silvana abate - Sistema Bibliotecario Milano Est

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silvana abate - Sistema Bibliotecario Milano Est
Corso di scrittura creativa a base di ricette e ricordi…
Raccolta 2010
Comune di Inzago
Assessorato alla Cultura
Biblioteca civica
1
La necessità di scrivere viene celebrata dalla disposizione del lettore ad
accogliere pensieri, storie, esperienze sempre nuove.
L’incontro tra lo scrittore ed il lettore è un atto unico e meraviglioso.
Questo libro è frutto di uno splendido lavoro collettivo e dell’impegno di
Lea Maderna e della splendida docente Paola Buonacasa, alle quali va la
mia gratitudine.
Enrica Borsari
Assessore alla cultura
2
Inzago, Settembre 2010
Per qualche lunedì, a Inzago, in nome del “Ricettario della memoria” ci
abbiamo provato. Partendo da spunti comuni - i medesimi incipit, le stesse
richieste negli esercizi – siamo diventati di volta in volta donne
abbandonate, ippopotami felici, amanti travolgenti, bambini impauriti, ladri
di automobili e via di seguito in un viaggio in cui memoria e
immaginazione sono stati i nostri punti cardinali.
E' stato un bel percorso: che meraviglia constatare, una volta ancora,
come ognuno di noi immagini, elabori e scriva in modo così diverso e
unico.
Raymond Carver nel libro “Il mestiere di scrivere” cita e commenta per
alcune pagine una frase di Santa Teresa: “Le parole conducono ai fatti
(….) Preparano l'anima, la rendono pronta e la portano alla tenerezza”. Le
parole pensate, dette o scritte con consapevolezza svelano l'animo umano
e questo è ciò che è accaduto durante i nostri lunedì sera: voglia di
esserci, di mettersi in gioco e di... “regalarsi”. Sì, perché quando decidi di
scrivere accetti di aprirti agli altri cercando vie per comunicare, per
lasciare un segno, una traccia. Come questa raccolta, un progetto nato
piano, con calma, che oggi possiamo sfogliare toccando con mano uno
degli infiniti modi in cui “le parole conducono ai fatti”.
Complimenti e... alla prossima.
Paola Buonacasa
3
INDICE
Silvana Abate…………………………………………………………………………..pag. 5
Angela Casoni………………………………………………………………………….pag. 11
Silvia Fumagalli……………………………………………………………………….pag. 15
Anna Giglio………………………………………………………………………………pag. 19
Elena Gorla……………………………………………………………………………..pag. 23
Maristella Maggi……………………………………………………………………..pag. 27
Anna Marson………………………………………………………………………….pag. 33
Bianca Medaglia……………………………………………………………………..pag. 37
Emiliana Perego……………………………………………………………………..pag. 41
Stefania Pirovano…………………………………………………………………..pag. 45
Nadia Rivoltella………………………………………………………………………pag. 49
Luigi Stompanato…………………………………………………………………..pag. 55
Michael Tognoli
…………………………………………………………………..pag. 61
4
SILVANA ABATE
Esercizio
Sono settimane che aspetto questo telegramma e ora che è
arrivato, non oso aprirlo. Me lo manda mio marito e so cosa dice:
“Vengo a prenderti”.
Partendo da questo incipit prova a scrivere: un testo di 500 caratteri e
un testo di 1000 caratteri
Elaborato da 500 caratteri
La felicità esplode in me come una Nova. La stanza in cui mi trovo ha una grande parete
nascosta da una libreria, colma fino al soffitto dei suoi amati libri. Lo vedo sfogliarli,
leggerli od accudirli come bambini, con amore, liberarli dalla polvere, incerarne dorsi e
copertine, curare le ferite del tempo con piccoli interventi di restauro. Io, da quando lui è
partito, li sfioro solo di tanto in tanto, come per una carezza. Oggi, a braccia larghe come
per stringerli a me, mi accosto e sussurro: “Ragazzi torna, viene a prenderci”. Un rumore
fastidioso, la Nova si spegne, gli occhi si aprono. Come ogni mattina a prendermi solo la
nostalgia.
Elaborato da 1000 caratteri
Con viso compunto Rosa porge il foglietto giallo, piegato e chiuso, al commissario che la
sta fissando in silenzio. In piedi davanti a lui ondeggia leggermente, come in cerca di un
maggiore equilibrio. Gli sorride, timida. “Ho paura, molta paura, commissario. Mio marito
è geloso e violento. Vorrà vendicarsi! Avrà saputo che, durante la sua latitanza, mi sono
innamorata di un altro. Ma ora è tutto finito… ero sola, disperata. Commissario, la prego,
mi aiuti!”. Il sorriso non impedisce alle lacrime di correrle sul viso, come quando piove
pur se brilla il sole. Il commissario legge il telegramma: “Comunichiamo decesso signor
XY causa incidente. Segue lettera.” Alza gli occhi, dopo una breve pausa, guarda Rosa e,
pacato, dice: “Non abbia paura signora. D’ora in avanti avrà me al suo fianco.” Il
commissario si mette il telegramma in tasca.
5
Esercizi
Descrivi te stesso a uno sconosciuto (500 caratteri)
Come ci si può descrivere, quando non si ha una visione chiara di sé stessi? È
imbarazzante e difficilissimo. “Non sono bella, non sono alta, non sono magra, non sono
giovane. Sono testarda, sono orgogliosa, sono curiosa, quando mi arrabbio balbetto.” “Un
bel concentrato di negatività. Dimmi di più.” “Non so dire di più.” È che non voglio.
Raccontarsi è come denudarsi l’anima: può essere osceno con uno sconosciuto. Non
saluto, chiudo e vado a dormire. L’indomani un messaggio: “Ho capito. Hai ragione tu.
Lasciamo sia il tempo a svelarci.” Sorrido. Che bella giornata!
Descrivi te stesso a tuo padre (500 caratteri)
Benché da tanto tempo tu non ci sia più, ho deciso di parlarti di me, di raccontarmi.
Potevo farlo quando eri vivo, ma allora ascoltarmi era l’ultimo dei tuoi pensieri. Sorridevi
solo a mia sorella, con lei eri padre affettuoso e condiscendente. Se sbagliava, la colpa
era mia. “Sei la maggiore, ne sei responsabile.” Due anni di differenza tra noi! Così,
quando tu eri in casa, mi nascondevo nel silenzio. “Quella bambina ha sempre la funcia,
sembra una mummia.” Quante, troppe volte, hai detto queste parole. Quella bambina
aveva un nome, ma tu mi negavi anche quello. Un giorno il miracolo: ho smesso di
ascoltarti e mi sono salvata. Ridere, scherzare, vivere gli altri mi hanno resa ricca: ho
tanti amici. Ci tenevo a dirtelo!
6
Esercizi
Descrivi un odore/sapore in prima persona (300 caratteri)
LA NONNA
La sua pelle emanava un odore fresco, penetrante, pulito, ma anche goloso e zuccherino
che mi spingeva a mordicchiarle le guance, a strofinare il mio viso nell’incavo del suo
collo, facendo quanto di più simile alle fusa riesca ad un bambino. Era di Parma la mia
nonna pasticcino e profumava di violette, fiori che abilmente candiva, ricchi di un’essenza
dolce e densa all’odorato, amarognoli e leggermente piccanti al gusto. Di quel profumo e
di quel sapore è intrisa la mia infanzia.
Descrivi lo stesso odore/sapore come pensi lo senta un
ippopotamo, (300 caratteri)
L’IPPOPOTAMO E LA NIPOTE
La guardiana dello zoo è una giovane donna, piccola, rotondetta, allegra, profuma di
violette che, spesso, succhia golosa. Ha una particolare simpatia per il giovane
ippopotamo. Quel mattino è inquieto, la scruta e pedina con lo sguardo, alza il capo
rivolgendo al cielo un suono acuto che sembra una preghiera. Forse l’aria, oggi colma del
sensuale profumo delle viole, a lui risulta disgustosa e dà un sapore nauseabondo anche
al suo cibo, che infatti non ha toccato. La guardiana, mentre si allontana sgranocchiando
un’altra violetta, pensa: si abituerà.
Descrivi lo stesso odore/sapore come se tu fossi un ippopotamo
(300 caratteri)
L’IPPOPOTAMO
Mi piace tutto di lei. È tonda tonda, ben in carne e le sue collinette posteriori ondeggiano
succose se cammina. Quando passa accanto alla pozza fangosa, dove sto immerso tutto il
giorno, lascia una traccia odorosa eccitante, che mi fa ribollire il sangue e dilatare le
narici, inebriandomi. Questa sera l’aria è impregnata del suo odore. Una distesa di
fiorellini scuri l’ha catturato ed io, come impazzito, inizio a brucarli, brucarli, divorandoli
tutti. Poi, sopraffatto dal loro sapore “ non buono”, mi abbatto su un fianco e vomito. Lo
diceva il nonno: l’amore può uccidere.
7
Esercizio
Prova a dar vita al tuo piatto del “cuore” scrivendolo e raccontandolo
insieme ai ricordi, luoghi e avvenimenti che l’hanno accompagnato
POLENTA GIALLA, POLENTA NERA
Luglio 1943. La breve strada che dal paese conduceva alla nostra casa di sfollati, oltre si
perdeva nei prati orlati da grandi alberi di gelso. Più che una strada era un viottolo: su
un lato le case, sull’altro un muretto che costeggiava una roggia. Seduta su quel muretto,
le braccia tese dietro la schiena, i palmi poggiati sulla pietra, il viso rivolto al sole, a piedi
nudi, una ragazzina più o meno della mia età. Teneva le palpebre serrate per riparare gli
occhi dalla luce accecante del sole, già alto nel cielo del mattino. Dormivano tutti: sveglie
MariaRosa ed io. Diventammo amiche.
Novembre 1943. Per cucinare la polenta tutti avevano un paiolo di rame. Noi di ghisa. Per
questo forse la crosticina bruciacchiata che, a fine cottura, lo foderava, era così buona.
Sapeva appena di affumicato ed anche mamma ne mangiava volentieri qualche croccante
pezzetto, dopo aver rovesciato il sole giallo della polenta su un grande tagliere di legno,
coperto da un tovagliolo di bucato. Una sera molto fredda, con l’umido gelo della nebbia
ad orlare di perline d’acqua i capelli e ad appesantire gli abiti, MariaRosa mi cercò.
