altro? E lascerò che egli pure
330. Imbratti con i suoi unguenti i miei dardi e le mie frecce,
331. Perché meno velenosi e meno crudeli
332. scendano di più al cuore? Dai, perché
333. non togli dalle mie mani quest’arco e queste
334. armi dalle mie spalle e nudo lasci
335. Cupido, quasi come un rifiuto degli dei?
336. Oh, il bel vivere che fai quando
337. Regni solo al mio posto! Oh, come è bello vederti tranquillo !
338. Come è bello studiarti mentre togli dai languidi corpi
339. La stanchezza ed il fastidio e spandi freddo
340. Anziché calore! Ora, madre, cerca di capirmi:
341. Voglio e desidero regnare solo. Come preferisci
342. Dividi tu l’impero, affinchè io con te
343. Possa stare in pace, e in compagnia di Imene
344. Non mi vedano più le genti umane>>
345. Amore qui stette in silenzio e con atto minaccioso
346. Sembrava aspettare una risposta da Venere.
347. Lei tenta di calmarlo, sia con pianti, sia con preghiere
348. Che sparge, ma inutilmente; finché si voltò ai due figli dicendo
349. Così, per porre fine al problema:
350. <<Poiché tra voi due sembra non poter essere pace
351. Vengano divisi i regni, e perché possiate
352. Essere separati in qualsiasi momento
353. Siano diversi sia lo scopo che il tempo.
354. Tu che, fiero delle tue frecce, non sai regolarti
355. Ferisci pure i corpi e governa tutto il giorno,
356. E tu che di placidi fiori hai una corona,
357. Accoppia i corpi e con la fiaccola accesa
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358. Regna la notte. Or quindi almo Signore
359. Venne il rito gentil che ai freddi sposi
360. Le tenebre concede e de le spose
361. Le caste membra; e a voi beata gente
362. E di più nobil mondo il cor di queste
363. E il dominio del di largo destina.
364. Dunque ascolta i miei detti, e meco apprendi
365. Quai tu deggia il mattin cure a la bella
366. Che spontanea o pregata a te si diede
367. In tua dama quel di lieto che a fida
368. Carta, nè senza testimoni fitro
369. A vicenda commessi i patti santi
370. E le condizion del caro nodo.
371. Già la dama gentile i vaghi rai
372. Al novo giorno aperse; e suo primiero
373. Pensier fu dove teco ir più convenga
374. A vegliar questa sera; e gravemente
375. Consultò con lo sposo a lei vicino,
376. O a baciarle la man pur dianzi ammesso.
377. Ora è tempo o Signor che il fido servo
378. E il più accorto tra’ tuoi voli al palagio
379. Di lei chiedendo se tranquilli sonni
380. Dormio la notte; e se d’immagin liete
381. Le fu Mòrfeo cortese. E ver che ieri
382. Al partir l’ammirasti in viso tinta
383. Di freschissime rose; e più che mai
384. Viva e snella balzar teco dal cocchio;
385. E la vigile tua mano per vezzo
386. Ricusar sorridendo allor che l’ampie
387. Scale salì del maritale albergo:
388. Ma ciò non basti ad acquetarti; e mai
389. Non obliar si giusti ufici. Ahi quanti
390. Genj malvagi fra l’orror notturno
391. Godono uscire, ed empier di perigli
392. La placida quiete de’ viventi!
393. Poria, tolgalo il cielo, il picciol cane
394. Con latrato improvviso i cari sogni
395. Troncar de la tua dama; ond’ella, scossa
396. Da subito capriccio, a rannicchiarse
397. Astretta fosse di sudor gelato
358. Regna la notte. Ora quindi, nobile Signore
359. Venne il rito gentile che agli sposi
360. Concede le caste membra delle spose;
361. E a voi, gente beata e del mondo nobile,
362. Il cuore destina il dominio
363. Del grande giorno.
364. Dunque ascolta ciò che dico e con me comprendi
365. Quali cure tu devi fare, al mattino, alla bella,
366. Che spontaneamente, o pregata a te si è concessa come
367. Tua dama quel giorno felice in cui ad un
368. Contratto scritto e non senza testimoni furono
369. A vicenda stipulati i patti santi
370. E le condizioni del caro vincolo.
371. Ora la dama gentile ha aperto
372. Gli occhi splendenti al nuovo giorno
373. Ed il suo primo pensiero è stato cercare
374. dove possa esserci un luogo più conveniente
375. Per trascorrere la serata con te e con fare grave
376. Si è consultata a questo proposito con il marito a lei vicino
377. E ammesso a baciarle la mano nella sua camera, appena sveglio.
378. Ora è tempo, o Signore, che il fedele servo
379. Ed il più sveglio trai tuoi voli al palazzo
380. Di lei, chiedendole se con sonni tranquilli
381. Ella trascorse la notte, e se Morfeo poté
382. Concederle piacevoli sonni. È vero che ieri
383. Al suo partire, l’ammirasti dipinta in viso
384. Di freschissime rose; e più che mai
385. Vivace e snella la vedesti saltare con te sulla carrozza
386. E la vedesti respingere, per vezzo,
387. La tua mano premurosa e sorridendo
388. Salì le ampie scale del palazzo del marito,
389. Ma ciò non basti a calmarti e non
390. Dimenticare mai tali opportune attenzioni.
391. Ahi, quanti spiriti malvagi, tra le tenebre della notte
392. Si divertono ad uscire e a riempire di pericoli
393. La tranquilla quiete dei viventi!
394. Potrebbe – non lo voglia il Cielo – il cane piccolo
395. Troncare con un latrato improvviso
396. I cari sogni della tua dama; perciò lei,
397. Turbata da un brivido improvviso,
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398. E la fronte bagnando e il guancial molle.
399. Anco poria colui che si de’ tristi
400. Come de’ lieti sogni è genitore,
401. Crearle in mente di nemiche idee
402. In un congiunte orribile chimera;
403. Tal che agitata e in ansioso affanno
404. Gridar tentasse, e non però potesse
405. Aprire a i gridi tra le fauci il varco.
406. Sovente ancor de la passata sera
407. La perduta nel gioco aurea moneta
408. Non men che al cavalier suole a la dama
409. Lunga vigilia cagionar: talora
410. Nobile invidia de la bella amica
411. Vagheggiata da molti: e tal or breve
412. Gelosia n’è cagione. A questo aggiugni
413. Gl’importuni mariti i quai nel capo
414. Ravvolgendosi ancor le viete usanze,
415. Poi che cessero ad altri il giorno, quasi
416. Aggian fatto gran cosa, aman d’Imene
417. Con superstizion serbare i dritti,
418. E dell’ombra notturna esser tiranni,
419. Ahi con qual noia de le caste spose
420. Ch’indi preveggon fra non molto il fiore
421. Di lor fresca beltade a sè rapito.
422. Mentre che il fido messagger sen rieda
423. Magnanimo signor già non starai
424. Ozioso però. Nel campo amato
425. Pur in questo momento il buon cultore
426. Suda e incallisce al vomere la mano
427. Lieto che i suoi sudor ti fruttin poi
428. Dorati cocchi e pellegrine mense.
429. Ora per te l’industre artier sta fiso
430. Allo scarpello all’asce al subbio all’ago:
431. Ed ora in tuo favor contende o veglia
432. Il ministro di Temi. Ecco te pure
433. La tavoletta or chiama. Ivi i bei pregi
434. De la natura accrescerai con l’arte,
435. Ond’oggi, uscendo, del beante aspetto
436. Beneficar potrai le genti, e grato
437. Ricompensar di sue fatiche il mondo.
398. Potrebbe essere costretta a rannicchiarsi
399. E a bagnare di sudore freddo
400. La fronte e il morbido cuscino.
401. Ancor più, il Sonno, che dei così tristi
402. Come dei così lieti sogni è genitore,
403. Potrebbe crearle nella mente idee strane sull’orribile chimera;
404. Così che, agitata ed in un affanno ansioso,
405. Ella tenterebbe di gridare, ma non potrebbe
406. Aprire un passaggio nella gola al grido.
407. Spesso la moneta d’oro perduta
408. Al gioco nella sera passata
409. Non meno di quanto suole farlo al cavaliere,
410. Anche alla dama è solita causare una lunga veglia: talvolta c’è
411. La nobile invidia della bella amica
412. Desiderata da molti: e di questo
413. Una gelosia di poco conto ne è ragione. A questo aggiungi
414. Gli inopportuni mariti, che avendo
415. Ancora in mente le vecchie usanze,
416. Ormai antiquate, dopo aver concesso ai cavalieri il giorno,
417. Come se avessero fatto chissà cosa, durante la notte
418. Pretendono di conservare i diritti
419. Che derivano dal loro matrimonio ad essere tiranni.
420. Ahi, con che noia delle caste spose,
421. Che prevedono che in seguito
422. Alle insistenze dei mariti ed alle eventuali gravidanze
423. Possono perdere, in pochi anni, la propria fresca bellezza!
424. Mentre il fedele messaggero se ne torna
425. Tu non starai ozioso, o magnanimo Signore. Nel campo amato
426. Anche in questo momento il buon agricoltore
427. Suda e incallisce, spingendo l’aratro
428. Felice che il suo lavoro ti serva
429. Per i dorati cocchi e per le mense pellegrine.
430. Adesso per te l’artigiano operoso è intento
431. Allo scalpello, alle asce, al subbio, all’ago:
432. Ed ora a tuo favore contende o veglia
433. L’avvocato. Ecco, per te la
434. Toeletta ora chiamo. Qui i bei pregi
435. Della natura accrescerai con cosmesi e acconciature,
436. Quando oggi, uscendo con questo bell’aspetto,
437. Potrai beneficare le persone e grato
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438. Ogni cosa è già pronta. All’un de’ lati
439. Crepitar s’odon le fiammanti brage
440. Ove si scalda industrioso e vario
441. Di ferri arnese a moderar del fronte
442. Gl’indocili capei. Stuolo d’Amori
443. Invisibil sul foco agita i vanni,
444. E per entro vi soffia alto gonfiando
445. Ambe le gote. Altri di lor v’appressa
446. Pauroso la destra; e prestamente
447. Ne rapisce un de’ ferri: altri rapito
448. Tenta com’arda in su l’estrema cima
449. Sospendendol dell’ala; e cauto attende
450. Pur se la piuma si contragga o fume:
451. Altri un altro ne scote; e de le ceneri
452. Fuligginose il ripulisce e terge.
453. Tali a le vampe dell’Etnèa fucina,
454. Sorridente la madre, i vaghi Amori
455. Eran ministri all’ingegnoso fabbro:
456. E sotto a i colpi del martel frattanto
457. L’elmo sorgea del fondator Latino.
458. All’altro lato con la man rosata
459. Como e di fiori inghirlandato il crine
460. I bissi scopre ove di Idalj arredi
461. Almo tesor la tavoletta espone.
462. Ivi e nappi eleganti e di canori
463. Cigni morbide piume; ivi raccolti
464. Di lucide odorate onde vapori;
465. Ivi di polvi fuggitive al tatto
466. Color diversi o ad imitar d’Apollo
467. L’aurato biondo o il biondo cenerino
468. Che de le sacre Muse in su le spalle
469. Casca ondeggiando tenero e gentile.
470. Che se a nobil eroe le fresche labbra
471. Repentino spirar di rigid’aura
472. Offese alquanto, v’è stemprato il seme
473. De la fredda cucurbita: e se mai
474. Pallidetto ei si scorga, è pronto all’uopo
475. Arcano a gli altri eroi vago cinabro.
476. Nè quando a un semideo spuntar sul volto
477. Pustula temeraria osa pur fosse,
438. Ricompensare il mondo delle sue fatiche.
439. Ogni cosa è già pronta. In ogni luogo
440. Si sentono crepitare le fiammanti braci (i carboni)
441. Dove si riscalda, industrioso,
442. L’arnese che serve a modellare
443. I capelli ribelli. Uno stuolo di amori
444. Invisibili agita le penne delle ali
445. E all’interno vi soffia forte gonfiando
446. Entrambe le guance. Uno di loro avvicina
447. Intimorito la mano, ruba uno dei ferri: l’altro che ha già rubato
448. Prova come arda sopra l’estrema punta
449. Dell’ala, sospendendolo e tranquillo aspetta
450. Che la piuma si contragga o fumi:
451. Un altro scuote un altro ferro e lo pulisce
452. Dalle ceneri fuligginose e lo lucida.
453. Così nelle fiamme dell’officina dell’Etna
454. La madre sorridente ed i vaghi Amori
455. Erano aiutanti dell’ingegnoso fabbro.
456. E sotto i colpi del martello frattanto
457. Sorgeva l’elmo di Enea, fondatore latino.
458. Dall’altra parte, con la mano rosata, Como
459. Con i capelli inghirlandati di fiori,
460. Scopre i bissi e gli strumenti di Venere ove
461. Espone la toeletta, grande tesoro.,
462. Lì vi sono boccette eleganti e morbide
463. Piume di cigni canori; lì sono raccolti
464. Profumi di odorose essenze;
465. Lì cade morbido e gentile
466. Sulle spalle, proveniente dalle sacre Muse
467. Il biondo oro delle Muse
468. O il biondo cenere di Apollo
469. Delle polveri che sfuggono al tatto.
470. Che se le fresche labbra al nobile eroe
471. Furono stemperate un po’
472. Da un’improvvisa gelida brezza, vi è stemperato il seme
473. Della fredda zucca: e se mai
474. Egli si veda pallidetto, è subito pronto
475. Il vago belletto, ignorato dagli altri vagheggini.
476. Né quando osasse spuntare ad un semidio
477. Una bolla temeraria sul volto,
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478. Multiforme di nei copia vi manca,
479. Ond’ei l’asconda in sul momento, ed esca
480. Più periglioso a saettar co i guardi
481. Le belle inavvedute, a guerrier pari
482. Che, già poste le bende a la ferita,
483. Più glorioso e furibondo insieme
484. Sbaragliando le schiere entra nel folto.
485. Ma già velocemente il mio Signore
486. Tre volte e quattro il gabinetto scorse
487. Col crin disciolto e su gli omeri sparso,
488. Quale a Cuma solea l’orribil maga
489. Quando agitata dal possente nume
490. Vaticinar s’udia. Così dal capo
491. Evaporar lasciò de gli olj sparsi
492. Il nocivo fermento e de le polvi
493. Che roder gli porien la molle cute,
494. O d’atroci emicranie a lui lo spirto
495. Trafigger lungamente. Or ecco avvolto
496. Tutto in candidi lini a la grand’opra
497. E più grave del di s’appresta e siede.
498. Nembo dintorno a lui vola d’odori
499. Che a le varie manteche ama rapire
500. L’aura vagante lungo i vasi ugnendo
501. Le leggerissim’ale di farfalla:
502. E lo speglio patente a lui dinanzi
503. Altero sembra di raccor nel seno
504. L’imagin diva; e stassi a gli occhi suoi
505. Severo esplorator de la tua mano
506. O di bel crin volubile architetto.
507. O di bel crin volubile architetto
508. Tu pria chiedi all’eroe qual più gli aggrade
509. Spargere al crin, se i gelsomini o il biondo
510. Fior d’arancio piuttosto o la giunchiglia
511. O l’ambra preziosa a gli avi nostri.
512. Ma se la sposa altrui cara all’eroe
513. Del talamo nuzial si lagna, e scosse
514. Pur or da lungo peso i casti lombi,
515. Ah fuggi allor tutti gli odori ah fuggi;
516. Chè micidial potresti a un sol momento
517. Più vite insidiar: semplici sieno
478. Non manca una multiforme abbondanza di nei,
479. Per mezzo dei quali la celi, ed esca
480. Più pericoloso a colpire con gli sguardi
481. Le belle inavvedute; simile ad un guerriero
482. Che, messe le bende sulla ferita,
483. Più glorioso ed insieme più furibondo,
484. Entra tra la folla, sbaragliando gli eserciti.
485. Ma già il mio Signore percorre avanti e indietro
486. Tre o quattro volte il gabinetto,
487. Con i capelli non ancora acconciati e sparsi sugli omeri,
488. Come a Cuma era abituata a fare l’orribile Sibilla,
489. Che, invasata dal potente nume di Apollo,
490. Proferiva vaticini. Così egli lasciò dal capo
491. Evaporare le dannose esalazioni
492. degli unguenti e delle polveri,
493. Che potrebbero dare prurito alla sua pelle delicata
494. E trafiggere lungamente a lui lo spirito
495. Di atroci emicranie. Ora ecco, avvolto
496. Da una sopravveste bianca , alla grande opera
497. Si prepara e più grave del giorno si siede.
498. Tutto intorno a lui profuma di odori
499. Che alle varie pomate l’aria vagante ama rapire,
500. Ungendo lungo i vasi
501. Le leggerissime ali di farfalla:
502. E lo specchio che riflette la sua immagine sembra davanti
503. A lui orgoglioso di poter riflettere
504. La grande immagine; e sta agli occhi suoi
505. Severo esploratore della tua mano
506. O volubile architetto della bella testa il parrucchiere,
507. O volubile architetto della bella testa il parrucchiere.
508. Tu prima chiedi all’eroe che cosa più gli piace
509. Mettere sui capelli: se il gelsomino o il biondo
510. Fiore d’arancio, o la giunchiglia
511. O l’ambra preziosa ai nostri antenati.
512. Ma se la sposa di qualcun altro, cara al Signore,
513. Si lamenta del letto nuziale, e se la dama
514. Solo da poco ha partorito,
515. Fuggi, allora, tutti i profumi, fuggi,
516. Perché potresti micidiale mettere in pericolo
517. Contemporaneamente tre vite: siano semplici
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518. I tuoi balsami allor: nè oprarli ardisci
519. Pria che di lor deciso aggian le nari
520. Del mio signore e tuo. Pon mano poi
521. Al pettin liscio, e con l’ottuso dente
522. Lieve solca le chiome; indi animoso
523. Le turba e le scompiglia; e alfin da quella
524. Alta confusion traggi e dispiega,
525. Opra di tua gran mente, ordin superbo
526. Io breve a te parlai; ma il tuo lavoro
527. Breve non fia però; nè al termin giunto
528. Prima sarà che da’ più strani eventi
529. S’involva o tronchi all’alta impresa il filo.
530. Fisa i guardi a lo speglio; e là sovente
531. Il mio signor vedrai morder le labbra
532. Impaziente, ed arrossir nel volto.
533. Sovente ancor, se men dell’uso esperta
534. Parrà tua destra, del convulso piede
535. Udrai lo scalpitar breve e frequente,
536. Non senza un tronco articolar di voce
537. Che condanni e minacci. Anco t’aspetta
538. Veder talvolta il cavalier sublime
539. Furiando agitarsi, e destra e manca
540. Porsi a la chioma, e dissipar con l’ugne
541. Lo studio di molt’ore in un momento.
542. Che più? Se per tuo male un di vaghezza
543. D’accordar ti prendesse al suo sembiante
544. Gli edifici del capo, e non curassi
545. Ricever leggi da colui che venne
546. Pur ier di Francia, ah quale atroce folgore,
547. Meschino! allor ti penderia sul capo?
548. Tu allor l’eroe vedresti ergers’in piedi,
549. E per gli occhi versando ira e dispetto
550. Mille strazj imprecarti, e scender fino
551. Ad usurpar le infami voci al vulgo
552. Per farti onta maggiore, e di bastone
553. Il tergo minacciarti, e violento
554. Rovesciare ogni cosa, al suol spargendo
555. Rotti cristalli e calamistri e vasi
556. E pettini ad un tempo. In simil guisa,
557. Se del tonante all’ara o de la Dea
518. Allora i tuoi profumi; e non osare di adoperarli
519. Prima che si sia espresso in merito l’olfatto
520. Del mio e del tuo Signore. Poni poi la mano
521. Al pettine liscio e con l’arrotondato dente
522. Lievemente attraversa le chiome; quindi, animoso
523. Agitale e scompigliale, e alla fine di quella
524. Alta confusione, fai e disfa
525. L’opera della tua grande mente, l’acconciatura superba.
526. Io a te ho parlato poco, ma il tuo lavoro
527. Non fu breve, né sarà arrivato al termine
528. Prima che sia turbato da strani avvenimenti
529. Ed interrotto il corso del tuo lavoro.
530. Fissa gli occhi allo specchio e lì spesso
531. Vedrai il mio Signore mordersi le labbra
532. Impaziente ed arrossire sul viso.
533. Ancora spesso, se la tua mano destra lavorerà
534. Meno bene del solito, udirai lo scalpitare
535. Breve e frequente del piede agitato,
536. Non senza un filo articolato di voce
537. Che condanni e minacci. Talvolta aspettati
538. Di vedere ancora il gentile cavaliere
539. Agitarsi infuriato, a destra e a sinistra,
540. Porsi le dita nella testa e scompigliare
541. In un momento il lavoro di molte ore.
542. Che dunque? Se un giorno per tua disgrazia
543. Ti prendesse di pettinarlo, accordando i capelli
544. Al suo aspetto, e non ti curassi
545. Di regolarti sull’ultima moda appena
546. Venuta dalla Francia, ah quale atroce folgore
547. O meschino, ti incomberebbe sulla testa!
548. Tu allora vedresti il Signore alzarsi in piedi,
549. Versando ira e disprezzo dagli occhi, augurarti
550. Mille strazi, imprecando e fino ad usare
551. Le ingiurie più villane e più plebee
552. Per offenderti, minacciando
553. Di bastonarti, rovesciando
554. Violento ogni cosa, spargendo per terra
555. In un solo momento cristalli rotti, ferri per arricciare i capelli,
556. Vasi e pettini. Simile alla tua ira
557. Era quella del toro che,
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558. Che ricovrò dal Nilo il turpe Phallo
559. Tauro spezzava i raddoppiati nodi
560. E libero fuggia, vedeansi a terra
561. Cader tripodi tazze bende scuri
562. Litui coltelli, e d’orridi mugiti
563. Commosse rimbombar le arcate volte,
564. E d’ogni lato astanti e sacerdoti
565. Pallidi all’urto e all’impeto involarse
566. Del feroce animal che pria si queto
567. Gia di fior cinto; e sotto a la man sacra
568. Umiliava le dorate corna.
569. Tu non pertanto coraggioso e forte
570. Dura e ti serba a la miglior fortuna.
571. Quasi foco di paglia è foco d’ira
572. In nobil petto. Il tuo signor vedrai
573. Mansuefatto a te chieder perdono,
574. E sollevarti oltr’ogni altro mortale
575. Con preghi e scuse a niun altro concesse;
576. Tal che securo sacerdote a lui
577. Immolerai lui stesso, e pria d’ognaltro
578. Larga otterrai del tuo lavor mercede.
579. Or Signore a te riedo. Ah non sia colpa
580. Dinanzi a te s’io travviai col verso
581. Breve parlando ad un mortal cui degni
582. Tu de gli arcani tuoi. Sai che a sua voglia
583. Questi ogni di volge e governa i capi
584. De’ semidei più chiari: e le matrone
585. Che da i sublimi cocchi alto disdegnano
586. Chinar lo sguardo a la pedestre turba,
587. Non disdegnan sovente entrar con lui
588. In festevoli motti allor ch’esposti
589. A la sua man sono i ridenti avorj
590. Del bel collo e del crin l’aureo volume.
591. Però m’odi benigno or ch’io t’apprendo
592. L’ore a passar più graziose intanto
593. Che il pettin creator doni a le chiome
594. Leggiadra o almen non più veduta forma.
595. Breve libro elegante a te dinanzi
596. Tra gli arnesi vedrai che l’arte aduna
597. Per disputare a la natura il vanto
558. Liberatosi dall’altare di Giove o da quello di Iside
559. Ove doveva essere sacrificato, infuriava
560. Muggendo e rovesciando ogni cosa.
561. Si vedevano a terra cadere tripodi, tazze e bende
562. Coltelli sacrificali e di muggiti
563. Rimbombavano le volte arcate mosse,
564. E da ogni parte sacerdoti ed altri presenti
565. Cercavano di schivare l’animale,
566. Che, pure, prima inghirlandato
567. Sembrava così docile e sotto alla mano sacra
568. Abbassava le corna dorate.
569. Tu, o parrucchiere, non conservarti e non mantenerti
570. Così forte e così coraggioso per la miglior fortuna.
571. Il fuoco dell’ira nel petto nobile è quasi
572. Come un fuoco di paglia. Vedrai il tuo Signore
573. Ammansiti chiederti perdono
574. E innalzarti al di sopra di qualsiasi altro mortale
575. Con preghiere e scuse, che a nessun altro concesse.
576. Quindi sarai sicuro come un sacerdote,
577. Immolerai a lui l’amore per sé e prima di ogni altro
578. Sarai ampiamente ricompensato per il lavoro svolto.
579. Ora, o Signore, ritorno a parlare di te. Ah, non sia colpa mia
580. Se io sbagliai nei tuoi confronti, indirizzando i miei versi e
581. Parlando per poco di un mortale che giudichi
582. E rendi degno delle tue confidenze. Sai che costui, secondo
583. I suoi desideri, acconcia ed insieme condiziona, a suo
584. Piacimento, le teste dei più felici spiriti; e le signore
585. Che disdegnano, dall’alto dei cocchi
586. Di chinare lo sguardo sul volgo che va a piedi,
587. Non disdegnano di scambiare spesso con lui frasi scherzose,
588. Quando è esposta la pelle candida
589. Del bel collo e il dorato volume dei tuoi capelli.
590. Accogli, però, ti prego i miei versi
591. Con benevolenza, mentre io ti insegno
592. A trascorrere le ore, mentre
593. Il pettine creatore dona alle chiome
594. Una forma bella o per lo meno nuova.
595. Vedrai davanti a te un breve libro elegante,
596. Tra gli strumenti dell’arte cosmetica,
597. Per contendere alla Natura l’arte della tua bellezza
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598. Del renderti si caro a gli occhi altrui.
599. Ei ti lusingherà forse con liscia
600. Purpurea pelle onde vestito avrallo
601. O Mauritano conciatore o Siro:
602. E d’oro fregi delicati e vago
603. Mutabile color che il collo imite
604. De la colomba v’avrà sparso intorno
605. Squisito legator Batavo o Franco:
606. E forse incisa con venereo stile
607. Vi fia serie d’imagini interposta,
608. Lavor che vince la materia, e donde
609. Fia che nel cor ti si ridesti e viva
610. La stanca di piaceri offusa voglia.
611. Or tu il libro gentil con lenta mano
612. Togli, e non senza sbadigliare un poco
613. Aprilo a caso o pur là dove il parta
614. Tra l’uno e l’altro foglio indice nastro.
615. de la Francia Proteo multiforme
616. Scrittor troppo biasmato e troppo a torto
617. Lodato ancor, che sai con novi modi
618. Imbandir ne’ tuoi scritti eterno cibo
619. A i semplici palati, e se maestro
620. Di color che a sè fingon di sapere,
621. Tu appresta al mio signor leggiadri studj
622. Con quella tua fanciulla all’Anglo infesta,
623. Onde l’Enrico tuo vinto è d’assai,
624. L’Enrico tuo che in vano abbatter tenta
625. L’Italian Goffredo ardito scoglio
626. Contro a la Senna d’ogni vanto altera.
627. Tu de la Francia onor, tu in mille scritti
628. Celebrata da’ tuoi novella Aspasia
629. Taide novella a i facili sapienti
630. De la Gallica Atene i tuoi precetti
631. Tu pur detta al mio eroe: e a lui non meno
632. Pasci l’alto pensier tu che all’Italia,
633. Poi che rapirle i tuoi l’oro e le gemme,
634. Invidiasti il fedo loto ancora
635. Onde macchiato è il Certaldese o l’altro
636. Per cui va si famoso il pazzo Conte.
637. Questi o signore i tuoi studiati autori
598. E per renderti così bello agli occhi degli altri.
599. Egli ti alletterà con un liscio
600. Tessuto rosso di cui lo avrà fornito
601. O un conciatore africano o uno asiatico;
602. E i fregi e i tagli del libro in oro,
603. Ad un colore che imiti quello
604. Delle colombe, vi avrà sparso intorno
605. Un emerito rilegatore olandese o francese.
606. E forse illustrata con stile più licenzioso che bello
607. Vi sarà interposta una serie di immagini,
608. Lavoro che modella la materia e dal quale
609. Si farà in modo che nel cuore ti si ridesti
610. La voglia offuscata, ormai stanca di piaceri.
611. Ora tu prendi il libro gentile e, non senza sbadigliare un poco,
612. Aprilo con la tua lenta mano a caso
613. Oppure dove il segnalibro
614. Divide un foglio dall’altro.
615. O Voltaire, simile al dio Proteo,
616. Nella sua versatilità, o troppo esaltato
617. O troppo sottovalutato, che è accessibile
618. E divulgativo e nel contempo viene citato
619. Ad ogni piè sospinto da quelli che fingono
620. Di avere una cultura che non hanno!
621. Tu prepara al mio Signore leggiadri studi
622. Con “La Pulzella d’Orleans”
623. Che supera l’altro poema,
624. Quell’Henriade che invano tenta di contrapporsi
625. Alla “Gerusalemme liberata”
626. Contro la Senna superba di ogni vanto.
627. Tu, Ninon de Lenclos, onore della Francia
628. Cortigiana celebrata in mille scritti,
629. Nuova Aspasia e nuova Taide per i sapienti
630. Della gallica Atene, detta i tuoi precetti
631. Al mio giovane Signore; oppure istruiscilo tu
632. La Fontaine, che nei tuoi scritti
633. Prendesti dall’Italia assieme alle bellezze
634. Anche le sconcezze che si trovano nel Boccaccio
635. E nell’Ariosto, autore per il quale
636. Va fiero il Conte Orlando pazzo.
637. Questi saranno, o Signore, gli autori studiati
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638. Fieno e mill’altri che guidàro in Francia
639. I bendati Sultani i Regi Persi
640. E le peregrinanti Arabe dame,
641. O che con penna liberale a i cani
642. Ragion donàro e a i barbari sedili,
643. E dier feste e conviti e liete scene
644. A i polli ed alle gru d’amor maestre.
645. Oh pascol degno d’anima sublime
646. Oh chiara oh nobil mente! A te ben dritto
647. E’ che s’incurvi riverente il vulgo,
648. E gli oracoli attenda. Or chi fie dunque
649. Si temerario che in suo cor ti beffe
650. Qualor partendo da sì gravi studj
651. Del tuo paese l’ignoranza accusi,
652. E tenti aprir col tuo felice raggio
653. La Gotica caliggine che annosa
654. Siede su gli occhi a le misere genti?
655. Così non mai ti venga estranea cura
656. Questi a troncar si preziosi istanti
657. In cui del pari e a la dorata chioma
658. Splendor dai novo ed al celeste ingegno
659. Non pertanto avverrà che tu sospenda
660. Quindi a poco il versar de’ libri amati,
661. E che ad altro ti volga. A te quest’ora
662. Condurrà il merciaiol che in patria or torna
663. Pronto inventor di lusinghiere fole
664. E liberal di forastieri nomi
665. A merci che non mai varcàro i monti.
666. Tu a lui credi ogni detto. E chi vuoi ch’ose
667. Unqua mentire ad un tuo pari in faccia?
668. Ei fia che venda se a te piace o cambi
669. Mille fregi e lavori a cui la moda
670. Di viver concedette un giorno intero
671. Tra le folte d’inezie illustri tasche:
672. Poi lieto se n’andrà con l’una mano
673. Pesante di molt’oro; e in cor gioiendo
674. Spregerà le bestemmie imprecatrici
675. E il gittato lavoro e i vani passi
676. Del calzolar diserto e del drappiere;
677. E dirà lor: “Ben degna pena avete
638. Da te, e mille altri che guidarono in Francia
639. I sultani con i turbanti, i re persiani
640. E le dame arabe pellegrine;
641. Oppure quelli che con la penna attribuirono
642. Facoltà umane ai cani e ai divani
643. E diedero feste, conviti, piacevoli spettacoli
644. Ai polli e alle gru, maestre d’amore.
645. Oh pascolo degno di anime sublimi!
646. Oh chiara oh alta mente! A te il popolo
647. Si chini bene per diritto, in segno di riverenza
648. E attenda i tuoi giudizi. Ora chi sarà dunque così
649. Temerario che nel suo cuore ti prenda in giro,
650. Qualora tu, basandoti su siffatti studi,
651. Accusi il tuo Paese di ignoranza
652. E cerchi di dissipare con la tua brillante cultura
653. L’oscura barbarie che da molto tempo
654. Grava sugli occhi delle misere genti?
655. Così non ti venga mai un’occupazione imprevista
656. A rompere questi momenti così preziosi,
657. Nei quali tu dai nuovo splendore alla bionda chioma
658. E contemporaneamente al celeste ingegno.
659. Non accadrà, quindi, che tu sospenda
660. Fra poco i cari studi
661. E ad altro ti volga. Quest’ora ti condurrà
662. Il mercante, che torna in patria, abile
663. Inventore di panzane e che attribuisce
664. Con facilità nomi stranieri
665. A merci che non hanno mai superato le Alpi.
666. Tu credi ad ogni sua parola. E cosa vuoi che sia
667. Mentire spudoratamente in faccia ad uno uguale a te?
668. Fa’ che egli venda a te qualcosa che piace o cambia
669. Con mille pizzi e accorgimenti, a cui la moda concede
670. Di vivere un intero giorno
671. Tra le tasche insigni e piene di sciocchezze.
672. Poi se ne andrà felice con in mano
673. Molto denaro e rallegrandosi insieme
674. Disdegnerà le maledette imprecazioni
675. Ed il lavoro svolto inutilmente e gli inutili passi
676. Del calzolaio privato delle sue spettanze e del venditore di tessuti
677. E dirà loro: << Ben adeguata punizione avete,
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678. O troppo ancor religiosi servi
679. De la necessitade, antiqua è vero
680. Madre e donna dell’arti, or nondimeno
681. Fatta cenciosa e vile. Al suo possente
682. Amabil vincitor v’era assai meglio
683. O miseri ubbidire. Il lusso il lusso
684. Oggi sol puote dal ferace corno
685. Versar su l’arti a lui vassalle applausi
686. E non contesi mai premj e ricchezze”.
687. L’ore fien queste ancor che a te ne vegna
688. Il delicato miniator di belle
689. Che de la corte d’Amatunta uscio
690. Stipendiato ministro atto a gli affari
691. Sollecitar dell’amorosa diva.
692. Or tu l’affretta impaziente e sprona
693. Si ch’a te porga il desiato avorio
694. Che de le amate forme impresso ride,
695. Sia che il pennel cortese ivi dispieghi
696. L’alme sembianze del tuo viso, ond’aggia
697. Tacito pasco allor che te non vede
698. La pudica d’altrui sposa a te cara;
699. Sia che di lei medesma al vivo esprima
700. Il vago aspetto; o se ti piace ancora
701. D’altra beltà furtiva a te presenti
702. Con più largo confin le amiche membra.
703. Doman fie poi che la concessa imago
704. Entro arnese gentil per te si chiuda
705. Con opposto cristallo ove tu faccia
706. Sovente paragon di tua beltade
707. Con la beltà de la tua dama; o a i guardi
708. Degl’invidi la tolga, e in sen l’asconda
709. Sagace tabacchiera; o a te riluca
710. Sul minor dito in fra le gemme e l’oro;
711. O de le grazie del tuo viso desti
712. Soavi rimembranze al braccio avvolta
713. Dell’altrui fida sposa a cui se’ caro.
714. Ed ecco alfin che a le tue luci appare
715. L’artificio compiuto. Or cauto osserva
716. Se bene il simulato al ver s’adegue,
717. Vie più rigido assai se il tuo sembiante
678. Servitori ancora troppo devoti
679. Della necessità, un tempo
680. Madre e signora dei vari mestieri, ora
681. Diventata misera e priva di importanza. Al suo lusso,
682. Amabile vincitore, vi era assai meglio
683. O poveri, ubbidire. La ricchezza e il lusso:
684. Oggi questo solo può dal corno dell’abbondanza
685. Versare sulle arti a lui serve subordinati applausi
686. E premi e ricchezze mai rifiutate dai signori>>
687. Queste saranno anche le ore, in cui verrà a te
688. Il morbido miniatore di belle cose,
689. Che dalla corte di Venere è uscito,
690. Servitore pagato, abile a sollecitare gli affari
691. Della dea dell’Amore.
692. Ora tu, impaziente, lo minacci e lo stimoli,
693. Così che a te offra la desiderata miniatura d’avorio
694. A cui daranno avvenenza le forme raffigurate che ami,
695. Sia che il pennello dal tratto elegante e raffinato raffiguri
696. I tratti sublimi del tuo viso, da cui –in tua assenza697. Tragga piacere in silenzio, di nascosto, quando non ti vede
698. La sposa casta di qualcun altro, che a te è cara;
699. Sia che lei rappresenti, quasi fosse viva,
700. La bella apparenza; oppure , se ti soddisfa ancora,
701. Un altro Amoretto nascosto a te si presenti
702. E la ritragga con un costume succinto.
703. Domani farò in modo che l’immagine tanto chiesta ed ottenuta
704. Dentro al medaglione per te si chiuda,
705. Con opposto specchio, dove tu faccia spesso
706. Paragone della tua bellezza
707. Con la bellezza della tua dama, e farò sì che agli sguardi
708. Degli invidiosi tu la copra e in seno tu le nasconda
709. Una bella tabacchiera; oppure farò sì che per te brilli
710. Sul dito mignolo, incastonata fra le gemme e l’oro;
711. Oppure farò sì che svegli con le grazie del tuo viso
712. dolci ricordi, avvolta al braccio
713. Della sposa di un altro, alla quale sei caro.
714. Ed ecco, alla fine, che appare ai tuoi occhi
715. L’inganno compiuto. Ora guarda attentamente
716. Se il ritratto risponde alla realtà,
717. E sii più che mai rigoroso e severo, se il ritratto raffigurerà
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718. Esprimer denno i colorati punti
