1.04 Carit. - Comune di Bra

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1.04 Carit. - Comune di Bra
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VICENDE DEL BORGO E DEL CASTELLO
TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO
Giuseppe Carità
- Scultore tardomanierista lombardo-piemontese (?), particolare
dei piedritti del camino
in marmo bianco delle
valli saluzzesi (?), castello di Pollenzo, cucina,
seminterrato.
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L’
immagine di Pollenzo, svanita quella dell’antica Pollentia che gli archeologi da ormai circa due
secoli lavorano a ricostruire, si ridefinisce progressivamente a partire dal medioevo, quando
diviene tra X e XI secolo, centro agricolo, oltre che presidio di differenti comunità religiose, tra cui
spiccano i benedettini della Novalesa-Breme, le benedettine di Caramagna, i monaci di Nonantola. Di
questa fase gli archeologi e gli storici del medioevo offrono la ricomposizione di immagine che è possibile attraverso i documenti o il reperto archeologico: osserviamo che l’abside di impianto romanico
di San Pietro resta forse, però, l’unica testimonianza visibile, che di quel tempo permane su questa porzione di territorio.
L’immagine che progressivamente si consolida, sin dal tardo medioevo, sul borgo così come sul
castello, ha lasciato invece cospicue tracce, talvolta di monumenti, di documenti, spesso di disegni e
dipinti che testimoniano la singolare vicenda di un luogo che vedrà poi avviato, a partire dall’anno
1832, uno stravolgimento radicale di tutto l’insieme, su una prospettiva dal complesso significato culturale.1. Questa stagione di radicale trasformazione del borgo, così come del castello, ha una durata di
meno di diciotto anni, avviandosi con la salita al trono del principe di Carignano Carlo Alberto, esponente del ramo cadetto dei Savoia, per sostanzialmente concludersi – nella componente per così dire
finalizzata a conseguire una forma “progettata” dagli artisti su obiettivi che il committente progressivamente aggiorna – con la morte di questi, nel 1849. Su questo percorso, fondamentalmente ispirato
ad un’istanza romantica, si sovrappongono, in breve arco di tempo – ma spesso nello stesso spazio –
exploit neoclassici e neomedievali, recuperi classici (le collezioni di antichità romane) e tardogoticorinascimentali (le opere d’arte provenienti dall’abbazia di Staffarda) che verranno a cancellare completamente, da un lato il tessuto urbanistico consolidato, di matrice medievale (pensiamo ai percorsi
che scendevano ai porti sul Tanaro e attraversavano l’Isola, all’impianto agricolo delle cascine, ecc...),
e, d’altro lato, tutta una serie di monumenti: la chiesa medievale di San Vittore, gran parte della chiesa
di San Pietro, il ricetto. Intanto che il castello veniva rimodellato dalle fondamenta, vedendo scomparire del tutto la sua fase barocca e quella rinascimentale, sulla proiezione di un’istanza “composita”
che è emblematica della cultura di primo Ottocento.
Due disegni settecenteschi dell’archivio del castello di Masino sono senza dubbio la documentazione iconografica più antica di questo luogo – riportando una data 1703 di avvio dei lavori al portale
di ingresso al castello – e costituiscono la prima traccia visiva di una cospicua serie di documenti dell’immagine storica di Pollenzo.2. L’importanza di questi due disegni è data dal fatto che, pur nell’incertezza di un certo genere di raffigurazione (tra l’altro fuori scala per l’edificio), sono attendibilmente
la testimonianza di una fase di alto profilo del riassetto barocco dell’architettura che esamineremo alla
luce degli altri dati.
Le fortificazioni medievali di Pollenzo e il castello trecentesco
Nella documentazione iconografica storica si riscontrano significativi elementi architettonici legati
alla struttura difensiva, per tratti essenziali pervenuta e assegnabile a partire dal XIV secolo, ma il
luogo di Pollenzo ebbe nel corso dei secoli XII-XIII una serie di strutture fortificate che appare cospicua, essendo oggetto di preciso appunto in numerosi documenti. L’importanza di queste può essere
letta nel fatto che esse furono espressamente e definitivamente distrutte nel 1292.3.
La consistenza delle fortificazioni pollentine di quei secoli appare richiamata in documenti che
sono stati fatti oggetto d’indagine negli studi dei medievisti e, se l’entità fisica di quelle strutture non
è configurabile visivamente, essa è comunque suscettibile di alcune interessanti analisi volte ad individuarne le peculiarità.
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- Pietro Antonio
Capellino, Tipo regolare
del territorio di S. Vittoria
e di parte di quelli al medesimo confinante, 20
maggio 1746, china e acquerello su carta, «copia
da tipo originale del misuratore Giuseppe Gino
del 13 aprile corrente
anno». AST, Casa di
S.M., M. 3280, n. 9.
Particolare.
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1.04.03 - Giuseppe Antonio Rocca e Gio Battista
Tagliaferro, Tipo degl’ingegneri Giuseppe Antonio
Rocca e Gio. Battista Tagliaferro, per le differenze
che vertivano tra il Sig.
Conte di Pollenzo e la
Città di Cherasco, china
seppia e acquerello, 18
luglio 1740. AST, art.
598, Archivio Romagnano, M. 6, fascicolo 8.
Particolare con castello e
ricetto di Pollenzo: in
primo piano la chiesa di
San Pietro e le colonne
del porto.
- Misuratore piemontese del XVIII secolo, Il territorio sul Tanaro tra Pollenzo, Santa
Vittoria e Verduno, s.d.,
china e acquerello, s.f.
AST, Casa di S.M.,
M. 3275, N. 4.
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Già nel 1154 è attestato sul luogo di Pollenzo un receptum: si tratta in sostanza di un’area dotata
di una minima struttura di difesa, quali ad esempio un fossato, una palizzata, spesso, con qualche torretta di vedetta attendibilmente in legno.4. Notiamo infatti nel documento di soggezione del 1198 al
comune di Alba che Pollenzo era appunto dotato di un fossato che va senza dubbio collegato all’area
protetta del citato ricetto. Ma proprio in questo documento è contenuta un’altra interessante notizia: è
la previsione finalizzata a consolidare le strutture di difesa del borgo, quando è previsto che il comune
di Alba costruisca un «.munimen in Pollencio circa locum Pollencii unde se tueri valeant.»: si tratta
ancora di una struttura che non è configurabile con quanto si è portati a credere sia un castello, ma di
un qualcosa “circa” – al contorno quindi di un abitato. Sino all’anno 1218 non pare tuttavia che il
comune di Alba abbia costruito granché, poiché, se in un altro documento di quell’anno, si impegna a
manutenere «.locum Pollentii… integrum… in statu, munitum et clausum vallo, spalto…», demandando, in accordo con il priore bremetese, ad un futuro impegno, la costruzione di una «.turrim vel
palacium….», ciò consente di rilevare l’assenza di più significative strutture da riferire agli impegni
precedentemente assunti.5.
Nel corso degli anni tra il 1218 e il 1242 il luogo di Pollenzo viene tuttavia dotato di nuove e più
significative strutture di difesa, menzionate quali torre e castrum, la cui costruzione, peraltro, non
dovrebbe essere stata promossa dal comune di Alba, se è proprio questo comune ad acquistarne,
mediante un atto del marzo 1242, la metà dai monaci di Breme.6: queste scarne notizie desunte da
documenti concentrati ovviamente sulla sostanza politica dell’accordo più che non sulla entità delle
strutture di fatto esistenti sul territorio, non forniscono più specifici dati sulla conformazione architettonica dei manufatti difensivi menzionati. Va comunque precisato doversi presumere che quando si
parla di castrum si debba intendere a tutti gli effetti una struttura fortificata con funzione collettiva,
non identificabile con un castello signorile abitato: una struttura assimilabile proprio a quel ricetto che
ha lasciato una continua memoria storica nella toponomastica: si ricordi specificamente la cascina
Ricetti, esistente sino agli interventi carloalbertini.7.
Sullo scorcio del XIII secolo le fortificazioni pollentine furono oggetto di un turbinio di interventi
di devastazione/ricostruzione/distruzione definitiva – 1292 – che attestano il permanente ruolo di
Pollenzo quale «luogo di frontiera».8: quanto non era riuscito ai barbari riuscì agli astigiani, timorosi
che Alba potesse riutilizzare le fortificazioni di Pollenzo.