Faticavo ancora a capire il dialetto della valle bergamasca dove mi trovavo, soprattutto
parlato da lei, con voce roca che sembrava sfiatare lateralmente dalle labbra immobili.
Voleva mostrarmi qualcosa. Mamma disse va bene ed io la seguii, quasi camminandole
sui calcagni. Era buio pesto, nemmeno una stella in cielo, nessuna luce sulla strada.
MariaRosa era un vero gatto selvatico, non solo perché vedeva al buio, ma per come
rizzava il pelo quando si arrabbiava e soffiava. Lo so che non aveva il pelo, ma io così la
vedevo ed un poco la invidiavo perché i ragazzotti del paese la temevano e le ubbidivano.
Mi condusse a casa sua, non lontano dalla mia. Pareti di pietra grigia, tetto dello stesso
materiale, il bosco alle spalle. Non aveva un portone di ingresso ma un alto arco scuro
che recava in un cortile dove davano la stalla, la rimessa del carro per il fieno, il pollaio,
la conigliera e lo sgabuzzino di legno del gabinetto. In un angolo tre gradini, l’accesso a
una grande cucina spoglia, dominata da un enorme camino sempre acceso: scaldava, ma
soprattutto serviva per preparare piccole formaggelle che i genitori di MariaRosa
vendevano ai milanesi scappati dalle bombe. L’unica volta che ero stata in quella casa
avevo visto, seduta all’interno del camino, una donnina rattrappita, vestita di nero, i
capelli nascosti da un fazzolettone pure nero, legato sotto il mento. Non parlò né rispose
al mio saluto, solo mi guardò fisso con piccoli occhi tondi e lucidi come i bottoni delle mie
scarpe alla bebè. Quella sera il camino era vuoto. MariaRosa mi precedette lungo una
ripida scala di legno che penetrava il soffitto affrescato dal fumo. Al piano superiore un
breve corridoio e due camere da letto. Lì il freddo era intenso. Un ruscello d’aria diaccia
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scorreva lungo le mie gambe nude e a poco servivano i corti calzini di cotone. Veniva da
una minuscola finestra spalancata: un chiarore fioco, palpitante come una presenza viva,
la disegnava sul muro dove poggiavano le dense ombre del corridoio. Mi ero inchiodata al
pavimento. MariaRosa mi trascinò a forza in una delle stanze: su un grande letto, alto da
terra, giaceva una persona. Era vestita di tutto punto, comprese le scarpe, e questo mi
stupì molto. Riconobbi la nonna della mia amica che, con gli occhi chiusi, mi sembrò
innocua. Altra cosa curiosa il fazzoletto legato non più sotto il mento ma sulla testa.
MariaRosa si allungò sul letto e con l’indice premette la punta del naso della nonna poi,
con un cenno, mi invitò a fare altrettanto. Sentii che era duro e freddo e non si
schiacciava. Ci guardammo, sbottammo a ridere e via di corsa. In cucina la sua mamma
stava scodellando, al centro del tavolo nudo, una massa molto scura, soda e fumante.
“Resta con noi, c’è la polenta” mi disse. Guardai diffidente: non riconoscevo come polenta
quel che vedevo. MariaRosa mi passò una scodella colma di latte freddo ed un cucchiaio.
Sapevo che, per la morte di un parente, alcuni cucinano cibi particolari così pensai che
quella nera cupola a me ignota fosse -la polenta da lutto- . Non potevo rifiutarmi.
L’assaggiai, scoprii che era buona e mangiai di gusto. Solo molti anni più tardi seppi di
avere mangiato la polenta nera, tutta di grano saraceno, il solo che cresce in montagna.
L’indomani raccontai ogni cosa alla mamma: della nonna morta, delle scarpe, del
fazzoletto, della polenta. Tacqui il particolare del naso. Mentre mi ascoltava iniziò a
preparare la torta da noi detta “ il segreto di famiglia”. Pronta che fu, la portai a
MariaRosa. La guerra mordeva duro e quella fu l’ultima volta che mamma la cucinò.
Oggi io l’ho cucinata per voi.
9
ANGELA CASONI
Esercizio
Sono settimane che aspetto questo telegramma e ora che è
arrivato, non oso aprirlo. Me lo manda mio marito e so cosa dice:
“Vengo a prenderti”.
Partendo da questo incipit prova a scrivere: un testo di 500 caratteri e
un testo di 1000 caratteri
Elaborato da 500 caratteri
Non lo apro, lo lascio sul comodino e getto nella sacca le mie quattro cose. Voglio
andarmene in fretta, prima di incontrare il suo sguardo profondo che mi fa venire un
nodo allo stomaco. Non mi convincerà a tornare tra quelle mura soffocanti: è difficile
amare nelle ristrettezze. Chiederò all’elegante signore in BMW conosciuto ieri sera di
venirmi a prendere. Uno sguardo al copriletto scolorito e alle tende di plastica e chiudo la
porta con decisione.
L’indomani, l’inserviente curiosa legge un telegramma dimenticato e pensa alla donna
fortunata che l’ha ricevuto: “Torna amore stop vinto superenalotto”.
Elaborato da 1000 caratteri
Le prime volte passava solo qualche giorno prima che mi cercasse, ora mi fa attendere
più a lungo, quasi fosse una punizione. Qui ormai mi conoscono, mi guardano con un po’
di pena sia all’arrivo che alla partenza: per quando succede, ho scelto un luogo anonimo
dove rifugiarmi, sempre lo stesso, mi dà una sicurezza momentanea. Lui sa dove sono e
sa anche che la mia ribellione dura poco perché non possiamo fare a meno dei rari
momenti di tenerezza che ci legano ancora. Una telefonata mi avviserà che c’è qualcuno
per me nella hall e io mi precipiterò giù col solito sorriso stampato e lui sarà lì, in piedi,
un po’ impaziente, un po’ irritato. Lo specchio riflette una signora ancora piacente, con i
capelli che ricadono su metà del viso, occhiali scuri e trucco pesante che non mi si addice,
ma adatto a nascondere il grosso ematoma che ancora si intravede vicino alla tempia. Mi
siedo sulla poltroncina e mi abbraccio le spalle con un piccolo brivido, fuori c’è un bel
vento di primavera: mi domando quando riuscirò a volare se sono io stessa a
nascondermi in un bozzolo, povera farfalla al contrario, consapevole di oppormi da sola
alla mia libertà.
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Esercizi
Descrivi te stesso a uno sconosciuto (500 caratteri)
Signora interessata piacevoli passatempi quali viaggi, ballo, teatro, lettura cerca amica di
penna per condivisione tempo libero e scambio opinioni argomenti vari. Carattere
affettuoso, amo specialmente bambini, anziani e animali. Parlo molto e ascolto quando
affetta da irritazione alle corde vocali. Autonoma, con auto, disposta ad incontro in orario
compatibile con babysitteraggio nipoti. Segno di riconoscimento inutile per notevoli
dimensioni fisiche.
Descrivi te stesso a tuo padre (500 caratteri)
Mi ricordo che di notte avevo paura e mi tenevi la manina nella tua, grande, calda e
rassicurante; da adolescente ribelle mi sgridavi per i miei comportamenti provocatori: mi
dicevi che non sapevo nulla della vita e l’ho imparato presto lontano dalla tua protezione;
per te sono rimasta sempre “la piccola” anche se avevo cinquant’anni e mi chiedevi dove
andavo, a che ora tornavo e “mi raccomando, telefona”; non ti sei accorto che, per quella
vita da cui mi difendevi e che mi ha spesso ferita, mi ero costruita uno scudo su cui far
scivolare le amarezze che non ti ho mai raccontato per non preoccuparti e per ricambiare
così la tenerezza che mi hai donato.
Esercizi
Descrivi un odore/sapore in prima persona (300 caratteri)
Come mi piace l’odore dell’erba bagnata, tagliata da poco o dopo un temporale, così ricco
di umori che si sprigionano dalla terra! Mi fermo sul bordo del prato e assaporo ad occhi
chiusi il profumo di cocomero, di frutti aperti, freschi e sugosi. Mi chino a raccogliere uno
stelo che mordicchio con cura, affatto delusa dal suo gusto.
Descrivi lo stesso odore/sapore come pensi lo senta un
ippopotamo, (300 caratteri)
Con uno sbuffo, espose le narici dilatate fuori dall’acqua per sentire se il vento ancora
fresco del mattino lasciasse dietro di sé qualche allettante odore di cibo. Scosse le piccole
orecchie e si diresse pesantemente verso la riva fangosa. Stava diventando sempre più
difficile alimentarsi non troppo lontano dal fiume, nell’attesa del monsone carico di
pioggia che avrebbe trasformato le zolle aride della savana in una distesa di erbe e fiori
fragranti.
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Descrivi lo stesso odore/sapore come se tu fossi un ippopotamo
(300 caratteri)
Beh! Devo ammettere che il profumo non è male, ma con la boccuccia che mi ritrovo,
quanto dovrò camminare per riempirmi la pancia? Altro che ippo, con queste zampe
corte, faccio una fatica! E poi non c’è confronto con le tenere alghe del fiume, inodori sì,
ma deliziose quando mi solleticano durante le mie evoluzioni subacquee.
Esercizio
Prova a dar vita al tuo piatto del “cuore” scrivendolo e raccontandolo
insieme ai ricordi, luoghi e avvenimenti che l’hanno accompagnato
RICETTARIO DELLA MEMORIA
Nella religione ebraica, l’inizio e la fine di una festività cadono sempre di sera, dopo il
tramonto. La cerimonia religiosa si svolge in Sinagoga, ma poi, date le antiche
persecuzioni, prosegue in casa dove si conclude con una cena: allora il cibo kasher (=
regola)
costituisce
una
componente
simbolica
per
mantenere
viva
una
cultura
plurimillenaria, quindi non è più solo un necessario e primordiale mezzo per vivere, ma si
trasforma in un elemento essenziale e sacrale di tutti i riti, se pur con delle varianti, per
la lenta assimilazione degli usi dei territori in cui ci siamo stanziati dopo la diaspora.