719. Che l’arte ivi dispose. Or brune troppo
720. A te parran le guance, or fia ch’ecceda
721. Mal frenata la bocca, or qual conviene
722. A camuso Etiòpe il naso fia.
723. Anco sovente d’accusar ti piaccia
724. Il dipintor che non atteggi ardito
725. L’agili membra e il dignitoso busto;
726. O che mal tra le leggi a la tua forma
727. Dia contorno o la posi o la panneggi.
728. E’ ver che tu del grande di Crotone
729. Non conosci la scola, e mai tua destra
730. Non abbassossi a la volgar matita
731. Che fu nell’altra età cara a’ tuoi pari
732. Cui non gustate ancora eran più dolci
733. E più nobili cure a te serbate.
734. Ma che non puote quel d’ogni scienza
735. Gusto trionfator che all’ordin vostro
736. In vece di maestro il ciel concesse;
737. E d’onde a voi coniò le altere menti
738. Acciò che possan dell’uman confine
739. Oltrepassar la paludosa nebbia
740. E d’etere più puro abitatrici
741. Non fallibili scérre il vero e il bello?
742. Però qual più ti par loda o riprendi
743. Non men fermo d’allor che a scranna siedi
744. Raffael giudicando o l’altro egregio
745. Che del gran nome suo l’Adige onora;
746. E a le tavole ignote i noti nomi
747. Grave comparti di color che primi
748. Furo nell’arte. Ah s’altri è si procace
749. Ch’osi rider dite, costui pavente
750. L’augusta maestà del tuo cospetto,
751. Si volga a la parete, e mentre cerca
752. Por freno in van col morder de le labbra
753. A lo scrosciar de le importune risa
754. Che scoppian da’ precordj, violenta
755. Convulsione a lui deforme il volto,
756. E lo affoghi aspra tosse e lo punisca
757. Di sua temerità. Ma tu non pensa
718. Le tue sembianze, che devono esprimere i tratti colorati
719. Che l’arte dispose: ora troppo brune
720. A te sembreranno le gote, ora accadrà che la bocca
721. Risulti troppo larga, ora accadrà che il naso
722. Sia come quello camuso degli Etiopi.
723. Ti piaccia ancora accusare spesso
724. Il pittore, che non rappresenta bene
725. Le agili membra e il bel busto,
726. O che, con poca osservanza delle regole e della tua
figura,
727. Dia un profilo o le attribuisca una posa, o la drappeggi.
728. È vero che tu non ti intendi di pittura
729. E non conosci la scuola del pittore greco Zeusi, e mai la tua mano
730. È scesa tanto in basso da tenere una matita,
731. Che in passato era cara ai tuoi simili,
732. Ai quali erano ancora ignoti lavori più piacevoli
733. E più nobili, che sono riservati a te.
734. Ma che cosa non può mai quel vostro gusto
735. Innato e superiore ad ogni regola
736. Che il Cielo concesse a voi come maestro
737. E con il quale improntò a voi le superbe menti,
738. Affinchè possano superare
739. La paludosa nebbia del confine umano
740. E, come abitatrici del puro Cielo,
741. Discernere infallibilmente il Bello e il Vero?
742. Perciò, come più ti piace, critica
743. Non meno severo di allora, sali in cattedra,
744. Giudicando Raffaello o l’illustre Paolo Caliari,
745. Che con il suo grande nome onora l’Adige;
746. E attribuisci gravemente a famosi pittori
747. Che furono trai primi quadri che non conosci.
748. Ah, se qualcuno è così sfacciato
749. Che osi ridere di te, costui paventi
750. Al cospetto della tua augusta maestà,
751. Si volti verso la parete, e mentre prova
752. A smettere di ridere, mordendosi le labbra,
753. Per porre freno alle risate importune,
754. Che esplodono spontaneamente, una violenta
755. Convulsione a lui trasformi il viso
756. E lo affoghi con una severa tosse e lo punisca
757. Per la sua temerarietà! Ma tu non pensare
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758. Ch’altri ardisca di te rider giammai;
759. E mai sempre imperterrito decidi.
760. Or giunta è alfin del dotto pettin l’opra:
761. E il maestro elegante intorno spande
762. Da la man scossa polveroso nembo,
763. Onde a te innanzi tempo il crine imbianchi.
764. D’orribil piato risonar s’udio
765. Già la corte d’Amore. I tardi vegli
766. Grinzuti osàr co’ giovani nipoti
767. Contendere di grado in faccia al soglio
768. Del comune lor dio. Rise la fresca
769. Gioventude animosa; e d’agri motti
770. Libera punse la senil baldanza.
771. Gran tumulto nascea, se non che Amore
772. Ch’ogni diseguaglianza odia in sua corte
773. A spegner mosse i perigliosi sdegni:
774. E a quei che militando incanutiro
775. Suoi servi apprese a simular con arte
776. I duo bei fior che in giovanile gota
777. Educa e nudre di sua man natura:
778. Indi fe’ cenno; e in un balen fur visti
779. Mille alati ministri alto volando
780. Scoter lor piume, onde fioccò leggera
781. Candida polve che a posar poi venne
782. Su le giovani chiome; e in bianco volse
783. E il biondo e il nero e l’odiato rosso.
784. L’occhio così nell’amorosa reggia
785. Più non distinse le due opposte etadi:
786. E solo vi restò giudice il tatto.
787. Tu pertanto o signor tu che se’ il primo
788. Fregio ed onor dell’Acidalio regno
789. I sacri usi ne serba. Ecco che sparsa
790. Già da provvida man la bianca polve
791. In piccolo stanzin con l’aere pugna,
792. E de gli atomi suoi tutto riempie
793. Egualmente divisa. Or ti fa core,
794. E in seno a quella vorticosa nebbia
795. Animoso ti avventa. Oh bravo! oh forte!
796. Tale il grand’avo tuo tra il fumo e il foco
797. Orribile di Marte furiando
758. Che qualcuno osi ridere di te,
759. E sempre intrepido decidi!
760. È giunta alla fine l’opera dell’esperto pettine:
761. E il parrucchiere elegantemente sparge intorno,
762. Scuotendola dalla mano, La cipria,
763. Che prima del tempo ti imbianca i capelli.
764. Si sentì risuonare di una grande lite
765. La corte d’Amore. I tardi vecchi
766. Rugosi osarono litigare con i giovani nipoti
767. Sull’ordine di precedenza di fronte al trono
768. Dell’Amore, loro dio. Rise la fresca
769. Gioventù animosa e di acerbe frecce
770. Liberamente punse la sicurezza dei vecchi.
771. Sarebbe scaturita una grande zuffa, se non che Amore,
772. Che rifiuta ogni diversità nella sua corte,
773. Si accinse a quietare le ire pericolose:
774. E a quei suoi servitori che invecchiarono, seguendo
775. Fedelmente le leggi amorose, insegnò a simulare con i cosmetici
776. Il giglio e la rosa, cioè il naturale colore delle guance
777. Che fa sorgere e genera dalla sua mano la Natura:
778. Poi fece cenno e in un momento si videro
779. Mille Amorini, volando in alto,
780. Scuotere le loro piume, dove fioccò leggera
781. La cipria che si andò a posare
782. Sulle giovani chiome, e trasformò in bianco
783. Il biondo, il nero e l’odiato colore rosso.
784. L’occhio così, nel regno di Venere e di Amore,
785. Non riuscì più a distinguere le due età opposte
786. E solo il tatto rimase arbitro.
787. Tu perciò, o Signore, tu che sei il primo
788. Onore e vanto per il regno di Venere,
789. Conservane le sacre consuetudini. Ed ecco che sparsa
790. Già dall’attenta mano, la cipria
791. Nella piccola stanza con l’aria combatte,
792. E delle sue particelle riempie tutto
793. Equamente divisa. Ora rincuorati
794. E in seno alla nebbia che si aggira per l’aria
795. Coraggioso avventati. Oh bravo! Oh forte!
796. Similmente il tuo antenato, tra il fumo ed il fuoco delle battaglie,
797. Orribili di Marte, infuriando
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798. Gittossi allor che i palitanti Lari
799. De la patria difese, e ruppe e in fuga
800. Mise l’oste feroce. Ei nondimeno
801. Fuligginoso il volto e d’atro sangue
802. Asperso e di sudore e co’ capelli
803. Stracciati ed irti de la mischia uscio
804. Spettacol fero a i cittadini stessi
805. Per sua man salvi; ove tu, assai più vago
806. E leggiadro a vederse in bianca spoglia
807. Scenderai quindi a poco a bear gli occhi
808. De la cara tua patria a cui dell’avo
809. Il forte braccio e il viso almo celeste sia
810. Del nipote dovean portar salute.
811. Non vedi omai qual con solerte mano
812. Rechin di vesti a te pubblico arredo
813. I damigelli tuoi? Rodano e Senna
814. Le tesserono a gara; e qui cucille
815. Opulento sartor cui su lo scudo
816. Serpe intrecciato a forbici eleganti
817. Il titol di monsù: nè sol dà leggi
818. A la materia la stagion diverse,
819. Ma qual più si conviene al giorno e all’ora
820. Varj sono il lavoro e la ricchezza.
821. Vieni o fior de gli eroi vieni; e qual suole
822. Nel più dubbio de’ casi alto monarca
823. Avanti al trono suo convocar lento
824. Di satrapi concilio a cui nell’ampia
825. Calvizie de la fronte il senno appare;
826. Tal di limpidi spegli a un cerchio in mezzo
827. Grave t’assidi, e lor sentenza ascolta.
828. Un giacendo al tuo piè mostri qual deggia
829. Liscia e piana salir su per le gambe
830. La docil calza: un sia presente al volto,
831. Un dietro al capo: e la percossa luce
832. Quinci e quindi tornando, a un tempo solo
833. Tutto al giudizio de’ tuoi guardi esponga
834. L’apparato dell’arte. Intanto i servi
835. A te sudino intorno; e qual piegate
836. Le ginocchia in sul suol prono ti stringa
837. Il molle piè di lucidi fermagli;
798. Si gettò, quando gli ansiosi Lari
799. Della Patria difese, e sbaragliò e mise in fuga
800. L’esercito nemico feroce. E lui, nondimeno
801. Sporco e annerito dal fumo e intriso di sangue
802. Scuro e di sudore, e con i capelli
803. irti e stracciati uscì dalla mischia,
804. visione spaventosa agli stessi concittadini
805. per sua opera salvi, mentre tu, molto più bello
806. e dotato di grazia a vedersi, vestito di bianco,
807. Scenderai fra breve a compiacere gli occhi
808. Della tua cara Patria, a cui la forza fisica
809. Dell’antenato e il viso eccelso e divino
810. Del nipote devono portare salvezza e sicurezza.
811. Non vedi ormai come con la solerte mano
812. Cerchino di vestirti con un abbigliamento pubblico
813. I tuoi damigelli? Rodano e Senna
814. Le tesserono, gareggiando tra loro; e qui le cucì
815. Un sarto di grido, al quale sull’insegna
816. Fa pompa, intrecciato ad eleganti forbici,
817. Il titolo francese di monsù: né solo con le stagioni
818. Le stesse caratteristiche degli abiti variano,
819. Ma variano per lavoro e per ricchezza
820. Anche col variare dei giorni e delle ore.
821. Vieni, o giovinetto eroe, vieni: e come suole
822. Nel più dubbioso dei casi l’alto re
823. Entrare lentamente davanti al trono
824. Nel concilio dei consiglieri, ai quali
825. Nell’ampia calvizie della fronte appare il senno,
826. Così dai limpidi specchi, in mezzo ai cerchi,
827. Austeramente siediti e ascolta le loro parole.
828. Uno, giacendo al tuo piede, mostra come debba
829. Liscia e piana salire su per le gambe
830. La dolce calza; uno sia presente davanti al tuo volto;
831. L’altro dietro al capo, e la luce riflessa
832. Di qui e di là tornando, contemporaneamente
833. Esponga al giudizio dei tuoi sguardi
834. Tutto l’apparato dell’arte. Intanto i servi
835. A te sudino intorno, ed uno, curvando
836. Verso terra le ginocchia, prono ti stringa
837. Il leggero piede con lucidi fermagli,
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838. E qual del biondo crin che i nodi eccede
839. Su le schiene ondeggiante in negro velo
840. I tesori raccoglia; e qual già pronto
841. Venga spiegando la nettarea veste.
842. Fortunato garzone a cui la moda
843. In fiorài canestri e di vermiglia
844. Seta coperti preparò tal copia
845. D’ornamenti e di pompe! Ella pur ieri
846. A te dono ne Feo. La notte intera
847. Faticaron per te cent’aghi e cento;
848. E di percossi e ripercossi ferri
849. Per le tacite case andò il rimbombo:
850. Ma non in van poi che di novo fasto
851. Oggi superbo nel bel mondo andrai;
852. E per entro l’invidia e lo stupore
853. Passerai de’ tuoi pari eguale a un dio
854. Folto bisbiglio sollevando intorno.
855. Figlie de la memoria inclite suore
856. Che invocate scendendo i feri nomi
857. De le squadre diverse e de gli eroi
858. Annoveraste a i grandi che cantàro
859. Achille Enea e il non minor Buglione,
860. Or m’è d’uopo di voi. Tropp’ardua impresa
861. E insuperabil senza vostr’aita
862. Fia ricordare al mio signor di quanti
863. Leggiadri arnesi graverà sue vesti
864. Pria che di sè nel mondo esca a far pompa.
865. Ma qual di tanti e sì leggiadri arnesi
866. Sì felice sarà che innanzi a gli altri
867. Signor venga a formar tua nobil soma?
868. Tutti importan del pari. Ecco l’astuccio
869. Di pelli rilucenti ornato e d’oro
870. Sdegnar la turba, e gli occhi tuoi primiero
871. Occupar di sua mole. Esso a cent’usi
872. Opportuno si vanta: e ad esso in grembo
873. Atta a gli orecchi a i denti a i peli all’ugne
874. Vien forbita famiglia. A i primi onori
875. Seco s’affretta d’odorifer’onda
876. Pieno cristal che a la tua vita in forse
877. Doni conforto allor che il vulgo ardisca
838. E uno del biondo capello, che eccede ai nodi
839. Sulla schiena ondeggiante con un velo nero,
840. Raccolga i tesori, ed uno già pronto
841. Venga spiegando la veste profumata.
842. Fortunato giovane, a cui la moda
843. Preparò tanta abbondanza
844. Di canestri fioriti, di rossa seta,
845. Di ornamenti e di pompe! Ella solo ieri
846. Te ne fece dono. Tutta la notte
847. Si affaticarono per te cento e cento aghi
848. E del ferro da stiro, passato e ripassato,
849. Per la silenziosa casa si udì il rimbombo;
850. Ma non inutilmente, perché di nuovo fasto
851. Oggi superbo tu andrai nel meraviglioso mondo;
852. E passerai attraverso l’invidia e lo stupore
853. Dei tuoi simili, uguale a un dio,
854. Sollevando bisbigli tutt’intorno.
855. Oh Muse, figlie di Mnemosine, famose sorelle,
856. Che scendendo invocate, i coraggiosi nomi
857. Delle diverse schiere e degli eroi,
858. Ricordaste ai grandi che cantarono
859. Le imprese di Achille di Enea e di Goffredo di Buglione,
860. ho bisogno del vostro aiuto. Sarà troppo difficile
861. Ed insuperabile impresa, senza il vostro aiuto,
862. Ricordare al mio Signore
863. Di quanti gingilli graverà le sue vesti,
864. Prima che esca a farsi notare nel “mondo”.
865. Ma quale strumento fra tanti e così fini
866. Sarà così fortunato, o Signore, da venire a costituire
867. Il tuo nobile bagaglio di accessori?
868. Tutti hanno la stessa importanza. Ecco l’astuccio
869. Ornato di pelli lucenti d’oro.
870. Il popolo non gli dà nessuna importanza, ma esso per primo
871. Ha colpito con la sua forma i tuoi occhi.
872. Appare adatto ad infiniti usi: nel suo interno c’è
873. Una serie di ferretti levigati per la toeletta delle orecchie,
874. Dei peli e delle unghie gareggia con questo per importanza primaria
875. Una boccetta di cristallo colma di acqua odorosa
876. La quale può eventualmente portare sollievo alla tua vita
877. Messa in pericolo (per un minacciato svenimento) quando i popolani,
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878. Troppo accosto vibrar da la vil salma
879. Fastidiosi effiuvj a le tue nari.
880. Nè men pronto di quello e all’uopo stesso
881. L’imitante un cuscin purpureo drappo
882. Reca turgido il sen d’erbe odorate
883. Che l’aprica montagna in tuo favore
884. Al possente meriggio educa e scalda.
885. Ecco vien poi da cristallina rupe
886. Tolto nobil vasello. Indi traluce
887. Prezioso confetto ove a gli aromi
888. Stimolanti s’unì l’ambra o la terra
889. Che il Giappon manda a profumar de’ grandi
890. L’etereo fiato, o quel che il Caramano
891. Fa gemer latte dall’inciso capo
892. De’ papaveri suoi; perchè se mai
893. Non ben felice amor l’alma t’attrista,
894. Lene serpendo per li membri acquete
895. A te gli spirti, e ne la mente induca
896. Lieta stupidità che mille adune
897. Imagin dolci e al tuo desio conformi.
898. A tanto arredo il cannocchial succeda
899. E la chiusa tra l’oro Anglica lente.
900. Quel notturno favor ti presti allora
901. Che al teatro t’assidi, e t’avvicini
902. O i piè leggeri o le canore labbra
903. Da la scena remota; o con maligno
904. Guardo dell’alte vai logge spiando
905. Le abitate tenèbre; o miri altronde
906. Gli ognor nascenti e moribondi amori
907. De le tenere dame, onde s’appresti
908. All’eloquenza tua nel di venturo
909. Lunga e grave materia. A te la lente
910. Nel giorno assista; e de gli sguardi tuoi
911. Economa presieda; e si li parta
912. Che il mirato da te vada superbo,
913. Nè i mal visti accusarte osin giammai.
914. La lente ancor su l’occhio tuo sedendo
915. Irrefragabil giudice condanni
916. O approvi di Palladio i muri e gli archi
917. O di Tizian le tele: essa a le vesti
878. Troppo vicini a te, osino emettere dal loro volgare corpo
879. Insopportabili zaffate di puzzo.
880. Ugualmente a portata di mano nella stessa circostanza
881. Una stoffa di porpora imbottita a forma di cuscino
882. Ha il suo interno rigonfio d’erbe odorose
883. Che la montagna soleggiata fa crescere e riscalda per te
884. Durante le calde ore pomeridiane.
885. Ecco viene ricavato dal cristallo di rocca
886. Un prestigioso vasetto, attraverso il quale traspare
887. Una preziosa pasticca in cui ad aromi piacevoli
888. Si unì l’ambra o il catù,
889. Che il Giappone invia per rendere profumato il fiato
890. Puro delle persone potenti; o quella sostanza (l’oppio)
891. Che gli abitanti dell’Asia minore distillano come lattice
892. Dalle capsule del papavero dopo averle incise;
893. Perché se un amore non del tutto soddisfacente ti rattrista l’anima,
894. L’oppio insinuandosi dolcemente per le membra,
895. Ti plachi l’agitazione, e infonda
896. Nella mente un piacevole stordimento
897. Che ti procuri mille visioni dolci e rispondenti al tuo desiderio.
898. Segua a così importante suppellettile il cannocchiale
899. E l’occhialetto con montatura in oro e lente di marca inglese.
900. Il cannocchiale ti sia d’aiuto di notte,
901. Allorché ti siedi a teatro e ti permetta di poter vedere vicini dal
902. Lontano palco i piedi leggiadri delle danzatrici o le labbra dei cantanti
903. O quando vai spiando con lo sguardo malizioso
904. L’oscurità delle logge più alte,
905. Che nascondono gli spettatori; o quando tu spii da un’altra parte
906. Gli amori delle dame dal cuore tenero
907. Che facilmente nascono e muoiono
908. Da cui ti prepari materia infinita e importante
909. Per i tuoi pettegolezzi nel giorno seguente.
910. Ti aiuti l’occhialetto, sia saggio amministratore dei tuoi sguardi
911. E così li spartisca che
912. La persona osservata da te ne sia orgogliosa,
913. Né coloro che fai finta di non vedere osino mai fartene un’accusa.
914. L’occhialetto stando ancora sul tuo occhio,
915. Giudice inesorabile, condanni
916. O approvi le costruzioni dell’architetto Palladio
917. O i quadri di Tiziano, con grande selezione
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918. A i libri a i volti feminili applauda
919. Severa o li dispregi: e chi del senso
920. Comun sì privo fia che insorger osi
921. Contro al sentenziar de la tua lente?
922. Non per questa però sdegna o signore
923. Giunto a lo speglio in Gallico sermone
924. Il vezzoso giornal, non le notate
925. Eburnee tavolette a guardar preste
926. Tuoi sublimi pensier fin ch’abbian luce
927. Doman tra i belli spirti; e non isdegna
928. La picciola guaina ove al tuo cenno
929. Mille ognora stan pronti argentei spilli.
930. Oh quante volte a cavalier sagace
931. Ho vedut’io le man render beate
932. Uno apprestato a tempo unico spillo!
933. Ma dove ahi dove inonorato e solo
934. Lasci ‘1 coltello a cui l’oro e l’acciaro
935. Donàr gemma lama, e a cui la madre
936. De la gemma più bella d’Anfitrite
937. Diè manico elegante, onde il colore
938. Con dolce variar l’iride imìta?
939. Verrà il tempo verrà che ne’ superbi
940. Convivj ognaltro avanzerai per fama
941. D’esimio trinciatore; e i plausi e i gridi
942. De’ tuoi gran pari ecciterai qualora,
943. Pollo o fagian con le forcine in alto
944. Sospeso, a un colpo il priverai dell’anca
945. Mirabilmente. Or qual più resta omai
946. Onde colmar tue tasche inclito ingombro?
947. Ecco a molti colori oro distinto,
948. Ecco nobil testuggine su cui
949. Voluttuose imagini lo sguardo
950. Invitan de gli eroi. Copia squisita
951. Di fumido rapè quivi è serbata
952. E di spagna oleoso, onde lontana
953. Pur come suol fastidioso insetto
954. Da te fugga la noia. Ecco che smaglia
955. Cupido a te di circondar le dita
956. Vivo splendor di preziose anella.
957. Ami la pietra ove si stanno ignude
918. L’occhialetto approvi gli abiti, i libri e i volti femminili
919. O li disprezzi: e chi sarà così privo di senso
920. Comune da osare insorgere
921. Contro il parere del tuo occhialetto?
922. Per questo non disprezzare insieme con lo specchio,
923. Il giornale di moda o di notizie galanti,
924. Scritto in Francese, non il taccuino
925. Da annotare, ricoperto da avorio,
926. Pronto a custodire i tuoi sublimi pensieri
927. Finché essi siano fatti conoscere
928. Domani tra le persone di bello spirito e non sdegnare
929. Il piccolo astuccio dove al tuo cenno
930. Stanno pronti sempre mille spilli d’argento.
931. Oh quante volte ho visto uno spillo
932. Anche solo per rendere beato un cavaliere nell’atto da puntarlo
933. Con le proprie mani all’abito della donna!
934. Ma ahimè, dove, dove lasci solo,
935. Senza considerazione il coltello a serramanico d’acciaio
936. Dorato a doppia lama, a cui la madreperla
937. Fornì un manico elegante, dal colore iridescente.
938. Verrà il tempo … verrà che durante i fastosi
939. Banchetti, supererai tutti per la fama
940. Di abilissimo tagliatore di carni
941. E susciterai gli applausi o le urla
942. Dei tuoi compagni di apri rango, quando
943. Con un sol colpo, avendo sollevato con la forchetta pollo o fagiano
944. Gli taglierai una coscia, in maniera straordinaria.
945. Ora quale prestigioso oggetto, ingombrante, resta ormai
946. Con cui riempire la tua tasca?
947. Ecco una tabacchiera d’oro smaltato a vari colori
948. Eccone una di tartaruga su cui
949. Sono riprodotte figure erotiche
950. Che colpiscono lo sguardo degli esseri superiori.
951. Qui è conservato in abbondanza tabacco da naso grattugiato
952. Che produce fumo e quello grasso oppure fortemente profumato
953. Di Spagna, per mezzo dei quali la noia fugge lontana
954. Così come è solito un fastidioso insetto.
955. Ed ecco che vivo splendore di preziosi anelli
956. Brilla desideroso di circondarti le dita.
957. Ami la pietra cammeo dove stanno scolpite nude
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958. Sculte le Grazie, e che il Giudeo ti fece
959. Creder opra d’Argivi allor ch’ei chiese
960. Tanto tesoro, e d’erudito il nome
961. Ti comparti prostrandosi a’ tuoi piedi?
962. Vuoi tu i lieti rubini? O più t’aggrada
963. Sceglier quest’oggi l’Indico adamante
964. Là dove il lusso incantator costrinse
965. La fatica e il sudor di cento buoi
966. Che pria vagando per le tue campagne
967. Facean sotto a i lor piè nascere i beni?
968. Prendi o tutti o qual vuoi; ma l’aureo cerchio
969.Che sculto intorno è d’amorosi motti
970.Ognor teco si vegga, e il minor dito
971.Premati alquanto, e sovvenir ti faccia
972. Dell’altrui fida sposa a cui se’ caro.
973. Vengane alfin de gli orioi gemmati
974. Venga il duplice pondo; e a te de l’ore
975. Che all’alte imprese dispensar conviene
976. Faccia rigida prova. Ohimè che vago
977. Arsenal minutissimo di cose
978. Ciondola quindi, e ripercosso insieme
979. Molce con soavissimo tintinno!
980. Ma v’hai tu il meglio? Ah si che i miei precetti
981. Sagace prevenisti. Ecco risplende
982. Chiuso in breve cristallo il dolce pegno
983. Di fortunato amor: lungi o profani,
984. Chè a voi tant’oltre penetrar non lice.
985. Compiuto è il gran lavoro. Odi Signore
986. Sonar già intorno la ferrata zampa
987. De’ superbi corsier che irrequieti
988. Ne’ grand’atrj sospinge arretra e volge
989. La disciplina dell’ardito auriga.
990. Sorgi e t’appresta a render baldi e lieti
991. Del tuo nobile incarco i bruti ancora.
992. Ma a possente signor scender non lice
993. Da le stanze superne infin che al gelo
994. O al meriggio non abbia il cocchier stanco
995. Durato un pezzo, onde l’uom servo intenda
996. Per quanto immensa via natura il parta
997. Dal suo signore. Or dunque i miei precetti
958. Le Grazie che il mercante ebreo ti fece
959. Credere opera greca antica, quando ti chiese
960. Una somma esagerata e ti attribuisce la fama di erudito,
961. Genuflettendosi ai tuoi piedi?
962. Desideri i rubini che portano gioia? Oppure oggi ti piace
963. Più scegliere il diamante delle Indie orientali,
964. Laddove il lusso ammaliatore costrinse
965. La sudata fatica di innumerevoli buoi,
966. I quali prima facevano nascere ricchezza sotto i loro piedi,
967. Vagando per le tue campagne?
968. Prendili tutti, o quel che vuoi, ma portati sempre visibile
969. La veretta d’oro che ha incise nella sua circonferenza parole d’amore,
970. E ti stringe alquanto il mignolo,
971. E ti faccia ricordare
972. La sposa fedele di un altro, a cui tu sei caro.
973. Seguono infine gli orologi tempestati di gemme:
974. Venga il duplice peso e faccia una severa selezione
975. Delle ore che ti conviene dedicare
976. Alle gloriose imprese, ohimé, che bell’arsenale
977. Di gingilli, oscilla da questo istante
978. E, scontrandosi insieme,
979. Raddolcisce l’animo con un leggiadro tintinnio!
980. Ma hai tu il meglio? Ah sì, che previdente
981. Anticipasti i miei insegnamenti. Ecco il dolce pegno
982. Di un fortunato amore risplende chiuso in sottile cristallo:
983. Tenetevi lontani o profani
984. Perché a voi non è lecito penetrare tanto oltre.
985. È stata già compiuta la grande opera di vestizione.
986. Ecco già risuonano intorno le zampe,
987. Che sono state ferrate, degli splendidi cavalli da corsa
988. Che il coraggioso cocchiere tiene a freno nella loro
irrequietezza
989. Sospingendoli, facendoli arretrare e volgendoli nel cortile del palazzo.
990. Alzati, dunque, accingiti a rendere gli animali
991. Sicuri e felici col tuo nobile peso.
992. Ma al signore che va al potere non è consentito scendere
993. Dalle stanze dei piani alti finché il cocchiere
994. Ormai stanco non abbia resistito a lungo al gelo
995. O al caldo del mezzogiorno, motivo per cui il servitore capisca
996. L’enorme differenza frapposta tra lui e il signore dalla Natura.
997. Ora dunque io proseguirò i miei insegnamenti
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998. Io seguirò, chè varie al tuo mattino
999. Portar dee cure il variar de’ giorni:
1000. Tu dolce intanto prenderai solazzo
1001. Ad agitar fra le tranquille dita
1002. Dell’oriolo i ciondoli vezzosi.
1003. Signore al ciel non è cosa più cara
1004. Di tua salute: e troppo a noi mortali
1005. E’ il viver de’ tuoi pari util tesoro.
1006. Uopo è talor che da gli egregi affanni
1007. T’allevj alquanto, e con pietosa mano
1008. Il teso per gran tempo arco rallente.
1009. Tu dunque allor che placida mattina
1010. Vestita riderà d’un bel sereno
1011. Esci pedestre, e le abbattute membra
1012. All’aura salutar snoda e rinfranca.
1013. Di nobil cuoio a te la gamba calzi
1014. Purpureo stivaletto, onde giammai
1015. Non profanin tuo piè la polve o il limo
1016. Che l’uom calpesta. A te s’avvolga intorno
1017. Veste leggiadra che sul fianco sciolta
1018. Sventoli andando; e le formose braccia
1019. Stringa in maniche anguste a cui vermiglio
1020. O cilestro ermesino orni gli estremi
1021. Del bel color che l’elitropio tigne
1022. O pur d’oriental candido bisso
1023. Voluminosa benda indi a te fasci
1024. La snella gola. E il crin... Ma il crin signore
1025. Forma non abbia ancor da la man dotta
1026. Dell’artefice suo; chè troppo fora,
1027. Ahi troppo grave error lasciar tant’opra
1028. De le licenziose aure in balia.
1029. Nè senz’arte però vada negletto
1030. Su gli omeri a cader; ma o che natura
1031. A te il nodrisca; o che da ignote fronti
1032. Il più famoso parrucchier lo involi,
1033. E lo adatti al tuo capo, in sul tuo capo
1034. Ripiegato l’afferri e lo sospenda
1035. Con testugginei denti il pettin curvo.
1036. Ampio cappello alfin che il disco agguagli
1037. Del gran lume Febeo tutto ti copra,
998. Perché il variare dei giorni
999. Diversifica le tue occupazioni mattutine:
1000. Tu intanto ti divertirai piacevolmente
1001. Ad agitare tra le dita con tranquillità
1002. I ciondoli leggiadri dell’orologio.
1003. O Signore, non esiste cosa più gradita
1004. Al Cielo che la tua salute e il vivere di quelli a te pari
1005. È un tesoro troppo utile per noi mortali.
1006. È necessario che io ti sollevi
1007. Assai l’animo delle nobili tue preoccupazioni, e pietoso allenti
1008. Per gran tempo la tensione dell’arco.
1009. Tu dunque, quando la calma mattina
1010. Si annuncerà bella e serena,
1011. Esci a piedi per una passeggiata
1012. E sciogli e tonifica le membra fuori esercizio.
1013. Calza uno stivaletto di colore purpureo di cuoio
1014. Di ottima qualità per cui la polvere
1015. O il fango che l’uomo comune calpesta non offendano mai il tuo piede.
1016. Si disponga intorno alla tua persona
1017. Una pregiata veste che, libera da impedimenti sul fianco,
1018. Col camminare si muova al vento e le belle braccia
1019. Servi con strette maniche orlate con bordi di velluto rosso
1020. O celeste, un fazzoletto molto ampio
1021. Di colore giallo, ricavato dal girasole
1022. O di bianco bisso, che viene dall’Oriente,
1023. Poi ti fasci il sottile collo e i capelli.
1024. Ma, Signore, i capelli
1025. Non siano stati ancora acconciati dalla mano esperta
1026. Del parrucchiere, perché sarebbe troppo…
1027. Troppo grave sbaglio esporre un lavoro
1028. Così eccellente alla mercé dell’aria capricciosa.
1029. Né però caschino sulle spalle trascurati senza acconciatura:
1030. Ma sia che i capelli siano tuoi naturali,
1031. O che il più abile parrucchiere abbia formato una parrucca
1032. Con capelli che provengano da una persona a te ignota
1033. E siano stati adattati alla tua testa,
1034. Il parrucchiere li pieghi o li fissi
1035. Con i denti di pettine ricurvo di tartaruga.
1036. Tutto ti copra infatti un ampio cappello
1037. Che uguagli il disco del gran lume di Febo Apollo
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1038.
1039.
1040.
1041.
1042.
1043.
1044.
1045.
1046.
1047.
1048.
1049.
1050.
1051.
1052.
E allo sguardo profan tuo nume asconda.
Poi che così le belle membra ornate
Con artificj negligenti avrai,
Esci soletto a respirar talora
I mattutini fiati: e lieve canna
Brandendo con la man, quasi baleno
Le vie trascorri, e premi ed urta il vulgo
Che s’oppone al tuo corso. In altra guisa
Fora colpa l’uscir; però che andrièno
Mal dal vulgo distinti i primi eroi.
Tal giorno ancora, o d’ogni giorno forse
Fien qualch’ore serbate al molle ferro
Che i peli a te rigermoglianti a pena
D’in su la guancia miete; e par che invidj
Ch’altri fuor che sè solo indaghi o scopra
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Unqua il tuo sesso. Arroge a questo il giorno
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Che di lavacro universal convienti
Terger le vaghe membra. E’ ver che allora
D’esser mortal dubiterai; ma innalza
Tu allor la mente a i grandi aviti onori
Che fino a te per secoli cotanti
Misti scesero al chiaro altero sangue;
E il pensier ubbioso al par di nebbia
Per lo vasto vedrai aere smarrirsi
A i raggi de la gloria onde t’investi;
E di te pago sorgerai qual pria
Gran semideo che a sè solo somiglia.
Fama è così che il dì quinto le Fate
Loro salma immortal vedean coprirsi
Già d’orribili scaglie, e in feda serpe
Volta strisciar sul suolo a sè facendo
De le marcate spire impeto e forza:
Ma il primo sol le rivedea più belle
Far beati gli amanti e a un volger d’occhi
Mescere a voglia lor la terra e il mare.
Assai l’auriga bestemmiò finora
I tuoi nobili indugi: assai la terra
Calpestàro i cavalli. Or via veloce
Reca o servo gentil, reca il cappello
Ch’ornan fulgidi nodi: e tu frattanto
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E nasconda la tua natura divina allo sguardo profano
Dopo che avrai ornata la tua bella persona
Così con dissimulata ricercatezza
Esci tutto solo per respirare qualche volta
L’aria mattutina: impugna saldamente in mano
Un leggero bastone, passa rapidamente
Attraverso le vie in un baleno, e spingi ed urta i popolani,
Che si oppongono al tuo passare.
Ti renderesti reo se, uscendo di casa, ti comportassi diversamente.
Perché altrimenti gli illustri signori si distinguerebbero male dal popolo,
Un altro giorno o forse qualche ora di ogni giorno
Sia riservata al delicato rasoio,
Che ti taglia i peli, i quali iniziano appena a ricrescere
Sulla guancia e sembra che esso non voglia
Che nessun altro tranne lui solo indaghi o scopra
Mai il tuo sesso. Si aggiunga a ciò il giorno
In cui dovrai farti un bagno completo
Per lavare le belle membra. È vero che allora
Potrai dubitare di essere mortale; ma dedicati
Ai più alti pensieri dei grandi onori dei tuoi avi,
Goduti per tanti secoli che furono da te ereditati
Insieme al tuo nobile e sdegnoso sangue
E il pensiero privo di fondamento vedrai dissolversi
Come nebbia nella vastità dell’aria.
Ai raggi della gloria, da cui prendi solennemente l’investitura
Dei tuoi diritti, ti alzerai soddisfatto di te come prima del bagno,
Grande figlio di divinità che somiglia solo a se stesso.
Fama è così che il quinto giorno della settimana le Fate
Vedevano coprire i loro corpi
Già di orribili scaglie, e mutate
In sozzo serpente strisciavano sul suolo,
Facendo con impeto e forza inarcate spire:
Ma all’alba ritornavano più belle
Facendo diventare beati gli amanti
E riuscivano, a loro piacimento, a nascondere
Il mare e la terra.
Assai l’auriga bestemmiò finora le tue
Azioni: i cavalli calpestarono la terra. Ora muoviti velocemente
E porta, o servo gentile, porta il cappello
Che orna gli splendidi capelli e tu intanto,
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Fero genio di Marte a guardar posto
De la stirpe de’ numi il caro fianco,
Al mio giovan eroe cigni la spada
Corta e lieve non già, ma qual richiede
La stagion bellicosa al suol cadente,
E di triplice taglio armata e d’else
Immane. Quanto esser può mai sublime
L’annoda pure onde la impugni all’uopo
La destra furibonda in un momento.
Nè disdegnar con le sanguigne dita
Di ripulire ed ordinar quel nastro
Onde l’else è superbo. Industre studio
E’ di candida mano. Al mio signore
Dianzi donollo, e gliel appese al brando
L’altrui fida consorte a lui si cara.
Tal del famoso Artù vide la corte
Le infiammate d’amor donzelle ardite
Ornar di piume e di purpuree fasce
I fatati guerrier; si che poi lieti
Correan mortale ad incontrar periglio
In selve orrende fra i giganti e i mostri.
Volgi o invitto campion, volgi tu pure
Il generoso piè dove la bella
E de gli eguali tuoi scelto drappello
Sbadigliando t’aspetta all’alte mense.