La comunità di Pollenzo doveva scomparire come entità politico-territoriale dotata di proprie strutture di difesa in grado di costituirla come caposaldo militare in una zona in posizione topografica da
secoli strategica. Ma ciò che più interessa osservare – e come giustamente emerge dal citato saggio di
Panero – è il fatto che la distruzione delle fortificazioni si accompagnò al divieto di «ricostruire il villaggio», cioè di tollerare la costituzione di una comunità autonoma che potesse allearsi a potentati
antagonisti – vuoi di una fazione, vuoi dell’altra. Tanto che il seguito della storia delle fortificazioni di
Pollenzo andrà ad inquadrarsi in un’altra vicenda storica e sociale, dove non sono più i «comuni», i
«cittadini albesi» di Pollenzo a gestire i rapporti sociali e politici configurabili in una comunità rurale
autonoma. Da quel momento in poi solamente contadini sottomessi ad un feudatario dei monaci di
Breme (e del Visconti signore di Milano), potranno vivere sulla terra di Pollenzo, intanto che Bra, sin
dal 1295, si era vista affidare da Asti il territorio di Pollenzo, nonché i ruderi delle demolite fortificazioni.9.
L’infeudamento di Pollenzo nel penultimo decennio del Trecento al generale visconteo Antonio
Porro sarà all’origine dell’erezione di strutture militari sulle quali, progressivamente – tra XIV e XV
secolo – si costituirà un vero e proprio castello residenziale.
Le caratteristiche della struttura difensiva fatta progettare da Antonio Porro all’ingegnere Andrea
da Modena, sono ora – sulla base del capitolato del 1386, rintracciato e trascritto da Daniela Brussino
e Baldassarre Molino.10 – perfettamente ricostruibili nella loro immagine originale e nella loro dinamica evolutiva: la «.turris magistra.» cilindrica e l’adiacente «.rocha.», contornate da un ampio fossato
non asciutto, scavalcato da due ponti levatoi (quello presso la torre, senza rivellino, perché ha il donjon che lo difende; quello sul fossato «.que respicit Braydam.», dotato invece di rivellino) crearono a
tutti gli effetti una fortificazione, che non ha, a quello stadio, alcun elemento residenziale.
Nel capitolato sono descritte le modalità di esecuzione di cortine e cammini di ronda merlati e, su
due degli angoli delle cortine, due bertesche alte circa tre metri dai parapetti; inoltre trabocchetti per
interrompere il transito tra cortina e donjon. La formazione dei cammini di ronda è dettagliata negli
elementi che la compongono: mensole e caditoie ad arco, parapetti e merli. E nel capitolato si raccomanda che scale e percorsi non abbiano coperture, elemento che impedirebbe l’azione difensiva. La
prima struttura del nuovo feudatario nasce quindi come presidio militare in un luogo strategico, presso
un guado evidentemente consolidato nel tempo, per la presenza di un paleoalveo e di un alveo che agevolano l’impianto dei «porti» sulle due rive dell’isola.
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CAPITOLO I
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Pietro Pernigotti,
ingegnere e Ignazio Michela, ingegnere misuratore, Castello di Pollenzo,
in album Regi poderi di
Migliabruna, Steppe, Bergamino e Pollenzo, foglio
N. 11, 22 giugno 1833,
china seppia e acquerello. AST, art. 663, § 64/
1 [già art. 696].
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Questa struttura, la cui immagine più genuina è ancora caratterizzata in primis dall’alta torre cilindrica (unico elemento rimasto con i suoi oltre 46 metri nella forma originaria se prescindiamo dal torricino più alto.11), è comunque realizzata in presenza del ricetto, richiamato nella descrizione dell’ubicazione delle due strutture dei ponti levatoi. Non è sinora emerso alcun documento sulla realizzazione
del ricetto – anche qui un ampio quadrilatero, con proprio fossato dove non tangente la nuova rocca –
di cui sono venute alla luce diverse vestigia nei recenti lavori all’Agenzia, che appaiono tuttavia costituite da una tecnica muraria non dissimile da quella che riscontriamo nelle parti più antiche del
castello trecentesco.12. I fossati della rocca – se realizzati così come prescriveva il capitolato – hanno
subito un progressivo alto degrado e, quando venne sistemato il parco circostante nell’Ottocento, se
non già prima, furono in gran parte recuperati all’immagine romantica del contesto.13.
Questo edificio, per quanto appare oggi riconducibile a fase trecentesca, risulta realizzato in buon
cotto ed evidentemente con grande perizia tecnica per quanto concerne già la struttura di fondazione,
avendo tra l’altro resistito a tutte le vicende di trasformazione attuate in sei secoli.
Il castello residenziale
A tenore della documentazione pervenuta, la torre non venne sostanzialmente modificata nei secoli
(mantenendo, in epoca moderna, la sua copertura conica, molto alla francese) giungendo intatta sino
al 1833.14. Questa forma è documentata negli anni Venti dell’Ottocento da alcune stampe, tra cui la litografia redatta dal Festa per il Viaggio romantico-pittorico del Paroletti.15. Altri elementi tipici dell’impianto difensivo medievale, che appaiono molto significativi ed accentuati nel castello, sono l’alta
scarpa delle cortine, conchiusa da fascia cordonata torica, la compattezza delle cortine stesse, la cospicua presenza, alla sommità delle cortine, di caditoie su beccatelli, a reggere i cammini di ronda. Questi
cammini di ronda che si sviluppavano su tutto il perimetro a livelli differenziati risultano coperti sia
nelle descrizioni, sia nelle illustrazioni precedenti agli interventi del Palagi.16; essi furono evidentemente ridotti in questa forma quando si trasformò la struttura militare in castello residenziale: si affacciavano all’esterno attraverso regolari finestrature che articolavano di fatto la merlatura difensiva che
si mantenne quindi tale sino al 1836.
Accertato, attraverso la documentazione individuata sulla realizzazione trecentesca, l’esatto
impianto del presidio militare voluto dal conte Porro, non abbiamo notizia di quando quella struttura
sia stata trasformata in residenza fortificata. La forma nota prima degli interventi dell’Onofrio – dal
1832 – caratterizzata dal severo impianto quadrilatero definito da cortine di differente altezza (che non
risponderebbe però al dettato del capitolato del 1386), non presentava più le bertesche cilindriche e
vedeva introdotta una torre a pianta quadrata sullo spigolo sud-ovest.17.
La trasformazione della rocca in residenza fortificata produsse delle maniche di altezza diversa
che, presumibilmente, non erano, in origine, neanche quattro.18: l’altezza differenziata delle maniche
interne era certamente determinata dall’articolazione funzionale dei corpi di costruzione, che furono
successivamente realizzati, addossandoli alle cortine.19. Certo, a partire da un dato momento, non
accertabile, esisteva il corpo orientale in cui era costituito il vero e proprio palazzo signoriale, a manica
semplice, che si estende dal donjon cilindrico sino alla testata che risvolta, con i suoi beccatelli e cammino di ronda, alta verso sud. La cortina meridionale prospettante il Tanaro, appare nell’iconografia di
primo Ottocento con una struttura di caditoie (a reggere le cinque campate di loggia), ad un piano molto
ribassato rispetto all’adiacente “palazzo”, e va a collegarsi con la torre quadrata d’angolo, che ritroviamo con caditoie ad un livello più alto di quelle del “palazzo”.20. Nessuna documentazione iconografica ci fornisce elementi per immaginare forma e struttura delle facciate delle altre due cortine e dei
relativi cammini di ronda che ritroviamo descritti negli Atti di Visita dove si registrano dei consistenti
dislivelli rispetto alle altre due. L’esito di primo Ottocento è quello di due cortine (a ovest – dalla torre
quadrata sino allo spigolo nord-ovest – e a nord, da questo al donjon) più alte rispetto al resto del perimetro. Ciò che non possiamo conoscere è se a queste cortine si addossassero, all’epoca dell’impianto
del palazzo signoriale, dei corpi di fabbrica.21. Inoltre non appare oggi ricostruibile la presenza o meno
di zone porticate entro la corte stessa, come spesso avviene nelle architetture coeve, quantomeno in
funzione di scuderia. Tra le ipotesi che possiamo avanzare, osservando con attenzione lo spessore delle
murature interne alla corte dei corpi di fabbrica restituiti dal puntuale rilievo degli ingegneri Pernigotti
e Michela, c’è quella che, all’impianto della residenza, la corte avesse porticati nella maniche nord e
sud, con la grande sala nel corpo di levante e, forse, la semplice parete di cortina a ponente.22. Il passaggio in spessore di muro ricavato al piano terreno nella cortina sud ci suggerisce anche l’ipotesi di
una originaria scala in spessore di muro funzionale alla struttura delle cortine della rocca; ed una scala
analoga poteva trovarsi in corrispondenza dello scalone realizzato nel Cinquecento.23. Del resto le profonde trasformazioni attuate proprio nel Cinquecento, e che interessano estesamente la manica nord,
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CAPITOLO I
- Scultore lombardo-piemontese, camino marmoreo, ultimo
quarto del XV secolo.
Torino, Museo d’Arte
Antica e Palazzo Madama, inv. 266/PM, già
nel castello di Pollenzo
e quindi nel castello di
Virle.