Per preparare la festa, ho iniziato da qualche giorno la pulizia della casa perché non deve
esserci in giro nemmeno una briciolina di pane; ieri invece ho cotto le uova sefardite (da
Sefarad = Spagna) con le bucce di cipolle rosse che le renderanno simili alle uova di
cioccolato; per le torte, prima di infornarle, ho tritato la frutta secca e, non potendo usare
il lievito, ho impastato e lavorato molto energicamente di polso e di gomito i tuorli e gli
albumi in modo da renderli spumosi e gonfi e ricavarne così dolci soffici che si
scioglieranno in bocca.
A questi avvenimenti partecipano in tanti tra amici e parenti, la casa si riempie di gente e
la porta resta aperta anche per l’ospite che giunge inatteso. Iniziano ad arrivare gli
invitati: qualcuno si accomoda in soggiorno, altri prendono una seggiola e si trasferiscono
in cucina a chiacchierare tra il profumo dell’arrosto mentre io e mia figlia ci sorridiamo,
quasi in un gioco, e, con le mani impiastricciate, arrotoliamo velocemente le albondigas
(= palline) di farina di azzime da tuffare nel brodo bollente.
I bambini corrono allegri per la casa, la più piccola sta sdraiata sulla pancia del nonno e
con un ditino cerca di afferrargli la barba bianca; un altro mi strattona il grembiule
perché ha fame: si cenerà tardi e, nell’attesa, ci si può anche concedere un biscottino. Ad
un cenno di mio marito, interrompiamo ogni altra attività e ci sediamo intorno alla lunga
tavola imbandita in precedenza per iniziare il Seder di Pesach (= ordinamento di Pasqua);
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il commensale più giovane chiederà: “Perché questa sera è diversa dalle altre sere?” e noi
staremo appoggiati al gomito sinistro (= usanza greca e romana degli uomini liberi) ad
ascoltare l’Haggadah (= racconto), la storia risaputa, ma mai noiosa, dell’uscita degli
Ebrei dall’Egitto. Alla distribuzione e condivisione del pane azzimo, del vino, delle erbe
amare e dell’haroset (= composta di frutti della terra) guardo i gesti rituali del
capofamiglia che si ripetono invariati nei secoli; anche i cibi che assaggiamo sono gli
stessi, con le ricette che si tramandano da madre in figlia e io sono orgogliosa di aver
contribuito alla loro preparazione.
Ogni volta si rinnova in me la sensazione di assistere ad un evento straordinario e
miracoloso: malgrado le persecuzioni e l’olocausto (la più terribile) siamo qui a ricordare
a noi stessi e agli altri chi siamo, da dove veniamo, quali sono le nostre radici, con la
certezza che qualcuno continuerà la tradizione come abbiamo fatto noi.
I visi dei bambini sono felici e sereni: tra poco ci sarà la battaglia delle uova e poi si
consumerà la cena vera e propria con i cibi profumati di spezie esotiche dolci e forti,
d’altri tempi: il coriandolo, il cumino, lo zenzero, la cannella. E tutto sarà condito col
calore speciale dell’affetto, dell’amicizia e della famiglia riunita. Un angolo della mente
vola verso altri luoghi, altri modi di vivere, in una dimensione diversa e lontana dalla
quotidianità, che ti dona la consapevolezza di far parte di qualcosa di emotivamente
grande.
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SILVIA FUMAGALLI
Esercizio
Sono settimane che aspetto questo telegramma e ora che è
arrivato, non oso aprirlo. Me lo manda mio marito e so cosa dice:
“Vengo a prenderti”.
Partendo da questo incipit prova a scrivere: un testo di 500 caratteri e
un testo di 1000 caratteri
Elaborato da 500 caratteri
Lo conosco troppo bene: sempre pronto ad intervenire, con impulsività. Forse stavolta è
stato anche fin troppo riflessivo, visto che è ormai da un po' di tempo che gli parlo del
mio disagio. Cosa posso fare? Fuggire da questo Paese straniero, così lontano dalla mia
vita, dalla mia famiglia e dalla mia cultura, oppure tenere duro e attendere che l'azienda
mi proponga una nuova destinazione?
Ancora un momento Marco, ho bisogno di riflettere.
Il tempo di una sigaretta e poi lo giuro, mi decido.
Elaborato da 1000 caratteri
Non voglio tornare alla realtà. Proprio ora che comincio a capire che ciò che più conta
nella mia vita sono io, con i miei sogni, le mie ambizioni, le mie debolezze.
Da quando me ne sono andata non ho più voluto sentire nessuno, nemmeno Marco, mio
marito: ci sarà poi il tempo per chiarirci; per ora non voglio interferenze.
La fuga non è soltanto vigliaccheria, è anche un segno di coraggio. Per anni ho accettato
di essere "la moglie di", ora voglio essere semplicemente una donna adulta, di 43 anni,
con un ricco bagaglio di esperienza e tanta voglia di cambiare.
Non voglio cedere, ma quel telegramma abbandonato mi obbliga nuovamente a fare i
conti con il mio senso di responsabilità; quindi apro il foglio di carta gialla su cui leggerò
quelle poche parole che trasformeranno la mia scelta semplicemente in una breve pausa.
"Solo per dirti che ti amo. Marco"?
Il foglio mi cade dalle mani ed io mi lascio scivolare sul letto, con lo sguardo perso nel
vuoto, esausta e disarmata.
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Esercizi
Descrivi te stesso a uno sconosciuto (500 caratteri)
Ventotto anni, capelli castani, occhi verdi (ma non troppo), altezza nella media. Questo in
breve il mio aspetto fisico.
Sono una persona riservata, ma non per questo timida. Amo la compagnia, ma non
disdegno la solitudine, situazione ideale per rilassarsi, riflettere e coltivare i miei
interessi: leggere, scrivere, ma anche correre e nuotare. In fondo poi parlare di un libro
può essere un ottimo argomento per conoscere una persona e correre in compagnia è più
divertente ed è anche un valido stimolo per migliorarsi.
Descrivi te stesso a tuo padre (500 caratteri)
Ho il cuore spezzato, papà, ma sto imparando a convivere con la malinconia e mi sono
scoperta più forte di quanto pensassi. Quando te ne sei andato, quattro anni fa, ti sei
portato via la parte più spensierata di me; tuttavia ho ancora fiducia nella vita. Inseguo i
miei sogni, le mie ambizioni, restando sempre con i piedi per terra, come mi ha insegnato
tu. Ho la sensazione che saresti orgoglioso di me, se tu fossi qui, ed è proprio questo
pensiero che, ogni giorno, mi aiuta a vivere.
Esercizi
Descrivi un odore/sapore in prima persona (300 caratteri)
IL SAPORE DELLA MERINGA IN PRIMA PERSONA
Inizialmente croccante e poi friabile, come mia madre, tanto determinata nel dirmi "no",
quanto morbida nel concedermi quel frammento di Paradiso. La dolcezza della meringa
era per me una carezza per il palato ed è per me, oggi, una carezza per lo spirito, in
grado di risvegliare ricordi lontani, in un'armonia di sensi.
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Descrivi lo stesso odore/sapore come pensi lo senta un
ippopotamo, (300 caratteri)
IL SAPORE DELLA MERINGA COME PENSO LO SENTA UN IPPOPOTAMO
L'ippopotamo si avvicina incuriosito alla meringa e la inghiotte senza esitare. La bocca si
apre e si richiude, le minuscole orecchie si muovono senza sosta, gli occhi si alzano al
cielo, con aria sognante, quasi umana. Sembra apprezzare l'inaspettato dono. Ma
all'improvviso si arresta, rimane immobile e si allontana.
Descrivi lo stesso odore/sapore come se tu fossi un ippopotamo
(300 caratteri)
IL SAPORE DELLA MERINGA COME SE IO FOSSI UN IPPOPOTAMO
Mai visto nulla di simile. Uno strano frutto, con un profumo lieve ed invitante. Non so
resistere. La consistenza di un fiocco di neve che si sgretola sul palato, la dolcezza del
latte materno... All'improvviso il ricordo delle raccomandazioni della mamma, le trappole
dei cacciatori: l'amaro sapore della paura.
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ANNA GIGLIO
Esercizio
Sono settimane che aspetto questo telegramma e ora che è
arrivato, non oso aprirlo. Me lo manda mio marito e so cosa dice:
“Vengo a prenderti”.
Partendo da questo incipit prova a scrivere un testo di 1000 caratteri
Questa notizia fa riaffiorare un ricordo. Nell’estate del… decisi di trascorrere una
settimana delle mie ferie senza mio marito ma con due colleghe insegnati. Le avevo
conosciute
separatamente,
la
prima
lavorando
nella
scuola
dell’infanzia,
l’altra
frequentando il corso abilitante per la scuola primaria. E proprio lì diventammo un tiro
che si spostava con la mia auto. Le colleghe avevano qualcosa che le accomunava: erano
vedove, poverine!
Stava nascendo una bella amicizia! Partimmo per la vacanza e… accadde che ogni volta
che mio marito telefonava, puntualmente loro commentavano:”ma tu hai OSCAR!” una
frase fuori luogo che gettò un’ombra di dubbio sulla qualità del rapporto di amicizia… Poi
il telegramma cosi come adesso e un sospiro di sollievo: finalmente torno a casa! Una
settimana allora, tre settimane adesso, ma quando imparo a verificare la sincerità delle
persone prima di dare tanto del mio cuore? MAI!
Esercizi
Descrivi te stesso a uno sconosciuto (500 caratteri)
Ci si può separare da tutto, ma dalle proprie radici, no! Questo pensiero lo rivolgo allo
sconosciuto lombardo che ho sposato tanti anni fa; nel tempo ha cercato di capire la mia
cultura, il mio modo di vedere e pensare la vita, gli altri. In tanti anni vissuti lontano
dalla mia Calabria, ho appreso usi, costumi diversi dei miei ma ho imparato a rispettarli,
tanti li ho fatti miei.
Anna ha bisogno solo di rispetto, amore possibile solo con la condivisione della propria
storia, poi è facile riconoscersi.