Vieni, e godendo, nell’uscire il lungo
Ordin superbo di tue stanze ammira.
Or già siamo all’estreme: alza i bei lumi
A le pendenti tavole vetuste
Che a te de gli avi tuoi serbano ancora
Gli atti e le forme. Quei che in duro dante
Strigne le membra, e cui si grande ingombra
Traforato collar le grandi spalle,
Fu di macchine autor; cinse d’invitte
Mura i Penati; e da le nere torri
Signoreggiando il mar, verso le aduste
Spiagge la predatrice Africa spinse.
Vedi quel magro a cui canuto e raro
Pende il crin da la nuca, e l’altro a cui
Su la guancia pienotta e sopra il mento
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Fiero genio di Marte, posto a guardare
Il caro fianco tra la stirpe degli dei,
Cingi la spada al mio giovane eroe,
E non corta e leggera, ma come è richiesta
Dalla guerra, lunga fino al suolo
E fatta di triplice taglio
E con grandi impugnature. Quanto mai può essere sublime
Annodala pure, affinchè possa impugnarla meglio
In un momento la mano destra furibonda.
E non disdegnare dal ripulire la spada con le dita
Sporche di sangue,
Dove l’elsa è superba. L’industrioso ingegno
È fatto da una candida mano. La donò al mio Signore
E gliela attaccò alla cinghia
La fida consorte di un altro, a lui così cara.
Così la corte del famoso Artù vide
Le ardite fanciulle infiammate d’amore,
Ornare di piume e di rosse fasce
I grandi guerrieri; così che poi
Correvano lieti incontro al pericolo
In boschi spaventosi fra i giganti e i mostri.
Volgi, o mai sconfitto campione, volgi tu pure
Il tuo piede generoso, dove la tua donna
E la tua piccola schiera di soldati
Ti aspettano alle alte mense.
Vieni e, rallegrandoti nell’uscire, ammira
Il lungo e superbo ordine delle tue stanze.
Già siamo alle ultime; si accendono i bei lumi
E le tavole antiche,
Che mantengono ancora gli atti e le forme
Dei tuoi avi. Quello che ha le sue membra
Strette in un duro tessuto, e su cui fa spicco
Un grande collare traforato che copre le spalle,
Fu autore di macchine; difese con grandi mura gli dei della casa,
E dai torrioni, padroneggiando sul mare,
Spinse verso le aride spiagge
La predatrice popolazione dell’Africa.
Vedi quello magro, a cui i capelli pendono dalla nuca
Bianchi e radi; e l’altro sulla cui guancia,
Piana sopra il mento, serpeggiano tre fili di barba?
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Serpe triplice pelo? Ambo s’adornano
Di toga magistral cadente a i piedi:
L’uno a Temi fu sacro: entro a’ Licei
La gioventù pellegrinando ei trasse
A gli oracoli suoi; indi sedette
Nel senato de’ padri; e le disperse
Leggi raccolte, ne fe’ parte al mondo:
L’altro sacro ad Igeia. Non odi ancora
Presso a un secol di vita il buon vegliardo
Di lui narrar quel che da’ padri suoi
Nonagenarj udì, com’ei spargesse
Su la plebe infelice oro e salute
Pari a Febo suo nume? Ecco quel grande
A cui si fosco parruccon s’innalza
Sopra la fronte spaziosa; e scende
Di minuti botton serie infinita
Lungo la veste. Ridi? Ei novi aperse
Studj a la patria; ei di perenne aita
I miseri dotò; portici e vie
Stese per la cittade; e da gli ombrosi
Lor lontani recessi a lei dedusse
Le pure onde salubri, e ne’ quadrivj
E in mezzo a gli ampli fori alto le fece
Salir scherzando a rinfrescar la state
Madre di morbi popolari. Oh come
Ardi a tal vista di beato orgoglio
Magnanimo garzon! Folle! A cui parlo?
Ei già più non m’ascolta: odiò que’ ceffi
Il suo guardo gentil: noia lui prese
Di si vieti racconti: e già s’affretta
Giù per le scale impaziente. Addio
De gli uomini delizia e di tua stirpe,
E de la patria tua gloria e sostegno.
Ecco che umili in bipartita schiera
T’accolgono i tuoi servi. Altri già pronto
Via se ne corre ad annunciare al mondo
Che tu vieni a bearlo; altri a le braccia
Timido ti sostien mentre il dorato
Cocchio tu sali, e tacito e severo
Sur un canto ti sdrai. Apriti o vulgo
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Entrambi si adornano
Con una toga da magistrato lunga fino ai piedi:
L’uno fu sacro a Temi: passò la gioventù,
Pellegrinando dentro ai Licei e trasse
Ai suoi oracoli le sentenze; poi si sedette
Nel Senato dei padri, e raccolse tutte
Le leggi disperse e ne fece partecipe il mondo.
L’altro fu sacro a Igeia. Non senti ancora
Il buon vecchio, vicino ai cento anni, raccontare di lui
Quello che udì dai suoi vecchissimi padri,
Cioè come lui spargesse
Sul popolo infelice denari e salute,
Simile al dio Febo, suo nume? Ecco quel grande
Al quale il fosco parruccone si innalza
E scende sopra la fronte spaziosa, e lungo la veste
Vi è una serie minuta di bottoni! Ridi? Egli aprì
I nuovi studi alla Patria
e ai miseri diede
Sempre aiuto; i portici e le vie
Cosparse per la città; e dagli ombrosi
Luoghi appartati a lei condusse
Le pure acque salutari e nelle strade
Ed in mezzo alle grandi piazze le fece salire in alto
Per rinfrescare, scherzando, l’estate
Portatrice di morbi popolari. Oh come
Ardi a tale vista di beato orgoglio
O magnanimo garzone! Folle! A chi parlo?
E già più non mi ascolta: lo sguardo gentile
Odiò quei ceffi: Egli si annoiò
Di questi racconti, e già si affretta
E scende impaziente le scale. Addio
O delizia dei tuoi uomini, della tua stirpe,
E della tua Patria gloria e sostegno!
Ecco che i tuoi servi a capo chino
Ti accolgono in una schiera divisa in due.
Alcuni servi corrono e vanno ad annunciare
Al mondo che tu vieni a bearlo; altri rispettosi
Ti tengono le braccia, mentre tu
Sali sul cocchio e silenzioso e severo
Ti porgi su un lato. Apriti, o popolo,
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E cedi il passo al trono ove s’asside
Il mio signore. Ah te meschin s’ei perde
Un sol per te de’ preziosi istanti!
Temi il non mai da legge o verga o fune
Domabile cocchier: temi le rote
Che già più volte le tue membra
Avvolser seco, e del tuo impuro sangue
Corser macchiate, e il suol di lunga striscia
Spettacol miserabile! segnàro.
IL MERIGGIO
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Ardirò ancor fra i desinari illustri
Sul meriggio innoltrarmi umil cantore,
Poi che troppa di te cura mi punge
Signor, ch’io spero un dì veder maestro
E dittator di graziosi modi
All’alma gioventù che Italia onora.
Tal fra le tazze e i coronati vini
Onde all’ospite suo fe’ lieta pompa
La punica regina, i canti alzava
Jopa crinito; e la regina in tanto
Dal bel volto straniero iva beendo
L’oblivion del misero Sichèo:
E tale, allor che l’orba Itaca in vano
Chiedea a Nettun la prole di Laerte,
Femio s’udia co’ versi e con la cetra
La facil mensa rallegrar de’ proci,
Cui dell’errante Ulisse i pingui agnelli
E i petrosi licori e la consorte
Convitavano in folla. Amici or china
Giovin Signore al mio cantar gli orecchi,
Or che tra nuove Elise e nuovi proci
E tra fedeli ancor Penelopèe
Ti guidano a la mensa i versi miei.
Già dall’alto del cielo il sol fuggendo
Verge all’occaso: e i piccoli mortali
Dominati dal tempo escon di novo
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E fai passare la carrozza dove si trova
Il mio Signore. Attento, o meschino, se perde
Il mio padrone un solo istante del suo tempo prezioso!
Temi tu o spericolato cocchiere la legge
Che con la verga o con la fune ti punisce: temi
Le ruote delle carrozze, che in varie circostanze
Travolsero e straziarono il tuo corpo e del tuo impuro
Sangue rimasero macchiate e lasciarono in terra
Una lunga scia: spettacolo miserabile!
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Oserò ancora tra i desinari illustri
Inoltrarmi sul mezzogiorno da umile precettore;
Poiché di te tanta pietà mi stringe,
Io spero, o Signore, di vedere un giorno il vostro maestro,
Dittatore di graziosi modi
Per la grande gioventù che onora l’Italia.
Così tra le coppe di vino ornate di ghirlande,
Con le quali la regina punica Didone
Celebrò festosamente Enea, Jopa
Dai lunghi capelli alzava canti e intanto la regina
Dal bel volto straniero stava bevendo
L’oblio del misero Sicheo;
E così, mentre Itaca priva del suo re invano
Chiedeva a Nettuno che il figlio di Laerte potesse tornare,
Si udiva Femio con i versi e con la cetra
Rallegrare la facile mensa dei proci,
Che banchettavano a gara con gli agnelli e con i vini
Della petrosa Itaca dell’errante Ulisse
E con la consorte. Adesso rivolgi
O giovin Signore a me le orecchie amiche,
Adesso che i miei versi ti guidano alla mensa
Tra nuove Didoni, tra nuovi proci
E tra fedeli Penelope.
Già dall’alto del cielo il sole sta fuggendo
E ora volge al tramonto: e i piccoli mortali
Dominati dal tempo escono di nuovo
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A popolar le vie ch’all’oriente
Spandon ombra già grande. A te null’altro
Dominator fuor che te stesso è dato
Stirpe di numi: e il tuo meriggio è questo.
Al fin di consigliarsi al fido speglio
La tua dama cessò. Cento già volte
O chiese o rimandò novelli ornati;
E cento ancor de le agitate ognora
Damigelle or con vezzi or con garriti
Rovesciò la fortuna. A sè medesma
Quante volte convien piacque e dispiacque;
E quante volte è d’uopo a sè ragione
Fece e a’ suoi lodatori. I mille intorno
Dispersi arnesi al fin raccolse in uno
La consapevol del suo cor ministra:
Al fin velata di legger zendado
È l’ara tutelar di sua beltade:
E la seggiola sacra un po’ rimossa
Languidetta l’accoglie. Intorno a lei
Pochi giovani eroi van rimembrando
I cari lacci altrui, mentre da lunge
Ad altra intorno i cari lacci vostri
Pochi giovani eroi van rimembrando.
Il marito gentil queto sorride
A le lor celie; o, s’ei si cruccia alquanto,
Del tuo lungo tardar solo si cruccia.
Nulla però di lui cura te prenda
Oggi o Signore. E s’ei del vulgo a paro
Prostrò l’animo imbelle; e non sdegnosse
Di chiamarsi marito, a par del vulgo
Senta la fame esercitargli in petto
Lo stimol fier de gli oziosi sughi
Avidi d’esca: o se a i mariti alcuno
D’anima generosa impeto resta,
Ad altra mensa il piè rivolga; e d’altra
Dama al fianco si assida, il cui marito
Pranzi altrove lontan d’un’altra al fianco
Che lungi abbia lo sposo: e cosi nuove
Anella intrecci a la catena immensa
Onde alternando Amor l’anime avvince.
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A popolare le vie che dall’oriente
Proiettano l’ombra già lunga. A te nessuno
Può importi delle scelte all’infuori di te stesso,
Stirpe di dei, e il tuo pomeriggio è questo.
Alla fine la tua dama smise
Di guardarsi allo specchio fidato. Già cento volte
Si fece portare e rimandò indietro abbigliamenti all’ultima moda;
E cento volte ancora delle agitate damigelle
Ora con moine di approvazione,
Ora con rimproveri cambiò la sorte.
Quante volte a se stessa piacque e dispiacque,
E quante volte ebbe necessità di soddisfare se stessa
E i suoi ammiratori. Intorno a lei
Alla fine i mille arnesi dispersi li raccolse
L’ancella prediletta del suo cuore:
Alla fine viene avvolto in un leggero velo
L’altare che è dedicato al culto della sua bellezza,
E la sacra seggiola che è stata spostata
La accoglie un po’ esausta. Intorno a lei
Pochi giovani eroi fanno pettegolezzi sui legami amorosi degli altri,
Mentre da lontano, intorno ad un’altra,
Pochi giovani eroi vanno ricordando
I cari legami amorosi vostri.
Il marito gentile sorride silenzioso
Ai loro piacevoli detti, e se si lamenta un po’
Si lamenta solo del tuo tardare.
Tuttavia non ti prendere preoccupazione per lui,
Oggi, o Signore! E se del volgo imbelle
Mostrò l’animo vile e non sdegnò
Il matrimonio, al pari del volgo
Senta la fame tormentarlo,
Attraverso l’azione dei succhi gastrici
Avidi d’esca, e se tra i mariti
Resta qualche barlume di magnanimità,
Si rivolga verso un’altra mensa e ad un’altra
Dama si sieda al fianco, il cui marito, nello stesso tempo,
Si trovi altrove a fianco di un’altra dama che abbia il marito lontano
E così si aggiungano nuovi anelli
alla lunga catena dell’Amore
Che, avvicendando i rispettivi compagni, unisce uomini e donne.
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67. Pur sia che vuol; tu baldanzoso innoltra
68. Ne le stanze più interne. Ecco precorre
69. Ad annunciarti al gabinetto estremo
70. Il noto scalpiccio de’ piedi tuoi.
71. Già lo sposo t’incontra. In un baleno
72. Sfugge dall’altrui man l’accorta mano
73. De la tua dama: e il suo bel labbro in tanto
74. Ti apparecchia un sorriso. Ognun s’arretra
75. Che conosce tuoi dritti; e si conforta
76. Con le adulte speranze, a te lasciando
77. Libero e scarco il più beato seggio.
78. Tal, colà dove in fra gelose mura
79. Bizanzio ed Ispaàn guardano il fiore
80. De la beltà che il popolato Egèo
81. Manda e l’Armeno e il Tartaro e il Circasso
82. Per delizia d’un solo, a bear entra
83. L’ardente sposa il grave Musulmano.
84. Nel maestoso passeggiar gli ondeggiano
85. Le late spalle, e su per l’alta testa
86. Le avvolte fasce: dall’arcato ciglio
87. Intorno ei volge imperioso il guardo:
88. Ed ecco al suo apparire umil chinarsi
89. E il piè ritrar l’effeminata occhiuta
90. Turba che d’alto sorridendo ei spregia.
91. Or comanda o signor che tutte a schiera
92. Vengan le grazie tue; si che a la dama
93. Quanto elegante esser più puoi ti mostri.
94. Tengasi al fianco la sinistra mano
95. Sotto al breve giubbon celata; e l’altra
96. Sul finissimo lin posi, e s’asconda
97. Vicino al cor; sublime alzisi il petto;
98. Sorgan gli omeri entrambi; a lei converso
99. Scenda il duttile collo; a i lati un poco
100. Stringansi i labbri; ver lo mezzo acuti
101. Escano alquanto; e da la bocca poi,
102. Compendiata in forma tal, sen fugga
103. Un non inteso mormorio. Qual fia
104. Che a tante di beltade arme possenti
105. Schermo si opponga? Ecco la destra ignuda
106. Già la bella ti cede. Or via la strigni;
67. Sia quel che sia, tu inoltrati
68. Nelle stanze più interne: ecco precederti
69. Ad indicarti la stanza della toeletta
70. Lo scalpiccio dei tuoi piedi.
71. Il marito della dama ti incontra. In un attimo
72. Fugge la sua mano da quella accorta
73. Della tua dama e intanto le sue belle labbra
74. Ti fanno un sorriso. Ognuno arretra
75. Perché conosce i tuoi diritti e si conforta
76. Con la speranza di intrecciare un rapporto amoroso
77. E ti lascia il posto vuoto più vicino alla dama.
78. In simile modo, mentre tra le mura di un harem,
79. Bisanzio ed Ispahan guardano il fiore
80. Della fresca bellezza che il popolato Egeo
81. E l’Armeno, il Tartaro e il Circasso
82. Mandano per la gioia di uno solo, la ardente sposa
83. Entra a rallegrare il grave Musulmano.
84. Al suo andare maestoso si muovono, in ritmico ed armonico ondeggiare,
85. Le spalle ed il turbante avvolto di fasce
86. Su per la testa: con ciglia arcate
87. Egli volge intorno l’imperioso sguardo.
88. Ed ecco, quando arriva a lui si prostra umilmente
89. E ritrae il piede la folla vigile e curiosa
90. Degli eunuchi che lui –sorridendo dall’alto- disprezza.
91. Ora, o Signore, comanda che tutte a schiera
92. Vengano le tue grazie, così che alla dama
93. Quanto più elegante puoi tu ti mostri.
94. Tieni sul fianco la mano sinistra,
95. Sotto la giubba nascondi l’altra,
96. Che posi sul finissimo lino della camicia e all’altezza
97. Del cuore; alto si alzi il petto;
98. Sorgano entrambe le spalle; verso di lei
99. Il pieghevole collo scenda un po’ ai lati,
100. Facendo in modo che le labbra ristrette siano
101. Poco arrotondate da renderle appena sporgenti al centro;
102. E rimpicciolita questa forma, dalla bocca
103. Esca un bisbiglio incomprensibile. Quale schermo
104. Ci sarà che si opponga a tante armi potenti
105. Della bellezza? Ecco la mano destra nuda
106. Ora ti cede la bella. Ora stringila,
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107. E con soavi negligenze al labbro
108. Qual tua cosa l’appressa; e cader lascia
109. Sovra i tiepidi avorj un doppio bacio.
110. Siedi fra tanto; e d’una mano istrascica
111. Più a lei vicin la seggioletta. Ognaltro
112. Tacciasi; ma tu sol curvato alquanto
113. Seco susurra ignoti detti, a cui
114. Concordin vicendevoli sorrisi
115. E sfavillar di cupidette luci,
116. Che amor dimostri o che il somigli al meno
117. Ma rimembra o signor che troppo nuoce
118. In amoroso cor lunga e ostinata
119. Tranquillità. Nell’oceàno ancora
120. Perigliosa è la calma. Ahi quante volte
121. Dall’immobile prora il buon nocchiero
122. Invocò la tempesta; e sì crudele
123. Soccorso ancor gli fu negato; e giacque
124. Affamato assetato estenuato
125. Dal venenoso aere stagnante oppresso
126. Fra le inutili ciurme al suol languendo!
127. Dunque a te giovi de la scorsa notte
128. Ricordar le vicende; e con obliqui
129. Motti pugnerla alquanto, o se nel volto
130. Paga più che non suole accòr fu vista
131. Il novello straniero, e co’ bei labbri
132. Semiaperti aspettar quasi marina
133. Conca la soavissima rugiada
134. De’ novi accenti; o se cupida troppo
135. Col guardo accompagnò di loggia in loggia
136. L’almo alunno di Marte, idol vegliante
137. De’ femminili voti, a la cui chioma
138. Col lauro trionfal mille s’avvolgono
139. E mille frondi dell’Idalio mirto.
140. Colpevole o innocente allor la bella
141. Dama improvviso adombrerà la fronte
142. D’un nuvoletto di verace sdegno
143. O simulato, e la nevosa spalla
144. Scoterà un poco; e volgeransi al fine
145. Gli altri a bear le sue parole estreme.
146. Fors’anco rintuzzar di tue rampogne
107. E con dolci negligenze il labbro
108. Avvicinale come cosa tua e lascia cadere
109. Sopra la calda mano bianca un doppio bacio.
110. Intanto siedi e con una mano trascina
111. Più vicina a lei la seggiola. Tutti
112. Stiano zitti, ma tu solo, piegato verso la dama,
113. Sussurrale frasi che non sono udite dagli altri, alle quali
114. Corrispondano cordiali sorrisi
115. E luccichio di cupidi sguardi,
116. Che dimostrino l’amore, o che almeno lo fingano.
117. Ma ricorda, o Signore, che troppo nuoce
118. Agli innamorati la lunga ed ostinata
119. Tranquillità. Nell’Oceano
120. La calma è pericolosa. Ahi, quante volte
121. Dall’immobile prua il buon nocchiero
122. Invocò la tempesta e così crudelmente
123. Gli fu negato il soccorso e rimase
124. Così affamato, assetato esausto,
125. Oppresso dalle impure acque stagnanti
126. E tra le inutili ciurme poste sul ponte della nave!
127. Dunque a te giovi ricordare le vicende
128. Della scorsa notte; e con giri di parole
129. Provocarla un po’ e se nel viso fu vista
130. Accogliere uno straniero appena arrivato e con le labbra
131. Semiaperte aspettare
132. Come una conca marina
133. La dolcissima rugiada
134. Delle parole straniere, oppure se troppo desiderosa
135. Con lo sguardo accompagnò di loggia in loggia
136. Il seguace di Marte, idolo vegliante
137. Dei voti femminili, la cui chioma
138. È cinta, oltre che dagli allori dei trionfi militari,
139. Anche da mille piante di mirto, sacre a Venere idalia.
140. Sia innocente o colpevole, allora la bella
141. Dama all’improvviso assumerà in viso
142. Un aspetto sdegnoso, vero o simulato,
143. Scuoterà un po’ la candida spalla e infine
144. Gli altri si rivolgeranno
145. A beare le sue estreme parole.
146. Forse Lei sarà in grado di ribattere
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147. Saprà l’agrezza, e noverarti a punto
148. Le visite furtive a i cocchi a i tetti
149. E all’alte logge de le mogli illustri
150. Di ricchi popolari, a cui sovente
151. Scender per calle dal piacer segnato
152. La maestà di cavalier non teme.
153. Felice te, se mesta o disdegnosa
154. Tu la guidi a la mensa; o se tu puoi
155. Solo piegarla a tollerar de’ cibi
156. La nausea universal! Sorridan pure
157. A le vostre dolcissime querele
158. I convitati; e l’un l’altro percota
159. Col gomito maligno. Ahi non di meno
160. Come fremon lor alme! e quanta invidia
161. Ti portan te mirando unico scopo
162. Di si bell’ire! Al solo sposo è dato
163. In cor nodrir magnanima quiete,
164. Aprir nel volto ingenuo riso e tanto
165. Docil fidanza ne le innocue luci.
166. Oh tre fiate avventurosi e quattro
167. Voi del nostro buon secolo mariti
168. Quanto diversi da’ nostr’avi! Un tempo
169. Uscia d’averno con viperei crini,
170. Con torbid’occhi irrequieti, e fredde
171. Tenaci branche un indomabil mostro,
172. Che ansando e anelando intorno giva
173. A i nuziali letti, e tutto empiea
174. Di sospetto e di fremito e di sangue.
175. Allor gli antri domestici le selve
176. L’onde le rupi alto ulular s’udièno
177. Di femminili stridi. Allor le belle
178. Dame con mani incrocicchiate, e luci
179. Pavide al ciel tremando lagrimando
180. Tra la pompa feral de le lugubri
181. Sale vedean dal truce sposo offrirsi
182. Le tazze attossicate o i nudi stili.
183. Ahi pazza Italia, il tuo furor medesmo
184. Oltre l’alpe oltre il mar destò le risa
185. Presso a gli emuli tuoi, che di gelosa
186. Titol ti dièro; e t’è serbato ancora
147. Le tue aspre lagnanze con acidità e raccontarti a punto
148. Le tue visite segrete ai cocchi ed ai palazzi
149. E alle alte logge delle illustri mogli
150. Dei ricchi borghesi, ai cui appuntamenti il giovin Signore
151. Per quanto nobile non sdegna di piegarsi,
152. Perseguendo il proprio piacere.
153. Felice te se Lei, per quanto altera e disdegnosa,
154. Ti concede ancora il privilegio di accompagnarla a
tavola;
155. Se puoi tu almeno indurla a sopportare
156. La nausea per ogni tipo di cibo! Sorridano anche
157. Gli invitati alle vostre dolcissime parole
158. E si percuotano l’un l’altro
159. Con il gomito maligno. Ahi, non di meno
160. Come fremono le loro anime! E quanta invidia ti portano
161. Vedendo te, unico scopo delle loro ire!
162. Solo al marito è concesso
163. Di mantenere una calma imperturbabile,
164. Di mostrare nel viso un sorriso ingenuo
165. E tanta docile fede negli occhi innocui.
166. Oh mariti del nostro buon secolo,
167. Tre e quattro volte avventurosi, come
168. Siete diversi dai vostri antenati! Un tempo
169. Usciva dall’averno con capelli di serpente,
170. Con occhi torbidi irrequieti e fredde branche,
171. Un mostro indomabile, che ansando
172. Ed anelando, andava intorno
173. Ai letti nuziali e tutto riempiva
174. Di sospetto, di violenza e di agitazione.
175. Allora le grotte domestiche, i boschi,
176. Le acque, le rupi si udivano ululare forte
177. Di strilla femminili. Allora le belle
178. Dame con le mani incrociate
179. E con gli occhi timorosi rivolti in alto, piangendo e tremando,
180. Nelle sale rese lugubri da sontuosi e tetri arredi,
181. Dal truce marito si vedevano offrire tazze
182. Contenenti veleno o pugnali sguainati.
183. Ahi, pazza Italia, il tuo stesso furore
184. Si coprì di ridicolo presso i tuoi emuli,
185. Che oltre le Alpi ed oltre il mare
186. Ti attribuirono l’appellativo di gelosa, che ti è ancora conservato
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187. Ingiustamente. Non di cieco amore
188. Vicendevol desire alterno impulso,
189. Non di costume simiglianza or guida
190. Giovani incauti al talamo bramato:
191. Ma la prudenza co i canuti padri
192. Siede librando il molto oro e i divini
193. Antiquissimi sangui: e allor che l’uno
194. Bene all’altro risponda, ecco Imenèo
195. Scoter sue faci; e unirsi al freddo sposo,
196. Di lui non già ma de le nozze amante
197. La freddissima vergine, che in core
198. Già i riti volge del bel mondo; e lieta
199. La indifferenza maritale affronta.
200. Cosi non fien de la crudel Megera
201. Più temuti gli sdegni. Oltre Pirene
202. Contenda or pur le desiate porte
203. A i gravi amanti; e di femminee risse
204. Turbi oriente. Italia oggi si ride
205. Di quello ond’era già derisa: tanto
206. Puote una sola età volger le menti.
207. Ma già rimbomba d’una in altra sala
208. Signore il nome tuo. Di già l’udiro
209. L’ime officine ove al volubil tatto
210. De gl’ingenui palati arduo s’appresta
211. Solletico che molle i nervi scota
212. E varia seco voluttà conduca
213. Fino al centro dell’alma. In bianche spoglie
214. Affrettansi a compir la nobil opra
215. Gravi ministri: e lor sue leggi detta
216. Una gran mente del paese uscita
217. Ove Colberto e Risceliù fur chiari.
218. Forse con tanta maestade in fronte
219. Presso a le navi ond’Ilio arse e cadèo
220. A gli ospiti famosi il grande Achille
221. Disegnava la cena: e seco in tanto
222. Le vivande cocean su i lenti fochi
223. Pàtroclo fido e il guidator di carri
224. Automedonte. O tu sagace mastro
225. Di lusinghe al palato, udrai fra poco
226. Sonar le lodi tue dall’alta mensa.
187. Ingiustamente. Non desiderio vicendevole
188. Di amore cieco, impulso alterno,
189. Non affinità di carattere adesso guida
190. I giovani incauti al letto nuziale:
191. Ma la prudenza degli anziani genitori persegue
192. Un’accorta politica matrimoniale, valutando
193. Attentamente la ricchezza e la nobiltà dei futuri sposi.
194. Ecco allora che quando uno risponde all’altra, ecco Imeneo
195. Agita la fiaccola in segno di approvazione e la sposa indifferente
196. Si unisce al freddo sposo, innamorata non di lui, ma della convenienza
197. Del matrimonio e la fredda donna, nel suo cuore,
198. Già pregusta le piacevoli consuetudini della vita di mondo ed affronta
199. Lieta con indifferenza la vita coniugale.
200. Così non siano della crudele Megera
201. Più temuti gli sdegni. Oltre i Pirenei, gli Spagnoli
202. Continuino ad avere la fama di gelosi
203. Per gli amanti e di risse femminili
204. Continui a turbarsi l’Oriente.
205. Oggi l’Italia se la ride di quello di cui era derisa,
206. Tanto può una sola epoca mutare i pensieri.
207. Ma già rimbomba da una sala all’altra,
208. Signore, il tuo nome. Subito l’udirono
209. Le cucine, dove al gusto mutevole
210. Degli ingenui palati si preparano cibi
211. Che stuzzicano in modo insieme delicato e raffinato
212. E trasmettono un piacere articolato
213. Fino nel profondo dell’anima. Vestiti di bianco,
214. Si affrettano a compiere la nobile opera
215. Valenti cuochi: ad essi detta le leggi
216. Un gran cuoco della Francia
217. Dove furono illustri Colbert e Richelieu.
218. Forse con altrettanta maestà in fronte,
219. Presso le navi greche dove Troia bruciò e cadde,
220. Il grande Achille disponeva la cena
221. Agli ospiti famosi: e con sé intanto
222. Cuocevano le vivande a fuoco lento
223. Il fedele Patroclo e l’auriga
224. Automedonte. O tu, abile artefice
225. Di piatti prelibati, udirai fra poco
226. Risuonare le tue lodi dall’alta mensa.
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227. Chi fia che ardisca di trovar mai fallo
228. Nel tuo lavoro? Il tuo signor fia tosto
229. Campion de le tue glorie: e male a quanti
230. Cercator di conviti oseran motto
231. Pronunciar contro a te; chè sul cocente
232. Meriggio andran peregrinando poi
233. Miseri e stanchi; e non avran cui piaccia
234. Più popolar de le lor bocche i pranzi.
235. Imbandita è la mensa. In piè d’un salto
236. Alzati e porgi almo garzon la mano
237. A la tua dama; e lei dolce cadente
238. Sopra di te col tuo valor sostieni,
239. E al pranzo l’accompagna. I convitati
240. Vengan dopo di voi: quindi lo sposo
241. Ultimo segua. O prole alta di numi,
242. Non vergognate di donar voi anco
243. Brevi al cibo momenti. A voi non vile
244. Cura fia questa. A quei soltanto è vile
245. Che il duro irrefrenabile bisogno
246. Stimola e caccia. All’impeto di quello
247. Cedan l’orso la tigre il falco il nibbio
248. L’orca il delfino e quanti altri animanti
249. Crescon qua giù: ma voi con rosee labbra
250. La sola voluttade al pasto appelli,
251. La sola voluttà che le celesti
252. Mense apparecchia, e al nèttare convita
253. I viventi per sè dei sempiterni.
254. Vero forse non è; ma un giorno è fama
255. Che fur gli uomini eguali: e ignoti nomi
256. Fur nobili e plebei. Al cibo al bere
257. All’accoppiarse d’ambo i sessi al sonno
258. Uno istinto medesmo un’egual forza
259. Sospingeva gli umani: e niun consiglio
260. Nulla scelta d’obbietti o lochi o tempi
261. Era lor conceduto. A un rivo stesso
262. A un medesimo frutto a una stess’ombra
263. Convenivano insieme i primi padri
264. Del tuo sangue o signore e i primi padri
265. De la plebe spregiata: e gli stess’antri
266. E il medesimo suol porgeano loro
227. Chi oserà mai trovare errori
228. Nel tuo lavoro? Il tuo signore sarà presto
229. Il sostenitore delle tue glorie: e peggio per tutti
230. I cercatori di conviti, che oseranno parlare
231. Negativamente di te; perché nel caldissimo
232. Pomeriggio andranno poi camminando
233. Miseri e stanchi, e non troveranno signori
234. Disposti ad invitarli ai propri pranzi.
235. La mensa è imbandita. Con un salto
236. Alzati in piedi e porgi, nobile garzone, la mano
237. Alla tua dama; e sostieni con la tua forza
238. Lei, abbandonata sopra di te,
239. Ed accompagnala al pranzo. Dopo di voi vengono
240. I convitati: quindi lo sposo
241. Segue per ultimo. Oh grande stirpe dei numi,
242. Non vergognatevi anche voi di dedicare
243. Brevi momenti al cibo! Non sarà per voi questa
244. Un’occupazione volgare. È volgare solo per chi
245. Stimola e placa il duro ed irrefrenabile bisogno.
246. Sotto l’impulso di quello
247. Cedono l’orso, la tigre, il falco, il nibbio,
248. L’orca, il delfino e tanti altri animali
249. Che vivono quaggiù sulla Terra: ma voi, con delicate labbra,
250. Siete indotti a mangiare per il solo piacere,
251. La sola voluttà che apparecchia
252. Le mense celesti, e invita a gustare il nettare
253. I viventi che si considerano simili agli dei.
254. Forse non è vero, ma un giorno è fama
255. Che gli uomini fossero tutti uguali e i nomi
256. Nobiltà e Plebe fossero ignoti. Uno stesso istinto,
257. Una forza uguale spingeva gli uomini
258. Al mangiare, al bere, all’accoppiarsi di entrambi i sessi
259. E al dormire: e nessun proposito,
260. Nessuna facoltà di scelta degli obiettivi o dei luoghi o dei tempi
261. A loro era concesso. I progenitori del tuo sangue,
262. O Signore, e i progenitori
263. Della plebe disprezzata convenivano
264. Ad una stessa fonte, ad uno stesso frutto
265. E ad una stessa ombra: e gli stessi ripari
266. E lo stesso suolo davano a loro
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267. Il riposo e l’albergo, e a le lor membra
268. I medesmi animai le irsute vesti.
269. Sola una cura a tutti era comune
270. Di sfuggire il dolore: e ignota cosa
271. Era il desire a gli uman petti ancora.
272. L’uniforme de gli uomini sembianza
273. Spiacque a’ celesti: e a variar lor sorte
274. Il Piacer fu spedito. Ecco il bel Genio,
275. Qual già d’Ilio su i campi Iride o Giuno
276. A la terra s’appressa: e questa ride
277. Di riso ancor non conosciuto. Ei move
278. E l’aura estiva del cadente rivo
279. E dei divi odorosi a lui blandisce
280. Le vaghe membra; e lenemente sdrucciola
281. Sul tondeggiar de’ muscoli gentile.
282. A lui giran dintorno i vezzi e i giochi;
283. E come ambrosia le lusinghe scorrono
284. Da le fraghe del labbro; e da le luci
285. Socchiuse languidette umide fuora
286. Di tremulo fulgore escon scintille,
287. Ond’arde l’aere che scendendo ei varca.
288. Al fin sul dorso tuo sentisti o terra
289. Sua prima orma stamparsi: e tosto un lento
290. Fremere soavissimo si sparse
291. Di cosa in cosa; e ognor crescendo tutte
292. Di natura le viscere commosse:
293. Come nell’arsa state il tuono s’ode,
294. Che di lontano mormorando viene,
295. E col profondo suon di monte in monte
296. Sorge; e la valle e la foresta intorno
297. Mugon di smisurato alto rimbombo.
298. Oh beati fra gli altri e cari al cielo
299. Viventi a cui con miglior man Titàno
300. Formò gli organi egregi, e meglio tese
301. E di fluido agilissimo inondolli!
302. Voi l’ignoto solletico sentiste
303. Del celeste motore. In voi ben tosto
304. La voglia s’infiammò, nacque il desio:
305. Voi primieri scopriste il buono il meglio
306. Voi con foga dolcissima correste
267. Riposo e dimora e i medesimi animali
268. Porgevano alle loro membra le pellicce.
269. Solo una preoccupazione era comune a tutti,
270. Quella di sfuggire il dolore: e il desiderio era ancora
271. Cosa ignota ai cuori degli uomini.
272. L’uguale aspetto degli uomini
273. Non piacque agli dei: ed il Piacere fu mandato
274. A cambiare la loro sorte. Ecco il bel Genio,
275. Così come Iride o Giunone, durante la guerra di Troia
276. Scendevano sui campi di battaglia,
277. Si avvicina alla Terra e questa ride
278. Di una felicità non ancora conosciuta. Egli procede
279. E l’aria estiva del fiume che scorre a valle
280. E dei clivi odorosi, gli accarezza
281. Le membra delicate; e lentamente scorre
282. Sui muscoli delicatamente arrotondati.
283. Girano attorno a lui le moine e i giochi;
284. E come l’ambrosia escono dalle labbra rosse come fragole
285. Parole lusinghevoli; e dagli occhi socchiusi
286. Brillanti e umidi fuori, escono scintille di debole fulgore,
287. Ove arde l’aria, che scendendo la attraversa.
288. O Terra, alla fine tu sentisti sul suolo
289. Stamparsi una sua prima orma: e subito un lento
290. E assai soave fremere si sparse
291. Di monte in monte; e crescendo ogni ora
292. Agitò tutte le viscere della Natura,
293. Come nella calda estate si sente il tuono,
294. Che viene da lontano rumoreggiando,
295. E con il profondo suono si innalza di monte
296. In monte; e intorno la valle e la foresta
297. Echeggiano di uno smisurato ed alto rimbombo.
298. Oh beati i viventi in mezzo a tutti gli altri cari al cielo,
299. Ai quali Prometeo con maggior perizia
300. Formò e meglio dispose gli organi illustri
301. E li pervase con un fluido estremamente mobile!
302. Voi sentiste la sollecitazione, mai prima percepita
303. Del Piacere. In voi si creò subito
304. La voglia e nacque il desiderio:
305. Voi per primi scopriste il buono e il meglio,
306. Voi con dolcissimo impeto correste
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307. A possederli. Allor quel de i duo sessi,