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quando viene inserito un primo nuovo scalone con un corpo aggettante rispetto al filo esterno della cortina trecentesca, hanno comportato così significative modifiche anche all’impianto castrense medievale
che risulta difficile configurare l’originaria articolazione degli spazi funzionali del castello residenziale
innalzato entro quella rocca.
Dopo due generazioni appena di signoria dei Porro, il feudo di Pollenzo passò ai Romagnano, una
famiglia che, tra Quattro e Cinquecento, in particolare, domina la scena politica, religiosa e culturale
del ducato di Savoia.24. È a questa famiglia che dobbiamo certamente alcune delle belle iniziative di
rinnovamento delle forme del castello di Pollenzo, cancellate in gran parte e di cui imprendiamo la
ricerca. Infatti tra le poche ipotesi che si potrebbero formulare per ricercare il tempo della trasformazione della rocca in residenza, al momento solo una è supportata da un indizio, basato su uno dei
camini rinascimentali superstiti, ora conservato ai Musei Civici di Torino. Il fronte di questo camino
marmoreo reca incise le iniziali di un Giovanni Antonio di Romagnano, e scolpiti il suo stemma, al
centro e, ai due lati, rispettivamente, uno stemma partito dei Romagnano e dei del Carretto di Zucarello
a sinistra e, a destra, uno stemma partito dei Romagnano e dei Torelli, la grande famiglia lombarda da
cui proveniva la sua prima moglie, Bianca.25. La presenza di questo camino, che potrebbe essere identificato con quello «a colonnata» ubicato negli Atti di Visita del Settecento in una sala della torre cilindrica, e dovrebbe essere stato realizzato attorno agli anni Ottanta del XV secolo, ci dice che già nel
Quattrocento il castello è configurato con ambienti che conseguono, in sintonia con la funzione residenziale per il signore, un determinato decoro.26.
Della struttura quattrocentesca, che riuniva una doppia funzione, residenziale e difensiva, resta
oggi conservato, all’interno del castello residenziale, un grande ambiente (come dicono gli Atti di
Visita, una cantina) con ampia volta a botte, situata al livello considerato “sotterraneo”, in quanto ad
un livello inferiore alla corte. Questa cantina, molto interessante per la forma severa e la dimensione,
è forse uno dei pochi ambienti a non aver subìto, nel tempo, modifiche strutturali ed è situato nel piano
che ha una facciata scarpata verso il fossato di levante – e quindi nel profilo della discesa dal piano
(l’attuale piazza Vittorio Emanuele) al paleoalveo del Tanaro.
Il castello cinquecentesco
Sulle strutture residenziali assegnabili al Quattrocento, nei secoli seguenti si attuarono cospicue
integrazioni di forme moderne (logge, porticati, volte, camini scolpiti), dalla datazione non esattamente
definibile e, per di più, come si è detto, completamente cancellate dagli interventi del primo Ottocento,
a fare eccezione un sontuoso grande camino cinquecentesco, in marmo bianco delle montagne saluzzesi, elegantemente scolpito, e ricollocato nella sala del sotterraneo presumibilmente all’epoca degli
interventi carloalbertini.
Per ricostruire l’immagine che il castello dovette assumere attendibilmente in pieno Cinquecento,
quando, dopo le guerre franco-imperiali, assistiamo ad una singolare primavera artistico-culturale del
nuovo stato voluto da Emanuele Filiberto, noi abbiamo a disposizione tre serie importanti di dati.27: gli
Atti di visita del castello, beni ed edifficii di Polenzo del 1756, le vicende di ricollocazioni, passaggi e
donazioni di alcuni camini marmorei, che sono veri e propri monumenti storici, oltre che scultorei; ed
infine un inventario del 1590.28.
Due camini marmorei ci sono pervenuti intatti a supportare la lettura dei citati Atti e di altri
abbiamo una descrizione delle forme che ci consente di metterli in sistema con diversi elementi della
cultura del tempo, ben rappresentata sul territorio del Piemonte sud-occidentale.29; l’inventario del
1590, enumerando gli arredi riferisce, per una serie di ambienti, che si tratta di camere “nove”, inequivocabilmente quindi di epoca posteriore al conflitto franco-imperiale. Incrociando queste serie di
dati possiamo avviarci a ricomporre un’immagine certamente perduta – per le forme rinascimentali e
per quelle che appaiono modeste trasformazioni barocche – nel vasto processo di interventi realizzati
– in due tornate successive e ravvicinate – all’epoca di Carlo Alberto.
Gli Atti di Visita ci forniscono i dati sufficienti per riconoscere, mediante un percorso virtuale
all’interno dell’edificio ed al suo intorno, molti elementi che ci rivelano il volto che il castello dovette
assumere nel corso di 180-200 anni, ma in particolare nella seconda metà del XVI secolo, quando più
chiaramente si percepisce per molti castelli dell’area sabauda, il passaggio da castello di difesa a
castello residenziale. Questo fenomeno è connesso con il profondo cambiamento organizzativo della
difesa dello stato, attuato da Emanuele Filiberto a partire dagli anni Sessanta del XVI secolo. I lavori
che interessarono Pollenzo e che noi possiamo dedurre dalla lettura di quegli Atti di Visita ci consentono immediatamente di stabilire collegamenti colti con l’ambito saviglianese e saluzzese, con i palazzi
Cravetta e Muratori-Cravetta a Savigliano, il palazzo Garneri di Cavallermaggiore, i castelli dei Tapparelli a Lagnasco e dei Saluzzo-Manta alla Manta e nei palazzi saluzzesi, con la villa Belvedere del
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CAPITOLO I
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1.04 · VICENDE DEL BORGO E DEL CASTELLO TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO
- Scultore tardomanierista lombardo-piemontese, camino in marmo bianco delle valli
saluzzesi (?), castello di
Pollenzo, cucina ottocentesca, seminterrato. Nella
ricollocazione sono andati persi gli stemmi in
stucco della cappa.
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Birago e con la Morra di Saluzzo, con il palazzo Thesauro a Salmour: il fiore dell’arte manierista del
Piemonte sud-occidentale (quella per ora studiata).30. Ma poi anche, tra i più splendidi, il castello di
Ozegna, nel Canavese, o ancora il palazzo dal Pozzo della Cisterna a Biella, con i loro camini in stucco
e le loro decorazioni a grottesche dipinte ed in stucco, a testimoniare una grande corrente colta che
riafferma, sul territorio piemontese riassestato, le sue aspirazioni artistiche legate alle tendenze storicamente più significative del tardo manierismo.31. Ma un ulteriore dato da riscontrare per leggere la
qualità di queste forme architettoniche è dato dalla descrizione del misuratore Fasolis dei lavori avviati
nel 1832 sotto la direzione dell’architetto Tommaso Onofrio.32. Ciò che venne rimosso o sostituito negli
anni 1832-1834 è molto ben esplicitato nelle lettere e nei conti che il Fasolis redige.
La “visita” del castello: gli appartamenti di rappresentanza
Il documento degli Atti di Visita del feudo di Pollenzo, feudo la cui vita termina con la estinzione di
questa linea pollentina dei Romagnano nel 1751, fornisce una precisissima analisi del complesso per
quanto concerne tutti i beni, tra cui il castello, specificamente descritto dal f. 24, recto al f. 56, verso.
Nella descrizione non compare alcun arredo mobile, evidentemente ormai rimosso. Risulta soltanto
qualche – povero – arredo fisso residuo della rimozione dei mobili. La descrizione, in un italiano ricco
di molti termini riconducibili al piemontese a noi ancora noto, parte dall’ingresso: «.....portatisi alla porta
grande riguardante il levante che da l’ingresso a questo castello... si vede detta porta con facciata guarnita a lesene di pietra piccata ordinaria e sopra l’arco d’essa si vede l’arma dell’illustrissima famiglia
Romagnano di pietra di marmo bianco sostenuta da due tigri con cornice attraversante sopra dette lesene
pur di pietra sudetta.».33.