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Descrivi te stesso a tuo padre (500 caratteri)
Sono passati tanti anni. Da giovane avevo un sogno: partire e trovare lavoro che nella
mia terra scarseggiava. L’ho realizzato, ma quanto mi è costato. Con la morte di mio
padre, così inaspettata, non solo è cambiato il corso della mia vita ma anche dell’intera
famiglia. Il suo amore continua ad accompagnarmi. La sua saggezza e comprensione,
ancora viva nel ricordo, mi seguono nelle scelte di ogni giorno e addolciscono il dolore di
averlo perso ancora così giovane…
Grazie di tutto papà caro…
Esercizi
Descrivi un odore/sapore in prima persona (300 caratteri)
Ero in Sicilia, da Mimma, che abitava in una casa immersa nel verde ai piedi di un’alta
collina e circondata da vigneti, uliveti e aranceti. Un mattino suo padre mi condusse in
un aranceto, colse un’arancia e me l’offrì. La sbucciai, aveva un profumo penetrante,
pungente. Ne mangiai uno spicchio polposo, succoso, aspro ma gradevole. Chiusi gli occhi
e percepii quella terra e i suoi tesori!
Descrivi lo stesso odore/sapore come pensi lo senta un
ippopotamo, (300 caratteri)
Un ippopotamo è immerso nel fiume africano. Si compiace nella frescura delle acque,
pensa che se potesse gustare qualcosa di esotico non sarebbe male! Sbadiglia pigro, vede
il battello che passa poco lontano, si accorge poi che c’è qualcosa che vola verso di lui,
apre di più la bocca e l’afferra! È un’arancia, il frutto esotico! Gli è proprio piaciuta! No…
Troppo aspra! La sputa disgustato!
Descrivi lo stesso odore/sapore come pensi lo senta un
ippopotamo, (300 caratteri)
Sono con alcuni amici ippopotami, viviamo lungo un fiume africano. Ho una testa
enorme, una grande bocca, sono pigro, mi piace mangiare bene, adoro i frutti esotici, mi
piacciono le arance siciliane! C’è un battello nel fiume, ecco vedo un’italiana che mangia
qualcosa… noooo! Arance! Ehi, me ne butta una, la prendo al volo, uhm! Buona,
profumata, un po’ aspra però, ma così esotica!
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Esercizio
Prova a dar vita al tuo piatto del “cuore” scrivendolo e raccontandolo
insieme ai ricordi, luoghi e avvenimenti che l’hanno accompagnato
Credo che la capacità culinaria che viene messa sul piatto racchiude la storia del sapore
di ogni famiglia e della terra in cui vive.
In Calabria, ancora oggi, ad iniziare dai primi giorni d’agosto, molte famiglie mantengono
la tradizione di preparare in casa passate, salse o pelati di pomodoro e anche i pomodori
essiccati al sole.
Quest’ ultimo prodotto culinario si inserisce tra quelli che si possono definire stuzzicherie
da antipasto, ma che da noi sono speciali anche come spuntino pomeridiano, come
corroborante in quei giorni invernali quando il freddo è pungente…
Come si preparano?
Bisogna utilizzare pomodori rossi, ben maturi; si tagliano a metà e si mettono ad
essiccare, cosparsi di sale fino, al sole su dei trespoli di canne.
Dopo essiccati si aromatizzano con: aglio, peperoncino fresco piccante, mentuccia,
origano, olio di oliva, conservandoli in barattoli di vetro ermeticamente chiusi.
Da quando vivo al nord ho provato ad essiccarli, ma non ci sono riuscita. Manca quel sole,
quell’aria asciutta, profumata di mare e senza umidità… così acquisto al supermercato
quelli già essiccati, e poi li insaporisco con gli aromi del nord e il cuore del sud!
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ELENA GORLA
Esercizi
Descrivi te stesso a uno sconosciuto (500 caratteri)
In una camera accogliente, una ragazza che indossa vestiti di colore blu sta leggendo un
libro, sembra assorta, il capo chino sulle pagine. Non è dato sapere se un sorriso darà
luce al suo volto, non è possibile capire se la compostezza che la connota abbia radici
nella sua vita interiore…
Non amo descrivermi, possiedo poche fotografie che mi ritraggono, la “Ragazza in blu che
legge” è il titolo di un dipinto di August Macke che conservo tra i miei files preferiti, e
che, semplicemente, ho denominato: “Io”.
Descrivi te stesso a tuo padre (500 caratteri)
Ho i miei anni, hai i tuoi tanti anni: la consapevolezza del tempo che scorre cede il passo
dinnanzi alle tante “epoche della nostra vita”. Tu hai sempre amato i numeri, i calcoli
matematici, la simmetria degli elementi architettonici, io amo le parole, la poesia, la luce
tenue della sera.
Non voglio perdermi in scontate contrapposizioni edipiche, poiché so di essere, almeno in
parte, una piccola porzione della tua essenza. Tra noi, il gioco di specchi - talvolta amari
e infranti, talvolta splendenti - può descrivere, più delle parole, ciò che io sono…
Esercizi
Descrivi un odore/sapore in prima persona (300 caratteri)
Amo il profumo della rosa perché non si diffonde intensamente nell’aria, ma si raccoglie
nel cuore del fiore come un segreto da svelare. La sua nota lieve e persistente è come la
trama quasi immateriale della seta, che avvolge con grazia e leggerezza. Il profumo di
una rosa è per me una gioia quieta, che scioglie i nodi della mia anima…
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Descrivi lo stesso odore/sapore come pensi lo senta un
ippopotamo, (300 caratteri)
Le rose non sono conosciute come alimento o attrattiva per gli ippopotami, tuttavia la
dimensione dell’individualità si connota talvolta con tratti atipici, rispetto alla specie.
Ricordo un ippopotamo in cattività, chinato su un bocciolo di rosa: la situazione mi stupì
molto, ma non credo che quell’animale potesse apprezzare una rosa con modalità
tipicamente umane, piuttosto penso che la rosa fosse equiparata da lui ad un qualsiasi
altro vegetale edibile.
Descrivi lo stesso odore/sapore come se tu fossi un ippopotamo
(300 caratteri)
Anni fa, una mia amica, dopo un lungo periodo di prigionia in Italia, mi raccontò di avere
sentito il profumo di una rosa, poiché gli umani gettavano spesso oggetti di vario tipo agli
animali esposti. La descrizione di quel profumo puro e delicato mi sconvolge ancora:
immersa in queste acque torbide, dove tutto mi appare viscido e sporco, il profumo di
una rosa sarebbe uno squarcio azzurro nel cielo plumbeo, un piccolo pezzo di libertà tutto
per me…
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Esercizio
Prova a dar vita al tuo piatto del “cuore” scrivendolo e raccontandolo
insieme ai ricordi, luoghi e avvenimenti che l’hanno accompagnato
CON TE
“È arrivata? A che ora arriverà?”. Ripetevo
le stesse domande continuamente,
guardavo la porta e sostavo nelle vicinanze perché per prima volevo accogliere la nonna,
che, come ogni anno, avrebbe trascorso con noi l’inverno.
La mia impazienza e la mia felicità non erano arginabili: sapevo che l’avrei ascoltata
per ore, mentre cuciva o creava elaborate coperte, sapevo che i grigi pomeriggi d’inverno
avrebbero assunto i colori dell’avventura grazie ai racconti della sua giovinezza…
Attendevo il momento in cui, entrata in casa, avrebbe aperto la sua borsa nera e,
come per incanto, numerosi dolcetti al cocco si sarebbero materializzati nelle sue mani:
durante l’infanzia il Paradiso è facilmente accessibile, pochi dolci dal sapore inconsueto
erano l’occasione per vivere una gioia intensa e incurante di ogni altra cosa. Afferravo il
sacchetto di carta e tutti i dolcetti, inesorabilmente, uno dopo l’altro, mi invadevano con
la loro bontà troppo effimera… Per un magico momento il sapore del cocco sembrava
annullare tutti i miei pensieri ed avvolgermi con il fascino inafferrabile di mondi
sconosciuti e lontani.
Molti anni dopo mi capitò di imbattermi nello stesso tipo di dolce: ingenuamente
sperai di riportare in vita quell’esperienza speciale, ma non fui nemmeno in grado di
sentire il sapore del cocco, che divenne un ingombro sgradevole tra i denti, qualcosa che
chiudeva la gola in una stretta dolorosa. Una ricetta non ha significato se la preparazione
a cui è finalizzata non si colloca in un contesto di affetti e di gioia conviviale.
Mi mancavi tu, mi mancavano le tue parole, il tuo sorriso…
Vivere significa anche transitare nella vita degli altri: il tuo passaggio nella mia vita,
anche se troppo breve, mi ha lasciato doni preziosi.
Ricordo le nostre vacanze in montagna, correvo nel sole dell’estate sotto un cielo
tanto azzurro da apparire irreale, e percepivo il mio corpo come parte di un insieme
composito che viveva con me: mi hai educato a conoscere e a rispettare la montagna, a
sentire il profumo del muschio, dei ciclamini, ad amare tutti gli animali. Guardavamo le
farfalle mentre volavano, ed aspettavamo che si posassero per osservarne i colori.
Nel corso del tempo, spesso, ho disteso le mie ali e sono volata da te, per posarmi un
momento tra il tuo cuore e la tua spilla con i topazi, per fermarmi un poco in un posto
sicuro…
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Vedevo crescere le tue coperte tra le tue mani: ai fili di lana di colore chiaro che
sceglievo, univi il filo cupo delle tue parole che condannavano il fascismo ed i suoi
artefici, le limitazioni della libertà personale, le sofferenze patite durante la seconda
guerra mondiale. Non hai esitato a mostrarmi l’urto della violenza contro le persone
indifese.
E se il destino può essere inteso come l’insieme degli elementi ricorrenti
nell’esistenza, ed il mio è anche pormi sulle tracce dell’avventura umana intorno al
sapere, ti ringrazio per avermi mostrato la bellezza della lettura: mi portavi sempre dei
libri, che da allora non ho mai cessato di amare. La loro voce mi ha condotto lontano dai
miei orizzonti, per lasciarmi libera di tornare alla mia “casa interiore” con nuove
consapevolezze.
Non avrei mai potuto relegarti nei miei ricordi: ho vissuto con te, ti ho tenuta nei miei
pensieri, nel mio respiro, nella mie fatiche, nelle mie speranze.