308. Che necessario in prima era soltanto,
309. D’amabile e di bello il nome ottenne.
310. Al giudizio di Paride fu dato
311. Il primo esempio: tra femminei volti
312. A distinguer s’apprese: e fur sentite
313. Primamente le grazie. Allor tra mille
314. Sapor fur noti i più soavi. Allora
315. Fu il vin preposto all’onda; e il vin si elesse
316. Figlio de’ tralci più riarsi, e posti
317. A più fervido sol ne’ più sublimi
318. Colli dove più zolfo il suolo impingua.
319. Cosi l’uom si divise: e fu il signore
320. Da i mortali distinto, a cui nel seno
321. Giacquero ancor l’èbeti fibre, inette
322. A rimbalzar sotto a i soavi colpi
323. De la nova cagione onde fur tocche;
324. E quasi bovi al suol curvati ancora
325. Dinanzi al pungol del bisogno andàro;
326. E tra la servitude e la viltade
327. E il travaglio e l’inopia a viver nati
328. Ebber nome di plebe. Or tu garzone
329. Che per mille feltrato invitte reni
330. Sangue racchiudi, poi che in altra etade
331. Arte forza o fortuna i padri tuoi
332. Grandi rendette; poi che il tempo al fine
333. Lor divisi tesori in te raccolse,
334. Godi de gli ozj tuoi a te da i numi
335. Concessa parte: e l’umil vulgo in tanto
336. Dell’industria donato a te ministri
337. Ora i piaceri tuoi, nato a recarli
338. Su la mensa regal, non a gioirne.
339. Ecco splende il gran desco. In mille forme
340. E di mille sapor di color mille
341. La variata eredità de gli avi
342. Scherza in nobil di vasi ordin disposta.
343. Già la dama s’appressa: e già da i servi
344. Il morbido per lei seggio s’adatta.
345. Tu signor di tua mano all’agil fianco
346. Il sottopon si che lontana troppo
307. A possederli. Allora il sesso femminile,
308. Da prima necessario solo per la riproduzione,
309. Ottenne le caratteristiche di amabile e di bello.
310. Il giudizio di Paride
311. Fu il primo esempio: si imparò a distinguere i volti
312. Femminili in base alla loro bellezza e voi percepiste
313. Per primi le Grazie. Allora tra mille sapori
314. Foste in grado di riconoscere i più delicati. Allora
315. Il vino fu preferito all’acqua; e si scelse come vino
316. Migliore quello prodotto dalle viti coltivate nei terreni più secchi,
317. Esposti al sole più forte e sui colli più alti
318. Dove la terra è più ricca di zolfo e li rende fertili.
319. Così l’uomo si divise e il Signore
320. Fu distinto dai mortali, le cui ottuse fibre nervose
321. Rimasero troppo inerti ed insensibili nel seno, incapaci
322. Di reagire ai delicati stimoli del Piacere,
323. Della nuova causa da cui furono toccate,
324. E quasi come buoi ancora curvati al suolo
325. Andarono incontro allo stimolo del bisogno;
326. Destinati a vivere tra la servitù e la miseria
327. E, tra l’affanno e la povertà,
328. Presero il nome di plebe. Ora tu, garzone,
329. Che sei di sangue nobile, discendente dalle illustri reni
330. Dei tuoi progenitori, dal momento che in epoche passate
331. Astuzia, forza o fortuna rendette grandi
332. I tuoi padri, poiché col tempo alla fine
333. Hai ereditato le loro ricchezze diverse,
334. Rallegrati della tua sensibilità, che è quella parte
335. Che ti hanno concessa i numi: e intanto l’umile volgo,
336. Avendo ricevuto in dono la laboriosità, somministri a te
337. Ora i tuoi piaceri, lui, nato per portarli
338. Sulla mensa signorile, non per gioirne!
339. Ecco, splende la grande tavola. In mille forme
340. Di mille sapori e colori
341. Scherza la varia eredità degli antenati,
342. Disposta in mille ordini.
343. Già la dama si avvicina: e subito i servi
344. Dispongono per lei una morbida sedia.
345. Tu, giovin Signore, le sottoponi la tua mano
346. Al fianco flessuoso, così che ella, troppo lontana dal tavolo
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347. Ella non sieda o da vicin col petto
348. Ahi di troppo non prema: indi un bel salto
349. Spicca, e chino raccogli a lei del lembo
350. Il diffuso volume: e al fin t’assidi
351. Prossimo a lei. A cavalier gentile
352. Il lato abbandonar de la sua dama
353. Non fia lecito mai; se già non sorge
354. Strana cagione a meritar ch’ei tolga
355. Tanta licenza. Un nume ebber gli antiqui
356. Immobil sempre, che al medesmo padre
357. De gli dei non cedette allor ch’ei scese
358. Il Campidoglio ad abitar, sebbene
359. E Giuno e Febo e Venere e Gradivo
360. E tutti gli altri dei da le lor sedi
361. Per riverenza del tonante usciro.
362. Indistinto ad ognaltro il loco sia
363. All’alta mensa intorno: e, s’alcun arde
364. Ambizioso di brillar fra gli altri,
365. Brilli altramente. Oh come i varj ingegni
366. La libertà del genial convito
367. Desta ed infiamma! Ivi il gentil motteggio,
368. Malizioso svolazzando reca
369. Sopra le penne fuggitive ed agita
370. Ora i raccolti da la fama errori
371. De le belle lontane, or de gli amanti
372. Or de’ mariti i semplici costumi;
373. E gode di mirar l’intento sposo
374. Rider primiero, e di crucciar con lievi
375. Minacce in cor de la sua fida sposa
376. I timidi segreti. Ivi abbracciata
377. Co’ festivi racconti esulta e scherza
378. L’elegante licenza. Or nuda appare
379. Come le Grazie; or con leggiadro velo
380. Solletica più scaltra; e pur fatica
381. Di richiamar de le matrone al volto
382. Quella rosa natia che caro fregio
383. Fu dell’avole nostre; ed or ne’ campi
384. Cresce solinga; e tra i selvaggi scherzi
385. A le rozze villane il viso adorna.
386. Forse a la bella di sua man le dapi
347. Non si sieda, o così che ella troppo vicina al tavolo
348. Non comprima, ahi, troppo col petto: quindi spicca
349. Un bel salto e abbassati a raccoglierle l’ampio
350. Strascico della veste: e alla fine siediti
351. Accanto a lei. A un cavaliere gentile
352. Non sarà mai lecito abbandonare
353. Il fianco della sua dama; a meno che non sorga
354. Un motivo eccezionale a giustificare
355. Una deroga. Gli antichi ebbero un nume
356. Che rimase sempre al proprio posto, che allo stesso padre
357. Degli dei non cedette, quando andò
358. Ad abitare nel Campidoglio, sebbene
359. Giunone, Apollo, Venere, Marte
360. E tutti gli altri dei abbandonassero i loro templi,
361. In segno di riverenza verso Giove.
362. Tutti gli altri abbiano un posto qualunque
363. Presso la nobile tavola: e se qualcuno brama
364. Ambizioso di brillare fra gli altri,
365. Brilli per un motivo diverso. Oh come la libertà
366. Del lieto banchetto ravviva ed infiamma
367. I vari ingegni! Oh i gentili motti
368. Maliziosi volano qua e là,
369. Sopra le penne rapide e diffondono
370. Ora le voci sulle avventure
371. Delle dame non presenti, ora le sciocchezze
372. Degli amanti e dei mariti;
373. E gode nel mirare ridere per primo
374. L’intento sposo e gode
375. di creare imbarazzo alla dama con sottili
376. Allusioni ai suoi segreti amorosi.
377. Lì la raffinata licenziosità esulta e scherza insieme
378. Agli allegri racconti. Ora si presenta nuda
379. Come le Grazie; ora più astuta stuzzica
380. Con un magnifico velo; e cerca con fatica
381. Di provocare il rossore delle nobildonne,
382. Ciò che un tempo andava ad onore
383. Delle antenate; ed ora nei campi
384. Cresce solitario; e tra le battute salaci
385. Orna il viso delle rozze villane.
386. Forse alla sua dama le piacerà
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387. Piacerà ministrar, che novi al senso
388. Gusti otterran da lei. Tu dunque il ferro,
389. Che forbito ti giace al destro lato,
390. Quasi spada sollecito snudando,
391. Fa che in alto lampeggi; e chino a lei
392. Magnanimo lo cedi. Or si vedranno
393. De la candida mano all’opra intenta
394. I muscoli giocar soavi e molli:
395. E le grazie piegandosi con essa
396. Vestiran nuove forme, or da le dita
397. Fuggevoli scorrendo, ora su l’alto
398. De’ bei nodi insensibili aleggiando,
399. Ed or de le pozzette in sen cadendo
400. Che de’ nodi al confin v’impresse Amore.
401. Mille baci di freno impazienti
402. Ecco sorgon dal labbro a i convitati:
403. Già s’arrischian già volano già un guardo
404. Sfugge da gli occhi tuoi, che i vanni audaci
405. Fulmina ed arde e tue ragion difende.
406. Sol de la fida sposa a cui se’ caro
407. Il tranquillo marito immoto siede:
408. E nulla impression l’agita o move
409. Di brama o di timor; però che Imene
410. Da capo a piè fatollo. Imene or porta
411.
Non più serti di rose al crine avvolti;
412. Ma stupido papavero grondante
413. Di crassa onda letèa, che solo insegna
414. Pur dianzi era del Sonno. Ahi quante volte
415. La dama delicata invoca il Sonno
416. Che al talamo presieda; e seco in vece
417. Trova Imenèo; e timida s’arretra
418. Quasi al meriggio stanca villanella,
419. Che fra l’erbe innocenti adagia il fianco
420. Lieta e secura; e di repente vede
421. Un serpe, e balza in piedi inorridita,
422. E le rigide man stende, e ritragge
423. Il cubito, e l’anelito sospende,
424. E immota e muta e con le labbra aperte
425. Il guarda obliquamente. Ahi quante volte
426. Incauto amante a la sua lunga pena
387. Servire le vivande, alle quali lei conferirà
388. Nuovi valori. Tu, dunque, fa’ che il coltello,
389. Che lucente giace al tuo fianco destro,
390. Quasi sguainando premuroso la spada,
391. In alto scintilli; e inchinato a lei
392. Magnanimo offrilo! Ora si vedranno
393. Dalla mano candida della dama intenta all’opera
394. I muscoli giocare soavi e morbidi:
395. E le grazie piegandosi con essa
396. Si manifesteranno in nuove forme, ora scorrendo
397. Dalle rapide dita, ora soffermandosi sulle giunture
398. Impercettibili della mano,
399. Ed ora scendendo nelle fossette
400. Che Amore dispose vicino alle giunture.
401. Ecco, nascono dal labbro mille baci
402. Che non sopportano alcun freno ai convitati:
403. Già si avventurano, già volano, già sfugge
404. Dagli occhi tuoi uno sguardo, che fulmina e brucia
405. Sul nascere le ali temerarie di quei baci e difende i tuoi diritti.
406. Soltanto il marito della fedelissima sposa, alla quale tu sei caro,
407. Siede placido e privo di ogni movimento,
408. E nessun sentimento lo scuote,
409. Né desiderio di baci, né timore di gelosia, perché Imene
410. Lo rese invulnerabile, da capo a piedi, immergendolo nell’indifferenza.
411. Imene ora non ha più ghirlande di rose intorno ai capelli,
412. Ma è cinto dal papavero che provoca sonnolenza e da cui stilla
413. La viscida e densa acqua del fiume Lete; è cinto di quel papavero
414. Che prima era il segno distintivo del dio del sonno. Quante
volte
415. La sposa delicata invoca il sonno, affinchè scenda
416. Nel letto matrimoniale per far addormentare il marito e invece
417. Deve far fronte ai suoi desideri e timidamente si allontana ,
418. Simile ad una stanca contadina che, nel caldo pomeriggio,
419. Si adagia, appagata e tranquilla, fra l’erba innocua
420. Ed improvvisamente scorge
421. Un serpente e balza in piedi, piena di orrore e di ripugnanza
422. E protende le mani irrigidite dalla paura per difendersi e solleva
423. Il gomito e trattiene il respiro E immobile, senza proferire parola,
424. Con le labbra aperte, per la sorpresa e l’orrore,
425. Lo guarda di traverso. Quante volte
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426. Lo sconsiderato amante cercò sollievo nel matrimonio
466. Che forse avranno altra cagione, e ch’ella
427. Cercò sollievo; e d’invocar credendo
428. Imène, ahi folle! invocò il Sonno: e questi
429. Di fredda oblivion l’alma gli asperse;
430. E d’invincibil noia e di torpente
431. Indifferenza gli ricinse il core.
432. Ma se a la dama dispensar non piace
433. Le vivande o non giova, allor tu stesso
434. La bell’opra intraprendi. A gli occhi altrui
435. Più così smaglierà l’enorme gemma,
436. Dolc’esca a gli usurai che quella osàro
437. A le promesse di signor preporre
438. Villanamente; e contemplati fièno
439. I manichetti, la più nobil opra
440. Che tessesser giammai angliche Aracni.
441. Invidieran tua delicata mano
442. I convitati; inarcheran le ciglia
443. Al difficil lavoro: e d’oggi in poi
444. Ti fia ceduto il trinciator coltello
445. Che al cadetto guerrier serban le mense.
446. Sia tua cura fra tanto errar su i cibi
447. Con sollecita occhiata, e prontamente
448. Scoprir qual d’essi a la tua bella è caro;
449. E qual di raro augel, di stranio pesce
450. Parte le aggrada. Il tuo coltello Amore
451. Anatomico renda, Amor che tutte
452. De gli animanti annoverar le membra
453. Puote, e discerner sa qual aggian tutte
454. Uso e natura. Più d’ognaltra cosa
455. Però ti caglia rammentar mai sempre
456. Qual più cibo le noccia o qual più giovi;
457. E l’un rapisci a lei, l’altro concedi
458. Come d’uopo a te pare. Oh dio, la serba
459. Serbala a i cari figli. Essi, dal giorno
460. Che le alleviàro il delicato fianco
461. Non la rivider più: d’ignobil petto
462. Esaurirono i vasi: e la ricolma
463. Nitidezza lasciàro al sen materno.
464. Sgridala, se a te par ch’avida troppo
465. Al cibo agogni; e le ricorda i mali,
427. Alle pene d’amore e, credendo di invocare
428. Imene, il folle invocò il Sonno e costui
429. Gli spruzzò l’anima con l’acqua del Lete
430. E gli avvolse il cuore
431. Di una noia insopprimibile e di una
432. Indifferenza che rende torpidi.
433. Ma se alla sposa non piace servire
434. Il cibo o non le si confà, allora tu stesso
435. Occupati di questo piacevole compito. Così agli occhi della gente
436. Brillerà maggiormente l’enorme pietra preziosa dell’anello,
437. Oggetto ambito degli usurai che, con grande volgarità, osarono
438. Pretenderlo in pegno, non giovandosi
439. Delle promesse di un nobile; e saranno ammirati
440. I polsini ricamati, il lavoro più elegante
441. Che avessero mai tessuto le ricamatrici inglesi.
442. Gli invitati proveranno invidia per la tua mano delicata
443. Inarcheranno le sopracciglia stupiti,
444. Vedendoti intento ad un compito così difficile come trinciare le carni,
445. E da oggi in poi ti sarà dato il coltello atto a tale operazione,
446. Che viene solitamente affidata ai cadetti.
447. Abbi cura, in mezzo a tanta abbondanza di cibi,
448. Con una pronta occhiata,
449. Di sapere quale tra questi è il più gradito alla tua amata;
450. E quale parte, di un particolare uccello o di un pesce,
451. Le piaccia maggiormente. L’Amore faccia sì che il tuo coltello
452. Sia capace di dividere con precisione le varie parti… quell’Amore
453. Che è in grado di conoscere tutte le membra degli animali
454. e sa discernere il loro uso e la loro natura. Soprattutto,
455. Però, ti sia utile ricordare sempre
456. Qual è il cibo che le possa arrecare più danno o quale, invece, le possa
457. Essere di giovamento: il primo sottrailo a lei, il secondo offriglielo
458. A tuo piacimento. Oh Dio, conservala,
459. Conservala agli amati figli. Questi dal giorno
460. Che le alleviarono il peso del grembo
461. Non la rividero più: vennero allattati
462. Da un seno plebeo, mentre conservarono intatto
463. Il florido candore del seno materno.
464. Sgridala, se ti sembra che desideri troppo avidamente
465. Il cibo e ricordale i malesseri
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466. Che forse avranno un’altra origine, ma che ella
506. A lui primo concede. Oh lui beato
467. Al cibo imputerà nel dì venturo.
468. Nè al cucinier perdona, a cui non calse
469. Tanta salute. A te ne’ servi altrui
470. Ragion fu data in quel beato istante
471. Che la noia e l’amore ambo vi strinse
472. In dolce nodo; e pose ordini e leggi.
473. Per te sgravato d’odioso incarco
474. Ti fia grato colui che dritto vanta
475. D’impor novo cognome a la tua dama;
476. E pinte strascinar su gli aurei cocchi
477. Giunte a quelle di lei le proprie insegne:
478. Dritto sacro a lui sol, ch’altri giammai
479. Audace non tentò divider seco.
480. Vedi come col guardo a te fa cenno
481. Pago ridendo, e a le tue leggi applaude;
482. Mentre l’alta forcina in tanto ei volge
483. Di gradite vivande al piatto ancora.
484. Non però sempre a la tua bella intorno
485. Sudin gli studj tuoi. Anco tal volta
486. Fia lecito goder brevi riposi;
487. E de la quercia trionfale all’ombra,
488. Te de la polve olimpica tergendo,
489. Al vario ragionar de gli altri eroi
490. Porgere orecchio; e il tuo sermone a i loro
491. Frammischiar ozioso. Uno già scote
492. Le architettate del bel crine anella
493. Su la guancia ondeggianti; e ad ogni scossa
494. De’ convitati a le narici manda
495. Vezzoso nembo d’Arabi profumi.
496. A lo spirto di lui l’alma natura
497. Fu prodiga cosi che più non seppe
498. Di che il volto abbellirgli; e all’arte disse:
499. Tu compi il mio lavoro: e l’arte suda
500. Sollecita dintorno all’opra illustre.
501. Molli tinture preziose linfe
502. Polvi pastiglie delicati unguenti
503. Tutto arrischia per lui. Quanto di novo
504. E mostruoso più sa tesser spola
505. O bulino intagliar gallico ed anglo
467. Il giorno dopo attribuirà a ciò che ha mangiato.
468. E non perdonare il cuoco che non ebbe a cuore
469. La sua salute. A te fu concessa l’autorità
470. Sui servi altrui, in quel felice momento
471. In cui la noia e l’amarezza vi legarono entrambi
472. In una dolce unione e stabilirono le regole della condotta reciproca.
473. Liberato, grazie a te, dalla fastidiosa incombenza di dover seguire
474. La salute della dama, ti sarà grato colui che vanta il
diritto
475. Di imporre un nuovo cognome alla tua dama
476. E di trascinare sui cocchi d’oro i propri stemmi variopinti,
477. Appaiati a quelli di lei:
478. Sacro diritto riservato solo a lui, che nessun altro
479. Tentò audacemente di sottrargli.
480. Vedi come ti fa cenno con lo sguardo,
481. Ridendo appagato ed approva le tue norme;
482. Mentre egli porta ancora la grande forchetta
483. Al piatto colmo di cibo gradito.
484. Però fa’ che le tue premure non sempre
485. Si profondano intorno alla tua amata. Talvolta
486. Sarà anche consentito godere di brevi riposi;
487. E, stando all’ombra della corona di foglie di quercia,
488. Ripulendoti dalla polvere dello stadio di Olimpia,
489. Ti sia consentito ascoltare i diversi ragionamenti
490. Degli altri eroi e mescolare oziosamente
491. Le tue parole elle loro. Uno di loro già agita
492. I riccioli, ordinati elegantemente, dei bei capelli
493. Che ondeggiano sulla guancia e, ad ogni movimento,
494. Arriva alle narici dei convitati
495. Una leggiadra fragranza di profumi arabi.
496. La benefica Natura fu così generosa
497. Nei suoi confronti, da non saper più
498. Di che cos’altro ancora abbellirgli il volto e disse all’arte:
499. << Tu completa la mia opera>> e l’arte si affanna
500. Senza indugio intorno all’eccellente capolavoro.
501. Sperimenta a suo vantaggio ogni cosa:
502. Morbide tinture, acque pregiate,
503. Polveri, pastiglie, unguenti delicati. A lui, per primo, elargisce
504. Quanto di nuovo e di più straordinario sa tenere la spola,
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505. O intagliare il bulino francese ed inglese
506. A lui concede per primo. Oh, felice lui,
545. O a gli uomini scettrati; ed or ne scende
546. Vago al fin d’agitar gli austeri fregi
507. Che primo ancor di non più viste forme
508. Tabacchiera mostrò. L’etica invidia
509. I grandi eguali a lui lacera e mangia;
510. Ed ei pago di sè, superbamente
511. Crudo, fa loro balenar su gli occhi
512. L’ultima gloria onde Parigi ornollo.
513. Forse altera cosi d’Egitto in faccia
514. Vaga prole di Sèmele apparisti
515. I giocondi rubini alto levando
516. Del grappolo primiero: e tal tu forse
517. Tessalico garzon mostrasti a Jolco
518. L’auree lane rapite al fero drago.
519. Or vedi or vedi qual magnanim’ira
520. Nell’eroe che dell’altro a canto siede
521. A sì novo spettacolo si desta!
522. Vedi quanto ei s’affanna; e il pasto sembra
523. Obliar declamando! Al certo al certo
524. Il nemico è a le porte. Oimè i Penati
525. Tremano e in forse è la civil salute!
526. Ma no; più grave a lui più preziosa
527. Cura lo infiamma. Oh depravato ingegno
528. De gli artefici nostri! In van si spera
529. Da la inerte lor man lavoro egregio
530. Felice invenzion d’uom nobil degna.
531. Chi sa intrecciar chi sa pulir fermaglio
532. A patrizio calzar; chi tesser drappo
533. Soffribil tanto che d’ornar presuma
534. I membri di signor che un lustro a pena
535. Conti di feudo? In van s’adopra e stanca
536. Chi la lor mente sonnolenta e crassa
537. Cerca destar: di là dall’Alpi è d’uopo
538. Appellar l’eleganza: e chi giammai
539. Fuor che il genio di Francia osato avria
540. Su i menomi lavori i grechi ornati
541. Condur felicemente? Andò romito
542. Il bongusto finora spaziando
543. Per le auguste cornici e per gli eccelsi
544. Timpani de le moli a i numi sacre
507. Che per primo esibì una tabacchiera
508. Di forma assai originale. L’invidia, che permea la società
509. Dilania e divora gli uomini appartenenti al suo nobile ceto;
510. Ed egli, soddisfatto di sé, superbamente
511. Spietato fa loro balenare davanti agli occhi
512. L’ultimo ornamento di cui Parigi lo abbellì.
513. Forse così altera al cospetto dell’Egitto
514. Sei apparsa tu, graziosa discendenza di Sèmele,
515. Sollevando i bei chicchi rossi
516. Del primo grappolo, o forse tu,
517. Simile al giovinetto tessalo Giasone, hai mostrato a Jolco
518. I drappi d’oro, strappati al drago feroce.
519. Ora vedi, quale immensa ira
520. A un così singolare spettacolo si risveglia
521. Nell’eroe che siede accanto all’altro!
522. Vedi quanto egli si affanna e sembra dimenticare
523. Il cibo, mentre è intento a declamare! Certamente
524. Il nemico è alle porte. Ohimè, i Penati
525. Tremano e la salvezza dei cittadini è in pericolo!
526. Ma no; egli è infiammato da una preoccupazione
527. Più pesante e più importante. Oh, mente depravata
528. Dei nostri artisti! Si spera invano
529. Che esca dalle loro mani inoperose un lavoro eccellente,
530. Invenzione felice, degna di un uomo nobile.
531. Chi sa intrecciare, chi sa pulire il fermaglio
532. Delle scarpe dei nobili? Chi sa tenere una veste
533. Tanto sopportabile da credere di adornare
534. Le membra di un signore che possiede il feudo
535. Da appena cinque anni? Si mette all’opera e si stanca invano
536. Colui che cerca di risvegliare la loro madre
537. Sonnolenta e grossolana: è necessario ricercare l’eleganza
538. Al di là delle Alpi; e chi mai,
539. Eccetto il genio dei Francesi, avrebbe osato
540. Eseguire in modo perfetto gli ornamenti greci
541. Sulle miniature? Il Buon gusto, muovendosi finora liberamente,
542. Sui maestosi cornicioni e sui frontoni
543. Dei templi, sacri agli dei,
544. E delle regge, dimore dei re,
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545. Vagò solitario; ed ora ne discende
546. Desideroso di vivacizzare gli ornamenti severi
585. Sibari un dì gridar soleva; e i lumi
586. Disdegnando volgea da i frutti aviti
547. Entro a le man di cavalieri e dame.
548. Ben tosto si vedrà strascinar anco
549. Fra i nuziali doni e i lievi veli
550. Le greche travi: e docile trastullo
551. Fien de la moda le colonne e gli archi
552. Ove sedeano i secoli canuti.
553. “Commercio” alto gridar, gridar “commercio”
554. All’altro lato de la mensa or odi
555. Con fanatica voce: e tra il fragore
556. D’un peregrino d’eloquenza fiume
557. Di bella novità stampate al conio
558. Le forme apprendi, onde assai meglio poi
559. Brillantati i pensier picchin lo spirto.
560. Tu pur grida “commercio”: e un motto ancora
561. La tua bella ne dica. Empiono è vero
562. Il nostro suol di Cerere i favori,
563. Che per folti di biade immensi campi
564. Ergesi altera; e pur ne mostra a pena
565. Tra le spighe confuso il crin dorato.
566. Bacco e Vertunno i lieti poggi e il monte
567. Ne coronan di poma: e Pale amica
568. Latte ne preme a larga mano; e tonde
569. Candidi velli; e per li prati pasce
570. Mille al palato uman vittime sacre.
571. Sorge fecondo il lin soave cura
572. De’ verni rusticali: e d’infinita
573. Serie ne cinge le campagne il tanto
574. Per la morte di Tisbe arbor famoso.
575. Che vale or ciò? Su le natie lor balze
576. Rodan le capre; ruminando il bue
577. Per li prati natii vada; e la plebe
578. Non dissimile a lor si nudra e vesta
579. De le fatiche sue: ma a le grand’alme
580. Di troppo agevol ben schife Cillenio
581. Il comodo ministri, a cui le miglia
582. Pregio acquistino e l’oro: e d’ogn’intorno
583. “Commercio” risonar s’oda “commercio”.
584. Tale da i letti de la molle rosa
547. Nelle mani di cavalieri e dame.
548. Ben presto si vedranno trascinare,
549. Fra i doni nuziali e i veli leggeri,
550. Anche le travi greche; e le colonne egli archi,
551. Dove riposavano i secoli passati,
552. Saranno un docile divertimento della moda.
553. Ora senti gridare, con accenti pieni di esaltazione,
554. All’altro capo della tavola:
555. <<Commercio, commercio!>> e tra lo strepito
556. Di un fiume inconsueto di eloquenza,
557. Vieni a conoscenza delle nuove forme linguistiche
558. Appena create, da cui poi le idee, rese assai meglio
559. Splendenti, solletichino lo spirito.
560. Anche tu grida: <<Commercio!>> e la tua bella
561. Ne pronunci ancora un motto. In verità riempiono tuttora
562. La nostra terra i favori di Cerere,
563. Che si innalza altera per gli immensi campi,
564. Ricchi di messi, e pure mostra appena,
565. Confusa tra le spighe, la chioma bionda.
566. Bacco e Vertumno circondano di meli
567. I ridenti poggi e il monte; e Pale amichevole
568. Ne munge abbondante latte e tosa
569. Candida lana e pascola per i prati
570. Infinite vittime, consacrate come cibo per gli uomini.
571. Spunta copioso il lino leggero, filato e tessuto
572. Durante l’inverno e il gelso,
573. Albero reso tanto famoso per la morte di Tisbe,
574. Ne circonda le campagne con un numero infinito di esemplari.
575. Ora, a cosa serve tutto ciò? Sulle loro rupi natie
576. Rosicchino le capre e il bue vada ruminando
577. Per i prati natii e il popolino,
578. Non tanto diverso da loro, si nutra e si vesta
579. Con il frutto delle sue fatiche; ma ai grandi uomini,
580. Disdegnosi di beni troppo facilmente raggiungibili, Mercurio
581. Somministri i lussi, a cui conferiscano valore
582. La lontana provenienza ed il prezzo elevato; e tutto intorno
583. Si senta risuonare la parola “commercio”, “commercio”.
584. Così, un giorno, Sibari era solita gridare
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585. Dai letti fatti di delicati petali di rosa,
586. E piena di disprezzo, distoglieva lo sguardo dai prodotti della terra
625. Làmsaco d’asinelli offrir solea
626. Vittima degna, al giovane seguace
587. Troppo per lei ignobil cura; e mentre
588. Cartagin dura a le fatiche e Tiro
589. Pericolando per l’immenso sale
590. Con l’oro altrui le voluttà cambiava,
591. Sibari si volgea su l’altro lato;
592. E non premute ancor rose cercando
593. Pur di commercio novellava e d’arti.
594. Ma chi è quell’eroe che tanta parte
595. Colà ingombra di loco; e mangia e fiuta
596. E guata; e de le altrui fole ridendo
597. Sì superba di ventre agita mole?
598. Oh di mente acutissima dotate
599. Mamme del suo palato! Oh da’ mortali
600. Invidiabil anima che siede
601. Fra l’ammiranda lor testura, e quindi
602. L’ultimo del piacer deliquio sugge!
603. Chi più acuto di lui penètra e intende
604. La natura migliore? O chi più industre
605. Converte a suo piacer l’aria la terra
606. E il ferace di mostri ondoso abisso?
607. Qualora ei viene al desco altrui paventano
608. Suo gusto inesorabile le smilze
609. Ombre de gli avi, che per l’aria lievi
610. Aggiransi vegliando ancor dintorno
611. A i ceduti tesori; e piangon lasse
612. Le mal spese vigilie, i sobrj pasti,
613. Le in preda all’aquilon case, le antique
614. Digiune rozze, gli scommessi cocchi
615. Forte assordanti per stridente ferro
616. Le piazze e i tetti: e lamentando vanno
617. Gl’invan nudati rustici, le fami
618. Mal desiate, e de le sacre toghe
619. L’armata in vano autorità sul vulgo.
620. L’altro vicin chi fia? Per certo il caso
621. Congiunse accorto i duo leggiadri estremi,
622. Perchè doppio spettacolo campeggi;
623. E l’un dell’altro al par più lustri e splenda.
624. Falcato dio de gli orti, a cui la greca
587. Degli antenati, che erano per lei occupazione troppo plebe; e mentre
588. Cartagine resisteva alle fatiche e Tiro,
589. Avventurandosi per l’immenso mare,
590. Scambiava i prodotti di lusso con l’oro degli altri popoli,
591. Sibari restava oziosa sull’altro lato,
592. E cercando piaceri nuovi,
593. Parlava a vuoto di commercio e di arti.
594. Ma chi è dunque quell’eroe che ingombra
595. la maggior parte di quel luogo e mangia e odora
596. e fissa le pietanze, e ridendo degli altri
597. agita la sua enorme pancia?
598. Oh papille gustative del suo palato,
599. Dotate di acutissima mente!
600. Oh invidiabile anima dei mortali, che siede
601. Tra la leggiadra testura e da qui
602. Succhia il piacere fino all’estremo!
603. Chi, in modo più sagace, riesce a capire
604. In modo migliore la Natura? Chi, più solerte
605. Trasforma a suo piacere dirigendo i prodotti della terra
606. E gli abitanti del mare, ricco delle più strane creature?
607. Quando si avvicina alle tavole altrui paventano
608. La sua implacabile voracità gli esili
609. Spiriti degli avi, che lievi, lievi per l’aria
610. Si aggirano tutt’intorno, vegliando
611. Le ricchezze lasciate in eredità ai discendenti
612. E deplorano i sobri pasti, le veglie spese
613. Ad accumulare ricchezze, le case esposte alla tramontana,
614. I vecchi ronzini malnutriti, i cocchi malandati,
615. Che assordavano, con i forti rumori dei loro ferri,
616. Le piazze e i tetti: e lamentando vanno
617. I contadini inutilmente spogliati dei loro beni, le fami
618. Desiderate a scopi speculativi, l’aver invano, con indebite pressioni,
619. Ottenuto dal tribunale sentenze contro i poveri.
620. L’altro vicino che cosa fa? Di sicuro il caso
621. Congiunse i due estremi leggiadri,
622. Perché il doppio spettacolo risalti
623. E la bellezza dei due spettacoli sia
624. Accresciuta dal contrasto reciproco.
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625. Il dio degli orti con la falce in mano, a cui la greca
626. Lampsaco era solita offrire come vittima degli asinelli
665. Col sacrilego piè lanciolla: ed ella
666. Tre volte rotolò; tre volte scosse
627. Del sapiente di Samo i doni tuoi
628. Reca sul desco. Egli ozioso siede
629. Aborrendo le carni; e le narici
630. Schifo raggrinza; e in nauseanti rughe
631. Ripiega i labbri; e poco pane in tanto
632. Rumina lentamente. Altro giammai
633. A la squallida inedia eroe non seppe
634. Durar sì forte: nè lassezza il vinse
635. Nè deliquio giammai nè febbre ardente:
636. Tanto importa lo aver scarze le membra
637. Singolare il costume e nel bel mondo
638. Onor di filosofico talento.
639. Qual anima è volgar la sua pietate
640. Serbi per l’uomo: e facile ribrezzo
641. Dèstino in lei del suo simile i danni
642. O i bisogni o le piaghe. Il cor di questo
643. Sdegna comune affetto; e i dolci moti
644. A più lontano limite sospigne.
645. “Pera colui che prima osò la mano
646. Armata alzar su l’innocente agnella
647. E sul placido bue: nè il truculento
648. Cor gli piegàro i teneri belati,
649. Nè i pietosi mugiti, nè le molli
650. Lingue lambenti tortuosamente
651. La man che il loro fato aimè stringea”.
652. Tal ei parla o signor: ma sorge in tanto
653. A quel pietoso favellar da gli occhi
654. De la tua dama dolce lagrimetta
655. Pari a le stille tremule brillanti,
656. Che a la nova stagion gemendo vanno
657. Da i palmiti di Bacco entro commossi
658. Al tiepido spirar de le prim’aure
659. Fecondatrici. Or le sovvien del giorno,
660. Ahi fero giorno! allor che la sua bella
661. Vergine cuccia de le Grazie alunna,
662. Giovanilmente vezzeggiando, il piede
663. Villan del servo con gli eburnei denti
664. Segnò di lieve nota: e questi audace
627. Reca i tuoi doni alla mensa e al giovane seguace
628. del sapiente di Samo! Egli si siede ozioso
629. Disprezzando le carni e le narici
630. Raggrinza schifato; e in nauseanti rughe
631. Raggrinza le labbra; e intanto lentamente
632. Mastica un po’ di pane. Nessun latro eroe
633. Seppe mai resistere così fermamente alla fame,
634. Né lo vinsero la debolezza,
635. Né gli svenimenti, né le febbri alte:
636. Perché troppo importa avere le membra sottili,
637. Gli atteggiamenti singolari e nel bel mondo
638. Essere stimato da un ingegno filosofico.
639. Ogni persona volgare provi pietà
640. Soltanto per gli uomini e un sentimento di ripulsa
641. Destino in lei i danni del suo simile,
642. O i bisogni o le piaghe. Il suo cuore
643. Sdegna i sentimenti comuni; i sottili impulsi emotivi
644. Li sospinge al di là della filantropia.
645. <<Muoia colui che per primo osò alzare la mano
646. Armata sull’innocente agnello
647. E sul placido bue: né il feroce
648. Cuore gli piegarono i teneri belati,
649. Né i pietosi muggiti, né le molli
650. Lingue che leccavano, con movimento avvolgente,
651. La mano che purtroppo era padrona del loro destino!>>
652. Così egli parla, o Signore, ma intanto sorge
653. Per quelle parole compassionevoli
654. Una dolce lacrimetta dagli occhi della tua dama,
655. Simile alle tremule e luccicanti goccioline
656. Di linfe, che in primavera stillano
657. Dai tralci delle viti, risvegliate al proprio interno,
658. Dalle prime tiepide brezze primaverili, che portano
659. Fertilità. Ora le viene in mente il giorno,
660. Oh giorno crudele! Quando la sua bella
661. E graziosissima cagnetta, alunna delle Grazie,
662. Scherzando in modo giovanile, con i denti d’avorio
663. Segnò appena il piede del servo villano
664. Con un leggero segno e questi, con audacemente
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665. Con sacrilego piede la calciò ed ella