Questa composizione di facciata ci è restituita puntualmente nella litografia del Festa pubblicata
nel 1824 ed era in effetti costituita da due campate su due livelli di lesene reggenti archi a tutto sesto
al di sopra dei quali stava una finta loggia, di lesene reggenti una trabeazione, a scansione raddoppiata
rispetto a quella sottostante.34. Questa porzione di facciata moderna ci richiama una osservazione preliminare per interpretare l’analisi dei dati forniti dagli Atti; va considerato che, nella generalità, si
riscontra da parte dei periti uno stato diffuso di degrado per molti manufatti, alcuni dei quali certamente non del medioevo. Questo degrado rivela la vetustà degli stessi manufatti, se teniamo conto che
il conte Romagnano di Pollenzo era morto improvvisamente solo cinque anni prima di questa visita
volta a riscontrare lo stato dei beni feudali. Ecco allora che dobbiamo interpretare la «picola galeria
fatta di novo a quattro archi con sue ringhiere di ferro infisse ne pilastri di detti archi col suo sternito
di pianelle nove e con sua volta al di sopra imbianchita, qual galeria riguarda verso levante e resta in
parte superiormente alla porta grande del castello già avanti descritta e nell’altra parte unita alla detta
torre e col coperto d’essa munito di canale in stato mediocre.».35. Si tratta certamente della loggia superiore raffigurata – tamponata in facciata – dal Festa al di sopra della doppia campata di archi retti da
lesene del corpo di facciata moderna che aveva inglobato le strutture dell’antico ponte levatoio: il
“novo” rilevato dai periti, ritengo vada ascritto a qualcosa di più degli ordinari lavori di manutenzione,
in quanto le forme compositive del prospetto vanno ora riviste alla luce del disegno di Masino che
documenta esserci, nel 1703, solamente un ricco portale addossato alla facciata medievale.36.
Qui si avvia la descrizione precisa e puntuale del notaio che annota tutto quanto – secondo l’opinione del tempo per quanto attiene lo specifico di ogni manufatto – afferisce ad un “valore” da considerare: i pavimenti, le volte, i serramenti, analizzati con una insistente attenzione al tipo di legno, alla
ferramenta, alle chiavi. Questo schema di analisi è molto interessante sotto l’aspetto concettuale dei
valori edilizi (per non dire architettonici) dell’artefatto oggetto di indagine, che costituiscono una quantificazione economica. Proprio da questa descrizione tuttavia si possono evincere gli elementi utili a
comprendere la “qualità” che noi possiamo assegnare ad un tempo, ad una cultura: i soffitti a cassettoni dipinti, le volte a lunette unghiate, le porte scolpite e decorate, i camini scolpiti, ben 12, in marmo
più o meno lavorato: nulla è ora più nel castello, in quei luoghi descritti; a noi solamente la ricostruzione dell’immagine perduta. E l’immagine che ne viene fuori è quella che in quel secolo possiamo
senza dubbio assegnare al palazzo signorile più ricco del territorio braidese.
Il portone «.di bosco di rovere.» che immette all’interno del castello è «.inchiodato con chiodi a
punta di diamante e rosete.» e dà accesso al «.cortile di detto castello [che] si vede... circondato a tre
parti da portici.».37: la forma che è richiamata è quella della corte attorniata da porticati e loggiati che
disimpegnano le varie sale che vi si affacciano, tipica di un palazzo signorile rinascimentale. In questa descrizione non appare il modulo strutturale-formale utilizzato per la creazione di portici e logge,
ma questo ci è noto dall’altra fonte, la descrizione del Fasolis ed inoltre dalla pianta del piano terreno
delineata nel 1833 dagli ingegneri Michela e Pernigotti.38: si tratta di pilastri di sezione quadrata in
mattoni che reggono archi a tutto sesto e volte a crociera.
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1.04 · VICENDE DEL BORGO E DEL CASTELLO TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO
Giuseppe Maria
Borra, Veduta del real
castello di Pollenzo presa
dal mezzogiorno, in Album piemontese dedicato
a S.M. la Regina, Torino,
s.d.: è raffigurato il castello con mulini e porto,
visti dall’Isola, nelle condizioni del 1835, con il
livello superiore del donjon modificato dall’Onofrio.
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- Elemento di balaustra tardorinascimentale in marmo bianco
delle valli saluzzesi (?),
con semibalustrino scolpito, reimpiegato come
testata di parapetto in un
ponte del parco del castello di Pollenzo.
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Notaio, giudice e periti scendono quindi nell’interrato dove riscontrano una cucina, affiancata dalla
dispensa, una legnaia, e giungono «.nella crotta... esistente sotto il salone infradescrivendo... con suo
volto al di sopra... il pavimento di qual crotta si vede senza sternito.», quindi in terra battuta, così come
si può verificare per la generalità delle antiche cantine.39. La visita si sviluppa poi partendo dal porticato occidentale «.essendosi portati tutti quali sopra al piano di terra di questo castello si è riconosciuto
consistere nelli seguenti membri.40: primo in una camera denominata l’armeria....», un ambiente voltato
con pavimento «lastricato di quadri», cioè in cotto, in cui sono ancora conservate una cinquantina di
armi inservibili ed un’armatura. L’armeria era collocata nella sala d’angolo in fondo al porticato, affiancata, sempre in questa manica nord, da un’altra stanza con la volta e con «....suo fornello di marmore
bianco e con ornati pure di marmo e parte di gesso a stucho....»41.
Superando «.un piccolo... Uffizio con sue staggiere... e proseguendo verso levante nell’istesso
andito... si incontra di fronte una scala secreta con gradini di mattoni col suo coperchio d’assi per cui
ascendere al piano superiore...», si accede quindi alla sala circolare della torre.42: qui c’era un ammezzato voltato con «.fornello di marmore griggio a colonata.». La descrizione prosegue nell’analisi minuziosa dell’interrato della torre e delle adiacenze per tornare all’atrio di ingresso e giungere nel
«....salone al piano di terra... esistente verso levante, si vede quello con sua volta e col pavimento lastricato di quadri e colle muraglie interamente rissate [intonacate] in buon stato con quattro finestre
grandi... Il fornello di detto salone si vede colli latterali, cornici di pietra di marmore bianco e la capa
lavorata di stucco il tutto in buon stato. Vedendosi sopra la capa di detto fornello scolpito in stucco lo
stemma gentilizio dell’illustrissima famiglia Romagnano.»43.
La sala adiacente, pure voltata e con una cornice in stucco, ha la porta che si apre verso il porticato decorato da «.spale di marmore di Siravezza (sic) colla radice al piano di terra di pietra Serissa già
alquanto consumata nel bordo. La cornice di detto esteriore della porta si vede di marmore bianco
come altresì li due modioni latterali che sostengono l’architrave... pure di marmo bianco. Vedendosi tra
la cornice e l’architrave una fassia di marmo anche di Siravezza et sopra detto architrave lo stemma
gentilizio di detta Casa Romagnano anche di marmo bianco, vedendosi però uno di detti modioni fuori
di luogo.»44. Un po’ dissestato ed usurato, questo portale aulico con trabeazione e cimasa scolpita costituisce uno dei punti chiave per interpretare, a livello funzionale e formale il piano qualitativo perseguito nell’intervento di riassetto tardo-rinascimentale: è questo, sull’asse in prospettiva del nuovo scalone e del porticato orientale, l’ingresso principale agli appartamenti signorili, quelli tra l’altro ornati
della moderna decorazione plastica in stucco. In questa sala di ingresso che forma il perno distributivo degli ambienti di rappresentanza, non vengono menzionati camini ma «.si vedono due finestre l’una
riguardante il cortile del castello... et a canto d’essa finestra due sederi [i sedili tipici di questo genere
di finestrature] con suoi modioni di marmo bianco infissi nella muraglia...». Marmi bianchi e stucchi
quindi, mentre non resta memoria di eventuali decorazioni pittoriche.
«.Et portatisi successivamente nella seconda camera di questo appartamento di mezzogiorno... si
vede pure questa fatta a volta tutta lavorata di stucho col suo pavimento lastricato di quadri in buon
stato. Ivi esiste in questa camera un fornello senza capa con semplice cornice in gesso in stato mediocre a canto il quale vi sono due ferri infissi nella muraglia.»45.
Qui uno degli elementi tipici della decorazione d’interni, la decorazione a stucco, caratteristica sia
della fase rinascimentale cinquecentesca, quanto di quella seicentesca, compare in modo più specifico; in questo caso (come ad Ozegna, ma questo riferimento vale anche per l’articolazione degli
ambienti successivi), va ad interessare anche il camino; pure in questa stanza «Al piede di dette... finestre vi sono due sederi di marmo bianco per caduna sostenuti da modioni di cotto infissi in detta muraglia.», non più quindi mensole scolpite in marmo come nella sala di ingresso, ma semplice cotto.
Il percorso si sviluppa verso «.un camerino fatto a volta anche lavorato di stucho... con scudo nel
mezzo di color giallo e sfondato, col pavimento di quadri in buon stato.».46 per giungere ad «.una scaletta
secreta fatta a lumaca con li gradini di cotto... per la quale si ascende nelle stanze del primo piano nobile
di questo castello verso mezzogiorno e continua superiormente sino al colombaio infradescrivendo.»47.