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MARISTELLA MAGGI
Esercizio
Sono settimane che aspetto questo telegramma e ora che è
arrivato, non oso aprirlo. Me lo manda mio marito e so cosa dice:
“Vengo a prenderti”.
Partendo da questo incipit prova a scrivere: un testo di 500 caratteri e
un testo di 1000 caratteri
Elaborato da 500 caratteri
Milano, 1956
Ricordo fin troppo bene l’ultima volta che mi scrisse una frase analoga Sabato verrò a
prendere te e i ragazzi, perché è ora che vediate come mi sono sistemato qui in Svezia e
che decidiate di trasferirvi o meno, tutti e tre, qui con me. Io e i ragazzi ci avevamo
creduto allora. Anna, che aveva quindici anni aveva persino detto ai suoi amici che
sarebbe andata a vivere all’estero e non sarebbe tornata che dopo la laurea, Federico, 11
anni, aveva addirittura cominciato la sera dopo il telegramma a salutare i suoi compagni.
Le cose però non erano andate proprio così: avevamo dovuto aspettare altri due anni
prima di vedere la Svezia.
Elaborato da 1000 caratteri
Africa, stato del Benin, missione di Wansokou, volontariato civile, 1973
Sì, temevo questo momento e ora è arrivato. Devo andarmene da qui e non vorrei
proprio. Sebbene non sia stato facile decidere di lasciare tutto per questa terra disperata,
ora qua mi sento appagata, felice, utile. A volte penso che mio marito, nonostante tutte
le sue gentilezze, la sua sbandierata apertura mentale, la sua comprensione, in fondo in
fondo, sia un terribile egoista. Eh sì, perché se non lo fosse, non mi scriverebbe Vengo a
prenderti. Mi invierebbe semmai un telegramma in cui mi chiede se sono pronta a
lasciare l’Africa e io gli risponderei che non lo sono, non lo sono proprio e se mi ama
veramente, deve rispettare le mie incertezze i miei tentennamenti. Già mi sembra di
sentirlo <Non so quanti mariti al mio posto sarebbero stati tanto comprensivi con la
propria moglie> E io ancora una volta gli dirò che è vero, che ha ragione. Ma non è del
tutto vero, per lo meno, non lo è in questo momento perché il suo telegramma è
un’imposizione, un comando e io non lo sopporto. Devo trovare il coraggio per un mio
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telegramma. Gli scriverò così: <Non venire a prendermi, non è ancora il momento. Ciao>
Sì, gli scriverò proprio così.
Esercizi
Descrivi te stesso a uno sconosciuto (500 caratteri)
Prenda nota, per favore: quella che cerco è una casa non lussuosa, che abbia molto verde
intorno ma non sia in una zona isolata, non mi piace la solitudine. Se ci fosse dell’acqua
nelle vicinanze, magari il Naviglio, o un piccolo corso d’acqua, sarebbe perfetta. Mi
piacerebbe una piazzetta nei paraggi, ma piccola, non caotica, con un bar e qualche
negozio appena; mi piace vedere la gente che va, che viene, che fa le sue faccende senza
affannarsi in spazi anonimi, mette allegria. Mi piace stare tra la gente. E poi le stanze,
luminose e grandi, purtroppo conservo tutto e divento disordinata in poco spazio. Un
balcone per le chiacchiere con gli amici, quello sì. Ecco, direi nient’altro. No, un’ultima
cosa, neanche trascurabile, il prezzo. Ragionevole, mi raccomando!
Descrivi te stesso a tuo padre (500 caratteri)
Dovresti saperlo, mi arrabbio facilmente a fronte di qualcosa che non va per il verso
giusto, ma poi mi passa subito, è stato così fin da quando ero bambina. Diverso, invece,
se si tratta di un torto che mi viene fatto, o peggio, di un’aggressione verbale. In quei
casi, lì per lì, mi sembra di soffocare e le energie che mi dovrebbero servire per reagire,
mi vengono a mancare, così mi sento sopraffatta e mi lascio proteggere dal silenzio. No,
non è che non sappia cosa dire, oh lo saprei, eccome, solo che non ne ho la voglia o la
forza, in quel momento. Stai dicendo che sbaglio? A volte ho pensato di cambiare, ma
ogni volta non mi è sembrato il momento opportuno, così ho rimandato. Ah, rimandare,
altro mio grande difetto!
Esercizi
Descrivi un odore/sapore in prima persona (300 caratteri)
IO SONO IO
Mi giunse in quell’istante un messaggio di paradiso, una scia odorosa, delicata ma
persistente che inanellava, nelle sue spire, morbidi effluvi di rosa e di vaniglia e code
soavi di talco e di cipria. Il messaggio, nato lieve, si fece più intenso, liberando dal cuore
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un vortice caldo, quasi sfrontato, sensuale: miele, forse lampone e gelsomino, muschio,
incenso, oppio, fino all’ apoteosi perfetta in cui vista e odorato si fecero un tutt’uno. E
allora la vidi, tra il rigoglio del fogliame: rosa, lilla, ciclamino, cremisi e fucsia.
Lei la superba, lei l’orchidea.
Descrivi lo stesso odore/sapore come pensi lo senta un
ippopotamo, (300 caratteri)
IO OSSERVO L’IPPOPOTAMO
Anche l’ippopotamo ha percepito l’ alchimia stregata. E come avrebbe potuto essere
altrimenti? E’ talmente intensa! Tutto avvolge e confonde, l’aria ne è satura. L’animale si
aggira inquieto, sicuramente pensa che l’odore sia promessa di cibo e sposta il capo in su
e in giù, come se annusasse l’aria. D’un tratto si ferma, immobile, poi fiuta il terreno e
con la zampa goffamente raspa. Finalmente l’olfatto ha avuto ciò che cercava e l’animale,
chiamato là, all’origine della meraviglia, vi si dirige ... ignaro.
Descrivi lo stesso odore/sapore come se tu fossi un ippopotamo
(300 caratteri)
IO SONO … L’ IPPOPOTAMO
Oggi ho fame, molta fame ma niente da mangiare! Sento già crampi allo stomaco e,
come se non bastasse, devo pure sorbirmi quest’odore assassino che vaga nell’aria. E’
dolce, forte e mi rende nervoso. Sembra uno di quegli odori che si portano appresso i
bambini quando vengono in visita qui allo zoo, forse è una merendina, no, è molto più
intenso, forse è miele o uva matura. Ah, la testa sta per scoppiarmi, l’ odore mi si
appiccica al naso e non mi molla, a tradimento mi cola giù per la gola, me la solletica, si
prende gioco di me. Il mio stomaco è in tumulto.
Impazzirò se non scopro la fonte del delizioso tormento.
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Esercizio
Prova a dar vita al tuo piatto del “cuore” scrivendolo e raccontandolo
insieme ai ricordi, luoghi e avvenimenti che l’hanno accompagnato
LA SCATOLA CHE ASPETTAVAMO
Mi capita, a volte, quando torno alle atmosfere dei miei Natali passati, di pensare a quel
dolce.
E allora lo rivedo, nella scatola, lunga e stretta, rossa, come di vellutino. Di certo,
l’incarto fa la differenza e un dolce presentato quasi come un gioiello, ha maggiori
probabilità di essere ricordato; doveva saperlo quel tale pasticcere di Milano che, oltre
all’ovale su cui a lettere svolazzanti poneva il nome del suo laboratorio, Rachelli,
aggiungeva nastri e fiocchi di seta in gran quantità.
Un dolce natalizio, ma non solo. Un dolce invernale, per via di quei paesaggi di zucchero
appoggiati sulla crema del rivestimento, un dolce favola perché poteva raccontare la
storia incantata di un villaggio di neve, un dolce-poesia per la delicatezza degli steccati di
cioccolato, dei vialetti di nocciole frantumate e delle minuscole casette di marzapane sui
cui tetti correvano i disegni delle tegole e per l’emozione che mi davano certi campanili
pastello che sulla punta mostravano un confettino argentato.
Il dolce, sagomato a tronco di ramo d’abete, era un dolce di lusso, che entrava a casa
nostra solo in occasione del Natale. Probabilmente erano in pochi allora a permettersi un
acquisto del genere e neppure noi, per la verità, lo acquistavamo giacché ci veniva
regalato, ogni anno, da certi clienti che, trafficando in scarti di ferro e limaia, venivano
regolarmente da mio padre a rifornirsi di materiale da asportare.
Già verso la metà di Dicembre il tronchetto faceva la sua comparsa. Lo portava
mio
padre e la mamma lo collocava al fresco sul tavolo della sala da pranzo che, non essendo
riscaldata se non quando occorreva, ben si addiceva a conservare intatte le qualità delle
creme che lo rivestivano.
Ma era solo dopo il pranzo di Natale che la nonna tagliava l’oggetto dei nostri sogni. Non
c’era panettone che tenesse, né pan di zenzero, né torrone: quello era il nostro dolce, la
rappresentazione felice e golosa della festa, solo quello, il tronchetto, nient’altro e ora,
ripensandoci, ho come l’impressione che non solo noi bambini aspettassimo quel
momento, ma anche mamma e papà, anche gli zii, perché ad un certo momento del
pranzo, qualcuno tra i grandi cominciava ad alzarsi per andare a prendere frutta e
spumante. Immancabilmente tornava con la scatola rossa di velluto e fiocchi. Gli occhi di
tutti correvano là.
-Chi lo taglia?-
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La domanda aveva già una risposta perché l’unica persona che avesse mai tagliato il
dolce era la nonna. Quasi un rito. Per tagliarlo usava un coltello particolare, la lama era
stretta, assai affilata, un coltello, lei diceva, comprato apposta per il tronchetto di Natale;
ma non era proprio così, perché, in verità, glielo avevo visto usare altre volte per
affettare la carne arrosto, il cotechino o il salame che portava l’Adelaide quando veniva da
noi il giovedì.
Un anno, però, qualcosa cambiò. In meglio forse, ma per noi fu un colpo duro. Stessa la
scatola, stesso il nome del pasticcere, stessa abbondanza di fiocchi, ma delle decorazioni
cui eravamo abituati, non c’era traccia! Ma come?