666. Rotolò per tre volte, per tre volte
705. Per natura o per arte, a cui Ciprigna
706. Rose le nari; o sale impuro e crudo
667. Lo scompigliato pelo, e da le vaghe
668. Nari soffiò la polvere rodente:
669. Indi i gemiti alzando, aita aita
670. Parea dicesse; e da le aurate volte
671. A lei la impietosita eco rispose;
672. E dall’infime chiostre i mesti servi
673. Asceser tutti; e da le somme stanze
674. Le damigelle pallide tremanti
675. Precipitàro. Accorse ognuno: il volto
676. Fu d’essenze spruzzato a la tua dama:
677. Ella rinvenne al fine. Ira e dolore
678. L’agitavano ancor: fulminei sguardi
679. Gettò sul servo; e con languida voce
680. Chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
681. Al sen le corse; in suo tenor vendetta
682. Chieder sembrolle: e tu vendetta avesti
683. Vergine cuccia de le Grazie alunna.
684. L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo
685. Udì la sua condanna. A lui non valse
686. Merito quadrilustre: a lui non valse
687. Zelo d’arcani ufici. Ei nudo andonne
688. De le assise spogliato onde pur dianzi
689. Era insigne a la plebe: e in van novello
690. Signor sperò; chè le pietose dame
691. Inorridiro; e del misfatto atroce
692. Odiàr l’autore. Il perfido si giacque
693. Con la squallida prole e con la nuda
694. Consorte a lato su la via spargendo
695. Al passeggero inutili lamenti:
696. E tu vergine cuccia idol placato
697. Da le vittime umane isti superba.
698. Nè senza i miei precetti o senza scorta
699. Inerudito andrai signor, qualora
700. Il perverso destin dal fianco amato
701. Ti allontani a la mensa. Avvien sovente
702. Che con l’aio seguace o con l’amico
703. Un grande illustre or l’Alpi or l’oceàno
704. Varchi e scenda in Ausonia, orribil ceffo
667. Scompigliò il pelo arruffato, e dalle delicate
668. Narici soffiò la polvere del pavimento:
669. Da qui alzando i gemiti: <<aiuto, aiuta!>>
670. Sembrava dicesse; e dalle volte coperte di stucchi dorati
671. A lei rispose l’impietosita Eco;
672. E dalle stanze sotterranee i mesti servi
673. Salirono tutti; e dalle stanze dell’ultimo piano
674. Le ancelle, tremanti e pallide,
675. Scesero a corsa. Accorsero tutti: il volto
676. Della dama fu spruzzato di essenze,
677. Ma ella, alla fine rinvenne. L’agitavano ancora
678. L’ira e il dolore: gettò fulminei sguardi
679. Sul servo e con una debole voce
680. Chiamò per tre volte la sua cagnetta e questa
681. Le corse incontro; a suo modo sembrò
682. Chiedere vendetta: e tu vendetta avesti
683. Vergine cuccia, alunna delle Grazie.
684. Il servo profanatore tremò; con gli occhi al suolo
685. Sentì la sua condanna al licenziamento. Non fu di alcun aiuto
686. Il suo apprezzato servizio ventennale: non fu di alcun aiuto
687. L’aver seguito con impegno assiduo incarichi delicati. Se ne andò
688. Privo di tutto, spogliato dalla livrea, grazie alla quale
689. Godeva un tempo di grande onore presso il volgo, e sperò in vano
690. Di accasarsi presso un nuovo signore, perché le pietose dame
691. Inorridirono e del crudele misfatto
692. Odiarono l’autore. Il perfido giacque
693. Con la squallida prole e con la povera
694. Moglie e, ridotto sul lastrico, andava rivolgendo
695. Ai passanti inutili lamenti:
696. E tu, Vergine cuccia, oggetto di culto placato
697. Dalle vittime umane, te ne andasti superba.
698. Ma non senza compagna o senza guida
699. O senza erudizione andrai, o Signore, qualora
700. Il triste destino al tuo amato fianco
701. Ti allontani dalla mensa. Avviene spesso
702. Che, con il precettore seguace o con l’amico,
703. Viene un nobile straniero, o dal Continente o dall’Inghilterra,
704. Varcando e scendendo in Italia, con orribile aspetto,
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705. Per nascita, o perché rovinato in seguito alle malattie
706. Veneree, oppure perché un sale corrosivo e impuro
745. Non la materia, ma il divin lavoro.
746. Nè allor men destro ad ubbidir sarai
707. Snudò i denti ineguali. Ora il distingue
708. Risibil gobba, or furiosi sguardi
709. Obliqui o loschi: or rantoloso avvolge
710. Fra le tumide fauci ampio volume
711. Di voce, che gorgoglia, ed esce al fine
712. Come da inverso fiasco onda che goccia;
713. Or d’avi or di cavalli ora di Frini
714. Instancabile parla; or de’ celesti
715. Le folgori deride. Aurei monili
716. E nastri e gemme gloriose pompe
717. L’ingombran tutto: e gran titolo suona
718. Dinanzi a lui. Qual più tra noi risplende
719. Inclita stirpe ch’onorar non voglia
720. D’un ospite sì degno i Lari suoi?
721. Ei però col compagno ammessi fièno
722. Di Giuno a i fianchi: e tu lontan da lei
723. Co’ Silvani capripedi n’andrai
724. Presso al marito; e pranzerai negletto
725. Fra il popol folto de gli dei minori.
726. Ma negletto non già da gli occhi andrai
727. De la dama gentil, che a te rivolti
728. Incontreranno i tuoi. L’aere a quell’urto
729. Arderà di faville: e Amor con l’ali
730. L’agiterà. Nel fortunato incontro
731. I messagger pacifici dell’alma
732. Cambieran lor novelle: e alternamente
733. Spinti ritorneranno a voi con dolce
734. Delizioso tremito su i cori.
735. Allor tu le ubbidisci; o se t’invita
736. Le vivande a gustar, che a lei vicine
737. L’ordin dispose; o se a te chiede in vece
738. Quella che innanzi a te sue voglie pugne
739. Non col soave odor, ma con le nove
740. Leggiadre forme onde abbellir la seppe
741. Dell’ammirato cucinier la mano.
742. Con la mente si pascono le dive
743. Sopra le nubi del brillante Olimpo:
744. E lor labbra immortali irrita e move
707. Mise a nudo i denti consumati. Ora lo contraddistingue
708. La ridicola gobba, ora gli sguardi furiosi
709. Sfuggenti e maligni, ora cerca di articolare con un rantolo
710. Nella gola rigonfia un grande volume
711. Di voce, che gorgoglia, ed alla fine esce con la stessa fatica
712. Con cui da un fiasco capovolto esce l’acqua, goccia su goccia;
713. Ora di avi, ora di cavalli, ora di prostitute
714. Instancabilmente parla; ora ride
715. Delle punizioni celesti. Gioielli d’oro
716. E nastri e gemme ed ornamenti insigni
717. Lo ingombrano tutto: il suo arrivo è preceduto
718. Dall’annuncio del suo illustre titolo nobiliare. Quale nobile famiglia
719. Tra le più illustri che non voglia onorare
720. La propria casa di un ospite così degno?
721. Perciò con il compagno furono ammessi
722. Ai fianchi di Giunone: e tu, lontano da lei
723. Andrai con satiri dai piedi di capra
724. Presso il marito; e pranzerai trascurato
725. Fra il popolo folto degli dei minori.
726. Ma non andrai trascurato agli occhi
727. Della gentile dama, i quali occhi, a te rivolti,
728. Incontreranno i tuoi. L’aria d’impeto
729. Brucerà di faville e l’Amore con le ali
730. L’agiterà. Nel fortunato incontro
731. Gli sguardi pacifici dell’anima
732. Si scambieranno notizie: e, alternativamente
733. Spinti, provocheranno nei vostri cuori
734. Un’emozione piacevole.
735. Allora tu ubbidiscile, sia che ti inviti
736. A gustare le vivande, che sono disposte vicino a lei,
737. Sia che invece ti chieda quella
738. Vivanda, che davanti a te sollecita i suoi desideri
739. Non per il soave profumo, ma per le nuove
740. Leggiadre forme, con cui seppe abbellirla
741. La mano dell’ammirato cuoco!
742. Con la mente si nutrono le dee
743. Sopra le nuvole dello splendente Olimpo:
744. E non il cibo vero e proprio, ma la perfezione della forma
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745. Stimola e muove le loro labbra immortali.
746. Né allora meno destro sarai ad ubbidire
785. Col reboato dell’aperta tromba
786. L’ampia cittade e dell’Enotria i monti,
747. Che di raro licor la bella strigne
748. Colmo bicchiere, a lo cui orlo intorno
749. Serpe striscia dorata; e par che dica:
750. “Lungi o labbra profane: a i labbri solo
751. De la diva che qui soggiorna e regna
752. È il castissimo calice serbato:
753. Nè cavalier con alito maschile
754. Osi appannarne il nitido cristallo;
755. Nè dama convitata unqua presuma
756. I labbri apporvi; e sien pur casti e puri,
757. E quanto esser può mai cari all’Amore”.
758. Tu al cenno de’ bei guardi e de la destra,
759. Che reggendo il bicchier sospesa ondeggia
760. Affettuoso attendi. I lumi tuoi
761. Di gioia sfavillando accolgan pronti
762. Il brindisi segreto: e ti prepara
763. In simil modo a tacita risposta.
764. Ecco d’estro già punta ecco la Musa
765. Brindisi grida all’uno e all’altro amante;
766. All’altrui fida sposa a cui se’ caro,
767. E a te signor sua dolce cura e nostra.
768. Quale annoso licor Lièo vi mesce,
769. Tale Amore a voi mesca eterna gioia
770. Non gustata al marito, e da coloro
771. Invidiata che gustata l’hanno.
772. Veli con l’ali sue sagace oblio
773. Le alterne infedeltà che un cor dall’altro
774. Porieno un giorno separar per sempre:
775. E solo a gli occhi vostri Amor discopra
776. Le alterne infedeltà, che in ambo i petti
777. Ventilar ponno le cedenti fiamme.
778. Di sempiterno indissolubil nodo
779. Canti augurj per voi vano cantore:
780. Nostra nobile musa a voi desia
781. Sol quanto piace a voi durevol nodo.
782. Duri fin che a voi piace: e non si scioglia
783. Senza che Fama sopra l’ale immense
784. Tolga l’alta novella; e grande n’empia
747. Dato che la bella stringe
748. Un bicchiere colmo di raro vino straniero, sul cui bordo gira
749. Serpeggiando tutt’intorno una linea dorata e sembra che dica:
750. <<Lontane o labbra profane: solo alle labbra
751. Della dama che qui soggiorna e regna
752. È riservato il purissimo calice:
753. Né il cavaliere con alito pesante
754. Osi appannare il nitido cristallo del bicchiere,
755. Né la donna convitata mai osi
756. Porvi le labbra; e siano pure casti e puri
757. E quanto mai si può essere desiderabili in amore.
758. Tu, al cenno degli sguardi e della destra
759. Che, reggendo il bicchiere, ondeggia sospesa,
760. Fai attenzione in modo affettuoso. I tuoi occhi
761. Sfavillando di gioia, accolgano pronti
762. Il brindisi segreto: e preparati
763. Ad una tacita risposta, a simile modo.
764. Ecco che da dietro spunta già la Musa
765. E grida brindisi all’uno e all’altro amante;
766. All’altrui fida sposa a cui sei caro
767. E a te, Signora, oggetto di affezioni e di premure.
768. Come Bacco vi versa il vino invecchiato,
769. Così Amore vi versa un’eterna gioia
770. Non gustata dal marito e da coloro
771. Che l’hanno gustata invidiata.
772. L’accorta dimenticanza copra con le sue ali
773. Le reciproche infedeltà, che un cuore dall’altro
774. Potrebbero un giorno separare per sempre,
775. E solo ai vostri occhi l’Amore scopra
776. Le eterne infedeltà, che in entrambi i petti
777. Possano ravvivare la declinante passione amorosa.
778. Vada un cantore a cantare per voi tanti auguri
779. Di un legame eterno, indissolubile:
780. La nostra nobile Musa per voi desidera
781. Un nodo durevole solo fin quanto vi piace.
782. Duri finché a voi piace e non si sciolga
783. Senza che la Fama sopra le ali immense
784. Sollevi la grande notizia; e largamente ne riempia
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785. Con il rimbombo della tromba spiegata
786. L’ampia città e i monti dell’Italia
825. Giudica e libra; qual ne scopre acuto
826. L’alte cagioni; e i gran principj abbatte
787. E le piagge sonanti, e s’esser puote,
788. La bianca Teti e Guadiana e Tule.
789. Il mattutino gabinetto il corso
790. Il teatro e la mensa in vario stile
791. Ne ragionin gran tempo. Ognun ne chieda
792. Il dolente marito: ed ei dall’alto
793. La lamentabil favola cominci.
794. Tal su le scene, ove agitar solea
795. L’ombre tinte di sangue Argo piagnente,
796. Squallido messo al palpitante coro
797. Narrava come furiando Edipo
798. Al talamo sen corse incestuoso,
799. Come le porte rovescionne, come
800. Al subito spettacolo ristette
801. Quando vicina del nefando letto
802. Vide in un corpo solo e sposa e madre
803. Pender strozzata; e del fatale uncino
804. Le mani armosse; e con le proprie mani
805. A sè le care luci da la testa
806. Con le man proprie misero strapposse.
807. Ma già volge al suo fine il pranzo illustre:
808. Già Como e Dionisio al desco intorno
809. Rapidissimamente in danza girano
810. Con la libera Gioia. Ella saltando
811. Or questo or quel de’ convitati lieve
812. Tocca col dito: e al suo toccar scoppiettano
813. Brillanti vivacissime scintille,
814. Ch’altre ne destan poi. Sonan le risa:
815. Il clamoroso disputar s’accende:
816. La nobil vanità pugne le menti:
817. E l’amor di sè sol, baldo scorrendo,
818. Porge un scettro a ciascuno; e dice: “regna”.
819. Questi i concili di Bellona, e quegli
820. Pènetra i tempj de la Pace. Un guida
821. I condottieri: a i consiglier consiglio
822. L’altro dona; e divide e capovolge
823. Con seste ardite il pelago e la terra.
824. Qual di Pallade l’arti e de le Muse
787. E le spiagge sonanti e se si può
788. Il mare biancheggiante di onde spumose e la Spagna e l’Islanda.
789. La toeletta mattutina, il corso,
790. Il teatro e la mensa, in vario modo,
791. Ne parlino per gran tempo. Ognuno chieda
792. Di far narrare al marito quell’amorosa catastrofe: e lui dall’alto
793. La lamentosa favola cominci.
794. Così sopra le scene, in cui si rappresentano
795. I personaggi coinvolti in vicende sanguinose,
796. Il pallido messaggero narrava al palpitante coro
797. Come infuriando Edipo incestuoso
798. Corse verso la camera nuziale,
799. Come scardinò le porte, come
800. Si arrestò all’improvviso spettacolo,
801. Quando vide vicina, nell’esecrabile letto,
802. Riunita nella stessa persona la moglie e la madre
803. Pendere impiccata; e del funesto uncino
804. Le mani mosse; e con le proprie mani si tolse
805. Gli occhi dalla testa,
806. Accecandosi con le proprie mani.
807. Ma ormai giunge al termine l’illustre pranzo:
808. Già Como, il dio dei conviti, e Bacco intorno
809. Rapidissimamente girano in una danza,
810. Al tavolo con libera gioia. La Gioia saltando
811. O questo, o quello degli invitati lievemente
812. Tocca col dito: e al suo toccare scoppiettando
813. Brillano di vivaci scintille,
814. Che ne destano poi altre. Risuonano le risate:
815. Si accendono le discussioni rumorose:
816. La nobile invidia punge le menti
817. E l’amore di sé soltanto, scorrendo ardito,
818. Porge ad ognuno uno scettro, e dice : <<Regna!>>
819. Uno discute di guerra,
820. Un altro penetra i temoli della pace. Uno dà
821. Consigli ai condottieri: dona consiglio all’altro,
822. E rivoluziona e capovolge
823. L’assetto del mare e della terra.
824. Uno le arti di Pallade e delle Muse folleggia
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825. E scherza, delle quali acuto ne scopre
826. Le cause prime, e confuta i principii
865. Discepol sederà teco a la mensa.
866. Tu a lui ti volgi, seco lui ragiona,
827. Cui creò la natura, e che tiranni
828. Sopra il senso de gli uomini regnàro
829. Gran tempo in Grecia, e nel paese Tosco
830. Rinacquer poi più poderosi e forti.
831. Cotanto adunque di saper fia dato
832. A nobil capo? Oh letti oh specchi oh mense
833. Oh corsi oh scene oh feudi oh sangue oh avi
834. Che per voi non s’apprende? Or tu signore
835. Co’ voli arditi del felice ingegno
836. Sovra ognaltro t’innalza. Il campo è questo
837. Ove splender più dei. Nulla scienza,
838. Sia quant’esser mai puote arcana o grande,
839. Ti spaventi giammai. Se cosa udisti
840. O leggesti al mattino onde tu deggia
841. Gloria sperar; qual cacciator che segue
842. Circuendo la fera, e sì la guida
843. E volge di lontan che a poco a poco
844. A le insidie s’accosta e dentro piomba,
845. Tal tu il sermone altrui volgi sagace
846. Fin che là cada ove spiegar ti giove
847. Il tuo novo tesoro. E se pur ieri
848. Scesa in Italia pellegrina forma
849. Del parlar t’è già nota, allor tu studia
850. Materia espor che favellando ammetta
851. La nova gemma; e poi che il punto hai colto,
852. Ratto la scopri; e sfolgorando abbaglia
853. Qual altra è mente che superba andasse
854. Di squisita eloquenza a i gran convivj.
855. In simil guisa il favoloso mago,
856. Che fe’ gran tempo desiar l’amante
857. All’animosa vergin di Dordona,
858. Da i cavalier che l’assalien bizzarri
859. Oprar lasciava ogni lor possa ed arte
860. Poi ecco in mezzo a la terribil pugna
861. Strappava il velo a lo incantato scudo;
862. E quei sorpresi dal bagliore immenso
863. Ciechi spingeva e soggiogati a terra.
864. Talor di Zoroastro o d’Archimede
827. Che la Natura creò e che a lungo
828. Sopra il senso degli uomini
829. Condizionarono il gusto in Grecia, ed in Toscana
830. Rinacquero poi più consapevoli ed efficaci.
831. Fu concesso dunque così tanto di sapere
832. Al nobile capo? Oh letti, oh specchi, oh mense!
833. Oh corsi, oh teatri, oh feudi, oh nobiltà di sangue, oh avi
834. Cosa non si apprende grazie a voi? Ora tu, o Signore,
835. Con gli arditi voli del felice ingegno,
836. Sopra ogni altro ti innalzi. Questo è il campo
837. Dove più devi splendere. Nessuna scienza,
838. Sia pure ardua e grande,
839. Mai ti spaventi. Se hai sentito
840. O hai letto al mattino qualcosa, in cui tu debba
841. Sperare gloria, come un cacciatore che segue
842. Accerchiando la preda, e così la preda
843. Si accosta a poco a poco al pericolo e dentro si infila,
844. Allo stesso modo tu, intelligentemente, fai
845. In modo di volgere il discorso a tuo favore,
846. Fino a che cada su un argomento adatto a fare mostra
847. Delle tue nuove e brillanti acquisizioni. E se pure ieri
848. Scesa in Italia una nuova forma
849. Di parlare già ti è nota, allora tu tratta di un argomento
850. Che discorrendo consenta di introdurre la nuova espressione,
851. E quando hai intuito il momento adatto,
852. Improvvisamente pronuncialo, e sfolgorando abbaglia
853. Chiunque andasse fiero della propria fama
854. Di raffinato creatore conviviale.
855. Allo stesso modo il leggiadro mago Atlante,
856. Che fece per lungo tempo desiderare l’amante
857. All’audace Bradamante, vergine di Dordona,
858. Ai cavalieri che bizzarri l’assalivano
859. Lasciava operare tutta la loro forza e la loro abilità,
860. Ed ecco nel mezzo di uno spaventoso duello,
861. Strappava il velo all’incantato scudo,
862. E spingeva quelli ciechi sorpresi
863. Dall’immenso bagliore e soggiogati a terra.
864. Talvolta un discepolo di Zoroastro o di Archimede
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865. Siederà con te alla mensa.
866. Ma tu a lui rivolgiti, con lui ragiona,
905. Del suo infermo signor chiedere aita
906. Da la buona Salute; o con alate
867. Suo linguaggio ne apprendi; e quello poi
868. Qual se innato a te fosse alto ripeti.
869. Nè paventar quel che l’antica fama
870. Narra de’ lor compagni. Oggi la diva
871. Urania il crin compose; e gl’irti alunni
872. Smarriti vergognosi balbettanti
873. Trasse da le lor cave, ove già tempo
874. Col profondo silenzio e con la notte
875. Tenean consiglio: e le servili braccia
876. Fornien di leve onnipotenti, ond’alto
877. Salisser poi piramidi obelischi
878. Ad eternar de’ popoli superbi
879. I gravi casi: o pur con feri dicchi
880. Stavan contra i gran letti: o di pignone
881. Audace armati, spaventosamente
882. Cozzavan con la piena, e giù a travers
883. Spezzate rovesciate dissipavano
884. Le tetre corna: decima fatica
885. D’Ercole invitto. Ora i selvaggi amici
886. Urania ingentilì. Baldi e leggiadri
887. Nel gran mondo li guida, o tra il clamore
888. De’ frequenti convivi, o pur tra i vezzi
889. De’ gabinetti; ove a la docil dama
890. E al caro cavalier mostran qual via
891. Venere tenga, e in quante forme o quali
892. Suo volto lucidissimo si cangi.
893. Nè del poeta temerai che beffi
894. Con satira indiscreta i detti tuoi;
895. O che a maligne risa esponer osi
896. Tuo talento immortale. All’alta mensa
897. Voi lo innalzaste; e tra la vostra luce
898. Beato l’avvolgeste; e de le Muse
899. A dispetto e d’Apollo al sacro coro
900. L’ascriveste de’ vati. Ei de la mensa
901. Fece il suo Pindo: e guai a lui se quindi
902. Le dee sdegnate giù precipitando
903. Con le forchette il cacciano. Meschino!
904. Più non poria su le dolenti membra
867. Apprendine il linguaggio; e quello poi
868. Ripetilo alto, come se fosse innato dentro di te.
869. E non temere di ciò che si racconta
870. Dei suoi antichi colleghi scienziati! Oggi la dea
871. Urania si è pettinata; e i suoi ispidi discepoli
872. Si vergognano balbettando:
873. Ella li fece uscire dalle caverne, dove già da tempo
874. Meditavano nel profondo silenzio
875. Della notte e le servili braccia
876. Fornivano sistemi meccanici in grado di sollevare enormi pesi,
877. Affinchè fossero erette piramidi e obelischi
878. Per celebrare importanti avvenimenti storici
879. Di fiere popolazioni, oppure con dighe
880. Imponenti si opponevano al mare, o armati
881. Dell’argine audace, si opponevano spaventosamente
882. Agli urti dei fiumi in piena e domavano trasversalmente
883. E indebolivano le correnti violente:
884. la fatica di Ercole invitto. Ora gli irti alunni
885. Di Urania ha ingentilito. Baldi e leggiadri
886. Li guida nella società moderna, attraverso il vocio rumoroso
887. Dei banchetti pieni di gente,
888. oppure nell’atmosfera galante
889. Dei gabinetti; dove alla dama che apprende con facilità
890. E al saggio cavaliere, mostrano il percorso
891. Celeste del pianeta Venere e in quanti e quali aspetti
892. Assuma la sua faccia splendente.
893. Né temerai il poeta, che prende in giro
894. Con inopportune satire le tue affermazioni;
895. O che osa mostrare le maligne risate
896. Sul tuo talento immortale.
897. Gli avete concesso l’onore di partecipare
898. Ai vostri illustri banchetti, e l’avete avvolto
899. Beato tra la vostra luce; nonostante fosse privo
900. Di doti poetiche, lo avete proclamato poeta. Egli fece
901. Della mensa il suo Pindo: e guai a lui se
902. Le dame sdegnate, precipitandosi in basso,
903. Lo cacciano con le forchette dalla mensa. Meschino!
904. Più non potrebbe scrivere sul corpo indolenzito del suo Signore
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905. Un componimento che auspichi la guarigione
906. Del Signore malato, o ringraziare
945. Anco a lo speglio passeran di lei,
946. Che comuni ha con te studj e licèo,
907. Odi ringraziar, nè tesser inni
908. Al barbato figliuol di Febo intonso.
909. Più del giorno natale i chiari albori
910. Salutar non potrebbe; e l’auree frecce
911. Nomi-sempiternanti all’arco imporre.
912. Non più gli urti festevoli, o sul naso
913. L’elegante scoccar d’illustri dita
914. Fora dato sperare. A lui tu dunque
915. Non disdegna o signor volger talora
916. Tu’ amabil voce; a lui tu canta i versi
917. Del delicato cortigian d’Augusto,
918. O di quel che tra Venere e Lièo
919. Pinse Trimalcion: la Moda impone
920. Ch’Arbitro o Flacco a i begli spirti ingombri
921. Spesso le tasche. Oh come il vate amico
922. Te udrà meravigliando il sermon prisco
923. O sciogliere o frenar qual più ti piace!
924. E per la sua faretra e per li cento
925. Destrier focosi che in Arcadia pasce
926. Ti giurerà che di Donato al paro
927. Il difficil sermone intendi e gusti!
928. E questo ancor di rammentar fia tempo
929. I novi Sofi che la Gallia o l’Alpe
930. Ammirando persegue; e dir qual arse
931. De’ volumi infelici, o andò macchiato
932. D’infame nota; e quale asilo appresti
933. Filosofia al morbido Aristippo
934. Del secol nostro, e qual ne appresti al novo
935. Diogene dell’auro sprezzatore
936. E della opinione de’ mortali.
937. Lor famosi volumi, o a te discesi
938. Per calle obliquo e compri a gran tesoro,
939. O da cortese man prestati, fièno
940. Lungo ornamento a lo tuo speglio innante.
941. Poi che brevi gli avrai scorsi momenti
942. Ornandoti o a la man garrendo indotta
943. Del parrucchier; poi che t’avran più notti
944. Conciliato il facil sonno, al fine
907. Con odi sublimi o comporre inni
908. Per Esculapio, il figlio di Febo con la barba ancora intonsa.
909. E non potrebbe più celebrare il compleanno del Signore,
910. E comporre aulici versi destinati a rendere eterni
911. I nomi dei personaggi che vi si celebrano.
912. Non sarà più dato sperare i piccoli colpi scherzosi
913. O l’elegante schioccare di nobili dita sul naso.
914. Dunque, Signore, non disdegnare
915. Di volgere qualche volta a lui
916. La tua amabile voce; contagli i versi
917. Del delicato cortigiano d’Augusto,
918. O di colui che raffigurò Trimalcione
919. Dedito alla lussuria e al vino. La Moda impone che
920. Petronio o Orazio siano spesso d’ingombro
921. Ai nobili spiriti. O come il vate amico
922. Ascolterà da te, meravigliandosi, la lingua latina,
923. Mentre pronuncerai, a tuo piacimento, lunghe le sillabe
924. Brevi e brevi quelle lunghe!
925. E ti giurerà sulla sua faretra e sui cento destrieri focosi
926. Che alleva in Arcadia
927. Che tu intendi e gusti la lingua latina al apri di Donato!
928. E questo sarà ancora tempo di ricordare
929. I nuovi filosofi che Francia e Svizzera
930. Ammirano e perseguitano, e dire quale libro
931. Venne bruciato pubblicamente o
932. Fu bollato d’infamia, e quale asilo
933. Filosofia prepari al molle Aristippo
934. Dei giorni nostri, e quale al nuovo
935. Diogene, dispregiatore delle ricchezze
936. E delle convenzioni sociali degli uomini.
937. I loro famosi libri, a te giunti
938. Per vie traverse e comprati a prezzi altissimi,
939. O prestati da un amico gentile, saranno
940. A lungo ornamento innanzi al tuo specchio.
941. Dopo che per qualche istante li avrai guardati,
942. Ornandoti e rimproverando la mano maldestra
943. Del parrucchiere, dopo che per più notti ti avranno
944. Conciliato il facile sonno, alla fine
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945. Passeranno allo specchio di lei,
946. Che ha in comune con te gli studi e la scuola,
985. Così strani consigli: e solo attigni
986. Ciò che la dolce voluttà rinfranca,
947. Ove togato in cattedra elegante
948. Siede interprete Amore. Or fia la mensa
949. Il favorevol loco, onde al sol esca
950. De’ brevi studj il glorioso frutto.
951. Chi por freni oserà d’inclita stirpe
952. All’animo a la mente? Il vulgo tema
953. Oltre natura: e quei cui dona il vulgo
954. Titol di saggio mediti romito
955. Il ver celato; e al fin cada adorando
956. La sacra nebbia che lo avvolge intorno.
957. Ma tu come sublime aquila vola
958. Dietro a i sofi novelli. Alto dia plauso
959. Tutta la mensa al tuo poggiare audace.
960. Te con lo sguardo e con l’orecchio beva
961. La dama da le tue labbra rapita:
962. Con cenno approvator vezzosa il capo
963. Pieghi sovente: e il calcolo e la massa
964. E la inversa ragion sonino ancora
965. Su la bocca amorosa. Or più non odia
966. De le scole il sermone Amor maestro:
967. E l’accademia e i portici passeggia
968. De’ filosofi al fianco; e con la molle
969. Mano accarezza le cadenti barbe.
970. Ma guardati o signor guardati oh dio
971. Dal tossico mortal che fuora esala
972. Da i volumi famosi: e occulto poi
973. Sa per le luci penetrato all’alma
974. Gir serpendo ne’ cori; e con fallace
975. Lusinghevole stil corromper tenta
976. Il generoso de le stirpi orgoglio,
977. Che ti scevra dal vulgo. Udrai da quelli
978. Che ciascun de’ viventi all’altro è pari;
979. E caro a la natura e caro al cielo
980. E non manco dite colui che regge
981. I tuoi destrieri e quel ch’ara i tuoi campi;
982. E che la tua pietade o il tuo rispetto
983. Devrien fino a costor scender vilmente.
984. Folli sogni d’infermo! Intatti lascia
947. Dove siede in cattedra, elegante con la toga,
948. Il maestro Amore. Ora sarà la mensa
949. Il luogo adatto, da cui veda la luce
950. Il glorioso frutto dei brevi studi.
951. Chi oserà porre freni alle passioni e ai pensieri d’una stirpe
952. Tanto illustre? Il popolo tema
953. Il soprannaturale: e colui a cui il popolo dà
954. Il titolo di saggio mediti solitario
955. La verità nascosta: e infine cada adorando
956. La sacra nebbia che lo circonda.
957. Ma tu vola dietro ai nuovi filosofi,
958. Come un’aquila che vola altissima.
959. Tutti i commensali concedano
960. Grande lode ai tuoi audaci slanci concettuali.
961. La dama, rapita dalle tue parole,
962. Berrà le tue sentenze guardandoti e assecondandoti:
963. Con cenno d’assenso ella pieghi spesso il capo,
964. Vezzosa; e il calcolo, la massa e la proporzione inversa
965. Vengano ripetuti da lei. Ora il maestro Amore
966. Non odia più il linguaggio accademico:
967. E passeggia lungo l’accademia e i portici
968. A fianco dei filosofi; e con la delicata mano
969. Accarezza le barbe fluenti.
970. Ma guardati, Signore, guardati, o Dio!
971. Dal veleno mortale che esce
972. Dai volumi famosi: e poi, nascosto
973. Penetrato nell’anima attraverso gli occhi,
974. Se ne va insinuandosi nei cuori, e con modo ingannevole,
975. Seducente tenta di corrompere
976. Il nobile orgoglio delle stirpi,
977. Quello che ti distingue dal popolo. Da quelli sentirai che
978. Ogni uomo è uguale all’altro;
979. E caro alla Natura ed al Cielo
980. È colui che guida i tuoi cavalli e colui che
981. Lavora i tuoi campi; e sentirai che
982. La tua pietà ed il tuo rispetto
983. Devono abbassarsi sino a costoro.
984. Folli sogni di un matto! Lascia perdere
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985. Così strani consigli: e prendi solo
986. Ciò che rinfranca il dolce piacere,
1025.
1026.
L’aere il caffè, che preparato fuma
In tavola minor, cui vela ed orna
987. Ciò che scioglie i desiri e ciò che nudre
988. La libertà magnanima. Tu questo
989. Reca solo a la mensa; e sol da questo
990. Plauso cerca ed onor: così dell’api
991. L’industrioso popolo ronzando
992. Gira di fiore in fior di prato in prato;
993. E i dissimili sughi raccogliendo
994. Tesoreggia nell’arnie: un giorno poi
995. Ne van colme le pàtere dorate
996. Sopra l’ara de’ numi; e d’ogni lato
997. Ribocca la fragrante alma dolcezza.
998. Or versa pur dall’odorato grembo
999. I tuoi doni o Pomona; e l’ampie colma
1000. Tazze che d’oro e di color diversi
1001. Fregia il Sassone industre. E tu da i greggi
1002. Rustica Pale coronata vieni
1003. Di melissa olezzante o di ginebro;
1004. E co’ lavori tuoi di presso latte
1005. Declina vergognando a chi ti chiede;
1006. Ma deporli non osa. In su la mensa
1007. Porien deposti le celesti nari
1008. Pungere ahi troppo; e con ignobil senso
1009. Gli stomachi agitar: soli torreggino
1010. Sul ripiegato lino in varia forma
1011. I latti tuoi cui di serbato verno
1012. Assodarono i sali, e fecer atti
1013. A dilettar con subito rigore
1014. Di convitato cavalier le labbra.
1015. Tu signor che farai poi che la dama
1016. Con la mano e col piè lieve puntando
1017. Move in giro i begli occhi; e altrui dà cenno
1018. Che di sorger è tempo? In piè d’un salto
1019. Balza primo di tutti; a lei soccorri,
1020. La seggiola rimovi, la man porgi,
1021. Guidala in altra stanza, e più non soffri
1022. Che lo stagnante de le dapi odore
1023. Il celabro le offenda. Ivi con gli altri
1024. Gratissimo vapor la invita, ond’empie
987. Ciò che soddisfa i desideri e ciò che alimenta
988. La tua libertà. Tu porta solo questo
989. Tra i commensali: e solo da questo
990. Cerca approvazione ed onore: così
991. L’industrioso popolo delle api gira ronzando
992. Di prato in prato, di fiore in fiore,
993. E raccogliendo i diversi nettari,
994. tesaurizza nell’arnia: un giorno poi
995. Le tazze dorate vengono riempite
996. Sopra gli altari degli dei; e da uguale parte
997. Trabocca il dolce e fragrante aroma.
998. Ora, o Pomona, versa pure
999. I tuoi doni dal profumato grembo,
1000. E colma le ampie tazze che
1001. L’industrioso sassone decora d’oro e di colori diversi. E tu,
1002. Rustica Pale, vieni coronata dai greggi
1003. Di profumata melissa o ginepro;
1004. E con le tue forme di formaggio declina
1005. Con fare vergognoso a chi ti chiede;
1006. Ma non osare porli. Appoggiati sulla tavola
1007. Potrebbero infastidire troppo
1008. Le delicate narici e in maniera ignobile
1009. Agitare gli stomaci: torreggino soli
1010. Sui tovaglioli di lino, ripiegati in diverse forme,
1011. I gelati, fatti durante l’inverno,
1012. E conservati con ghiaccio misto a sale,
1013. per deliziare con l’improvviso freddo,
1014. Le labbra del cavaliere invitato.
1015. Tu, o Signore, cosa farai dopo che la dama,
1016. Puntando con la mano e con il piede,
1017. Muove in giro i begli occhi e fa cenno ad altri
1018. Che è tempo di alzarsi? Balza d’un tratto in piedi
1019. Per primo con un salto: aiutala,
1020. Spostale la sedia, porgile la mano,
1021. E guidala in un’altra stanza e non tollerare
1022. Che lo stagnante odore delle vivande
1023. Le provochi mal di testa. Lì con gli altri convitati
1024. La invita un graditissimo profumo, di cui
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1025.
1026.
Riempie l’aria il caffè che, pronto, fuma
Su una tavola più piccola, che una tovaglia indiana
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Si convegna ornamento a i dorsi alteri;
Se semplici e negletti, o se pomposi
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Indica tela. Ridolente gomma
Quinci arde in tanto, e va lustrando e purga
L’aere profano, e fuor caccia de’ cibi
Le volanti reliquie. Egri mortali,
Che la miseria e la fidanza un giorno
Sul meriggio guidàro a queste porte
Tumultuosa ignuda atroce folla
Di tronche membra e di squallide facce
E di bare e di grucce, or via da lunge
Vi confortate; e per le alzate nari
Del divin prandio il nettare beete,
Che favorevol aura a voi conduce:
Ma non osate i limitari illustri
Assediar, fastidioso offrendo
Spettacolo di mali a i nostri eroi.
E a te nobil garzon la tazza in tanto
Apprestar converrà, che i lenti sorsi
Ministri poi de la tua bella a i labbri
E memore avvertir s’ella più goda,
O sobria o liberal temprar col dolce
La bollente bevanda: o se più forse
L’ami così come sorbir la gode
Barbara sposa, allor che molle assisa
Ne’ broccati di Persia al suo signore
Con le dita pieghevoli il selvoso
Mento vezzeggia; e la svelata fronte
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Ricopre ed abbellisce. Da qui intanto arde
Una resina odorosa, che va
Purificando l’aria profana e caccia fuori
I rimanenti odori dei cibi. Voi, poveri mortali,
Che un giorno la miseria e la fiducia
Guidarono, sul mezzogiorno, in folla
Tumultuosa, ignuda, orribile ed atroce,
1053.
Alzando il guarda; e quelli sguardi han possa
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Di far che a poco a poco di man cada
Al suo signore la fumante canna.
Mentre i labbri e la man v’occupa e scalda
L’odoroso licor, sublimi cose
Macchinerà tua infaticabil mente.
Quale oggi coppia di corsier de’ il carro
Condur de la tua bella; o l’alte moli
Che per le fredde piagge educa il Cimbro;
O quei che abbeverò la Drava; o quelli
Che a le vigili guardie un dì fuggiro
De la stirpe Campana: oggi qual meglio
Di persone mutilate, di volti pallidi e di barelle e di grucce,
A queste porte, ora confortatevi da lontano e bevete
Il nettare della mensa divina
Che un’arietta propizia vi porta,
Attraverso le narici dilatate:
Ma non osate infastidire
Gli illustri confini, offrendo
Un miserabile spettacolo ai nostri eroi.
E intanto, o nobile Signore, la tazza a te
Converrà preparare, così che i lenti sorsi
Dosi poi alle labbra della tua dama
E converrà fare attenzione se a lei piace di più
O austera o liberale mitigare con il dolce
La bollente bevanda, oppure se, invece, di più
Le piace berla come la vuol bere
La barbara sposa, quando, seduta mollemente
Nei tessuti di Persia, al suo signore
Con le dita piegate accarezza
La folta barba; e con la fronte senza velo
Alzando lo guarda; e quegli sguardi hanno il potere
Di fare in modo che lentamente cada dalla mano
La pipa fumante al suo signore.