Il piano nobile con la cappella e le camere da letto
Il primo piano nobile, che i visitatori riscontrano e che seguiamo senza più il supporto del rilievo
di Pernigotti e Michela, è costituito da una serie di stanze destinate a camere da letto con i relativi
comfort: superata la prima camera voltata accessibile dalla scala a chiocciola si accede alla loggia
«.esistente esteriormente riguardante il mezzogiorno [verso il Tanaro] si è... la detta galleria a cinque
archi fissurata di longo in longo ed imbocata... detta volta anche in parte scrostata e massime nell’ultimo arco verso levante...»48. Questa loggia risulta retta dalle strutture delle caditoie medievali, che
fungono praticamente da mensole ed è attendibilmente composta da colonne a reggere gli archi: lavori
64
CAPITOLO I
a questa loggia risultano menzionati in una relazione del segretario Franchi e in un rendiconto del
Fasolis, prima che il Palagi la rifaccia interamente nel 1832 e ’33.
I tre ambienti che seguono e fanno parte di quanto denominato «.appartamento di mezzogiorno.»
hanno volte a lunette e quindi frutto delle trasformazioni moderne: nel primo c’è una porta a bussola
d’ingresso «.di noce in due parti ben formate e... nella parte interiore... una ciambrana d’albera con sua
cornice bianca e con sua cimasa lavorata d’intaglio sostenuta da cinque grape....» e vi si trova «.un fornello con sua guarnitura di marmo… e cornice di marmo griggio.».49. Il terzo ambiente ha «.tre aperture… chiuse da sei porte rotanti [con] la parte interna lavorata d’intaglio e con cornice di color giallo,
con sua cimasa dell’istesso colore.»50.
L’ultimo ambiente d’angolo dell’ala meridionale è coperto da un «.solaro dipinto a tre campi.» ed
ha «.un fornello con due statue laterali di marmo bianco con suo architrave a cornice di marmo griggio
con cinque placche pur di marmo più fine cangiante e sopra detta cornice un soprafornello dipinto…
e cornice di gesso.»51. Il pavimento, sempre in cotto è a «.piccoli quadretti formati ottagonali.».
All’interno di questa sala troviamo descritto uno spazio per le funzioni religiose analogo a quello esistente alla Manta nella sala dei Prodi e delle Eroine: «.un sfondato nella muraglia di levante in cui vi
è una capella con quadro ornato rappresentante Maria Vergine Assunta guarnito esso quadro con lavori
di stucco e piccoli putini pure di stucco colla menza a urna e colli gradini ad un piano fatti d’albera
con suoi profili dorati e con due piedistalli in triangolo sopra esso piano con suoi profili pure dorati…
altare senza pietra sacra e sprovvisto d’ogni suppeletile. Detta capella si chiude con porta semplice
d’albera in due parti…»52. Le porte di comunicazione erano del tipo «.rotante.» ed a cimasa, riccamente
decorate da intagli e dipinte. La camera attigua è coperta da cassettonato «.a cinque campi dipinto.»
ed è dotata di quattro finestre, due a levante e due a ponente, verso la «.galeria interiore.»; il pavimento
è pure di «.picioli quadrati in forma ottangolare…»53. In questa che appare essere la sala più grande
del piano nobile si trovava «.un gran fornello di marmo oscuro col suo sovrafornello di gesso lavorato
a stucco, con due scudi, uno in mezzo a l’altro, sopra rappresentanti ambi lo stemma gentilizio della
famiglia Romagnano. Detto fornello si vede chiuso da una stuva (sic) di cretta con sua vernice e campana pure di cretta sopra la quale vi è una picola statua con busto e testa di colore nero. Detta stuva
si chiude con picola lastra di ferro con sua cricca senza l’incontro ed interiormente verso la camera già
avanti descritta vi è …lastra di ferro …»54. Troviamo qui un aggiornamento del sistema di riscaldamento, con l’inserimento, nel vano del camino, di una stufa in refrattario.
Sono menzionati due residui dell’arredo mobile rimosso: «.lateralmente al detto fornello si vedono
due telari d’albera con picoli profili d’oro sostenuti da due respetive grape di ferro….»55.
La porta che immetteva nella galleria settentrionale, cui si accedeva dallo scalone nel braccio settentrionale, conservava di una porta la sola chiambrana «.di noce… e sovra essa porta una gran cimasa
a lavori d’intaglio, il tutto d’albera con due scudi nel mezzo rappresentanti l’arma gentilizia della casa
Romagnano e colla cornice che contorna detti scudi infissa nella parte sinistra nella muraglia…»56.
Accanto a questa grande camera si trovano ancora due stanze della manica di levante, praticamente sopra il sottostante ingresso e frutto quindi delle trasformazione del corpo del ponte levatoio che
affiancava la torre cilindrica: esse sono infatti voltate e la prima ha il «suo fornello di marmo rosseggiante e con sua lastra di ferro alta oncie dodici e larga oncie dieci…»57. I serramenti di questa stanza
«sono quattro porte volanti con montanti e cimasa a cornice con vernice griggia e profili d’oro, ferrate
con suoi picoli pomi d’ottone…». La seconda ha un camino analogo al precedente.58.
Resta da osservare, al piano nobile, l’insieme delle stanze della manica nord, in cui si vedono un
ambiente che ha forme decorative analoghe alle ultime due stanze della manica est («.un uscio con vernice griggia, con picoli profili d’oro in buon stato.») affiancato da «.un gabineto dentro la stanza o sii
tavoleta [toilette?] con tre finestre, due verso mezzanotte e una verso ponente…»59.
Una camera adiacente allo scalone monumentale, ad un piano ammezzato è menzionata con una
porta che «.nella parte interna si vede colli pannelli lavorati con trasporto di carta pesta e colla vernice griggia vedendosi sopra detto uscio la sua cimasa a cornice.».60. Si tratta indubbiamente di una
porta barocca che ci ripropone una riflessione sul fatto che tutta quest’area del piano nobile dev’essere
stata oggetto di un intervento, al più tardi, di primo Settecento. Da questa porta si accede ai vani situati
nella torre (in parte visitati il giorno avanti), tra cui una camera voltata e con cornice in stucco all’imposta. In questa camera era stato conservato il sistema di comunicazione verticale medievale, costituito
da «.una scala incavata nel muro a gradini di pietra per cui s’ascende ad altra camera.» di struttura
analoga alla sottostante, compresa la scala.61. Nella volta di questa camera, dove «.si vedono infissi tre
grossi annelli di ferro e suoi doppioni formanti triangolo.» troviamo un cenno al sistema di sostegno
delle lampade per l’illuminazione. La torre aveva quindi tutta una successione di mezzanini, con tanto
di «.necessario con sua porta in forma di bussola.» accessibili da un sistema di scale (spesso sdoppiate:
si menziona infatti una «.scala secreta [che] forma due vani.») in spessore di muro che giungeva sino
alla stanza sotto il primo cammino di ronda con caditoie.
1.04 · VICENDE DEL BORGO E DEL CASTELLO TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO
65
Gli appartamenti al primo piano nobile della manica di mezza notte affacciati sulla galleria interna
si completavano con due stanze in successione; una con un soffitto cassettonato a «.quattro campi
dipinti.», un camino di «.marmo rosseggiante.» ed il pavimento «.sternito di quadreti in figura ottagonale.»; la seconda con un soffitto cassettonato «.a tre campi anche dipinto in cui vi è di noce in due parti
ben ferrato… Vi è pure in detta stanza un fornello di marmo bianco…».62. In questa stanza era stata
«.riposta una campana di bronzo senza battente qual è in altezza sino alle maniglie esclusivamente oncie
nove e mezza e di larghezza in diametro nel fondo oncie dieci il suo uscio incluso lo spessore.»63.
Troviamo quindi una descrizione delle logge del piano nobile che ci restituisce un’immagine molto
suggestiva, anche se complessa da comprendere in mancanza di ulteriori dati. Riferiscono gli Atti che
«.dalle parti di ponente e di levante continuano allo stesso piano due galerie aperte con sue arcate
sostenute da tre colone di marmo per caduna d’esse galerie con sue balaustre pure di marmo alla
riserva di tre colonette componenti parte d’una di detta balaustra quale si vedono mancante dalla galeria di ponente e si vedono surrogati tre pezzi di legno. Si vedono per sostegno di detti archi tre chiavi
di ferro per caduna di dette due gallerie.»64. Le facciate interne della corte avrebbero quindi avuto, al
piano terreno, delle campate rette da pilastri in laterizio, mentre la loggia al primo piano avrebbe avuto
pilastri agli angoli del quadrilatero e le campate degli archi mediani rette da colonne marmoree. La
prospettiva della loggia settentrionale, terminava, come quella del portico sottostante, in «un fenestrone con due serraglie di noce…», che si affacciava a ponente. Le condizioni strutturali delle logge
appaiono precarie, quando viene rilevato che «si vede la prima colonna della galleria di ponente verso
mezzogiorno spaccata dalla mettà in giù e apposte due lame di ferro… Dalla galeria di levante vi mancano sei grape di ferro che devono tenere unite le pietre superiori delle balaustre… In tutte le colonette di marmo che compongono le balaustre di dette galerie ve ne sono sette alquante rotte nel zoccolo…»65. In questa loggia viene notato un «…uscio in due parti di noce… che da l’ingresso nella
scala secreta, le spale di qual uscio verso la galeria sono di marmo bianco con suo architrave a cornice
sopra anche di marmo vedendosi però detto architrave rotto…»66.