Dov’era finito il villaggio di zucchero e la minuscola oca di marzapane che si specchiava
nel laghetto? Dove i pini col cappuccio di neve? Al loro posto un rametto di finto abete
con pigne, fiocco e bacche rosse e, cosa che forse avrebbe potuto consolarci dalla perdita
del paesello, un piccolissimo calendario con pagine per ogni mese e una copertina dorata
con la scritta <Buon anno Nuovo!>
Doppia delusione quell’anno: quella per la mancata decorazione, e quella legata al litigio
che sarebbe nato per accaparrarsi l’oggettino natalizio.
<E ora? Chi lo tiene? >
Io e i miei cugini c’eravamo rimasti male, era chiaro, non eravamo preparati. Accenni di
musi lunghi.
La nonna non volle sentire ragione <Non vorrete litigare anche il giorno di Natale per un
pezzetto di carta, spero! Forza, forza, lo terrete un po’ per uno, e ora, attenti che lo
taglio>
Seguimmo
il
suo
consiglio
ma
né
io
né
i
miei
cugini
eravamo
soddisfatti
dell’accomodamento.
Era il mancato possesso a disturbarci; ognuno di noi avrebbe voluto avere il trofeo tutto
per sé, salvo poi dimenticarlo in una tasca o in un cassetto poco frequentato.
Lasciammo decidere alla sorte chi avrebbe dovuto tenerlo per il primo mese: io fui la
fortunata ma, ancora prima che il turno dei possessi finisse, qualcuno rinunciò, così il
giro si fermò e al calendarietto nessuno tolse mai più la pagina del mese trascorso.
Ormai la faccenda aveva perso ogni interesse. Non così per il tronchetto, però.
A gran richiesta chiedemmo che l’anno seguente potesse tornare il paesello di zucchero.
E l’anno dopo, fortunatamente, la magia tornò.
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ANNA MARSON
Esercizio
Sono settimane che aspetto questo telegramma e ora che è
arrivato, non oso aprirlo. Me lo manda mio marito e so cosa dice:
“Vengo a prenderti”.
Partendo da questo incipit prova a scrivere: un testo di 500 caratteri e
un testo di 1000 caratteri
Elaborato da 500 caratteri
Lo ripongo nel cassetto del cruscotto quando esco per andare al lavoro. Mi riprometto di
riconsideralo più tardi. E’ in memoria nel retro della mente mentre rispondo al telefono e
sgombro a poco a poco la scrivania dalle carte più urgenti.
Lascio l’ufficio a sera e affronto il compito più greve della giornata, il mio telegramma in
attesa. Cerco con gli occhi la Punto blu parcheggiata a sinistra dell’edicola e preparo le
chiavi. No. Non la vedo. Non c’è più. Da nessuna parte nella via. Se n’è andata.
Ladro angelico. Ladro da abbracciare. Furto d’auto di favore.
Elaborato da 1000 caratteri
Settimane che aspetto e attenderò ancora qualche minuto… Questa volta per sentire la
gioia negli occhi e nei polpastrelli, mentre risalgo, respiro dopo respiro, verso la terra
ferma.
Angoscia le prime notti, quando la lontananza e la nostalgia creavano l’ incubo del
soffocamento, tensione e paralisi i giorni, quando l’attività normale delle persone attorno
rendeva la mia situazione ancora più strana ed evidente.
Ripresa di azioni abituali in
seguito, a poco a poco, contatto con una realtà di routine marginale, per dare forma alla
giornata e contenere l’eccezionalità della mia situazione.
Ero stata lasciata sola in un campo di prova e cercavo coordinate di qualche genere per
ritrovare una modalità di esistenza. Come lavarsi i denti nel deserto. Come procedere in
sandali nella neve alta. Come voler usare il pettine in mezzo alle raffiche. Tutto era di
piombo. E’ stato di piombo per settimane. Procedevo senza avanzare. Attendevo senza
poter sperare. Attendevo il telegramma.
E’ qui e inizio ad aprirlo. Sì, sì “…vengo a prenderti”. Lo apro. Tutto. Tutte le parole. Ci
sono tutte ora. “Non (Non? Non?) vengo a prenderti. Non vale la pena”.
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Esercizio
Descrivi te stesso a uno sconosciuto (500 caratteri)
Volitiva e rompiscatole, sì.
In moto senza tregua anche quando tregua ci potrebbe
essere, e riconosco ciò come difetto. Incaponita a non dare nulla per scontato, e ricavo
successi insperati da tale atteggiamento. Amante dei silenzi e dei bei suoni, sempre
troppo pochi. Offesa dal caos e dal disordine visuale e auditivo, mania questa di
neocasalinga che casalinga solo per anni non è stata. In curiosa aspettativa di quel che la
giornata vuol proporre: c’è da crescere ancora, c’è da esplorare e non esiste delega per
raggiunta età.
Esercizi
Descrivi un odore/sapore in prima persona (300 caratteri)
VERZA CAPPUCCIO CONDITA CON OLIO E SALE
Sottili linguine insalatesche a rinfrescar la bocca, croccanti e pastose sotto i denti. L’olio
le avvolge e le rende morbide, il sale ne risveglia il gusto erbaceo. Ne fa ciliegie: una
forchettata tira l’altra. Ne fa spaghetti: i fili si possono avvolgere sulla posata e gustare
golosamente a gomitolo.
Descrivi lo stesso odore/sapore come pensi lo senta un
ippopotamo, (300 caratteri)
VERZA CAPPUCCIO CONDITA CON OLIO E SALE
Perbacco, ho rovesciato l’insalatiera con la verza ed è arrivato il bestione. L’ippopotamo,
sì! Quello che è spesso qui attorno. Ma allunga quella tribistecca fiorentina di lingua e
lappa la mia verza! Una foto! E’ lento mentre deglutisce e riassaggia. Si vede che sente il
sapore di vegetale fresco e lo gradisce!
Meglio della melma del fiume! Ma e l’olio
extravergine che mi è scappato dentro? E il sale? Ippopotamo buongustaio! Alza il
testone e mi guarda. Il linguone spazza la verza rimasta sul muso. La bocca è spalancata.
Guarda diritto al mio piatto ancora pieno.
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Descrivi lo stesso odore/sapore come se tu fossi un ippopotamo
(300 caratteri)
VERZA CAPPUCCIO CONDITA CON OLIO E SALE
Sono Cavallo di Fiume, ippopotamo pensante, il primo nella mia famiglia.
In questo
luogo gli umani portano tracce. Una bolla dura e trasparente capovolge un groviglio verde
chiaro davanti a me. Mi allungo e prendo: erba di fiume, ma non così acquosa né scura,
foglie piatte e sottili con grasso che scivola in gola e uno strano pizzicore fra i canini
inferiori. Mai assaggiato niente di simile. Ancora! Esaltante pizzicore. Ancora!
Esercizio
Prova a dar vita al tuo piatto del “cuore” scrivendolo e raccontandolo
insieme ai ricordi, luoghi e avvenimenti che l’hanno accompagnato
VENEZIA, MOLTI ANNI FA
Arriviamo sotto il sole al Ponte delle Guglie, che a Venezia è preludio all’entrata in Ghetto
Vecchio. La famiglia – papà, mamma, ragazzino curioso e bimba riflessiva - ha visitato e
goduto della strana città, sciabordio d’acqua e assenza di cacofonie di motori. L’entrata
sotto il portico del Ghetto è frescura buona dopo le salite e disceselle lungo calli e ponti,
nel giugno glorioso di una città comunque amica.
Un’altra amica ci attende in Ghetto, là dove le case sono alte perché lo spazio era limitato
e chiuso, quando quattro secoli fa a sera il portone veniva serrato – circoncisi all’interno,
il resto dei Veneziani all’esterno, secondo le leggi della Repubblica.
E’ fresco lassù, la casa di Luisa è semplice, territorio di maestra nubile con poche
esigenze e molta tradizione.
Ed è “pranzo in famiglia”, con qualcosa che profuma in
modo gentile, una promessa dopo i chilometri di calli e il sole di giugno. “Ci mettiamo a
tavola, niente di speciale, qualcosa che va bene per bimbi e grandi”.
La pentola ride
sfrigolando e il pasticcio che si vede all’interno è rosa e d’oro, i colori di Venezia sui
canali. “Cos’è?”, chiedono i nostri occhi di invitati fiduciosi.
“Una cosa mia, vedrete…”.
Vediamo. Sentiamo. Col naso, con la bocca, con tutto lo stomaco affamato prima e
riconoscente poi. E’ un trito di tacchino mescolato ben bene con ricotta freschissima, una
massa a cui è stata data una bella forma allungata, rivestita di fili di pancetta bianca e
trasparente, rosa e poi croccante.
“Mezz’ora di pentola, col giusto di sale e pepe”,
minimizza Luisa, discreta. “Solo? Solo, e così dolce e delicato?”
tutti,
31
-
“Ed è proprio per
bimbi e anziani”. Morbido come una torta, e nutriente quanto basta. Di semplicità quasi
francescana.
Sì, Luisa, ci hai convinti, quel giugno lontano. Ti sei occupata della nostra fame di amici
turisti con cura materna. Allegria alla tua tavola, poi siamo partiti.
Riportavamo un’eredità rinnovabile che da anni è anche un reiterato ricordo. Cucinato
una volta.
“Buono”, hanno detto i nostri ospiti. Due volte. “Come si prepara?”, hanno
rincalzato altri amici. Tre volte. “Ne prenderei ancora,e poi ditemi come..”
Pasticcio Luisa. E’ lessico familiare ora, e significa mettere in comune la semplicità senza
desiderio di stupire. Mantiene il nome di chi per primo ce l’ha proposto, decenni fa nel
giugno veneziano, in una casa fresca di Ghetto Vecchio dove un’amica solitaria ci ha
improvvisamente fatto da mamma servendoci fette rosate e croccanti che profumavano di
buono.
Che continuano a profumare di buono.
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BIANCA MEDAGLIA
Esercizio
Sono settimane che aspetto questo telegramma e ora che è
arrivato, non oso aprirlo. Me lo manda mio marito e so cosa dice:
“Vengo a prenderti”.
Partendo da questo incipit prova a scrivere: un testo di 500 caratteri e
un testo di 1000 caratteri
Elaborato da 500 caratteri
Ecco è arrivato il tanto atteso telegramma, è di mio marito che mi annuncia il suo arrivo.