Mentre il profumato liquido occupa e scalda
La bocca e la mano, cose importantissime
Penserà la tua instancabile mente.
Quale coppia di cavalli attaccare oggi
Alla carrozza della tua bella; o gli alti destrieri
Che il tedesco allenò per le fredde spiagge;
O i cavalli che si dissetavano nel fiume Drava; o quelli
Che un giorno fuggirono alle attente guardie
Della stirpe regale campana: oggi quale migliore
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1065.
1066.
Ornamento si adatta ai dorsi superbi dei cavalli;
Se semplici o modesti, o se abbelliti
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O con notate tavole giammai
O con servi sedotti a la sua bella
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Di ricche nappe e variate stringhe
Andran su l’alto collo i crin volando,
E sotto a cuoi vermigli e ad auree fibbie
Ondeggeranno li ritondi fianchi.
Quale oggi cocchio trionfanti al corso
Vi porterà; se quel cui l’oro copre
Fulgido al sole; e de’ vostr’alti aspetti
Per cristallo settemplice concede
Al popolo bearsi; o quel, che tutto
Caliginoso e tristo e a la marmorea
Tomba simil che de’ vostr’avi chiude
I cadaveri eccelsi, ammette a pena
Cupido sguardo altrui. Cotanta mole
Di cose a un tempo sol nell’alto ingegno
Tu verserai; poi col supremo auriga
Arduo consiglio ne terrai; non senza
Qualche lieve garrir con la tua dama.
Servi l’auriga ogni tua legge: e in tanto
Altra cura subentri. Or mira i prodi
Compagni tuoi che, ministrato a pena
Dolce conforto di vivande a i membri,
Già scelto il campo, e già distinti in bande
Preparansi giocando a fieri assalti.
Così a queste, o signore, illustre inganno
Ore lente si faccia. E s’altri ancora
Vuole Amor che s’inganni; altronde pugni
La turba convitata; e tu da un lato
Sol con la dama tua quel gioco eleggi,
Che due soltanto a un tavoliere ammetta.
Già per ninfa gentil tacito ardea
D’insoffribile ardor misero amante,
Cui null’altra eloquenza usar con lei
Fuor che quella de gli occhi era concesso:
Poi che il rozzo marito ad Argo eguale
Vigilava mai sempre; e quasi biscia
Ora piegando or allungando il collo
Ad ogni verbo con gli orecchi acuti
Era presente. Oimè, come con cenni
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Con ampi fiocchi e finimenti di vari colori
Andranno sull’alto collo, muovendo i crini,
E sotto alle bardature di cuoio rosse ed alle fibbie dorate
Si muoveranno ondeggiando i fianchi arrotondati.
Quale cocchio oggi trionfante al corso
Vi porterà; se quello dorato
Che brilla al sole, e dei vostri superbi ornamenti
Concede, attraverso il cristallo settemplice
Al popolo di bearsi; o quello che molto
Scuro e triste e simile alla
Tomba marmorea, che racchiude i nobili cadaveri
Dei vostri antenati, concede a fatica
Lo sguardo avido degli altri. Una tale quantità
Di pensieri contemporaneamente nella tua mente elevata
Ti porrai; poi con il cocchiere più importante
Prenderai una decisione ardua; non senza
Qualche piccolo battibecco con la tua dama.
Il cocchiere obbedisca ai tuoi ordini: e intanto dedicati
Ad un’altra occupazione. Ora guarda i coraggiosi
Tuoi compagni, che dopo aver dato
Conforto dolce con le vivande agli altri membri,
Scelto già il posto e divisi già in squadre,
Si preparano a resistere agli assalti coraggiosi nel gioco.
O Signore, in questo modo con questo nobile passatempo
Si trascorrono ore lente. E se ancora altre persone
L’Amore vuole che siano ingannate, da un’altra parte combatte
La folla degli invitati; e tu da una parte
Scegli da solo con la tua dama quel gioco
Che ammette al tavolo solo due giocatori.
Un tempo silenziosamente ardeva d’amore per una ninfa
Un amante sofferente di un amore insopportabile,
Il quale non poteva usare con lei nessun altro linguaggio
Se non quello degli sguardi:
Poiché il rude marito simile ad Argo
Vigilava sempre; e come un serpente
Ora piegando, o allungando il collo
Ogni parola con le orecchie attente
Ascoltava. Ohimè, come fare a chiedere, con cenni
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1105.
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O con biglietti appositamente segnati,
O per mezzo di servi corrotti, alla sua bella
1145.
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Con doppio segno! Ei trionfante allora
Da la falange il suo rival combatte;
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Chieder pace ed aita? Ogni d’Amore
Stratagemma finissimo vincea
La gelosia del rustico marito.
Che più lice sperare? Al tempio ei viene
Del nume accorto che le serpi annoda
All’aurea verga, e il capo e le calcagna
D’ali fornisce. A lui si prostra umile;
E in questi detti lagrimando il prega.
“O propizio a gli amanti, o buon figliuolo
De la candida Maia, o tu che d’Argo
Deludesti i cent’occhi, e a lui rapisti
La guardata giovenca, i preghi accogli
D’un amante infelice; e a lui concedi
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Di essere corrisposto?
La gelosia del rozzo marito vinceva
Ogni sottilissimo inganno d’amore.
Che cosa è lecito sperare di più? Egli viene al tempio
Del Dio attento, Mercurio, che lega due serpenti
Intorno alla verga dorata e il capo e i piedi
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Se non gli occhi ingannar, gli orecchi almeno
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D’importuno marito”. Ecco si scote
Il divin simulacro, a lui s’inchina,
Con la verga pacifica la fronte
Gli percote tre volte: e il lieto amante
Sente dettarsi ne la mente un gioco,
Che i mariti assordisce. A lui diresti
Che l’ali del suo piè concesse ancora
Il supplicato dio, cotanto ei vola
Velocissimamente a la sua donna.
Là bipartita tavola prepara,
Ov’èbano ed avorio intarsiati
Regnan sul piano, e partono alternando
In due volte sei case ambe le sponde.
Quindici nere d’èbano rotelle
E d’avorio bianchissimo altrettante
Stan divise in due parti; e moto e norma
Da duo dadi gittati attendon, pronte
Gli spazj ad occupar, e quinci e quindi
Pugnar contrarie. Oh cara a la fortuna
Quella che corre innanzi all’altre; e seco
Trae la compagna, onde il nemico assalto
Forte sostenga! Oh giocator felice
Chi pria l’estrema casa occupa; e l’altro
De gli spazj a sè dati ordin riempie
Fornisce di ali. Davanti a lei si inginocchia umilmente;
E con queste parole lo prega piangendo.
<<O amico degli amanti, o buon figlio
Della splendente Maia, tu che di Argo
Ingannasti i cento occhi e gli sottraesti
La giovenca sorvegliata, accogli le preghiere
Di un amante infelice; e concedigli
Di ingannare, se non gli occhi, almeno gli orecchi
Dell’inopportuno marito>>. Ora si desta
La statua divina, si china verso di lui,
Con il bastone pacifico le colpisce
Tre volte la fronte: e l’amante felice
Sente nella sua mente che è dettato un gioco
Che fa diventare sordi i mariti. Diresti che a lui
Ancora una volta il Dio pregato concesse
Le ali del suo piede, tanto velocemente
Egli si reca a volo dalla sua donna.
Le prepara un tavoliere diviso in due parti,
Diviso tra l’ebano e l’avorio
Che dominano il piano, e procedono alternandosi
In entrambe le parti per dodici volte.
Quindici pedine nere d’ebano
E altrettante di bianchissimo avorio
Sono divise in due parti; e movimento e regola
Aspettano dalla gettata dei due dadi, pronte
Ad occupare gli spazi e nei due settori del tavoliere
A combattere le une contro le altre. Oh fortunata
Quella che procede più velocemente delle altre; e con sé
Trascina la pedina amica, affinchè sostenga fortemente
L’assalto nemico! Felice è quel giocatore
Che occupa per primo l’ultima casella, e che l’altro
Ordine di spazi a lui concessi riempie
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Con doppia segnatura! Allora trionfante
Del compatto schieramento, combatte il suo rivale;
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E in proprio ben rivolge i colpi ostili.
Al tavolier s’assidono ambidue
L’amante cupidissimo e la ninfa.
Quella una sponda ingombra e questi l’altra.
Il marito col gomito s’appoggia
All’un de’ lati; ambo gli orecchi tende;
E sotto al tavolier di quando in quando
Guata con gli occhi. Or l’agitar de i dadi
Entro a sonanti bòssoli comincia,
Ora il picchiar de’ bòssoli sul piano,
Ora il vibrar lo sparpagliar l’urtare
Il cozzar dei duo dadi, or de le mosse
Rotelle il martellar. Torcesi e freme
Sbalordito il geloso: a fuggir pensa,
Ma rattienlo il sospetto. Il fragor cresce
Il rombazzo il frastono il rovinio:
Ei più regger non puote, in piedi balza,
E con ambe le man tura gli orecchi.
Tu vincesti o Mercurio. Il cauto amante
Poco disse: e la bella intese assai.
Tal ne la ferrea età, quando gli sposi
Folle superstizion chiamava allarme
Giocato fu. Ma poi che l’aureo venne
Secol di novo; e che del prisco errore
Si spogliàro i mariti, al sol diletto
La dama e il cavalier volsero il gioco
Che la necessità trovato avea.
Fu superfluo il romor: di molle panno
La tavola vestissi e de’ patenti
Bòssoli il sen: lo schiamazzio molesto
Tal rintuzzossi: e durò al gioco il nome,
Che ancor l’antico strepito dinota.
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IL VESPRO
1.
E de’ pesci squammosi e de le piante
E dell’umana plebe al suo fin corre.
E rivolge gli assalti nemici a suo favore.
Siedono entrambi al tavolo da gioco:
L’amore desideroso e la ninfa.
Quella occupa una parte, l’altro l’altro lato.
Il marito si appoggia con il gomito
Ad uno dei lati, tende entrambe le orecchie
E ogni tanto, sotto al tavolo da gioco,
Scruta con gli occhi. Ora l’agitare dei dadi
Inizia, dentro bussolotti risonanti,
Ora il picchiare dei bussolotti sul tavolo,
Ora il vibrare, lo sparpagliare, l’urtare,
Il cozzare dei due dadi, ora il martellare
Delle agitate pedine. Si contorce e freme
Sbalordito il geloso: pensa di fuggire,
Ma lo trattiene il sospetto. Cresce il rumore
Il frastuono, il risuonare e la caduta rovinosa:
Non può più resistere, balza in piedi
E con entrambe le mani si chiude gli orecchi.
Hai vinto tu, Mercurio, l’accorto amante
Disse poche parole, ma la sua bella capì molto.
Così nell’età del ferro, quando i mariti
Erano indotti alle armi dalla folle superstizione
Ci si comportò. Ma dopo che è tornata a brillare l’età dell’oro
Venne un secolo nuovo; e i mariti del primitivo errore
Si liberarono; solo per divertimento
La dama e il cavaliere indirizzarono il gioco
Che la necessità aveva ideato.
Il rumore fu considerato inutile: di morbida stoffa
Si rivestirono la tavola e l’interno seno
Dei bussolotti: il rumore noioso
Così si attenuò: ma rimase al gioco il nome,
Che ricorda ancora l’antico rumore.
IL VESPRO
Ma de gli augelli e de le fere il giorno
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3.
Ma il giorno degli uccelli e delle fiere,
E dei pesci squamosi e delle piante
E della plebe nuda corre alla sua fine,
41. Le dall’aura predate amiche rose?
42. Or tu nato di lei ministro e duce
43. L’assisti all’opra; e di novelli odori
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Già sotto al guardo de la immensa luce
Sfugge l’un mondo: e a berne i vivi raggi
Cuba s’affretta e il Messico e l’altrice
Di molte perle California estrema:
E da’ maggiori colli e dall’eccelse
Rocche il sol manda gli ultimi saluti
All’Italia fuggente; e par che brami
Rivederti o Signor prima che l’alpe
O l’appennino o il mar curvo ti celi
A gli occhi suoi. Altro finor non vide
Che di falcato mietitore i fianchi
Su le campagne tue piegati e lassi,
E su le armate mura or braccia or spalle
Carche di ferro, e su le aeree capre
De gli edificj tuoi man scabre e arsicce,
E villan polverosi innanzi a i carri
Gravi del tuo ricolto, e su i canali
E su i fertili laghi irsuti petti
Di remigante che le alterne merci
A’ tuoi comodi guida ed al tuo lusso;
Tutti ignobili aspetti. Or colui veggia
Che da tutti servito a nullo serve.
Pronto è il cocchio felice. Odo le rote
Odo i lieti corsier che all’alma sposa
E a te suo fido cavalier nodrisce
Il placido marito. Indi la pompa
Affrettasi de’ servi; e quindi attende
Con insigni berretti e argentee mazze
Candida gioventù che al corso agogna
I moti espor de le vivaci membra:
E nell’audace cor forse presume
A te rapir de la tua bella i voti.
Che tardi omai? Non vedi tu com’ella
Già con morbide piume a i crin leggeri
La bionda che svani polve rendette;
E con morbide piume in su la guancia
Fe’ più vermiglie rifiorir che mai
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E già sotto lo sguardo dell’immensa luce
Sfugge il mondo e si affrettano a berne i vivi raggi
Cuba e il Messico e la California estrema,
Produttrice di molte perle
E dai maggiori colli e dalle eccelse
Rocche, il sole manda gli ultimi saluti
All’Italia che fugge, e sembra che desideri
Di rivederti, o Signore, prima che le Alpi
O l’Appennino o il curvo mare
Si nasconda ai suoi occhi. Fino ad ora non vide altro
Che i fianchi del falcato mietitore,
Piegati e stanchi sulle tue campagne
E sulle mura ornate, ora con le braccia ora con le spalle
Cariche di ferro, e sulle aeree capre
Dei tuoi edifici vide mani scabre ed arse,
E vide i villani polverosi, davanti ai carri
Gravi del tuo raccolto, e sui canali
E sui fertili laghi vide i forti petti
Del rematore che le alterne merci
Guida ai tuoi comodi ed al tuo lusso;
Aspetti tutti ignobili. Veda tutto questo colui
Che tutti servono e che a nessuno serve.
Il cocchio felice è pronto. Odo le ruote,
Odo i lieti cavalli che per la divina sposa
E per te, suo fido cavaliere, mantiene il marito.
Di lì si affretta la pompa
Dei servitori e di qui attende
Con insigni berretti e mazze d’argento
La candida gioventù che corre
E desidera esporre i movimenti delle membra
E nell’audace cuore forse presume
Di rapire i favori della dama.
Non vedi come è tardi ormai? Non vedi come ella
Già con le morbide piume rendette i capelli leggeri
Con la bianca polvere che svanì;
E con le morbide piume del trucco sulla faccia
Fece rifiorire più rosso che mai
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41. Il suo viso colorato di rose freschissime?
42. Ora tu sei rimasto e, suo ministro e duce,
43. La assisti nell’opera, e riempi con la mano esperta
82. Itene omai de’ cari nodi vostri
83. Grato dispetto a provocar nel mondo.
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La tabacchiera e i bei cristalli aurati
Con la perita mano a lei rintègra:
Tu il ventaglio le scegli adatto al giorno;
E tenta poi fra le giocose dita
Come agevole scorra. Oh qual con lieti
Nè ben celati a te guardi e sorrisi
Plaude la dama al tuo sagace tatto!
Ecco ella sorge; e del partir dà cenno:
Ma non senza sospetti e senza baci
A le vergini ancelle il cane affida
Al par de’ giochi al par de’ cari figli
Grave sua cura: e il misero dolente
Mal tra le braccia contenuto e i petti
Balza e guaisce in suon che al rude vulgo
Ribrezzo porta di stridente lima;
E con rara celeste melodia
Scende a gli orecchi de la dama e al core.
Mentre così fra i generosi affetti
E le intese blandizie e i sensi arguti
E del cane e di sè la bella oblia
Pochi momenti; tu di lei più saggio
Usa del tempo: e a chiaro speglio innante
I bei membri ondeggiando alquanto libra
Su le gracili gambe; e con la destra
Molle verso il tuo sen piegata e mossa
Scopri la gemma che i bei lini annoda;
E in un di quelle ond’hai si grave il dito
L’invidiato folgorar cimenta:
Poi le labbra componi; ad arte i guardi
Tempra qual più ti giova; e a te sorridi.
Al fin tu da te sciolto, ella dal cane
Ambo al fin v’appressate. Ella da i lumi
Spande sopra di te quanto a lei lascia
D’eccitata pietà l’amata belva;
E tu sopra di lei da gli occhi versi
Quanto in te di piacer destò il tuo volto.
Tal seguite ad amarvi: e insieme avvinti,
Tu a lei sostegno, ella di te conforto,
La tabacchiera aromatica di nuovi profumi
E le boccette di cristallo ornate d’oro:
Tu le scegli il ventaglio adatto al giorno
E tenti tra le giocose dita
Come scorre facilmente. Oh, con quali felici
E a te ben nascosti sguardi e sorrisi
Applaude la dama alla tua abile manualità!
Ecco che ella si alza e dà l’ordine di partire,
Ma non senza sospetti e senza baci
Affida il cane alla damigella,
Sua grave cura, al pari dei giochi, al pari
Dei cari figli; e il misero dolorante,
Tenuto male tra le braccia e i petti,
Balza e genera un guaito, che al rude volgo
Porta un ribrezzo come di una lima stridente
E con una celeste cara melodia
Scende alle orecchie e al cuore della dama.
Mentre così fra i generosi sentimenti
E le moine e le reciproche effusioni,
Ella resta per qualche attimo nel suo oblio e in quello del cane,
Tu, che sei più saggio di lei,
Usa il tempo: e davanti al chiaro specchio
Prova le pose, i migliori atteggiamenti, pesati con la grazia
Sulle gracili gambe; e con la molle
Mano destra piegata e mossa verso il tuo seno,
Scopri la gemma che annoda i bei lini;
E nello stesso tempo prendi una di quelle che hai così pesanti nel dito
E paragona l’invidiato splendore:
Poi componi le labbra; assumi l’espressione
Che più ti giova e sorridi.
Poi tu, accomiatato da te stesso, lei congedata dal cane,
Vi avvicinate l’uno all’altra. Ella esprime
Con i suoi occhi ciò che
Resta dell’affetto suscitato dal cane
E tu riverberi su di lei
Il tuo compiacimento destato dal suo viso.
Così continuate ad amarvi: e abbracciati insieme,
Tu sostegno a lei, lei sostegno a te,
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82. Andate oramai intanto a provocare l’invidia altrui
83. Dei vostri cari legami, nel mondo a voi gradito.
122. A porger voti sospirando? Forse
123. Con alma dubbia e palpitante i detti
84. Qual primiera sarà che da gli amati
85. Voi sul vespro nascente alti palagi
86. Fuor conduca o Signor voglia leggiadra?
87. Fia la santa Amistà, non più feroce
88. Qual ne’ prischi eccitar tempi godea
89. L’un per l’altro a morir gli agresti eroi;
90. Ma placata e innocente al par di questi
91. Onde la nostra età sorge sì chiara
92. Di Giove alti incrementi. Oh dopo i tardi
93. De lo specchio consigli e dopo i giochi
94. Dopo le mense, amabil dea, tu insegni
95. Come il giovin Marchese al collo balzi
96. Del giovin Conte; e come a lui di baci
97. Le gote imprima; e come il braccio annode
98. L’uno al braccio dell’altro; e come insieme
99. Passeggino elevando il molle mento
100. E volgendolo in guisa di colombe;
101. E palpinsi e sorridansi e rispondansi
102. Con un vezzoso tu. Tu fra le dame
103. Sul mobil arco de le argute lingue
104. I già pronti a scoccar dardi trattieni
105. S’altra giugne improvviso a cui rivolti
106. Pendean di già: tu fai che a lei presente
107. Non osin dispiacer le fide amiche:
108. Tu le carche faretre a miglior tempo
109. Di serbar le consigli. Or meco scendi;
110. E i generosi ufici e i cari sensi
111. Meco detta al mio eroe; tal che, famoso
112. Per entro al suon de le future etadi,
113. E a Pilade s’eguagli e a quel che trasse
114. Il buon Tesèo da le Tenarie foci.
115. Se da i regni che l’alpe o il mar divide
116. Dall’Italico lido in patria or giunse
117. Il caro amico; e da i perigli estremi
118. Sorge d’arcano mal, che in dubbio tenne
119. Lunga stagione i fisici eloquenti,
120. Magnanimo garzone andrai tu forse
121. Trepido ancora per l’amato capo
84. Quale sarà il primo nobile desiderio
85. Che vi spingerà ad uscire, sul far della sera
86. Dai vostri amati palazzi, o Signore?
87. Sarà la sacra amicizia, non più così spietata
88. Come quando nell’antichità si compiaceva
89. Di far morire gli uni e gli altri, in nome del vincolo;
90. Ma ora è tranquilla e innocente, come questi insigni semidei
91. Dove sorge la nostra età così chiara,
92. I figli di Giove che danno lustro alla nostra epoca. Oh, dopo
93. I consigli dello specchio, dopo i giochi,
94. Dopo le mense, tu, dea amabile, mostri
95. Come il giovin Marchese salti al collo
96. Del giovin Conte e come faccia risuonare
97. Le gote di baci; e come stringa il braccio
98. L’uno dell’altro, e come passeggino
99. Insieme, alzando il delicato mento,
100. Girandolo come fanno le colombe,
101. Toccandosi, sorridendosi e rispondendosi
102. Con un vezzoso “tu”. Tu, trattieni sulla
103. Bocca delle dame le maldicenze che
104. Stanno per essere pronunciate se
105. Improvvisamente arriva colui
106. A cui sono rivolte.
107. Non osino dispiacersi le fedeli amiche:
108. Tu consiglia a loro di serbare le cariche faretre
109. A miglior tempo. Ora scendi con me
110. E detta al mio eroe i nobili doveri e i cari sensi,
111. Così che egli diventi famoso
112. Per entrare nel suono delle future età,
113. E si paragoni a Pilade e ad Ercole,
114. Che trasse il buon Teseo dalle foci dell’Inferno.
115. Se dai regni che le Alpi o il mare dividono,
116. Ora giunse in patria dall’italico lido
117. Il caro amico, che dai pericoli estremi
118. Si risolleva da un male misterioso, che a lungo tenne
119. In dubbio i fisici eloquenti,
120. Forse che tu non andrai, o magnanimo garzone,
121. Ansioso ancora a pregare
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122. Per l’amato amico, per la sua guarigione? Forse
123. In questo stato di trepidazione e di incertezza
162. Or fia tempo d’usarne. Esca e con essa
163. Del caro amico tuo voli a le porte
124. E i guardi e il viso esplorerai de’ molti
125. Che il giudizio di voi menti si chiare
126. Fra i primi assunse d’Esculapio alunni?
127. O di leni origlieri all’omer lasso
128. Porrai sostegno; e vital sugo a i labbri
129. Offrirai di tua mano? O pur con lieve
130. Bisso il madido fronte a lui tergendo,
131. E le aurette agitando, il tardo sonno
132. Inviterai a fomentar con l’ali
133. La nascente salute? Ahi no; tu lascia
134. Lascia che il vulgo di sì tenui cure
135. Le brevi anime ingombri; e d’un sol atto
136. Rendi l’amico tuo felice a pieno.
137. Sai che fra gli ozj del mattino illustri,
138. Del gabinetto al tripode sedendo,
139. Grand’arbitro del bello oggi creasti
140. Gli eccellenti nell’arte. Onor cotanto
141. Basti a darti ragion su le lor menti
142. E su l’opre di loro. Util ciascuno
143. A qualch’uso ti fia. Da te mandato
144. Con acuto epigramma il tuo poeta
145. La mentita virtù trafigger puote
146. D’una bella ostinata: e l’elegante
147. Tuo dipintor può con lavoro egregio
148. Tutti dell’amicizia onde ti vanti
149. Compendiar gli ufici in breve carta;
150. O se tu vuoi che semplice vi splenda
151. Di nuda maestade il tuo gran nome;
152. O se in antica lapide imitata
153. Inciso il brami; o se in trofeo sublime
154. Accumulate a te mirar vi piace
155. Le domestiche insegne, indi un lione
156. Rampicar furibondo e quindi l’ale
157. Spiegar l’augel che i fulmini ministra,
158. Qua timpani e vessilli e lance e spade,
159. E là scettri e collane e manti e velli
160. Cascanti argutamente. Ora ti vaglia
161. Questa carta o signor serbata all’uopo;
124. Esplorerai molti sguardi e visi
125. Dei molti medici, che voi nobili e illuminati
126. Giudicate eccellenti?
127. Oppure ti porrai come molle sostegno
128. Ai morbidi cuscini, alla spalla; e alla Medicina
129. Affiderai la mano? Oppure con la lieve
130. Tela di lino, asciugandogli la fronte,
131. Facendogli aria agitando,
132. Lo inviterai a recuperare con le ali
133. La ritrovata salute? Ahi no, lascia
134. Lascia che il popolo abbia insignificanti preoccupazioni
135. Per le piccole anime ingombrate; ed in un solo atto
136. Rendi il tuo amico felice pienamente.
137. Sai che fra gli illustri ozi del mattino,
138. Sedendoti al tripode del gabinetto,
139. Hai stabilito quali siano
140. Gli artisti migliori. Tanto onore
141. Basti a condizionare le loro coscienze
142. E le loro opere. A ciascuno sia utile
143. A seconda dell’uso che ne fa. Mandato a te
144. Con un pungente epigramma, il tuo poeta
145. Non può mascherare il falso compito virtuoso
146. Di una bella ostinata: e l’elegante
147. Tuo pittore, con un egregio lavoro,
148. Può riassumere tutti i doveri dell’amicizia
149. Di cui tu ti vanti, in un biglietto da visita;
150. Sia se tu vuoi che splenda semplice
151. La nuda maestà del tuo grave nome,
152. Sia se desideri che sia concepito ad imitazione di un’antica lapide,
153. Con il tuo nome inciso in caratteri romani,
154. Riuniti a formare un insigne trofeo;
155. Poi ci saranno gli emblemi della casata: da una parte il leone
156. Furioso, dall’altra parte le ali
157. Spiegate di un uccello, che amministra i fulmini,
158. Qui i tamburi e i vessilli, e lance e spade,
159. E là pelli, collane e mantelli, scettri
160. Studiati con eleganza. Ora ti torna utile
161. Questa carta da visita, o Signore, pronta all’uopo,
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162. Ora è il tempo di usarla. Esca e con quella
163. Voli alle porte del tuo caro amico
202. Tentò frenarla, in van le damigelle
203. Che su lo sposo e il cavaliere e lei
164. Alcun de’ nuncj tuoi; quivi deponga
165. La tessera beata; e fugga; e torni
166. Ratto su l’orme tue pietoso eroe,
167. Che già pago di te ratto a traverso
168. E de’ trivii e del popolo dilegui.
169. Già il dolce amico tuo nel cor commosso,
170. E non senza versar qualche di pianto
171. Tenera stilla il tuo bel nome or legge,
172. Seco dicendo: “oh ignoto al duro vulgo
173. Sollievo almo de’ mali! Oh sol concesso
174. Facil commercio a noi alme sublimi
175. E d’affetti e di cure! Or venga il giorno
176. Che sì grate alternar nobili veci
177. A me sia dato!” Tale sbadigliando
178. Si lascia da la man lenta cadere
179. L’amata carta; e te la carta e il nome
180. Soavemente in grembo al sonno oblia.
181. Tu fra tanto colà rapido il corso
182. Declinando intraprendi ove la dama
183. Co’ labbri desiosi e il premer lungo
184. Del ginocchio sollecito ti spigne
185. Ad altre opre cortesi. Ella non meno
186. All’imperio possente a i cari moti
187. Dell’amistà risponde. A lei non meno
188. Palpita nel bel petto un cor gentile.
189. Che fa l’amica sua? Misera! Ieri,
190. Qual flisse la cagion, fremer fu vista
191. Tutta improvviso, ed agitar repente
192. Le vaghe membra. Indomito rigore
193. Occupolle le cosce; e strana forza
194. Le sospinse le braccia. Illividiro
195. I labbri onde l’Amor l’ali rinfresca;
196. Enfiò la neve de la bella gola;
197. E celato candor da i lini sparsi
198. Effuso rivelossi a gli occhi altrui.
199. Gli Amori si schermiron con la benda;
200. E indietro rifuggironsi le Grazie.
201. In vano il cavaliere, in van lo sposo
164. Qualcuno dei suoi servi; qui deponga
165. La beata tessera, fugga e torni
166. Rapido sulle tue orme, o pietoso eroe,
167. Che già pago di te veloce attraverso
168. I trivi ed il popolo ti dilegui.
169. Ora il tuo dolce amico, commosso nel cuore,
170. Non senza versare qualche lacrima,
171. Legge teneramente ora il tuo bel nome,
172. Dicendo tra sé: <<Oh, sconosciuto al duro volgo
173. Sollievo dei mali! Oh, il sole ha concesso
174. Un facile commercio a noi, anime sublimi,
175. E agli affetti e alle cure! Ora venga il giorno
176. In cui io possa ricambiare occupazioni miste
177. Scambievolmente!>>. Così sbadigliando
178. Si lascia cadere dalla lenta mano
179. L’amata carta, e dolcemente dimentica
180. Te, la carta ed il nome.
181. Tu, frattanto, lasciando là il rapido corso,
182. Cerca di capire dove la dama
183. Con le labbra desiderose ed il premere lungo
184. Del ginocchio, ti spinge sollecito
185. Ad altre opere cortesi. Ella, non meno di te
186. Risponde al potente impero e ai cari moti
187. Dell’amicizia. A lei, non meno che a te,
188. Batte un cuore gentile nel petto.
189. Cosa fa la sua amica? Misera! Ieri
190. Fu vista -quale che fosse la causa- fremere
191. Tutta improvvisamente ed agitare rapidamente
192. Le belle membra. Un irrigidimento incoercibile
193. Le occupò le cosce ed una misteriosa forza
194. Le spinse le braccia. Le diventarono livide
195. Le labbra, a cui l’amore è solito rinfrescare le ali;
196. Le si gonfiò la bella gola candida;
197. E le nudità solitamente nascoste dalle vesti scomposte
198. Si mostrarono diffusamente agli occhi degli altri.
199. Gli amori si schernirono con la benda;
200. E le Grazie si ritrassero.
201. Vanamente il cavaliere, lo sposo tentarono di trattenerla,
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202. Vanamente tentarono la stessa cosa le damigelle
203. Che facevano scorrere le sguardo sullo sposo,
242. Le mani le ginocchia, il fatto espone
243. E del fatto le origini riposte.
204. Scorrean col guardo; e poi ristrette insieme
205. Malignamente sorrideansi in volto.
206. Ella truce guatando curvò in arco
207. Duro e feroce le gentili schiene
208. Scalpitò col bel piede; e ripercosse
209. La mille volte ribaciata mano
210. Del tavolier ne le pugnenti sponde.
211. Livida pesta scapigliata e scinta
212. Al fin stancò tutte le forze; e cadde
213. Insopportabil pondo sopra il letto.
214. Nè fra l’intime stanze o fra le chiuse
215. Gemine porte il prezioso evento
216. Tacque ignoto molt’ore. Ivi la Fama
217. Con uno il colse de’ cent’occhi suoi;
218. E il bel pegno rapito uscì portando
219. Fra le adulte matrone, a cui segreto
220. Dispetto fanno i pargoletti amori,
221. Che da la maestà de gli otto lustri
222. Fuggon volando a più scherzosi nidi.
223. Una è fra lor che gli altrui nodi or cela
224. Comoda e strigne; or d’ispida virtude
225. Arma suoi detti; e furibonda in volto
226. E infiammata ne gli occhi alto declama
227. Interpreta ingrandisce i sagri arcani
228. De gli amorosi gabinetti; e a un tempo
229. Odiata e desiata eccita il riso
230. Or co’ proprj misterj or con gli altrui.
231. La vide la notò, sorrise alquanto
232. La volatile dea, disse: tu sola
233. Sai vincere il clamor de la mia tromba.
234. Disse, e in lei si mutò. Prese il ventaglio,
235. Prese le tabacchiere, il cocchio ascese;
236. E là venne trottando ove de’ grandi
237. È il consesso più folto. In un momento
238. Lo sbadigliar s’arresta. In un momento
239. Tutti gli occhi e gli orecchi e tutti i labbri
240. Si raccolgono in lei: ed ella al fine,
241. E ansando e percotendosi con ambe
204. Sul cavaliere e su di lei; e poi, avvicinatesi le une alle altre,
205. Maliziosamente sorridevano, accennando con l’espressione del volto.
206. Ella, guardando in modo torvo
207. Inarcò aspramente il dorso
208. E scalpitò con il bel piede e batté più volte
209. La mano mille volte ribaciata
210. Sugli spigoli del tavolo da gioco.
211. Livida, pesta, scapigliata e discinta
212. Alla fine esaurì tutte le forze e cadde
213. Come un peso insostenibile peso sopra il letto.
214. Né fra le stanze da letto, né fra
215. Le porte doppie e chiuse, il prezioso evento
216. Restò silenzioso e ignoto per molte ore. La Fama
217. Lo colse lì con uno dei suoi cento occhi
218. E uscì portando la preziosa occasione di pettegolezzo
219. Fra le mature matrone
220. Alle quali fanno segretamente dispetto gli amori giovanili,
221. Che dalla ragguardevole età di quaranta anni
222. Fuggono volando verso nidi più gioiosi.
223. Fra di loro vi è una che i legami altrui ora nasconde
224. Compiacente e stringe, ora impronta
225. Le sue parole ad un rigido moralismo e con il volto furibondo
226. E con gli occhi infiammati declama ad alta voce,
227. Interpreta e ingrandisce i segreti delle vicende amorose
228. Che si svolgono nei salotti più appartati, nello stesso tempo
229. Odiata e desiderata, suscita il riso
230. Ora con i propri segreti, ora con quelli degli altri.
231. La Fama, volatile dea, la vide, la notò, sorrise alquanto
232. E disse: <<Tu sola
233. Sai superare il clamore della mia tromba>>
234. Così disse e si mutò in lei. Prese il ventaglio,
235. La tabacchiera, salì sul cocchio
236. E si diresse al trotto nei salotti, dove è più folto il gruppo
237. Dei nobili. Improvvisamente
238. La noia si arresta. Subito
239. Tutti gli occhi, gli orecchi e tutte le labbra
240. Si rivolgono a lei ed ella, alla fine,
241. Ansimando e percuotendosi con entrambe
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242. Le mani e le ginocchia, espone il fatto
243. E le cause segrete della vicenda.
282. E quinci ognor più violento e quindi
283. Il trepido agitar de i duo ventagli.
244. Riser le dame allor pronte domane
245. A fortuna simil, se mai le vaghe
246. Lor fantasie commoverà negato
247. Da i mariti compenso a un gioco avverso,
248. O in faccia a lor per deità maggiore
249. Negligenza d’amante, o al can diletto
250. Nata subita tosse: e rise ancora
251. La tua dama con elle: e in cor dispose
252. Di teco visitar l’egra compagna.
253. Ite al pietoso uficio, itene or dunque:
254. Ma lungo consigliar duri tra voi
255. Pria che a la meta il vostro cocchio arrive.
256. Se visitar, non già veder l’amica
257. Forse a voi piace, tacita a le porte
258. La volubile rota il corso arresti:
259. E il giovanetto messagger salendo
260. Per le scale sublimi a lei v’annunzj
261. Si che voi non volenti ella non voglia.
262. Ma, se vaghezza poi ambo vi prende
263. Di spiar chi sia seco, e di turbarle
264. L’anima un poco, e ricercarle in volto
265. De’ suoi casi la serie, il cocchio allora
266. Entri: e improvviso ne rimbombi e frema
267. L’atrio superbo. Egual piacere inonda
268. Sempre il cor de le belle o che opportune
269. O giungano importune alle lor pari.
270. Già le fervide amiche ad incontrarse
271. Volano impazienti; un petto all’altro
272. Già premonsi abbracciando; alto le gote
273. D’alterni baci risonar già fanno;
274. Già strette per la man co’ dotti fianchi
275. Ad un tempo amendue cadono a piombo
276. Sopra il sofà. Qui l’una un sottil motto
277. Vibra al cor dell’amica; e a i casi allude
278. Che la Fama narrò: quella repente
279. Con un altro l’assale. Una nel viso
280. Di bell’ire s’infiamma: e l’altra i vaghi
281. Labbri un poco si morde: e cresce in tanto
244. Risero le dame anche loro pronte domani
245. Ad un simile comportamento, se i loro capricciosi desideri
246. Saranno sconvolti dal fatto
247. Che il marito si rifiuta di pagare un loro debito di gioco
248. O se un qualunque negligente
249. Apertamente le trascura per una donna più bella
250. O se al cane amato nasce un’improvvisa tosse, e rise ancora
251. La tua dama con loro e in cuor suo stabilì
252. Di visitare con te l’amica inferma.
253. Andate allora alla pietà, andate dunque
254. Ma fra di voi consigliatevi lungamente
255. Prima che il vostro occhio arrivi alla meta.
256. Se a voi piace visitare l’amica, non semplicemente
257. Vederla, il cocchio si arresti
258. silenzioso alle porte:
259. E il giovinetto messaggero salendo
260. Per le alte scale a lei si annunzi
261. Così che ella, se non vuole, non vi accolga.
262. Ma se vi prende il desiderio
263. Di spiare chi sia con lei e di metterla
264. Un po’ in imbarazzo e di riconoscerle nell’espressione del volto
265. La storia delle sue vicissitudini, allora il cocchio
266. Entri ed improvvisamente il superbo atrio
267. Ne rimbombi e ne echeggi. Un uguale piacere inonda
268. Sempre l’animo delle belle che giungano gradite
269. O che risultino inopportune alle loro pari.
270. Già le calorose amiche volano impazienti
271. Ad incontrarsi; si abbracciano stringendosi
272. L’una al petto dell’altra; e fanno risuonare
273. Altamente le gote di vicendevoli baci;
274. Già strette per la mano, con i fianchi consapevoli
275. Cadono pesantemente nello stesso tempo
276. Sopra i sofà. Qui l’una lancia una frecciatina allusiva
277. Al cuore dell’amica e fa riferimento alla vicenda
278. Che la Fama ha narrato: l’altra subito
279. Assale l’amica con un altro pettegolezzo.
280. Una si infiamma sul viso e l’altra si morde
281. Un po’ le belle labbra e intanto cresce
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282. Da una parte e dall’altra più violento
283. L’inquieto vibrare dei due ventagli,
322. Abita e il gufo; e i rugginosi ferri
323. Sopra le rote mal sedenti al giorno
284. Così, se mai al secol di Turpino
285. Di ferrate guerriere un paro illustre
286. Si scontravan per via, ciascuna ambiva
287. L’altra provar quel che valesse in arme;
288. E dopo le accoglienze oneste e belle
289. Abbassavan lor lance e co’ cavalli
290. Urtavansi feroci; indi infocate
291. Di magnanima stizza i gran tronconi
292. Gittavan via de lo spezzato cerro,
293. E correan con le destre a gli elsi enormi.
294. Ma di lontan per l’alta selva fiera
295. Un messagger con clamoroso suono
296. Venir s’udiva galoppando; e l’una
297. Richiamare a re Carlo, o al campo l’altra
298. Del giovane Agramante. Osa tu pure
299. Osa invitto garzone il ciuffo e i ricci
300. Si ben finti stamane all’urto esporre
301. De’ ventagli sdegnati: e a nuove imprese
302. La tua bella invitando, i casi estremi
303. De la pericolosa ira sospendi.
304. Oh solenne a la patria oh all’orbe intero
305. Giorno fausto e beato al fin sorgesti
306. Di non più visto in ciel roseo splendore
307. A sparger l’orizzonte. Ecco la sposa
308. Di Ramni eccelsi l’inclit’alvo al fine
309. Sgravò di maschia desiata prole
310. La prima volta. Da le lucid’aure
311. Fu il nobile vagito accolto a pena,
312. Che cento messi a precipizio usciro
313. Con le gambe pesanti e lo spron duro
314. Stimolando i cavalli, e il gran convesso
315. Dell’etere sonoro alto ferendo
316. Di scutiche e di corni: e qual si sparse
317. Per le cittadi popolose, e diede
318. A i famosi congiunti il lieto annunzio:
319. E qual per monti a stento rampicando
320. Trovò le rocche e le cadenti mura
321. De’ prischi feudi ove la polve e l’ombra
284. Così come nei poemi del ciclo carolingio, al secolo di Turpino,
285. Se un paio di guerrieri nobili, dotati di armatura e di armi di ferro,
286. Si scontravano per la strada, ognuno ambiva
287. Provare quel che l’altro potesse nelle armi
288. E dopo i saluti di rito
289. Allenavano le loro lance e con i cavalli
290. Si urtavano ferocemente; poi infuocati
291. Di nobile ira gettavano via
292. I grandi tronconi delle lance spezzate
293. E correvano ad afferrare le enormi else,
294. Ma di lontano per la profonda feroce selva
295. Un messaggero che suonava il corno
296. Si udiva venire galoppando e richiamare
297. L’una al campo di Carlo e l’altro
298. Al campo del giovane Agramante. Ora pure tu
299. Osa, invincibile garzone, esporre il ciuffo
300. E i ricci, così ben acconciati stamani, alla violenza
301. Dei ventagli sdegnati e invitando a nuove imprese
302. La tua bella, sospendi i fatti
303. Più importanti della sua pericolosa ira.
304. Oh giorno beato e fausto alla patria
305. E al mondo intero: alla fine sorgesti
306. A spargere l’orizzonte di un roseo
307. Splendore mai visto in cielo. Ecco la sposa
308. Di nobile ed antica stirpe, alla fine partorì
309. La desiderata prole maschile primogenita
310. Per la prima volta. Il nobile vagito
311. Fu accolto appena dalle prime luci dell’alba,
312. Che cento messaggeri uscirono a precipizio
313. Stimolando i cavalli
314. Con le pesanti calzature e il feroce sprone
315. E facendo risuonare la grande volta celeste
316. Degli schiocchi delle fruste e del suono dei corni: e un messaggero
317. Si sparse sulle città popolose e diede
318. Il lieto annunzio agli illustri congiunti,
319. Ed uno, inerpicandosi a stento per i monti,
320. Raggiunse le rocche e le mura cadenti
321. Degli antichi feudi, dominati dalla polvere e dall’ombra
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322. Dove abita il gufo e portò nuovamente alla luce
323. I pezzi di artiglieria arrugginiti sconnessi e malfermi sulle ruote
8.