Riprendendo la visita al piano sottotetto si riscontra un pianerottolo da cui si accede ad una «scala
grande di tredici gradini di pietra griggia uno dei quali si vede rotto ed in cima d’essa scala non vi è
ripiano né accesso ad altra parte». E, come notano i periti, ciò indica «…un qualche dissegno di continuazione di fabbrica nella parte interiore di detto castello e superiormente alla galleria di levante…»
che non fu mai compiuto.67. Lo spazio di questo scalone, che è una delle poche strutture non interamente
distrutte nella fase ottocentesca, interferisce con la cortina trecentesca protendendosi verso l’esterno,
come già denuncia il disegno del Nicolosino. La datazione di questo intervento di formazione della scala
resta molto dubbia e una ragione per supportare un’ipotesi al XVI secolo – che sarebbe peraltro pertinente alla qualità ed alla tradizione di riscontro – è costituita dalla presenza di gradini rotti, difficilmente pensabile per un più recente intervento settecentesco. È più probabile ritenere che il corpo di
questa scala fosse pensato per formare un belvedere affiancato al torrione, comodo all’accesso più che
non quest’ultimo, e che il progetto sia poi stato interrotto.68. La visita dell’interno si conclude scendendo
le quattro rampe, ciascuna di diciotto «gradini di pietra grigia», con diverse pietre rotte e «….con un
solo repiano di detta scala lastricato a loze cioè quello per cui si ascende al piano nobile…»69.
La qualità architettonica e decorativa degli elementi rinascimentali
In sintesi, attraverso il dettagliato resoconto degli Atti di Visita abbiamo potuto osservare un complesso che si sviluppa, entro le cortine trecentesche, attorno ad una corte porticata e loggiata su tre lati
e possiamo immaginare (anche sulla scorta delle descrizioni ottocentesche del Fasolis) che la quarta facciata fosse composta da una decorazione a semplici rilievi di lesene che riprendevano la forma architettonica delle altre facciate interne al contorno.70. Non risulta menzionata, nei documenti rilevati, una
decorazione di finitura di queste pareti della corte, vuoi ad intonaco dipinto, vuoi ad elementi graffiti.
Gli interni, in epoca settecentesca conservano ancora parte degli orizzontamenti lignei travati
dipinti dei secoli XV-XVI ed in parte volte ad unghie su lunette, tipici di molte importanti architetture
piemontesi del XVI secolo. I pavimenti sono tutti in cotto, e quasi tutti con piastrelle quadrangolari,
fatta eccezione per alcuni in piastrelle ottagonali che troviamo anche in alcune zone dei loggiati.
Un aspetto interessante dell’architettura analizzata è dato dagli apparati scultorei costituiti dai portali di accesso alle sale dai porticati e dai camini marmorei. I camini scolpiti che appaiono cinquecenteschi, e che possiamo ancora individuare, sono quello conservato ora nel salone-cucina sotterraneo e presumibilmente in origine collocato nella più grande sala del palazzo al livello superiore (per
cui nell’Ottocento è andata perduta la cappa in stucco con lo stemma Romagnano) ed un altro camino
con figure di cariatidi, identificato negli Atti di Visita all’interno della sala del piano nobile che ingloba
la cappellina, di cui si ha notizia ancora nel 1836: è la sua forma decorativa di ispirazione classica,
che fa pensare ad opera manierista.71.
Note
1
Tra i documenti più interessanti a renderci conto del feudo e, in particolare,
del castello ci sono gli Atti di Visita, tra cui, in particolare: AST, art. 775, P/2,
M. 11/2 fasc. 466, “Atti di visita del castello, beni et edifficii di Polenzo” , 16 febbraio 1756; AST, art. 775, P/2, M. 11/2, fasc. 467, “Visita de’ beni, redditi, edificij,
e fabriche apartenenti al Feudo di Polenzo”, 1768; AST, sez. I, Genio Civile, Ufficio
di Torino, versamento 1936, Miscellanea, M. 13: Cabreo delli beni aggregati alli
tenimenti di Pollenzo e Magliano del Regio Demanio desunto dalle rispettive mappe
territoriali, Torino, 20 marzo 1815, sottoscritto Pietro Tosatti.
2
I disegni, di cui avevo dato notizia nel 1989, su segnalazione del professor
Giovanni Romano, sono conservati nel castello di Masino (ASCM), proprietà del
FAI, Fondo per l’Ambiente Italiano. Sono il dis. N. inv. 305 databile al 1703, che
raffigura la facciata est del castello con il progetto di un nuovo portale, ed il dis.
N. inv. 360 che raffigura un progetto di giardino, s.d.
3
F. PANERO, Il comune di rurale di Pollenzo dalla soggezione albese all’unione
con Bra, in Studi di Storia Braidese. Omaggio a Edoardo Mosca, Cuneo 1993, p. 58.
4
G. ASSANDRIA (a cura di), Il libro verde della chiesa d’Asti, Pinerolo 1907,
pp. 208 segg., citato da PANERO, Il comune..., p. 53.
5
PANERO, Il comune…, p. 53; IDEM, Il territorio di Pollenzo fra medioevo ed età
moderna, in “BSSAA Cn”, n. 117, 1977, p. 26.
6
F. GABOTTO, Appendice documentaria al “Rigestum”..., Pinerolo 1912, pp. 114
segg.
7
Vedi i contributi di E. Micheletto e F. Panero in questo volume. Alla luce dell’analisi condotta da Francesco Panero, infra, pp. 39-49, non è escluso che il
castrum menzionato dai documenti possa essere una struttura più complessa rispetto ad una semplice fortificazione collettiva, con una componente difensivo-residenziale destinata al rappresentante dell’abbazia bremetese a Pollenzo ed ai suoi
armati: in sostanza, quindi, non solamente il ricetto. Ma per un accertamento del
genere andrebbero, prima, identificato il sito – che difficilmente potrebbe coincidere con l’area del castello trecentesco – e, successivamente, svolti gli accertamenti
archeologici. Un ulteriore elemento di analisi si può cogliere in quanto considerato
a proposito della autorizzazione al Porro di edificare il castello «.super fundamentis.» di una chiesa dedicata a san Pietro che si sarebbe quindi trovata sull’antico
percorso che scendeva al porto sul paleoalveo del Tanaro (riportato in D. BRUSSINO
e B. MOLINO, Pollenzo, da contea a frazione lungo un millennio, Savigliano 2003,
p. 186), fuori quindi dell’area urbana romana e, noi sappiamo, ora, anche al di là
della necropoli romana, così come la chiesa di San Vittore e, più ad ovest, l’altra
chiesa di San Pietro di cui è conservata l’abside.
8
Cfr. PANERO, Il comune…, pp. 57-58.
9
IDEM, Il territorio, pp. 30-31.
10
BRUSSINO e MOLINO, Pollenzo..., in particolare Appendice n. 1, pp. 253-258,
in cui è trascritto il documento in AST, art. 598, Archivio Romagnano, M. 7, fasc. 3;
sulla camicia settecentesca: 1386, «Atti d’incanti per la fabbrica della torre e
castello di Polenzo da’ signori Porri di Milano».
11
AST, Casa di S.M., M. 2596. Real castello di Polenzo - lavori eseguiti nell’anno 1833, 27 febbraio 1834, a.v. Dalla descrizione del Fasolis, apprendiamo che,
alla data del 1833, la «Gran torre», alta m 46, composta da due cilindri (in basso
l’ambiente è di m 5,10 di diametro e, superiormente di m 3,14), ha uno spessore del
muro, come per tutto il castello, di m 1,85; a tre quarti dell’altezza c’è una galleria
sostenuta da «tombarelli» [caditoie]; in alto era coronata da merli sostenuti da caditoie più piccole: sopra un «cono nel mezzo che le serviva di coperto… costrutta in
rustico, minacciante rovina il cono superiore…». Era priva di scale, con soffitti in
legno logori, «finestre ben ristrette non atte a illuminarla sufficientemente nell’interno… il tetto della prima galleria sconnesso e deperiente…».