Sono così eccitata perché arriverà Ugo e, prima di rientrare in città, trascorreremo
insieme la desiderata vacanza. Frenetica apro il telegramma, ahimè, non ci sono scritte le
parole che mi aspettavo, ma:“Causa eruzione Eyjafjallajökull – sospesi tutti i voli per
almeno tre giorni”. La delusione è forte, prima la forzata separazione, poi la natura
matrigna con l’eruzione del vulcano dal nome impronunciabile. E’ proprio vero i sogni
svaniscono all’alba, il mio, è il caso di dirlo, è finito in cenere.
Elaborato da 1000 caratteri
Credevo che senza Luca, mio marito, avrei trascorso queste settimane, qui a Capri, tra la
noia e la tristezza, non sono mai stata tanti giorni lontana da lui. Ma le cose non sono
mai come te le aspetti. L’incontro con l’isola era stato gioioso, quel posto incantato era
stato lo scenario perfetto per una inaspettata follia che mi aveva letteralmente investito,
una follia che mi impediva di desiderare il ritorno. Era incredibile che fosse successo
proprio a me, volevo solo restare ancora qui, sola, con la mia segreta follia. Seduta in
terrazza ora stringo fra le mani questo foglio giallo, so cosa dice. “Vengo a prenderti”;
non posso non stupirmi della delusione. Alzo gli occhi, il mare sotto i raggi della luna
sembra cosparso di milioni di perle, le lampare creano punti scintillanti, l’acqua
mormorando accarezza la piccola spiaggia. Lo scenario magico m’invita a sognare, ma un
senso di disagio, un’inquietudine me lo impedisce: è inutile negarlo, il telegramma mi ha
turbato. All’improvviso un suono! La sveglia rompe il silenzio facendomi sobbalzare, di
fronte a me non c’è il mare, non sono sulla terrazza, ma nel mio letto, mio marito dorme
accanto a me: tutto è svanito, tutto è spento.
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Esercizi
Descrivi te stesso a uno sconosciuto (500 caratteri)
Sono un bambino che ha solo il papà, della mia mamma non so niente. Mi piace correre,
anzi mi piace di più farmi rincorrere. Sono anche scappato da casa, senza ascoltare la
mia coscienza. Ho visitato luoghi strani ed ho conosciuto gente ancor più strana. Sono
stato ingannato, picchiato e derubato. Per poter viaggiare ho fatto parte di un teatro di
burattini, il cui capo mi ha reso un ciuco ignorante. Ho visto mari infestati di pescecani.
Poi dopo mille disavventure ho incontrato lei e lei, come per magia, ha fatto sì che la mia
anima avesse un nuovo corpo e mi trasformassi in quel che oggi sono.
Descrivi te stesso a tuo padre (500 caratteri)
Tu mi hai creato, scolpito nel legno, pur sapendomi diverso mi hai voluto con tutto te
stesso. Con le mani mi davi una forma, con l’amore e la passione un’anima. Credevi in
me, ma io figlio ribelle e testardo, non mi curavo e non capivo le tue ansie e le tue
apprensioni. Quante bugie! quante fughe! Per vivere mille e più avventure quasi sempre
pericolose, a volte disastrose. Nella ricerca di ciò che avrei voluto essere, il mio pensiero
andava a te che desideravi solo un bimbo d’amare e di cui andar fiero. Oggi, un po’ per
magia e un po’ per amore, sono diventato un bambino. Il tuo Pinocchio.
Esercizi
Descrivi un odore/sapore in prima persona (300 caratteri)
Per me nulla è più efficace di un buon caffè per svegliarmi al mattino o per dare la giusta
sterzata alla giornata. Io sono napoletana e per buon caffè intendo quello della
“tazzulella”, quello delle tre C: caldo, comodo e cocente, quello corposo e in equilibrio tra
il dolce e l’amaro, quello che dalle papille gustative ti va al cervello e ti dà la giusta
carica.
Descrivi lo stesso odore/sapore come pensi lo senta un
ippopotamo, (300 caratteri)
Pippo l’ippopotamo, per sfidare e vincere la sua pigrizia pensò: “ Bevo un caffè!”. In un
battibaleno ingurgitò la nera bevanda. Il calore, il sapore, amaro e deciso, trasformarono
il suo cuore in una pompa impazzita, gli occhi in due biglie roteanti e le narici in buche
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profonde. Pensò di morire e immaginò il suo epitaffio: “NACQUE SONNACCHIONE E MORI’
PIGRONE”.
Descrivi lo stesso odore/sapore come se tu fossi un ippopotamo
(300 caratteri)
Mi chiamo Hippo Tamo e abito in uno zoo. Oggi il mio custode era particolarmente
sgarbato, eppure io ho poltrito nel fango e ho divorato erbetta come al solito. Parlava da
solo e diceva: "quella ciofeca di caffè mi ha rovinato la giornata". Le parole mi hanno
fatto ritornare in mente quando, proprio per imitarlo, bevvi quella brodaglia scura, al
sapore di erbe amare e fango secco. Allargai il muso a mo’ di sorriso, la solidarietà non fa
differenza di specie.
Esercizio
Prova a dar vita al tuo piatto del “cuore” scrivendolo e raccontandolo
insieme ai ricordi, luoghi e avvenimenti che l’hanno accompagnato
(A) MARE
Oggi i miei figli mi hanno chiesto di preparare gli gnocchi con gamberi e rucola, ben felice
di accontentarli mi metto all’opera. Trito lo scalogno e lo metto a rosolare con i gamberi.
Sono spensierata, guardo i gamberi diventare rossi, il loro profumo è delizioso e all’
improvviso la mia mente mi porta lontano …
E’ proprio vero, non solo una foto o un oggetto ma anche un odore, un sapore possono
riaprire con forza le finestre sul mare dei ricordi e così, spinti dalle sue onde, riviviamo
emozioni
o momenti
passati, a volte il mare si agita e
le onde diventano alte,
minacciose e ci portano tanta tristezza.
…..Mi rivedo seduta
in un ristorante in compagnia di colui che sarebbe diventato mio
marito. Le luci soffuse delle candele creavano un’atmosfera magica. Ero felice ed
emozionata quella sera, lui mi piaceva tanto e allora non sapevo come sarebbe finita la
nostra storia ….
Aggiungo i pomodorini, incominciano a sfrigolare, il passato mi trascina di nuovo, ora
siamo fuori dal ristorante, sul borgo marinaro di Marechiaro, dietro di noi la via tortuosa
che scende fino alla piccola marina. Scendiamo gli scalini di pietra che portano sulla riva
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del mare, le reti dei pescatori sembrano corpi distesi sulla spiaggia. Di fronte a noi il
golfo, nel buio si stagliano le sagome di Capri e Sorrento ….
Mi affaccio da una nuvola, controllo il sugo e sento la sua voce,mi parla di Salvatore Di
Giacomo e di qualcuno che ancora oggi si prende cura della pianta con il garofano rosso
sul davanzale della “fenestella”…..
Unisco la rucola, pochi minuti ancora e il sugo sarà pronto ma ecco un nuovo
salto
indietro ….Le onde si infrangono sugli scogli creando mille gocce profumate di mare, che
colpivano il mio volto come piccoli frammenti di ghiaccio e grazie a quelle gocce lui mi
dedicò:
“L’onne sbattno ‘nfaccia a sta muraglie e scoglie
E schizz d’acqua ca s’aizano se stampan ‘n faccia a tte
Bagnann sti capille mnire e st’uocchie belle ca son tutto pe’ mme
No! Nun t’asciuttà.
E’ bell’ vedert’ tremmà po’ fridde e ppa ammore”.
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EMILIANA PEREGO
Esercizio
Sono settimane che aspetto questo telegramma e ora che è
arrivato, non oso aprirlo. Me lo manda mio marito e so cosa dice:
“Vengo a prenderti”.
Partendo da questo incipit prova a scrivere: un testo di 500 caratteri e
un testo di 1000 caratteri
Elaborato da 500 caratteri
E allora ne accarezzo la superficie liscia, ne seguo i bordi dritti con polpastrelli leggeri,
l'avvicino fino a sentire l'odore della carta, nell'assurda illusione di poter avvertire il suo,
di odore.
E' come tenere fra le mani un pensiero concreto, un frammento di speranza divenuto
palpabile: porta con sé le scintille di un sogno che si avvera.
L'apro piano, per non rompere il silenzio di un respiro trattenuto... per non spezzare la
magia di una promessa.
E mio marito è davvero lì, in quei pochi, minuscoli segni neri.
A dirmi "E' finita. Non aspettarmi".
E il mio mondo crolla, in un crudele, ruvido, lacerante caos.
Elaborato da 1000 caratteri
Lo so perchè ce l'eravamo promesso, anni fa, prima che tutto avesse inizio. O fine.
Prima che la separazione fosse anche solo un pensiero possibile, che la lontananza
potesse essere immaginabile: quando eravamo uno, non più due, l'individualità quasi
cancellata a colpi di convivenza e contatti, gesti comuni, sguardi e mani e cuori vicini.
Niente più confini, se non quelli banali della fisicità, che nulla possono e nulla sono al
cospetto della fusione di due anime.
"Il primo che parte torna a prendere l'altro...": suonava come un dolce impegno, aveva il
sapore zuccherino delle parole d'amore.
Per quanto prematuro e apparentemente insensato, portava con sé il valore incalcolabile
di un giuramento, con il sigillo indelebile del crederci.
E quando lui se ne andò, lasciandomi quel vuoto buio e profondo in cui franare, tutto ciò
a cui potessi aggrapparmi con le unghie, per non precipitare, era proprio quel pensiero:
che d'improvviso aveva perso la sua ombra di follia, elevandosi a ragione di vita.
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E non venitemi a dire che sto vaneggiando...eccolo, lo vedo col cuore, quel messaggio di
pochissime parole, mi annuncia che è giunto il momento di partire: lo sento nella carne,
quella poca che mi è rimasta addosso, quella stessa carne che ha smesso di avere una
sua importanza, tramutandosi in ostacolo.
I miei occhi stanchi si chiudono...è mio marito, ha mantenuto la promessa.
Devo andare.