9.
324. Di novo espose, e fe’ scoppiarne il tuono;
325. E i gioghi de’ vassalli e le vallèe
326. Ampie e le marche del gran caso empièo.
327. Nè le Muse devote, onde gran plauso
328. Venne l’altr’anno a gl’imenei felici,
329. Già si tacquero al parto. Anzi, qual suole
330. Là su la notte dell’ardente agosto
331. Turba di grilli, e più lontano ancora
332. Innumerabil popolo di rane
333. Sparger d’alto frastuono i prati e i laghi,
334. Mentre cadon su lor fendendo il buio
335. Lucide strisce, e le paludi accende
336. Fiamma improvvisa che lambisce e vola;
337. Tal sorsero i cantori a schiera a schiera;
338. E tal piovve su lor foco febèo,
339. Che di motti ventosi alta compaggine
340. Fe’ dividere in righe, o in simil suono
341. Uscir pomposamente. Altri scoperse
342. In que’ vagiti Alcide, altri d’Italia
343. Il soccorso promise, altri a Bizanzio
344. Minacciò lo sterminio. A tal clamore
345. Non ardi la mia Musa unir sue voci:
346. Ma del parto divino al molle orecchio
347. Appressò non veduta; e molto in poco
348. Strinse dicendo: “Tu sarai simile
349. Al tuo gran genitore”.
324. E fece esplodere colpi
325. E riempì del grande evento i monti
326. Abitati dai vassalli e le ampie valli e le marche.
327. E le Muse care e devote, che magnificarono
328. L’anno scorso le felici nozze,
329. Non stettero in silenzio alla notizia del parto.
330. Anzi, come nelle ardenti notti d’agosto
331. Una turba di grilli e, ancora più lontano,
332. Innumerevoli schiere di rane
333. Spargono di alto frastuono i prati e i laghi,
334. Mentre su di loro, attraversando il buio,
335. Cadono le luminose stelle cadenti
336. E un fuoco fatuo lambisce la superficie della palude e si dilegua,
337. Così sorsero i cantori a schiera a schiera
338. E su di loro piovve talmente l’ispirazione poetica
339. Che fece mettere in versi sciolti
340. Un’ampia produzione di espressioni ampollose,
341. Oppure uscirono in pomposi versi rimati. Uno scoprì
342. Nel neonato un nuovo Ercole, un altro vide
343. In lui il futuro salvatore dell’Italia, un altro
344. Vide lo sterminatore dei Turchi. La mia Poesia
345. Non osò unire la sua voce a quella delle altre:
346. Ma si avvicinò non vista
347. Al tenero orecchio del divino neonato; e sintetizzò molte cose
348. In poche parole, dicendo: <<Tu sarai simile
349. Al tuo grande genitore>>
LA NOTTE
LA NOTTE
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Nè tu contenderai benigna Notte,
Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi
Con gli estremi precetti entro al tuo regno.
Già di tenebre involta e di perigli,
Sola squallida mesta alto sedevi
Su la timida terra. Il debil raggio
De le stelle remote e de’ pianeti,
Che nel silenzio camminando vanno,
Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo
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E tu benevola Notte non cercherai di impedire che
Io cerchi il mio giovane nobile e lo accompagni
Dandogli gli ultimi insegnamenti nel tuo regno.
Dall’alto ( del tuo seggio ) dominavi la terra
Timorosa già avvolta dal tenebre dense di pericoli
Solitaria, squallida e triste. Il debole chiarore delle
Lontane stelle e dei pianeti , che nel silenzio vanno
Facendo il loro percorso , interrompeva i tuoi
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Terrori solo quel tanto che basta a farteli sentire
48. Stupefatta la Notte intorno vedesi
49. Riverberar più che dinanzi al sole
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A sentirli assai più. Terribil ombra
Giganteggiando si vedea salire
Su per le case e su per l’alte torri
Di teschi antiqui seminate al piede.
E upupe e gufi e mostri avversi al sole
Svolazzavan per essa; e con ferali
Stridi portavan miserandi augurj.
E lievi dal terreno e smorte fiamme
Sorgeano in tanto; e quelle smorte fiamme
Di su di giù vagavano per l’aere
Orribilmente tacito ed opaco;
E al sospettoso adultero, che lento
Col cappel su le ciglia e tutto avvolto
Entro al manto sen gìa con l’armi ascose,
Colpieno il core, e lo strignean d’affanno.
E fama è ancor che pallide fantasime
Lungo le mura de i deserti tetti
Spargean lungo acutissimo lamento,
Cui di lontano per lo vasto buio
I cani rispondevano ululando.
Tal fusti o Notte allor che gl’inclit’avi,
Onde pur sempre il mio garzon si vanta,
Eran duri ed alpestri; e con l’occaso
Cadean dopo lor cene al sonno in preda;
Fin che l’aurora sbadigliante ancora
Li richiamasse a vigilar su l’opre
Dei per novo cammin guidati rivi
E su i campi nascenti; onde poi grandi
Furo i nipoti e le cittadi e i regni.
Ma ecco Amore, ecco la madre Venere,
Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj,
Che trionfanti per la notte scorrono,
Per la notte, che sacra è al mio signore
Tutto davanti a lor tutto s’irradia
Di nova luce. Le inimiche tenebre
Fuggono riversate; e l’ali spandono
Sopra i covili, ove le fere e gli uomini
Da la fatica condannati dormono.
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Ancora più paurosi. Un’ombra
Terribile enorme si vedeva salire
Per le case e le alte torri disseminate
Ai loro piedi di antichi teschi. E in essa (in questa tenebra )
Svolazzano upupe , gufi e animali
Mostruosi che non amano la luce del sole , che con
Funebri stridii rivelano presagi funesti.
E nel frattempo sgorgavano dal terreno fuochi fatui
Leggeri e smorti ; e quelle fiamme tenui
Vagavano su e giù in quell’aria
Terribilmente silenziosa e buia;
E colpivano il cuore
Stringendolo d’angoscia all’amante pieno di paura ,
Che lentamente col cappello calato sugli occhi
Tutto avvolto nel mantello se ne andava nascondendo le armi.
Si dice ancora che pallidi fantasmi
Lungo i muri Delle case abbandonate
Spargessero un lungo e acutissimo lamento,
A cui da lontano in quest’immensa
Oscurità rispondeva l’ululato dei cani.
Fosti tale o Notte allor quando i famosi antenati,
Di cui continuamente il mio giovin signore si vanta
Erano forti e rozzi e al tramonto del sole
Dopo cena cadevano preda del sonno ; finche
L’aurora li richiamasse mentre
Ancora sbadigliavano a vegliare sulle opere
Costituite dai ruscelli ( di irrigazione ) fatti scorrere
In altre direzioni e verso campi pieni di germogli;
Da qui venne la ricchezza che rese grandi
Discendenti città e regni. Ecco Amore , ecco sua madre Venere ,
Ecco le divinità protettrici del gioco e del lusso ,
Che esultanti corrono nella notte,
Nella notte che è sacra per il mio Signore.
Davanti a loro tutto brilla di una luce artificiale.
Fuggono cacciate indietro
Le tenebre nemiche ; spalancano
Le ali sopra le tane , dove fiere ed uomini
Costretti alla fatica dormono.
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48 La Notte sbalordita si vede
49 Riverberare tutt’intorno più che se avesse il sole
88. Perigliar tra le rote; e te per l’alto
89. De lo infranto cristal mandar carpone.
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Auree cornici, e di cristalli e spegli
Pareti adorne, e vesti varie, e bianchi
Omeri e braccia, e pupillette mobili,
E tabacchiere preziose, e fulgide
Fibbie ed anella e mille cose e mille.
Cosi l’eterno caos, allor che Amore
Sopra posovvi e il fomentò con l’ale,
Sentì il generator moto crearsi,
Sentì schiuder la luce; e sè medesmo
Vide meravigliando e i tanti aprirsi
Tesori di natura entro al suo grembo.
de’ miei studj glorioso alunno,
Tu seconda me dunque, or ch’io t’invito
Glorie novelle ad acquistar là dove
O la veglia frequente o l’ampia scena
I grandi eguali tuoi, degna de gli avi
E de i titoli loro e di lor sorte
E de i pubblici voti, ultima cura
Dopo le tavolette e dopo i prandj
E dopo i corsi clamorosi occùpa.
Or dove ahi dove senza me t’aggiri
Lasso! da poi che in compagnia del sole
T’involasti pur dianzi a gli occhi miei?
Qual palagio ti accoglie; o qual ti copre
Da i nocenti vapor ch’Espero mena
Tetto arcano e solingo; o di qual via
L’ombre ignoto trascorri, ove la plebe
Affrettando tenton s’urta e confonde
Ahimè, tolgalo il ciel, forse il tuo cocchio,
Ove il varco è più angusto, il cocchio altrui
Incontrò violento: e qual dei duo
Retroceder convegna; e qual star forte,
Dispùtano gli aurighi alto gridando.
Sdegna invitto garzon sdegna d’alzare
Fra il rauco suon di Stèntori plebei
Tu’ amabil voce; e taciturno aspetta,
Sia che a l’un piaccia rovesciar dal carro
Lo suo rivale; o rovesciato anch’esso
Davanti a sé cornici d’oro , pareti adorni di cristalli
E specchi , vesti di vario tipo , braccia e spalle
Candide, pupille nobili, e tabacchiere preziose
E fibbie brillanti e anelli e migliaia di altre cose.
Cosi il caos eterno , quando Amore vi si posò sopra
E lo vivificò (con le ali ), sentì che si creava
Il movimento generatore di vita,
Sentì la luce accendersi ,
E vide con meraviglia se stesso
E gli innumerevoli tesori della natura
Che si rivelano al suo interno.
O illustre alunno di quello che io ho imparato
E che ti insegno , seguimi dunque
Dal momento che ti invito a conquistare nuove glorie
Là dove o il continuo vegliare o la spaziosa scena
Dei teatri occupa i tuoi illustri simili, cosa degna
Degli antenati , dei loro titoli , del loro destino ,
Dei pubblici desideri , ultima
Preoccupazione dopo le toilette ,
Dopo i pranzi e dopo le passeggiate chiassose .
Ora ohimé dove ti aggiri senza di me -infelice!Da quando insieme al sole sei volato
Via davanti ai miei occhi ?
Quale palazzo ti accoglie, o quale cosa appartata
E solitaria ti protegge dai vapori nocivi
Che la sera conduce ; o per l’ombra di quale strada
Vaghi in incognito , dove la plebe frettolosa
Brancolando si urta e si mescola . Ahimè Il cielo non voglia- forse la tua carrozza, dove la via è più stretta
Si scontrò violentemente con la carrozza di un altro :
E i cocchieri con altre grida
Discutono su quale dei due cocchi
debba indietreggiare e quale stare fermo.
Disegna, invincibile giovane, disegna di alzare
La tua amabile voce in mezzo
Al roco suono di uomini rozzi
Dotati di voce forte; e silenzioso attendi , sia che a uno
Piaccia buttare giù dalla carrozza il suo rivale,
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88 O precipitato anch’esso correre pericolo fra le ruote ,
89 E mandarti carponi attraverso il vetro rotto.
128. L’altrui cara consorte. Amor nasconde
129. La incauta face; e il fiero dardo alzando
90. Ma l’avverso cocchier d’un picciol urto
91. Pago sen fugge o d’un resister breve:
92. Al fin libero andrai. Tu non pertanto
93. Doman chiedi vendetta; alto sonare
94. Fa il sacrilego fatto; osa pretendi,
95. E i tribunali minimi e i supremi
96. Sconvolgi agita assorda: il mondo s’empia
97. Del grave caso; e per un anno almeno
98. Parli di te, de’ tuoi corsier, del cocchio
99. E del cocchiere. Di sì fatte cose
100. Voi progenie d’eroi famosi andate
101. Ne le bocche de gli uomini gran tempo.
102. Forse ciarlier fastidioso indugia
103. Te con la dama tua nel vuoto corso.
104. Forse a nova con lei gara d’ingegno
105. Tu mal cauto venisti: e già la bella
106. Teco del lungo repugnar s’adira;
107. Già la man, che tu baci arretra, e tenta
108. Liberar da la tua; e già minaccia
109. Ricovrarsi al suo tetto, e quivi sola
110. Involarse ad ognuno in fin che il sonno
111. Venga pietoso a tranquillar suoi sdegni.
112. Tu in van chiedi mercè; di mente in vano
113. Tu a lei te stesso sconsigliata incolpi:
114. Ella niega placarse. Il cocchio freme
115. Dell’alterno clamore; e il cocchio in tanto
116. Giace immobil fra l’ombra: e voi sue care
117. Gemme il bel mondo impaziente aspetta.
118. Ode il cocchiere al fin d’ambe le voci
119. Un comando indistinto; e bestemmiando
120. Sferza i corsieri; e via precipitando
121. Ambo vi porta: e mal sa dove ancora.
122. Folle! Di che temei? Sperdano i venti
123. Ogni augurio infelice. Ora il mio eroe
124. Fra l’amico tacer del vuoto corso
125. Lieto si sta la fresca ora godendo
126. Che dal monte lontan spira e consola.
127. Siede al fianco di lui lieta non meno
90 Ma il cocchiere rivale soddisfatto di un piccolo urto
91 O di una breve resistenza se ne fugge via : finalmente
92 Te ne andrai libero. Tuttavia tu domani chiedi vendetta;
93 diffondi per ogni dove quel fatto sacrilego osa ,
94 Pretendi , sconvolgi turba assorda i tribunali
95 Ai vari livelli : il mondo si riempia di questo grave fatto
96 Accaduto e per almeno un anno parli di te ,
97 Del tuo cavallo , del cocchio e del cocchiere.
98 Per fatti simili sulla bocca degli uomini
99 Per lungo tempo andate,
100 voi figli di eroi famosi.
101 Forse un chiacchierone noioso trattiene
102 Te con la tua dama nel corso ormai vuoto.
103 Forse sei giunto incontro
104 Ad un nuovo battibecco con lei :
105 E già la bella donna si adira con te
106 Per il tuo dissentire troppo a lungo;
107 Già la mano , che tu baci si tira indietro,
108 E tenta di liberarsi dalla tua ;
109 Già minaccia di ritornare a casa , e qui sola allontanarsi
110 Da tutti finché venga il sonno
111 Pietoso a placare le sue ire.
112 Tu invano chiedi perdono; tu invano incolpi te stesso
113 Davanti a lei di sventatezza :
114 Ella rifiuta di calmarsi. Il cocchio trema per le grida
115 Dell’una e dell’altra; e intanto la carrozza
116 Sta immobile all’ombra : e il bel mondo impaziente
117 Aspetta voi sue care gioie. Infine il cocchiere
118 Ode di entrambe le voci
119 Un comando indistinto; e bestemmiando
120 frusta i cavalli ; e di corsa
121 Porta via entrambi voi : e non sa bene dove può ancora portarvi.
122 Pazzo! Che cosa temevi ? Disperdano i venti
123 Ogni ipotesi infausta. Ora il mio giovane eroe
124 Nell’amico silenzio della via vuota
125 Lieto si sta godendo la brezza
126 Che dal monte lontano spira e lo consola.
127 Al suo fianco non meno contenta di lui
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128 Siede la cara moglie di un altro. Amore nasconde la fiaccola incauta ;
129 E sollevando la terribile freccia allontana i malvagi .
168. E con vario destin dando e togliendo
169. La combattuta palma alto abbandona
130. Allontana i maligni. O nume invitto,
131. Non sospettar di me; ch’io già non vegno
132. Invido esplorator, ma fido amico
133. De la coppia beata, a cui tu vegli.
134. E tu signor tronca gl’indugi. Assai
135. Fur gioconde quest’ombre, allor che prima
136. Nacque il vago desio, che te congiunse
137. All’altrui cara sposa or son due lune.
138. Ecco il tedio a la fin serpe tra i vostri
139. Così lunghi ritiri: e tempo è ormai
140. Che in più degno di te pubblico agone
141. Splendano i genj tuoi. Mira la Notte,
142. Che col carro stellato alta sen vola
143. Per l’eterea campagna; e a te col dito
144. Mostra Tèseo nel ciel, mostra Polluce,
145. Mostra Bacco ed Alcide e gli altri egregi,
146. Che per mille d’onore ardenti prove
147. Colà fra gli astri a sfolgorar saliro.
148. Svegliati a i grandi esempi; e meco affretta.
149. Loco è, ben sai, ne la città famoso,
150. Che splendida matrona apre al notturno
151. Concilio de’ tuoi pari, a cui la vita
152. Fora senza di ciò mal grata e vile.
153. Ivi le belle, e di feconda prole
154. Inclite madri ad obliar sen vanno
155. Fra la sorte del gioco i tristi eventi
156. De la sorte d’amore, onde fu il giorno
157. Agitato e sconvolto. Ivi le grandi
158. Avole auguste e i genitor leggiadri
159. De’ già celebri eroi il senso e l’onta
160. Volgon de gli anni a rintuzzar fra l’ire
161. Magnanime del gioco. Ivi la turba
162. De la feroce gioventù divina
163. Scende a pugnar con le mutabil’arme
164. Di vaghi giubboncei, d’atti vezzosi,
165. Di bei modi del dir stamane appresi;
166. Mentre la vanità fra il dubbio marte
167. Nobil furor ne’ forti petti inspin;
130 Oh, divinità invincibile, non sospettare di me ;
131 Che io non vengo come spia invidiosa ,
132 Ma come amico fedele della coppia felici su cui tu vigili.
133 E tu signore non esitare più. Sono state
134 Assai liete per te queste ombre ,
135 Quando dapprima nacque in te un vago desiderio ,
136 Che ti uni circa 2 mesi fa alla cara sposa di un altro.
137 Ecco, la noia infine serpeggia
138 Tra i vostri incontri cosi lunghi :
139 È ormai tempo che le tue virtù risaltino
140 In una competizione pubblica più degna di te .
141 Guarda la Notte , che col carro stellato vola in alto
142 Per l’immensa aerea compagna ; e ti addita in cielo
143 Teseo , ti addita Polluce ,
144 Ti addita Bacco e Alcide e altri personaggi
145 Famosi , che grazie a innumerevoli prove audaci
146 D’onore salirono su a brillare fra gli astri.
147 Destati, davanti a questi
148 Grandi esempi , e seguimi in fretta.
149 Vi è un luogo , lo sai bene , famoso in città
150 Che la generosa matrona apre ad un raduno
151 Notturno dei tuoi pari, ai quali la vita senza questa festa
152 Sembrerebbe sgradita e di poco conto.
153 Qui le madri famose , belle dotate di figli fecondi
154 Vanno a dimenticare giocando
155 Le loro sfortunate avventure amorose
156 A causa delle quali la loro giornata fu agitata e turbata .
157 Qui le grandi e illustri bisnonne e i genitori leggiadri
158 Di eroi già famosi si recano
159 A dimenticare la conoscenza
160 E la vergogna dei loro amici avanzati
161 Nelle generose passioni del gioco.
162 Qui la folla della baldanzosa gioventù divina
163 Scende a combattere con le volubili armi di bei giubbetti ,
164 Atteggiamenti vezzosi di belle
165 Espressioni imparate appena la mattina;
166 Ma la vanità nella guerra
167 Dall’esito incerto ispira nell’animo
162
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168 Degli uomini forti una nobile ira , e concedendo e togliendo
169 Con alterne vicende la palma della vittoria
208. Dall’un lato la cappa, contegnoso
209. Guida l’amanza a diportarsi al vallo,
170. I leggeri vessilli all’aure in preda.
171. Ecco che già di cento faci e cento
172. Gran palazzo rifulge. Multiforme
173. Popol di servi baldanzosamente
174. Sale scende s’aggira. Urto e fragore
175. Di rote di flagelli e di cavalli
176. Che vengono che vanno, e stridi e fischi
177. Di gente, che domandan che rispondono,
178. Assordan l’aria all’alte mura intorno.
179. Tutto è strepito e luce. O tu, che porti
180. La dama e il cavalier dolci mie cure,
181. Primo di carri guidator, qua volgi;
182. E fra il denso di rote arduo cammino
183. Con Olimpica man splendi; e d’un corso
184. Subentrando i grand’atrj, a dietro lascia
185. Qual pria le porte ad occupar tendea.
186. Quasi a propria virtù plauda al gran fatto
187. Il generoso eroe: plauda la bella,
188. Che con l’agil pensier scorre gli aurighi
189. De le dive rivali; e novi al petto
190. Sente nascer per te teneri orgogli.
191. Ma il bel carro s’arresta: e a te signore,
192. A te prima di lei sceso d’un salto,
193. Affidata la dea, lieve balzando,
194. Col sonante calcagno il suol percote.
195. Largo dinanzi a voi fiammeggi e grondi,
196. Sopra l’ara de’ numi ad arder nato,
197. Il tesoro dell’api: e a lei da tergo
198. Pronta di servi mano a terra proni
199. Lo smisurato lembo alto sospenda:
200. Somma felicità, che lei separa
201. Da le ricche viventi, a cui per anco,
202. Misere! sopra il suol l’estrema veste
203. Sibila per la polvere strisciando.
204. Ahi, se fresco sdegnuzzo i vostri petti
205. Dianzi forse agitò, tu chino e grave
206. A lei porgi la destra; e seco innoltra,
207. Quale ibèro amador quando, raccolta
170 Abbandona in alto al vento i suoi vessilli leggeri.
171 Ecco che già il grande palazzo brilla di innumerevoli fiaccole.
172 Una schiera di servi dalle diverse uniformi
173 baldanzosamente sale
174 Le scale le scende e si aggira.
175 Urti e fragori di ruote di fruste e di cavalli
176 Che giungono che si allontanano , grida e fischi di gente ,
177 Che chiede e risponde ,
178 Assordano l’aria intorno alle alte mura.
179 Tutto è strepito e luce. O tu (cocchiere ),
180 Che porti la dama e il suo cavaliere oggetto della mia dolce
181 Sollecitudine ; primo guidatore di carri , dirigiti
182 Da questa parte ; e nel cammino reso difficile
183 Dall’affollarsi delle ruote con destrezza divina
184 Risplendi; e di corsa entrando nel grande atrio,
185 Lascia indietro chi prima stava ad occupare la parte.
186 Quasi fosse merito proprio applauda questa grande azione
187 Il magnanimo eroe : applauda la dama che mentalmente
188 Passa in rassegna i cocchieri delle divine rivali;
189 E sente nascere nel suo cuore
190 Nuovi motivi d’orgoglio nei tuoi confronti.
191 Ma la bella carrozza si ferma : e a te signore,
192 A te sceso prima di lei con un salto , quella donna
193 Divina affidandosi con un balzo leggero
194 Colpisce il terreno col calcagno risuonante.
195 In grande quantità arda e coli davanti a voi,
196 Il tesoro delle api, il cero:
197 Nato per bruciare sopra l’altare degli dei,
198 Ed una schiera pronta di servi piegati a terra sospenda a lei
199 In alto da dietro il lunghissimo strascico :
200 Incredibile felicità che la distingue
201 Dalle ricche borghesi , a lei ancora , infelici!
202 Il lembo della veste strisciando sulla terra sibila per la polvere .
203 Ah , se un recente screzio
204 Poco fa forse turbò il vostro cuore,
205 Tu chino e severo porgi a lei
206 La mano destra ; e vai avanti con lei ,
207 Come un amante spagnolo quando, tirato
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208 il mantello su un braccio, pieno di sussiego
209 Guida l’amante a divertirsi, portandosi
248. Io, di razza mortale ignoto vate,
249. Come ardirò di penetrar fra i cori
210. Dove il tauro, abbassando i corni irati,
211. Spinge gli uomini in alto; o gemer s’ode
212. Crepitante Giudeo per entro al foco.
213. Ma no; chè l’amorosa onda pacata
214. Oggi siede per voi: e quanto è duopo
215. A vagarvi il piacer solo la increspa
216. Una lieve aleggiando aura soave.
217. Snello adunque e vivace offri a la bella
218. Mollemente piegato il destro braccio
219. Ella la manca v’inserisca. Premi
220. Tu col gomito un poco. Anch’ella un poco
221. Ti risponda premendo; e a la tua lena
222. Dolce peso a portar tutta si doni,
223. Mentre a piccioli salti ambo affrettate
224. Per le sonanti scale alto celiando.
225. Oh come al tuo venir gli archi e le volte
226. De’ gran titoli tuoi forte rimbombano!
227. Come a quel suon volubili le porte
228. Cedono spalancate; ed a quel suono
229. Degna superbia in cor ti bolle; e face
230. L’anima eccelsa rigonfiar più vasta!
231. Entra in tal forma; e del tuo grande ingombra
232. Gli spazj fortunati. Ecco di stanze
233. Ordin lungo a voi s’apre. Altra di servi
234. Infimo gregge alberga, ove tra lampi
235. Di molteplice lume acceso e spento,
236. E fra sempre incostanti ombre schiamazza
237. Il sermon patrio e la facezia e il riso
238. Dell’energica plebe. Altra di vaghi
239. Zazzerati donzelli è certa sede,
240. Ove accento stranier misto al natio
241. Molle susurra: e s’apparecchia in tanto
242. Copia di carte e multiforme avorio,
243. Arme l’uno a la pugna, indice l’altro
244. D’alti cimenti e di vittorie illustri.
245. Al fin più interna, e di gran luce e d’oro
246. E di ricchi tapeti aula superba
247. Sta servata per voi prole de’ numi.
210 Nell’arena dove il toro , abbassando le corna adirate,
211 Spinge i toreri in alto; o si sentono gemere
212 Gli ebrei bruciati nel fuoco.
213 Ah no; perché il vostro rapporto amoroso
214 Per voi procede tranquillo;
215 E solo quando è necessario per farvi piacere
216 Muove questo rapporto
217 Come soffiando una leggera dolce brezza.
218 Dunque snello e vivace offri alla tua bella dama piegato
219 Dolcemente il braccio destro sotto il quale essa inserisca la sinistra.
220 Tu premila un po’ col gomito. Ed essa
221 Si abbandoni completamente ,
222 Piacevole peso da portare al tuo vigore ,
223 Mentre con piccoli salti entrambi correte
224 Per le scale riecheggianti scherzando ad alta voce.
225 Oh al tuo arrivare gli archi e le volte
226 Rimbombano dei tuoi grandi titoli!
227 E al rimbombo le porte
228 Si spalancano; e per quel suono
229 Il cuore ti ribolle di degna superbia e fa
230 Rigonfiare e allargare l’anima eccelsa!
231 Entra la tua presenza; e gli spazi diventano fortunati
232 Perché ingombrati dalla tua persona. Ecco si apre una serie di stanze.
233 In una sta la moltitudine di servi dove, tra sprazzi di luce
234 Provenienti dalla ricca illuminazione delle stanze più interne
235 Quando vengono aperte per annunciare un ospite,
236 Producendo sempre ombre momentanee, schiamazzano
237 Il dialetto e le battute e la risata
238 Dell’energica plebe. In un’altra stanza di vaghi
239 Donzelli zazzeruti vi è una certa sede
240 Dove l’accento straniero si mescola a quello nativo,
241 Parla sottovoce ed educatamente: e prepara
242 I mazzi di carte e i gettoni d’avorio di varie forme,
243 Una parte delle quali servono al gioco, le altre
244 Servono a testimoniare le partecipazioni e vittorie conseguite
245 La sfarzosa sala che si apre oltre le anticamere
246 Ed il molteplice lume e le dorate cornici e i costosi tappeti
247 È riservata ai figli degli dei.
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248 Io di razza mortale ignoto vate
249 Come oserò di penetrare tra i cuori
288. Ecco il bel fabbro lungo pian dispone
289. Di tavole contesto, e molli cigne,
250. De’ semidei, ne lo cui sangue in vano
251. Gocciola impura cercheria con vetro
252. Indagator colui che vide a nuoto
253. Per l’onda genitale il picciol uomo?
254. Qui tra i servi m’ arresto; e qui da loro
255. Nuove del mio signor virtudi ascose
256. Tacito apprenderò. Ma tu sorridi
257. Invisibil Camena; e me rapisci
258. Invisibil con te fra li negati
259. Ad ognaltro profano aditi sacri.
260. Già il mobile de’ seggi ordine augusto
261. Sovra i tiepidi strati in cerchio volge:
262. E fra quelli eminente i fianchi estende
263. Il grave canapè. Sola da un lato
264. La matrona del loco ivi si posa;
265. E con la man, che lungo il grembo cade
266. Lentamente il ventaglio apre e socchiude
267. Or di giugner è tempo. Ecco le snelle
268. E le gravi per molto adipe dame,
269. Che a passi velocissimi s’affrettano
270. Nel gran consesso. I cavalieri egregi
271. Lor camminano a lato: ed elle, intorno
272. A la sede maggior vortice fatto
273. Di sè medesme, con sommessa voce
274. Brevi note bisbigliano; e dileguansi
275. Dissimulando fra le sedie umili.
276. Un tempo il canapè nido giocondo
277. Fu di risi e di scherzi, allor che l’ombre
278. Abitar gli fu grato ed i tranquilli
279. Del palagio recessi. Amor primiero
280. Trovò l’opra ingegnosa. Io voglio, ei disse,
281. Dono a le amiche mie far d’un bel seggio,
282. Che tre ad un tempo nel suo grembo accoglia.
283. Così, qualor de gl’importuni altronde
284. Volga la turba, sederan gli amanti
285. L’uno a lato dell’altro, ed io con loro.
286. Disse, percosse ambe le palme; e l’ali
287. Aprì volando impaziente all’opra.
250 Dei semidei, nel cui sangue invano
251 La minima traccia di sangue plebeo cercherà
252 Con il microscopio colui che vide
253 Fluttuante nel liquido seminale il piccolo uomo?
254 Qui mi arresto tra i servi e apprenderò da loro
255 Nuove nascoste virtù del mio Signore
256 Stando zitto. Ma tu sorridi
257 Camena invisibile; e mi rapisci invisibile
258 Con te tra i sacri penetrali del palazzo,
259 Inaccessibili ai non iniziati.
260 Già le sedie e le poltrone il cui ordine varia secondo necessità,
261 Sono ora solennemente disposte in cerchio sopra i tappeti:
262 E tra gli altri seggi è eminente
263 Il grave canapè. Sola in un lato
264 Siede la padrona di casa;
265 E con la mano che è abbandonata lungo il grembo
266 Apre lentamente il ventaglio e lo socchiude,
267 È il momento di arrivare. Ecco le dame
268 Snelle ed appesantite dal grasso,
269 Che con gran passo si affrettano
270 Nel gran consesso. Gli egregi cocchieri
271 Camminano loro a lato: ed esse, dopo aver
272 Attorniato animatamente il canapè con
273 I loro stessi strascichi vorticanti, con voce sommessa
274 Pronunciano rapidamente i convenevoli d’uso; e senza parere
275 Si allontanano verso le altre convitate. Un tempo il canapè
276 Era il luogo ideale
277 Per le risa e gli scherzi, quando era collocato
278 Nei posti più graditi e tranquilli
279 Del palazzo. L’Amore per primo
280 Giudicò l’opera ingegnosa. Io voglio, egli disse,
281 Fare dono alle mie amiche di un bel seggio
282 Che accolga nel suo grembo tre nello stesso tempo.
283 Così, qualora la turba degli importuni
284 Volga altrove, gli amanti sederanno
285 Uno vicino all’altro, ed io con loro.
286 Disse, applaudendo, e aprì
287 Le ali volando impaziente all’opera.
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288 Ecco l’Amore si dispone lungo il piano