12
Una ricca documentazione sul feudo, ma anche sulla struttura benedettina
anteriore, è ora conservata – proveniente dall’Archivio Romagnano – in AST, Casa
S.M., M. 3254: vi si trovano una pergamena dell’imperatore Corrado al monastero di
Breme del 1026, il diploma in pergamena del 1382 dell’imperatore Venceslao della
erezione di Pollenzo in contado di Antonio Porro. I fondi archivistici che forniscono
specifici dati su Pollenzo sono essenzialmente: il fondo Romagnano di Pollenzo
dell’AST, che pervenne alle Finanze con l’incameramento del feudo nel 1751; le
carte Romagnano di Pollenzo conservate dal ramo Romagnano di Virle – che pretese di entrare in successione all’ultimo Romagnano di Pollenzo ed attivò la causa
con le Finanze – confluite nell’Archivio Malabaila di Canale, ed ora conservate a
Canale d’Alba; le carte Romagnano di Pollenzo confluite nell’archivio della Casa di
S.M., in seguito all’assegnazione di Pollenzo all’appannaggio del Patrimonio Privato
e quindi ai beni della Corona.
13
Lavori in questa area della struttura sono documentati in BRUSSINO e MOLINO,
Pollenzo…, p. 199, al XVII secolo.
14
La descrizione che compare 77 anni prima di quella del Fasolis (citata nella
nota precedente) in AST, art. 775, M. P/2 fasc. 466, “Atti…”, f. 49 v., annota:
«…superiormente… vi è il cupolino o sia maschio di detta torre ed attorno al medesimo vi sono le sue tombarele che si vedono in parte rovinate dal fulmine, coperte
esse tombarele tutto l’intorno di copi ed in parte rovinati con la circonferenza di
detto coperto fuori di regola e molto distaccata dal detto maschio qual è in cima
coperto di tola con sua bandiera».
15
M. PAROLETTI, Viaggio romantico-pittorico delle province occidentali dell’antica e moderna Italia, Torino 1824, vol. I, libro 3°, tav. 5. Il disegno utilizzato dal
Festa forma la base per altre stampe di primo Ottocento, dove ciò che varia è l’ambientazione in primo piano.
16
Questa struttura compare ancora esattamente nella sua forma pertinente
all’impianto del palazzo residenziale, che rintracciamo anche negli Atti di visita di
ancien régime, con tanto di misure, in un disegno in sezione e prospetto del corpo
orientale, della Raccolta Palagi (RDP, dis. n. 2557) assegnabile al 1834. Il Palagi
eliminerà la copertura del cammino di ronda evidenziando maggiormente la forma
merlata – tuttavia completata in alto al filo degli archi a sesto ribassato della finestrella risultante tra i merli – e rialzerà il corpo di tutto il livello superiore.
17
Al di là dell’inserimento di una loggia sul prospetto affacciato sul Tanaro:
tenendo conto che le cortine merlate pervenute nell’Ottocento non erano dell’altezza
fissata nel capitolato del 1386, e che anche la conformazione delle torri non appare
rispettosa di quegli indirizzi, non escluderei che nel corso della realizzazione si siano
introdotti, già a quel tempo, degli aggiornamenti. Certo i dati del documento, descritti
nell’investitura di Pollenzo ad Antonio Romagnano, del 10 marzo 1433, non ci aiutano a conoscere lo stato del luogo descritto «cum castro in quo est turris».
18
Un caso esattamente analogo a questo di Pollenzo avvenne per Fossano, dove,
all’interno delle cortine realizzate ad inizio XIV secolo, a partire dal 1485 si creò il
nuovo palatium per il duca Carlo I di Savoia: cfr. G. CARITÀ (a cura di), Il castello e
le fortificazioni nella storia di Fossano, Fossano 1985, pp. 113-173.
19
Il capitolato di appalto rinvenuto in AST, art. 598, M. 7, fasc. 3, non menziona corpi di costruzione interni alla «rocha».
20
Cfr. “Veduta del Real Castello di Pollenzo presa dal mezzogiorno” datata
1835, p. 62.
21
Molti castelli residenziali sono in effetti costituiti da un corpo maggiore che
forma con le adiacenti cortine il nucleo fortificato a corte. L’articolazione degli spazi
edificati entro il perimetro fortificato risultante rispetta tuttavia una stringente
logica funzionale sia per la difesa, sia per il comfort dei residenti, dove la cortina
meridionale più bassa rispetta una logica di soleggiamento e di visuale, anche nell’ipotesi che, dall’impianto, esistesse un corpo di fabbrica a nord.
22
Gli spessori delle murature verso corte dei corpi esistenti ad inizio Ottocento
sono decisamente ridotti rispetto allo spessore sia delle cortine esterne, sia del muro
verso corte del “palazzo”. Notiamo infatti, in progressione di spessore, il muro verso
corte della manica nord, quello della manica sud e quindi quello del salone (oltre
la cortina esterna di spessore costante).
23
Queste ipotesi sono formulate solamente con l’obiettivo di sollecitare una
riflessione sul carattere progressivo di queste architetture che finiscono per apparire per secoli come luoghi di “lavori in corso”. Per una riflessione sul tema delle
trasformazioni delle strutture castellate cfr. G. CARITÀ, Il castello da struttura di
difesa a struttura residenziale. Alcuni esempi piemontesi tra XV e XVI secolo, in M.C.
VISCONTI CHERASCO (a cura di), Architettura castellana: storia, tutela, riuso, Atti
delle giornate di studio, Carrù, 31 maggio - 1° giugno 1991, Carrù 1992, pp. 65-79;
C. BONARDI, I castelli del Principato di Piemonte in rapporto al progetto filibertino di
difesa dello stato, ibidem, pp. 81-86.
24
Dopo un breve periodo di incertezza istituzionale, tra il 1431 e il 1438, con
l’esborso di 1700 ducati al marchese di Saluzzo, Antonio di Romagnano divenne
signore di Pollenzo ed i suoi discendenti ne furono feudatari sino al 1751. Una
cospicua documentazione, originale ed in copia autentica, delle vicende signoriali
di Pollenzo, a partire dai Porro, è in AST, Archivio Romagnano, art. 598, M. 1: si
citano alcuni documenti che appaiono particolarmente importanti, rimandando per
gli altri aspetti ai contributi di Egle Micheletto e Francesco Panero, infra: fasc. 7:
copia autentica e pergamena: Lorenzo Cane abate di Breme investe Antonio Porro
di vari diritti e beni in Polenzo, 8 maggio 1381; fasc. 1: 27 febbraio 1433: copia settecentesca e pergamena per procedere su procura di Filippo Maria Visconti a
Gaspare Visconti all’investitura del marchese Antonio di R. del feudo di Pollenzo;
copia settecentesca dell’«investitura conceduta dal duca Ludovico di Savoia del
feudo di Polenzo a favore del sig. Antonio dei marchesi di Romagnano», 4 nov.
1448; copia settecentesca «Testamento del sig. Antonio dei marchesi di Romagnano
primo acquisitor del contado di Polenzo et della signoria di santa Vittoria del 1479
5 aprile».
25
Questo camino, «di marmo bianco, che porta gli stemmi dei Romagnano e dei
Torelli, si trovava anticamente allogato nel castello di Pollenzo, feudo dei Romagnano. Il re Carlo Alberto, venuto in possesso di quel castello, donava questo
camino al marchese di Romagnano che lo poneva nel suo castello di Virle. Passò poi
questo in proprietà dei sigg. fratelli Vercellone, i quali donavano il camino al Museo
Civico…»: Museo Civico di Torino, Sezione arte Antica. Cento Tavole riproducenti
circa 700 oggetti pubblicate a cura della Direzione del Museo, Torino 1905, tav. 6.
La scultura compare in una scheda in L. MALLÉ, Le sculture del museo d’arte antica,
catalogo, Torino 1965, pp. 198-199 (fotografia a p. 210) ed è assegnata a «scultore
piemontese, secondo quarto del XVI secolo»; il rilievo si presenta in effetti in forme
abbastanza modeste in tutti gli elementi, capitelli, mensole, tralci negli intervalli tra
gli stemmi. La lettura iniziale degli stemmi – per cui ringrazio Luisa Clotilde
NOTE
Gentile – non lascia però spazio a datazioni così avanzate.
26
Cfr. E. ROMANELLO, infra, p. 57.
27
Per comprendere il complesso problema del ruolo che le strutture difensive
della feudalità medievale vengono ad assumere nello stato moderno perseguito da
Emanuele Filiberto cfr. BONARDI, I castelli..., p. 82.
28
AST, art. 755, M. P/2, f. 466 “Atti di visita…”: detti atti sono redatti nel 1756
dal notaio Brizio, con la presenza del giudice e delegato Laurenti, oltre che una
serie di periti in contraddittorio. L’inventario del 1590 è conservato nell’Archivio
Romagnano di Pollenzo presso l’Archivio Malabaila a Canale d’Alba, cat. QQ, M. 1°
ed è trascritto in BRUSSINO e MOLINO, Pollenzo..., pp. 192-195; le stanze nuove – non
è chiaro nel documento trascritto il livello al quale si collocano, ma presumo, si parli
di ambienti al piano della corte, in quanto vengono prima della «sala grande sopra la
sala grande» che è al primo piano presso lo scalone – sono elencate alle pp. 192,
«camera prima nova» e 193, «camera seconda nova».