289 Costituito da tavole connesse a cinghie elastiche,
328. Gli alti palagi e le vigilie illustri
329. De la prole de’ numi. Un ne le mani
290. A reggerlo vi dà vaghe colonne,
291. Che del silvestre Pane i piè leggieri
292. Imitano scendendo; al dorso poi
293. V’alza patulo appoggio; e il volge a i lati,
294. Come far soglion flessuosi acanti
295. O ricche corna d’Arcade montone.
296. Indi, predando a le vaganti aurette
297. L’ali e le piume, le condensa e chiude
298. In tumido cuscin, che tutta ingombri
299. La macchina elegante: e al fin l’adorna
300. Di molli sete e di vernici e d’oro.
301. Quanto il dono d’Amor piacque a le belle!
302. Quanti pensier lor balenàro in mente!
303. Tutte il chiesero a gara: ognuna il volle
304. Ne le stanze più interne: applause ognuna
305. A la innata energia del vago arnese,
306. Mal repugnante e mal cedente insieme
307. Sotto ai mobili fianchi. Ivi sedendo
308. Si ritrasser le amiche; e da lo sguardo
309. De’ maligni lontane, a i fidi orecchi
310. Si mormoràro i delicati arcani.
311. Ivi la coppia de gli amanti, a lato
312. Dell’arbitra sagace, o i nodi strinse;
313. O calmò l’ira, e nuove leggi apprese.
314. Ivi sovente l’amador faceto
315. Raro volume all’altrui cara sposa
316. Lesse spiegando; e con sorrisi arguti
317. Fe’ tra i fogli notar lepida imago.
318. Il fortunato seggio invidia mosse
319. De le sedie minori al popol vario:
320. E fama è che talora invidia mosse
321. Anco ai talami stessi. Ah perchè mai
322. Vinto da insana ambizione uscìo
323. Fra lo immenso tumulto e fra il clamore
324. De le veglie solenni! Avvi due Genj
325. Fastidiosi e tristi, a cui dier vita
326. L’Ozio e la Vanità, che noti al nome
327. Di Puntiglio e di Noia, erran cercando
290 A reggerlo vi sono le colonnine della zampe,
291 Che Pan con le estremità inferiori
292 A forma di piedi imitano scendendo; poi al dorso
293 Si alza un ampio schienale; e dà ai bracci una forma a voluta
294 Come quella degli acanti nei capitelli corinzi
295 O delle corna di montone dell’Arcadia.
296 Quindi, prendendo alle arie che vagano,
297 Le piume delle ali, le raccoglie e le chiude
298 In un cuscino rigonfio, che ricopre tutta
299 La costruzione elegante: e l’adorna alla fine
300 Con morbide sete e colori ed oro.
301 Quanto piacque il dono di Amore alle belle!
302 Quanti pensieri balenarono nella loro mente!
303 Tutte lo chiesero a gara: ognuna lo voleva
304 Nelle stanze più interne: ognuna applaudì
305 All’intrinseca elasticità della macchina elegante,
306 A un tempo morbida e resistente
307 Sotto ai fianchi dei mobili. Sedendo qui
308 Le amiche si ritirarono, e lontane dallo sguardo
309 Dei maligni, ai fidati orecchi
310 Si mormorarono i delicati pettegolezzi.
311 Qui la coppia degli amanti, a lato
312 Dell’abile intermediaria rafforzò la propria relazione,
313 O calmò l’ira e stabilì nuovi accordi.
314 Qui spesso l’amatore spiritoso
315 Un raro volume alla cara sposa d’altri
316 Lesse spiegando; e con maliziosi sorrisi
317 Fece notare alla dama un’immagine erotica inserita tra le pagine.
318 Il fortunato seggio suscitò l’invidia
319 Delle umili sedie alla varia moltitudine
320 E fama è che talvolta mosse invidia
321 Agli stessi letti. Ah perché mai
322 Vinto da un’insana ambizione uscì
323 Tra l’immenso tumulto e tra il clamore
324 Dei ricevimenti ufficiali! Ci sono due Geni
325 Fastidiosi e tristi, che diedero vita
326 All’Ozio e alla Vanità e che, noti con i nomi
327 Di Puntiglio e di Noia errano perlustrando
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328 Gli alti palazzi e le veglie solenni
329 Della prole degli dei. Uno, il Puntiglio, porta
368. Questi è l’almo garzon, che con maestri
369. Da la scutica sua moti di braccio
330. Porta verga fatale, onde sospende
331. Ne’ miseri percossi ogni lor voglia;
332. E di macchine al par, che l’arte inventi
333. Modera l’alme a suo talento e guida:
334. L’altro piove da gli occhi atro vapore;
335. E da la bocca sbadigliante esala
336. Alito lungo, che sembiante a i pigri
337. Soffi dell’austro, si dilata e volve,
338. E d’inane torpor le menti occùpa.
339. Questa del canapè coppia infelice
340. Allor prese l’imperio; e i risi e i giochi
341. Ed Amor ne sospinse. Il trono è questo
342. Ove le madri de le madri eccelse
343. De’ primi eroi esercitan lor tosse;
344. Ove l’inclite mogli, a cui beata
345. Rendon la vita titoli distinti
346. Sbadigliano distinte. Ah, se tu sai,
347. Fuggi ratto o signor, fuggi da tanto
348. Pernicioso influsso: e là fra i seggi
349. De le più miti dèe, quindi remoto
350. Con l’alma gioventù scherza e t’allegra.
351. Quanta folla d’eroi! Tu, che modello
352. D’ogni nobil virtù, d’ogn’atto eccelso,
353. Esser dei fra’ tuoi pari, i pari tuoi
354. A conoscere apprendi; e in te raccogli
355. Quanto di bello e glorioso e grande
356. Sparse in cento di loro arte o natura.
357. Altri di lor ne la carriera illustre
358. Stampa i primi vestigi; altri gran parte
359. Di via già corse; altri a la meta è giunto.
360. In vano il vulgo temerario a gli uni
361. Di fanciulli dà nome; e quelli adulti,
362. Questi già vegli di chiamare ardisce:
363. Tutti son pari. Ognun folleggia e scherza;
364. Ognun giudica e libra; ognun del pari
365. L’altro abbraccia e vezzeggia: in ciò soltanto
366. Non simili tra lor, che ognun sua cura
367. Ha diletta fra l’altre onde più brilli.
330 Nelle mani una verga dalle proprietà magiche, con cui fa
cessare
331 Nei toccati ogni loro intenzione;
332 E induce comportamenti automatici realizzati dall’ingegno umano,
333 Guida e corregge gli animi secondo le sue abilità:
334 L’altro, la Noia, emana dagli occhi un vapore nero;
335 E dalla bocca sbadigliante emana
336 Un alito lungo, che somigliante ai pigri venti che soffiano lentamente
337 Si diffonde con lenti movimenti avvolgenti
338 Ed occupa le menti con torpore incorporeo.
339 Questa coppia infelice, Puntiglio e Noia,
340 Si impossessò allora del canapè; e con giochi e sorrisi
341 Scacciò l’Amore. Questo è il trono
342 Dove le madri delle eccelse madri
343 Dei celebri eroi frequentemente tossiscono;
344 Dove le famose mogli, alle quali beata
345 Rendono la vita gli illustri titoli nobiliari,
346 Sbadigliano con fare distinto. Ah, se sei in grado,
347 Fuggi veloce, o Signore, fuggi da tanto
348 Influsso pernicioso e là tra le sedie umili
349 Delle dame più amabili, lontano dal canapè
350 Con la viva gioventù scherza e rallegrati.
351 Quanta folla d’eroi! Tu, che modello
352 Di ogni virtù nobile, di ogni atto eccelso
353 Devi essere tra i tuoi compagni, i tuoi compagni
354 Devi apprendere a conoscere; in te raccogli
355 Quanto di bello, glorioso e grande
356 La Natura e l’Arte sparsero in cento di loro.
357 Uno muove i primi passi nella illustre carriera mondana;
358 Un altro ha percorso già gran parte della via,
359 Un altro è giunto alla metà.
360 Invano il volgo temerario dà il nome
361 A questi fanciulli e a quelli adulti
362 E a questi altri ardisce di chiamarli vecchi:
363 Tutti sono uguali. Ognuno folleggia e scherza,
364 Ognuno giudica e valuta; ognuno in egual modo e misura
365 L’altro abbraccia ed accarezza: solo in questo
366 Si differenziano, che ognuno ha la sua occupazione
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367 Particolare in cui si distingue.
368 Questo è il nobile giovinetto che con magistrali
369 Movimenti del braccio trae dalla sua frusta
407. Vincasi e domi; e del soave amico
408. Nobil parte de’ campi all’altro ceda.
409. Vuoi su lucido carro in di solenne
370. Desta sibili egregi; e l’ore illustra
371. L’aere agitando de le sale immense,
372. Onde i prischi trofei pendono e gli avi.
373. L’altro è l’eroe, che da la guancia enfiata
374. E dal torto oricalco a i trivj annuncia
375. Suo talento immortal, qualor dall’alto
376. De’ famosi palagi emula il suono
377. Di messagger, che frettoloso arrive.
378. Quanto è vago a mirarlo allor che in veste
379. Cinto spedita, e con le gambe assorte
380. In amplo cuoio, cavalcando ai campi
381. Rapisce il cocchio, ove la dama è assisa
382. E il marito e l’ancella e il figlio e il cane!
383. Quegli or esce di là dove ne’ fori
384. Si ministran bevande ozio e novelle.
385. Ei v’andò mattutin, partinne al pranzo,
386. Vi tornò fino a notte: e già sei lustri
387. Volgon da poi che il bel tenor di vita
388. Giovinetto intraprese. Ah chi di lui
389. Può sedendo trovar più grati sonni
390. O più lunghi sbadigli; o più fiate
391. D’atro rapè solleticar le nari;
392. O a voce popolare orecchi e fede
393. Prestar più ingordo e declamar più forte?
394. Ecco che il segue del figliuol di Maia
395. Il più celebre alunno, al cui consiglio
396. Nel gran dubbio de’ casi ognaltro cede;
397. Sia che dadi versati, o pezzi eretti,
398. O giacenti pedine, o brevi o grandi
399. Carte mescan la pugna. Ei sul mattino
400. Le stupide micranie o l’aspre tossi
401. Molce giocando a le canute dame.
402. Ei, già tolte le mense, i nati or ora
403. Giochi a le belle declinanti insegna.
404. Ei la notte raccoglie a sè dintorno
405. Schiera d’eroi, che nobil estro infiamma
406. D’apprender l’arte, onde l’altrui fortuna
370 Straordinari sibili; e le ore illustra
371 Agitando l’aria delle immense sale,
372 Dalle pareti delle quali pendono i trofei antichi e i ritratti degli avi.
373 L’altro è l’eroe, che dalla guancia gonfiata
374 E dal corno ricurvo, dà prova per le strade
375 Della sua grande abilità, quando dall’alto
376 Degli illustri palazzi imita il suono
377 Del messaggero, che arriva frettolosamente.
378 Quanto è vago a guardarlo, allora che indossando
379 Un abito succinto, e con le gambe rivestite
380 Di alti stivali, montato a cavallo rapidamente,
381 Sale sulla carrozza, dove è seduta la dama,
382 Il marito, l’ancella, il figlio e il cane!
383 Quell’altro –il frequentatore di caffè- ora esce di là ove nelle piazze
384 Vengono servite bevande, ozi e chiacchiere.
385 Egli vi andò al mattino, ripartì a pranzo,
386 Arrivò la notte: e sono passati trent’anni
387 Da quando il Giovinetto intraprese
388 Il bel tenore ti vita. Ah chi più di lui
389 Può trovare sedendo facili sonni
390 O più lunghi sbadigli; o più volte
391 Con lo scuro tabacco può sollecitare le narici;
392 O può ascoltare una diceria popolare con maggiore
393 Avidità e crudeltà e declamarla più forte?
394 Ecco che lo segue del figlio di Maia
395 L’allievo più famoso, il giocatore più abile
396 A decidere la mossa giusta nei momenti più incerti del gioco;
397 Sia che si giochi a tric-trac, o a scacchi
398 O a dama oppure a carte
399 Di varia tipologia o ai tarocchi. Egli sul mattino
400 Le emicranie che intorpidiscono e le aspre tossi
401 Allevia giocando alle canute dame.
402 Subito dopo pranzo
403 Insegna i giochi appena inventati alle belle che iniziano ad invecchiare.
404 Egli la notte raccoglie intorno a sé
405 La schiera d’eroi, che un desiderio improvviso infiamma
406 Di apprendere l’arte, con cui l’altrui fortuna
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407 Vince e domina e dall’amico soave
408 La cospicua parte di patrimonio si trasferisce all’altro.
409 In occasione di una festività quale carro lucido
447. D’oro e lucide lane i casi apparvero
448. D’Ilio infelice: e il cavalier, sedendo
449. Nel gabinetto de la dama, ormai
410. Gir trionfando al corso? Ecco quell’uno,
411. Che al lavor ne presieda. E legni e pelli
412. E ferri e sete e carpentieri e fabbri
413. A lui son noti: e per l’Ausonia tutta
414. E noto ei pure. Il Càlabro di feudi
415. E d’ordini superbo; i duchi e i prenci,
416. Che pascon Mongibello; e fin gli stessi
417. Gran nipoti Romani a lui sovente
418. Ne commetton la cura: ed ei sen vola
419. D’una in altra officina in fin che sorga,
420. Auspice lui, la fortunata mole.
421. Poi di tele ricinta, e contro all’onte
422. De la pioggia e del sol ben forte armata,
423. Mille e più passi l’accompagna ei stesso
424. Fuor de le mura; e con soave sguardo
425. La segue ancor sin che la via declini.
426. Vedi giugner colui, che di cavalli
427. Invitto domator divide il giorno
428. Fra i cavalli e la dama. Or de la dama
429. La man tiepida preme; or de’ cavalli
430. Liscia i dorsi pilosi, ovver col dito
431. Tenta a terra prostrato i ferri e l’ugna.
432. Aimè misera lei quando s’indice
433. Fiera altrove frequente! Ei l’abbandona;
434. E per monti inaccessi e valli orrende
435. Trova i lochi remoti, e cambia o merca.
436. Ma lei beata poi quand’ei sen torna
437. Sparso di limo; e novo fasto adduce
438. Di frementi corsieri; e gli avi loro
439. E i costumi e le patrie a lei soletta
440. Molte lune ripete! Or vedi l’altro,
441. Di cui più diligente o più costante
442. Non fu mai damigella o a tesser nodi
443. O d’aurei drappi a separar lo stame.
444. A lui turgide ancora ambe le tasche
445. Son d’ascose materie. Eran già queste
446. Prezioso tapeto, in cui distinti
410 Vi porterà trionfanti al corso? Ecco quell’uno
411 Che al lavoro ne presiede. E i legni e le pelli
412 E i ferri e le sete e i carpentieri e i fabbri
413 Sono noti a lui: ed egli per tutta l’Italia
414 È noto. Il nobile calabrese superbo di feudi
415 E di titoli nobiliari; i duchi e i principi
416 Che fanno pascolare le loro mandrie sull’Etna; persino gli stessi
417 Discendenti degli antichi nobili romani a lui spesso
418 Affidano la scelta del cocchio: ed egli va
419 Finché venga costruita in un’altra officina,
420 Sotto il suo patrocinio, l’imponente carrozza.
421 Poi, ricoperta da teli protettivi e contro le offese
422 Della pioggia e del sole ben protetta,
423 Con mille e più passi la accompagna lui stesso
424 Fuori delle mura; e con uno sguardo soave
425 La segue ancora fino a che svolti la via.
426 Vedi arrivare colui che di cavalli è
427 Invincibile domatore e divide il giorno
428 Tra i cavalli e la dama. Ora prende
429 La mano tiepida della dama; ora liscia
430 I dorsi pelosi dei cavalli, oppure con il dito
431 Tasta prostrato a terra i ferri e lo zoccolo.
432 Ahimè, misera lei quando si indice
433 Altrove la fiera affollata! Egli la abbandona
434 E per monti inaccessibili e valli orrende
435 Raggiunge luoghi remoti e scambia o acquista.
436 Ma lei è beata quando poi egli torna
437 Sporco di fango; e porta con sé nuovi
438 Magnifici cavalli; e i loro progenitori
439 E le caratteristiche e le origini a lei soletta
440 Ripete per molti mesi! Ora vedi l’altro,
441 Del quale nessuna damigella fu più diligente e solerte
442 Nell’intrecciare nodi per fare reticelle
443 Di quanto non lo sia lui a sfilacciare tessuti pregiati.
444 A lui sono piene ancora tutte e due le tasche
445 Di frammenti di tessuti. Erano già questi
446 Un prezioso arazzo, intessuto
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447 Di fili dorati e lane rilucenti, nel quale
448 Erano rappresentate le celebri vicende di Troia e il cavaliere
449 Sedendo nella stanza della dama, ormai
487. L’alma inesperta e il timido pudore.
488. Folli! Chè ai detti loro ella va incontro
489. Valorosa così come una madre
450. Con ostinata man tutte divise
451. In fili minutissimi le genti
452. D’Argo e di Frigia. Un fianco solo avanza
453. De la bella rapita; e poi l’eroe,
454. Pur giunto al fin di sua decenne impresa,
455. Andrà superbo al par d’ambo gli Atridi.
456. Ma chi l’opre diverse o i varj ingegni
457. Tutti esprimer poria, poi che le stanze
458. Folte già son di cavalieri e dame?
459. Tu per quelle t’avvolgi. Ardito e baldo
460. Vanne, torna, ti assidi, ergiti, cedi,
461. Premi, chiedi perdono, odi, domanda,
462. Sfuggi, accenna, schiamazza, entra e ti mesci
463. A i divini drappelli; e a un punto empiendo
464. Ogni cosa dite, mira e conosci.
465. Là i vezzosi d’amor novi seguaci
466. Lor nascenti fortune ad alta voce
467. Confidansi all’orecchio; e ridon forte;
468. E saltellando batton palme a palme:
469. Sia che a leggiadre imprese Amor li guidi
470. Fra le oscure mortali: o che gli assorba
471. De le dive lor pari entro alla luce.
472. Qui gli antiqui d’Amor noti campioni
473. Con voci esili e dall’ansante petto
474. Fuor tratte a stento rammentando vanno
475. Le superate al fin tristi vicende.
476. Indi gl’imberbi eroi, cui diede il padre
477. La prima coppia di destrier pur ieri,
478. Con animo viril celiano al fianco
479. Di provetta beltà, che a i risi loro
480. Alza scoppi di risa; e il nudo spande,
481. Che di veli mal chiuso i guardi cerca,
482. Che il cercarono un tempo. Indi gli adulti,
483. A la cui fronte il primo ciuffo appose
484. Fallace parrucchier, scherzan vicini
485. A la sposa novella; e di bei motti
486. Tendonle insidia, ove di lei s’intrichi
450 Con mano ostinata divise tutte
451 In minutissimi fili le parti di tessuto
452 Che raffiguravano i Greci e i Troiani. Resta da sfilare
453 Solo un fianco di Elena; e poi l’eroe
454 Giunto alla fine della sua decennale impresa,
455 Andrà superbo allo stesso modo dei due Atridi.
456 Ma chi le varie occupazioni o i vari ingegni
457 Tutti potrà esprimere, dato che le stanze
458 Sono già folte di cavalieri e dame?
459 Tu per quelle aggirati. Ardito e baldo,
460 Vai, torna, siediti, ergiti, cedi il passo,
461 Premi, chiedi scusa, ascolta, domanda,
462 Sfuggi, accenna, schiamazza, entra e mescolati
463 Ai gruppi dei nobili convitati; e nello stesso tempo riempiendo
464 Ogni cosa di te, osserva e conosci.
465 Là vi sono i giovani damerini dell’amore
466 Che si confidano all’orecchio i primi successi amorosi
467 Con finta discrezione e ridono forte;
468 E saltellando per il compiacimento battono le mani
469 Sia che intreccino relazioni
470 Con comuni donne borghesi,
471 Sia che si cimentino con nobili dame di pari rango.
472 I vecchi cicisbei, noti campioni dell’amore,
473 Con voci esili e tratte fuori
474 Dall’ansimante petto, a stento vanno ricordando
475 Le imprese erotiche di un tempo passato.
476 Quindi gli eroi adolescenti, a cui il padre
477 Diede la prima coppia di cavalli solo ieri,
478 Con animo virile scherzano al fianco
479 Di una bellezza di età avanzata, che alle loro risate
480 Eleva sfoghi di risa; e mostra con larghezza il nudo seno,
481 Cercando di attirare quegli sguardi
482 Che in passato le venivano rivolti. In seguito gli adulti,
483 Alla cui fronte il parrucchiere pose le prime parrucche
484 Ingannevoli, scherzano vicini
485 Alla giovane sposa; e le rivolgono battute
486 A doppio senso, dove di lei si confonde
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487 L’anima immatura e il pudore timido.
488 Pazzi! Perché ella tiene testa alle loro battute
489 Con un’abilità pari a quella di una madre
527. Ratto invola; e del colpo a sè dà plauso.
528. Qual d’ogni lato i molti servi in tanto
529. E seggi e tavolieri e luci e carte
490. Di dieci eroi. V’ha in altra parte assiso
491. Chi di lieti racconti ovver di fole
492. Non ascoltate mai raro promette
493. A le dame trastullo; e ride e narra
494. E ride ancor, benchè a le dame in tanto
495. Sovra l’arco de’ labbri aleggi e penda
496. Insolente sbadiglio. Avvi chi altronde
497. Con fortunato studio in novi sensi
498. Le parole converte; o i simil suoni
499. Pronto a colpir divinamente scherza.
500. Alto al genio di lui plaude il ventaglio
501. De le pingui matrone, a cui la voce
502. Di vernacolo accento anco risponde.
503. Ma le giovani madri, al latte avvezze
504. Di più nuove dottrine, il sottil naso
505. Aggrinzan fastidite; e pur col guardo
506. Chieder sembran pietade a i belli spirti,
507. Che lor siedono a lato; e a cui gran copia
508. D’erudita efemeride distilla
509. Volatile scienza entro a la mente.
510. Altri altrove pugnando audace innalza
511. Sovra d’ognaltro il palafren, ch’ei sale,
512. O il poeta o il cantor, che lieti ei rende
513. De le sue mense. Altri dà vanto all’else
514. Lucido e bello de la spada, ond’egli
515. Solo, e per casi non più visti, al fine
516. Fu dal più dotto Anglico artier fornito.
517. Altri grave nel volto ad altri espone
518. Qual per l’appunto a gran convito apparve
519. Ordin di cibi: ed altri stupefatto,
520. Con profondo pensier con alte dita
521. Conta di quanti tavolieri a punto
522. Grande insolita veglia andò superba.
523. Un fra l’indice e il medio inflessi alquanto,
524. Molle ridendo, al suo vicin la gota
525. Preme furtivo: e l’un da tergo all’altro
526. Il pendente cappel sotto all’ascella
490 Di dieci eroi. Seduto in un’altra parte c’è
491 Chi di felici racconti, ossia di storielle fantasiose
492 E nuove, promette raramente
493 Svago alle dame; e ride e narra
494 E ride ancora, sebbene alle dame intanto
495 Dalla bocca spalancata stia per uscire
496 Uno sbadiglio irriguardoso. Altrove c’è chi
497 Con felice applicazione conferisce doppi sensi
498 Alle parole; è abilissimo
499 Nei giochi linguistici.
500 Il ventaglio delle grasse matrone,
501 Che conservano ancora l’accento dialettale,
502 Dà ampi cenni di approvazione.
503 Ma le giovani madri, abituate alle finezze
504 Della cultura francese, aggrinzano disgustate
505 Il naso delicato; e pure con lo sguardo
506 Sembrano chiedere pietà agli spiriti belli,
507 Che siedono loro accanto; e ai quali la lettura
508 Di riviste ha procurato
509 Una cultura effimera.
510 Altrove un altro, discutendo animatamente, esalta
511 Sopra ogni altro il cavallo che egli monta,
512 O il poeta o il cantore, che egli rende lieti
513 Delle sue mense. Un altro dà vanto all’elsa
514 Lucida e bella della spada, di cui lui
515 Solo, e per una serie di circostanze eccezionali, alla fine
516 Fu fornito dal migliore spadaio inglese.
517 Un altro espone serio nel volto ad un altro
518 L’ordine delle portate che, per l’appunto, in un grande
banchetto
519 Apparvero: ed un altro stupefatto
520 Sollevando le dita con un’alta concentrazione
521 Conta quanti tavolini da gioco si trovarono
522 In un sontuoso ricevimento serale.
523 Uno fra l’indice e il medio alquanto piegati
524 Ridendo fortemente, prende per la ganascia
525 Il vicino: e l’uno di spalle all’altro
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526 Ruba il pendente cappello sotto l’ascella
527 Rapidamente; e si compiace del colpo.
528 In che modo da ogni parte i molti servi
529 Entrano, portando suppellettili auguste,
566. De lo infelice oro perduto incolpi?
567. Qual paro e quale al tavolier medesmo
568. E di campioni e di guerriere audaci
569. Fia che tra loro a tenzonar congiunga,
530. Supellettile augusta entran portando?
531. E sordo stropicciar di mossi scanni,
532. E cigolìo di tavole spiegate
533. Odo vagar fra le sonanti risa
534. Di giovani festivi e fra le acute
535. Voci di dame cicalanti a un tempo,
536. Come intorno a selvaggio antico moro
537. Sull’imbrunir del dì garrulo stormo
538. Di frascheggianti passere novelle?
539. Sola in tanto rumor tacita siede
540. La matrona del loco: e chino il fronte
541. E increspate le ciglia, i sommi labbri
542. Appoggia in sul ventaglio, arduo pensiere
543. Macchinando tra sè. Medita certo
544. Come al candor come al pudor si deggia
545. La cara figlia preservar, che torna
546. Doman da i chiostri, ove il sermon d’Italia
547. Pur giunse ad obliar, meglio erudita
548. De le Galliche grazie. Oh qual dimane
549. Ne i genitor, ne’ convitati, a mensa
550. Ben cicalando ecciterai stupore
551. Bella fra i lari tuoi vergin straniera!
552. Errai. Nel suo pensier volge di cose
553. L’alta madre d’eroi mole più grande:
554. E nel dubbio crudel col guardo invoca
555. De le amiche l’aita; e a sè con mano
556. Il fido cavalier chiede a consiglio.
557. Qual mai del gioco a i tavolier diversi
558. Ordin porrà, che de le dive accolte
559. Nulla obliata si dispetti; e nieghi
560. Più qui tornare ad aver scorno ed onte?
561. Come, con pronto antiveder, del gioco
562. Il dissimil tenore a i genj eccelsi
563. Assegnerà conforme; ond’altri poi
564. Non isbadigli lungamente, e pianga
565. Le mal gittate ore notturne, e lei
530 E sedie e tavoli e carte ? In che modo
531 Si sente il rumore provocato dallo spostamento delle sedie,
532 Si sente il cigolio dei tavoli da gioco pieghevoli
533 Mescolarsi alle risa sonanti
534 Di giovani festosi e tra le voci
535 Acute delle dame ciarlanti a un tempo,
536 Così come intorno ad un vecchio gelso selvatico
537 Sull’oscurare del giorno uno stormo chiassoso
538 Di giovani passere saltellano tra le fronde?
539 Sola in tanto rumore siede silenziosa
540 La matrona del luogo: e con la testa china
541 E le sopracciglia aggrottate, il labbro superiore
542 Appoggia sul ventaglio, tramando tra sé
543 Un arduo pensiero. Medita certamente
544 Come al candore, come al pudore si debba
545 Preservare la cara figlia, che torna
546 Domani dal collegio religioso, ove infine arrivò a dimenticare
547 La lingua italiana, meglio istruita
548 Con una maggiore conoscenza
549 Del Francese. Oh quale stupore domani
550 Provocherai parlando, nei genitori, negli invitati a pranzo
551 O bella vergine straniera a casa tua!
552 Mi sbagliai. Nel pensiero della divina madre
553 Vagano molte cose più importanti:
554 E nel dubbio crudele con lo sguardo invoca
555 L’aiuto delle amiche; e con un cenno della mano
556 Chiama il suo cavalier servente, perché la consigli sul da farsi:
557 In quale ordine disporrà i vari
558 Tavoli da gioco, in modo tale che le invitate
559 Non si sentano trascurate; e si rifiutino
560 Di tornare un’altra volta a patire offese ed umiliazioni?
561 Come, con rapida intuizione, distribuirà gli invitati
562 In modo che ciascuno si combini col tiro al gioco
563 Più adatto alle sue inclinazioni; dove altri poi
564 Non sbadigli lungamente, e si rammarichi
565 Per il tempo sprecato, e incolpi lei
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566 Per i soldi tristemente perduti al gioco?
567 Quali coppie di cavalieri e dame,
568 Campioni e guerriere audaci
569 Opporrà ad uno stesso tavolo,
606. Di tre soltanto. Ivi di molti e grandi
607. Fogli dipinti il tavolier si sparge:
608. Qui di pochi e di brevi. Altri combatte;
609. Altri sta sopra a contemplar gli eventi
570. Sì che giammai, per miserabil caso,
571. La vetusta patrizia, ella e lo sposo
572. Ambo di regi favolosa stirpe,
573. Con lei non scenda al paragon, che al grado
574. Per breve serie di scrivani or ora
575. Fu de’ nobili assunta: e il cui marito
576. Gli atti e gli accenti ancor serba del monte?
577. Ma che non può sagace ingegno e molta
578. D’anni e di casi esperienza? Or ecco
579. Ella compose i fidi amanti; e lungi
580. De la stanza nell’angol più remoto
581. Il marito costrinse, a dì sì lieti
582. Sognante ancor d’esser geloso. Altrove
583. Le occulte altrui, ma non fuggite all’occhio
584. Dotto di lei benchè nascenti a pena
585. Dolci cure d’amor, fra i meno intenti
586. O i meno acuti a penetrar nell’alte
587. Dell’animo latèbre, in grembo al gioco
588. Pose a crescer felici: e già in duo cori
589. Grazia e mercè de la bell’opra ottiene.
590. Qua gl’illustri e le illustri; e là gli estremi
591. Ben seppe unir de’ novamente compri
592. Feudi, e de’ prischi gloriosi nomi
593. Cui mancò la fortuna. Anco le piacque
594. Accozzar le rivali, onde spiarne
595. I mal chiusi dispetti. Anco per celia
596. Più secoli adunò, grato aspettando
597. E per gli altri e per sè riso dall’ire
598. Settagenarie, che nel gioco accense
599. Fien, con molta raucedine e con molto
600. Tentennar di parrucche e cuffie alate.
601. Già per l’aula beata a cento intorno
602. Dispersi tavolier seggon le dive
603. Seggon gli eroi, che dell’Esperia sono
604. Gloria somma o speranza. Ove di quattro
605. Un drappel si raccoglie: e dove un altro
570 Così che mai, per una circostanza infausta,
571 La dama di antica nobiltà, lei e lo sposo
572 Entrambi discendenti di casate reali,
573 Non debbano confrontarsi
574 Con una dama di recente
575 Nobiltà di toga: e il cui marito
576 Dimostra ancora le sue origini rurali?
577 Ma cosa non può lo scaltro ingegno e la molta
578 Esperienza di anni e di eventi? Ora ecco
579 Che ha messo vicino i fedeli innamorati; e ha relegato
580 Lontano, nell’angolo più remoto
581 Della stanza, il marito, che in giorni così felici
582 Sogna ancora di essere geloso. Altrove
583 Combina ad un tavolo da gioco,
584 Fra le persone ancora interessate
585 O meno adatte a penetrare i più nascosti
586 Segreti del cuore, una coppia di cui vuol favorire
587 L’amore nascente, che –ignoto a tutti gli altri – non è fuggito
588 Al suo occhio esperto: e già per la sua buona
589 Azione viene ringraziata in cuor loro dai due amanti.
590 Qui i cavalieri e le dame di pura nobiltà; e là gli estremi
591 Seppe unire con sagacia i recenti nobili
592 Borghesi, e quelli da antica
593 Data decaduti. Ancora le piacque
594 Unire le rivali, per spiarne
595 Le mal celate insofferenze. Ancora per scherzo
596 Raggruppò alcuni vecchi, pregustando
597 L’ilarità suscitata dalle liti senili
598 Nate per motivi di gioco ed accese
599 Con molta raucedine e con molto
600 Tentennare di parrucche e di cuffie alate.
601 Già per l’aula superba intorno a cento
602 Tavolini dispersi, siedono le dive,
603 Siedono gli eroi, che sono grande gloria o speranza
604 Dell’Italia. Dove si raccoglie un drappello
605 Di quattro: e dove un altro
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606 Di tre soltanto. Lì il tavolino
607 Si sparge di molte e grandi carte:
608 Qui di poche e di brevi. Uno gioca,
609 Un altro sta in piedi a guardare gli eventi
646. L’ampia tavola è questa, a cui s’aduna
647. Quanto mai per aspetto e per maturo
648. Senno il nobil concilio ha di più grave
649. O fra le dive socere o fra i nonni
610. De la instabil fortuna e i tratti egregi
611. Del sapere o dell’arte. In fronte a tutti
612. Grave regna il consiglio: e li circonda
613. Maestoso silenzio. Erran sul campo
614. Agevoli ventagli, onde le dame
615. Cercan ristoro all’agitato spirto
616. Dopo i miseri casi. Erran sul campo
617. Lucide tabacchiere. Indi sovente
618. Un’util rimembranza un pronto avviso
619. Con le dita si attigne: e spesso volge
620. I destini del gioco e de la veglia
621. Un atomo di polve. Ecco sen ugne
622. La panciuta matrona intorno al labbro
623. Le calugini adulte: ecco sen ugne
624. Le nari delicate e un po’ di guancia
625. La sposa giovinetta. In vano il guardo
626. D’esperto cavalier, che già su lei
627. Medita nel suo cor future imprese,
628. Le domina dall’alto i pregi ascosi:
629. E in van d’un altro timidetto ancora
630. Il pertinace piè l’estrema punta
631. Del bel piè le sospigne. Ella non sente
632. O non vede o non cura. Entro a que’ fogli,
633. Ch’ella con man si lieve ordina o turba,
634. De le pompe muliebri a lei concesse
635. Or s’agita la sorte. Ivi è raccolto
636. Il suo cor la sua mente. Amor sorride;
637. E luogo e tempo a vendicarsi aspetta.
638. Chi la vasta quiete osa da un lato
639. Romper con voci successive or aspre
640. Or molli or alte ora profonde, sempre
641. Con tenore ostinato al par di secchi,
642. Che scendano e ritornino piagnenti
643. Dal cupo alveo dell’onda; o al par di rote,
644. Che sotto al carro pesante, per lunga
645. Odansi strada scricchiolar lontano?
610 Della fortuna incostante e le abili
611 Giocate. Tutti esprimono
612 Una profonda concentrazione: e una vasta quiete
613 Li circonda. Mutano posizione sul tavolo da gioco
614 Maneggevoli ventagli con i quali le dame
615 Cercano di calmare il loro nervosismo
616 Dopo la perdita al gioco. Mutano posizione sul tavolo
617 Tabacchiere preziose. Quindi, fiutando
618 Spesso una presa di tabacco,
619 Ci si ricorda di una mossa utile: e spesso una minuscola
620 Quantità di tabacco muta i destini del gioco
621 E della veglia. Ecco che la donna molto grassa
622 Si unge la folta peluria
623 Intorno al labbro: ecco che la giovane sposa
624 Si unge il naso delicato e un po’ la guancia.
625 Invano lo sguardo dell’esperto cavaliere,
626 Che in cuor suo medita
627 Nuove imprese e pensa di sedurla,
628 Le osserva dall’alto il seno:
629 E invano un altro cavaliere timido ancora
630 Con l’insistente piede le spinge
631 La punta estrema del bel piede. Ella non sente
632 O non vede, o non cura. Nelle carte,
633 Che ella così abilmente ordina e scompone,
634 È racchiuso il destino del denaro assegnatole dal marito
635 Per le spese personali. E tutta
636 Concentrata nel gioco, sorride al marito;
637 E aspetta il luogo e il momento per vendicarsi.
638 Chi osa da un lato rompere la vostra quiete
639 Con voci che si susseguono ora crudeli
640 Ora dolci, ora alte, ora profonde, sempre
641 Ininterrottamente al pari di secchi,
642 Che scendono e ritornano cigolanti
643 Dalle buie profondità del pozzo; o al pari di ruote,
644 Che sotto al carro pesante, si odono
645 Scricchiolare lontano per la lunga strada?
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646 L’enorme tavola è questa, intorno alla quale si riunisce
647 Quanto mai il nobile consiglio
648 Abbia di più anziano per aspetto e per matura sensatezza
649 O tra le divine suocere o tra i nonni
650. O fra i celibi già da molti lustri
651. Memorati nel mondo. In sul tapeto
652. Sorge grand’urna, che poi scossa in volta
653. La dovizia de’ numeri comparte
654. Fra i giocator, cui numerata è innanzi
655. D’immagini diverse alma vaghezza.
656. Qual finge il vecchio, che con man la negra
657. Sopra le grandi porporine brache
658. Veste raccoglie; e rubicondo il naso
659. Di grave stizza alto minaccia e grida
660. L’aguzza barba dimenando. Quale
661. Finge colui, che con la gobba enorme
662. E il naso enorme e la forchetta enorme
663. Le cadenti lasagne avido ingoia.
664. Quale il multicolor zanni leggiadro,
665. Che, col pugno posato al fesso legno,
666. Sovra la punta dell’un piè s’innoltra;
667. E la succinta natica rotando,
668. Altrui volge faceto il nero ceffo.
669. Nè d’animali ancor copia vi manca,
670. O al par d’umana creatura l’orso
671. Ritto in due piedi, o il miccio, o la ridente
672. Simmia, o il caro asinello, onde a sè grato
673. E giocatrici e giocator fan speglio
650 O tra i celibi già da molti lustri
651 Famosi nel mondo. Sul tappeto
652 Sorge una grande urna, che poi viene agitata
653 A turno dai vari giocatori che estraggono
654 Alcuni numeri, i quali hanno davanti caselle numerate
655 A cui corrisponde un’immagine di squisita fattura.
656 Una raffigura il vecchio, che raccoglie con mano la veste nera
657 Sopra i grandi pantaloni color
658 Porpora; dimenando il naso rosso
659 E l’aguzza barba e a causa della grande collera
660 Minaccia e grida. Una
661 Raffigura colui che con una enorme gobba
662 E con il naso enorme e con la forchetta enorme
663 Ingoia avidamente le lasagne cadenti.
664 Una raffigura Arlecchino leggiadro,
665 Che, col pugno appoggiato alla spatola di legno,
666 Si inoltra sopra la punta di un piede;
667 E ruotando il gluteo, avvolto dai pantaloni aderenti,
668 Sposta scherzando dall’altra parte il nero viso.
669 Né vi manca ancora copia di animali,
670 O l’orso raffigurato ritto in piedi
671 Come l’uomo, o il gatto, o la digrignante
672 Scimmia, o il caro asinello, in cui i giocatori
673 Riconoscono con compiacimento loro stessi.
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INDICE
PREFAZIONE
Avvertenze
Schema del lavoro
Pag. 1
Pag. 3
Pag. 4
INTRODUZIONE
Pag. 5
La lingua del “Giorno”
Pag. 10
IL MATTINO
IL MERIGGIO
IL VESPRO
LA NOTTE
Pag. 11
Pag. 36
Pag. 63
Pag. 71
IL “GIORNO” con testo a fronte in lingua corrente
IL MATTINO
IL MERIGGIO
IL VESPRO
LA NOTTE
Pag. 91
Pag.120
Pag. 149
Pag. 158
177
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PRO MANUSCRIPTO - STAMPATO PRESSO L’ISTITUTO MAGISTRALE DI
PONTREMOLI GIUGNO 2000
180
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