29
Riferimenti specifici alla cultura artistica del tempo sono in G. ROMANO (a
cura di), Le collezioni di Carlo Emanuele I di Savoia, Torino 1995.
30
In tutti questi edifici compaiono grandiosi e sontuosi camini scolpiti in
marmo, nonché altri camini con cornici in stucco; cfr. G. CARITÀ, Geografia della
diffusione delle grottesche nel Piemonte occidentale tra Quattro e Cinquecento, relazione presentata al convegno di studi «Civiltà delle grottesche nel Piemonte sudoccidentale», castello della Manta, 7-8 giugno 1992, in corso di stampa.
31
Un documento rinvenuto nell’Archivio Romagnano di Pollenzo del castello di
Canale, cat. K, M. 34 (ed ora citato in BRUSSINO e MOLINO, Pollenzo..., p. 75), nonché il contenuto delle antiche testimonianze riportate in Sommario nella causa della
contessa Brigida Benedetta Matilde Valperga di Masino, vedova del conte Carlo
Giuseppe Romagnano di Pollenzo, erede universale usufruttuaria ... contro il conte
Gio. Lorenzo Romagnano di Pollenzo e il Regio Patrimonio, Torino 1731, confermerebbero questa ipotesi dell’aggiornamento architettonico e decorativo che avevo
avanzato, unicamente sulla base delle qualità stilistiche dei monumenti conservati
e degli apparati architettonici descritti negli Atti di Visita analizzati, e precisamente
agli anni attorno al 1570, e pertanto all’epoca di Giovanni Francesco Romagnano.
32
AST, Casa di S.M., M 2596: numerosissimi dati emergono dalla corrispondenza Fasolis-Intendenza del Patrimonio privato e principalmente dalla relazione
datata 27 febbraio 1834: «Real castello di Polenzo - Lavori eseguiti nell’anno 1833»
redatta dal Fasolis stesso.
33
Atti..., f. 24 v.
34
PAROLETTI, Viaggio...: nel disegno è raffigurato a quest’epoca anche lo
stemma affiancato dalle tigri riscontrato circa settanta anni prima e che era stato
mantenuto.
35
Atti cit., f. 48 v.
36
Cfr. dis. n. inv. 360, Castello di Masino cit.
37
Atti..., f. 25 v.
38
AST, art. 663, n. 64/1 [già art. 696], Regi poderi di Migliabruna, Steppe,
Bergamino e Pollenzo, Foglio 11, Castello di Pollenzo, Scala grafica di trabucchi
20 = cm 24,7, carta a china seppia e acquerello, cm 96 x 60, 22 giugno 1833,
22 giugno 1833, Pernigotti Ingegnere e Michela Ingegnere.
39
Atti..., f. 26 v.
40
Atti..., f. 27 v.: qui dobbiamo effettuare una prima riflessione sul concetto di
«piano terra» del castello, un livello che ritroveremo in tutto il seguito dell’analisi,
di fatto il piano accessibile dal ponte levatoio e quindi al di sopra del livello del fossato, ricavato nell’ampia scarpata che dal livello dell’attuale piazza della chiesa
scende al Tanaro. Ciò che verrà menzionato come «sotterraneo» è quanto situato nel
terrapieno tra questo piano terreno e i livelli, variabili, dei fossati.
41
Atti..., f. 28 v.
42
Atti..., f. 29 r e v.
43
Atti..., f. 31 r e v: le finestre di questo piano che si affacciano sul fossato sono
tutte descritte con «sua ferrata compita fatta a gabbia», certamente eredità della
fase più antica dell’edificio.
44
Atti..., f. 32 r: l’indicazione di un bianco di Serravezza è certamente data a
significare l’alta qualità del materiale impiegato, che agli occhi dei periti non appare locale.
45
Atti..., f. 33 r.
46
Atti..., f. 33 v.
47
Atti..., f. 34 r e v.
48
Atti..., f. 35 v.
Atti..., f. 36 r.
50
Atti..., f. 37 r.
51
Ibidem.
52
Atti cit., f. 37 v.
53
Atti cit., f. 38 r.
54
Atti cit., f. 38 v.
55
Atti cit., f. 39 r.
56
Atti cit., f. 39 v.
57
Ibidem.
58
Questi ambienti sono da assegnare agli interventi operati «attorno al 1720»,
così come documentato dall’Archivio Malabaila di Canale: BRUSSINO e MOLINO, Pollenzo..., p. 200.
59
Atti..., f. 40 v.
60
Atti..., f. 41 v.
61
Atti..., f. 42 r.
62
Atti..., f. 43 v.
63
Atti..., f. 44 r.
64
Atti..., f. 44 r. e v.
65
Atti..., f. 45 r.
66
Atti..., ff. 46 v, 47 r. La visita prosegue «all’ultimo piano di detto appartamento di mezo giorno» dove si vedono una serie di camere «a solaio», un poco più
in alto il «colombaio tra mezzogiorno e ponente… un piccolo ripiano con comodo
nella muraglia di ponente con sue sedile d’asse aperto…», e quindi «un transporto
[lo sporto su beccatelli e caditoie del cammino di ronda] per tutta l’estenzione della
muraglia di ponente». Al f. 48, r.: al livello del cammino di ronda «…si ha l’ingresso
nella penultima stanza di questo castello detta la prigione, qual stanza si vede sternita di mattoni a luogo a luogo guasti con solaro a due campi… Si vede in detta
stanza un fornello all’antica in stato mediocre… vi sono in essa due aperture di finestre, l’una a levante e l’altra a ponente munite di grosse ferrate…». La relazione di
visita descrive quindi le quattro campate di loggia sovrastante l’ingresso principale
su cui ci siamo già soffermati. La loggia, che a questo tempo presenta delle ringhiere
in ferro sul prospetto verso levante, fu poi tamponata, così come appare nel disegno
del Nicolosino. Riprende qui la descrizione degli ambienti superiori della torre
cilindrica percorrendo l’estradosso di una volta che copre la sottostante scala, per
cui si giunge in un ambiente con solaio ligneo in cui una scala a pioli sale al superiore cammino di ronda sovrastato dal «cupolino» con la bandiera. (ff. 48 v., 49 r.).
67
Atti..., f. 49 v.
68
È tradizione verificata la presenza di questi belvedere di origine cinquecentesca in molti castelli residenziali e palazzi piemontesi, basti considerare i castelli
di Ruffia, della Manta (di Michelantonio Saluzzo: cfr. CARITÀ, Le arti...), palazzo
Garneri di Cavallermaggiore, villa Belvedere di Saluzzo, ecc… La comitiva discende poi lo scalone interrotto e, dal pianerottolo, con una rampa di 16 gradini
giunge «sopra la volta delle galerie… qual si vede senza sternito» per visitare «due
camere inservienti di granajo», coperte da semplice solaio ligneo, una a «quattro
campi sostenuti da tre travi» e l’altra «a cinque campi sostenuto da quattro picoli
travi»: Atti..., f. 50 r.
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Atti..., f. 52 v. La visita continua nei giorni seguenti con la descrizione, sino
al f. 56 v, dei tetti del castello le cui condizioni appaiono spesso precarie.
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La forma architettonica descritta è esattamente, nel modulo compositivo,
quella che possiamo a tutt’oggi ammirare nel cortile del palazzo Garneri di Cavallermaggiore, eretto nel 1581, con arcate su pilastri al livello della corte e loggiati di
archi su colonne doriche, superiormente; all’interno è anche conservato un monumentale camino scolpito in marmo con una cappa in stucco recante lo stemma dei
Garneri, nella foggia di quello che abbiamo visto descritto per la sala maggiore di
Pollenzo: cfr. A. BONINO, Storia della città di Cavallermaggiore. L’arte, Cavallermaggiore, 1926, pp. 51-67 e foto del camino alla Tav. CVI; G. CARITÀ e E. GENTA, Percorsi storici, studi sulla città di Cavallermaggiore, Cavallermaggiore, 1990, passim.
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AST, Casa di S.M., M. 2596, 24 febbraio 1836, lettera del sovrintendente al
Cerrato: «fino dallo scaduto anno S.M. si degnò mettere a disposizione del signor
conte di Castiglione l’antico camino di marmo nero-bigio con cariatidi esistente
nella camera oscura della torre e con lettera del 7 marzo 1835 io ne dava avviso al
sig. Fasolis…» perché lo consegnasse e lo annotasse nell’inventario.
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