Esercizi
Descrivi te stesso a uno sconosciuto (500 caratteri)
Prendi un po' di malinconia, di ricordi nostalgici, di salti a piedi nudi nel passato; un po'
di lunghi musi, di reazioni permalose, di scarsa pazienza e troppa pazienza sempre nelle
situazioni sbagliate.
Aggiungi sensibilità esagerata, lacrime per un cartone, mal di cuore per un prato che
scompare sotto al cemento. Condisci con gioia per le piccole cose, sorriso per un nuovo
fiore, abbraccio al tronco di un albero, carezze ad un cane per strada; una spruzzatina di
profonda emozione per i cieli stellati e la luna, i concerti mattutini fatti di cinguettii, le
foglie d'autunno, una canzone che vive.
Miscela con lunghi silenzi e troppi pensieri non detti, con irrazionali cambi repentini di
umore, con amori forti e dolori intensi.
Mescola, mescola, mescola: eccomi.
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Descrivi te stesso a tuo padre (500 caratteri)
Mi hai vissuta per trentasei anni.
Mi hai tenuta quando pesavo poco più di tre chili, e la mia manina si aggrappava a un tuo
dito.
Hai nutrito con pazienza la bimba che non voleva mangiare, le hai fatto le iniezioni che le
facevano male ma bene, l'hai presa in braccio quando non voleva saperne di camminare.
Hai stretto la mano alla piccola timida, combattuto i suoi mostri notturni, scacciato le api
della sua fobia, giocato con la gioia di vivere dei suoi primi anni. Conosci la storia delle
cicatrici sulle mie ginocchia, ne hai asciugato le lacrime.
Sei stato orgoglioso dei miei successi, consolatore degli insuccessi, clemente verso i
piccoli errori, fermo verso i più grossi.
Hai ingoiato la mia insoddisfatta adolescenza, sopportato i miei malumori, ascoltato i miei
silenzi, sofferto il mio rifiuto.
Hai patito delle mie ore piccole, tirato sospiri ai miei rientri, visto i dolori e gli
innamoramenti della giovane donna. Leggi nei miei occhi l'amore spropositato della
madre.
E' tutto sempre qui, timidezza, paura, silenzio, dolore, affetto, gioia… forse ne sai più di
me.
Io sono tutte loro, una dentro l'altra in un solo involucro, fatto dell'unica, immutabile
fortuna dell'essere tua figlia.
Esercizi
Descrivi un odore/sapore in prima persona (300 caratteri)
L'odore mi travolge all'improvviso, portato da una brezza leggera: per un momento mi
intontisce, è acre ed intenso, mi invade l'olfatto in maniera offensiva, più che farsi
respirare. Mi arriva dritto come un colpo alla testa, si insinua violento, non sono in grado
di ricollegarlo ad alcun ricordo sensoriale, ma ha lo strano inspiegabile aroma di lontane
radici...
Descrivi lo stesso odore/sapore come pensi lo senta un
ippopotamo, (300 caratteri)
L'ippopotamo e' disturbato, quasi stordito: il suo accentuato olfatto rende l'odore
insopportabile, chiude gli occhi, solleva il capo. Poi lo sguardo si fa attento, scrutatore, ne
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cerca la fonte. Lentamente indietreggia, ha perso il totale controllo, muove passi confusi,
si accascia. La sua possente mole e' sopraffatta da un invisibile nemico senza peso.
Descrivi lo stesso odore/sapore come se tu fossi un ippopotamo
(300 caratteri)
Sì! Sì! Sì! Eccolo, irresistibile aroma, finalmente lo sento: è lei, è pronta. Delizia di
ferormoni...
inebriante
essenza
di
femmina.
Ti
vedo,
mia
splendida,
rotonda,
strabordante regina. E ora la danza... maledizione, com'erano I passi? Un, due, tre
indietro, quattro, cinque, sei avanti... mhh, squisito... sinistra, destra, hop, hop e...
inchino. Sei mia...
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STEFANIA PIROVANO
Esercizi
Descrivi te stesso a uno sconosciuto (500 caratteri)
Mi chiamo Stefy.
Nel mio anno di nascita ci sono due 6 molto vicini che si fanno e mi fanno sempre
compagnia. Sto crescendo in un periodo storico difficile da definire: per alcuni è un
periodo di transizione, per altri il preludio di una desertificazione. Io mi sento bene
collocata in questa fase, mi sento tirata in varie direzioni, ma la sfida del mio tempo è
proprio questa: dare un senso a questo mutarsi.
Cerco di rinnovare la mia pelle senza diventarmi estranea, cerco di aprirmi a nuovi spazi
per perdermi e ritrovarmi, cerco di interrogarmi nel profondo osservando i passaggi del
mio cuore. Ti lascio le mie tracce…
Descrivi te stesso a tuo padre (500 caratteri)
Fisicamente e in alcuni aspetti del mio carattere, lo sai, sono come la mamma e questo ti
ha sempre fatto e ti fa ancora sorridere perchè qualcuno sulle nuvole bastava in famiglia,
invece te ne sei ritrovate due da gestire. Il mio viso, i movimenti sono della mamma, le
mani no, le mani sono tue e della nonna e io vedo o almeno lo spero, vedo come saranno
le mie quando avrò la tua età: lunghe, magre, nodose, piene di voglia di fare.
La passione per la vita semplice, l'impegno sociale fanno parte di me, me li sono ritrovati
come dono tuo. Nei tuoi occhi vedo i tuoi pensieri su di me:la Stefy non è più la piccolina
da portare in bici, è mia figlia e ora anche
Esercizi
Descrivi un odore/sapore in prima persona (300 caratteri)
Lo vedo lo sento lo tocco lo spezzo, lo accarezzo lo annuso lo succhio lo sciolgo.
Marrone nocciola bianco quasi nero schiocchia sgranocchia e rendilo cremoso.
Duro molle sciolto liquido liscio ruvido dolce amaro intenso......
profumato
mmmmmmmmmmh cioccolato.
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Descrivi lo stesso odore/sapore come pensi lo senta un
ippopotamo, (300 caratteri)
Era successo tutto troppo in fretta, quel pezzo marrone era finito nella sua bocca e i suoi
dentoni si erano ricoperti di quella cosa scura e appiccicosa che non era erba.
Era buffo l'ippopotamo con il muso impiastricciato e così si lavò nel fiume.
L'acqua diventò più buona anche se il colore non prometteva bene.
Che festa per l'ippopotamo in quella giornata: sole, acqua e cioccolata.
Descrivi lo stesso odore/sapore come se tu fossi un ippopotamo
(300 caratteri)
Venite amici, guardate cosa ho trovato: il profumo è buono, sa di terra antica, la forma è
curiosa, di certo non è cacca.
Dai proviamo a farla scivolare sul muso...... uau mi è entrata in bocca
Ma cos'èèèèèèèèè?
Andiamo dal leone che è molto saggio, lui di certo lo saprà.
“Maestà vi abbiamo portato questo oggetto sconosciuto”. Il leone lo guardò e sentenziò:
“Miei cari amici, avete appena ritrovato il primo surf da fiume per ippopotami. Buon
divertimento”.
Esercizio
Prova a dar vita al tuo piatto del “cuore” scrivendolo e raccontandolo
insieme ai ricordi, luoghi e avvenimenti che l’hanno accompagnato
LA PACIARELA
La vera fine dell'estate veniva annunciata dal profumo nell'aria di “paciarela”.
Siamo all'inizio di ottobre.
C'è la festa patronale di Inzago.
In tutte le sagre c'è il dolce tipico e quello di Inzago è la paciarela.
Il nome è già un pasticcio in sé e questa torta lo è davvero anche perchè non viene mai
uguale e la si può sempre modificare.
La festa per me veniva annunciata appunto dal profumo che si poteva sentire in ogni via
del paese: a partire dalla piazza dove c'erano i panettieri che cuocevano le torte fin dalla
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settimana prima della festa, fino alla periferia dove, proprio quando non te lo aspettavi, il
vento portava il cacao, gli amaretti, l'odore della festa proprio dentro di te.
In ogni negozio di alimentari, sugli scaffali potevi trovare un vasto assortimento, che di
solito non era previsto, di cedro, canditi vari, uvetta, latte, cacao, pane secco… e anche la
ricetta (quella vera) della paciarela.
A casa mia già da tempo si pensava a quante torte “paciarela” si dovevano cucinare: una
per noi, la più grande per festeggiare con gli zii e i cugini, una per la mia zia che non
viveva più ad Inzago, una per gli amici che ci venivano a trovare e una piccola per noi
bambini.
La settimana che precedeva la domenica della sagra aveva un suo rito preciso: il lunedì si
faceva la spesa per paura di rimanere senza ingredienti, il martedì si prenotava il pane, il
mercoledì io e mio fratello cominciavamo a voler assaggiare
quegli ingredienti così
com'erano, senza essere ancora diventati torta, ma non potevamo perchè erano ben
nascosti, il giovedì si puliva la casa e finalmente il venerdì mattina prima di andare a
scuola mia mamma ci mostrava il pentolone in cui avrebbe messo ad ammollare le
pagnotte con il latte. Quando io e mio fratello tornavamo da scuola correvamo verso la
torta. Per le scale c'era un profumo di festa perchè tutte le mamme avevano preparato il
dolce. Appena entravamo in casa ci accoglieva la mamma con una tazza di crema
morbida che era la torta cruda. Potevamo assaggiarla ancora prima della pasta (solo per
quel giorno) e calmi con il cucchiaio a turno, la assaggiavamo così, cruda e speciale,
preludio della festa.
La paciarela per me è la festa, il ritrovarsi, l'attesa che culmina nella gioia, nel
godimento, era un miracolo: quando io ero a scuola la mamma creava qualcosa a me
sconosciuto e quando tornavo la torta era pronta. Come era avvenuto tutto questo?
Ancora oggi non lo so, non ho mai voluto imparare a cucinare la paciarela perchè per me
resta il dolce della mia mamma per un'occasione speciale: quella di una bambina degli
anni '70 che si godeva l'estate fino a quel giorno e faticava ad accettare l'arrivo
dell'autunno, ma la paciarela (la mamma) l'aiutava nel passaggio.
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NADIA RIVOLTELLA
Esercizio
Sono settimane che aspetto questo telegramma e ora che è
arrivato, non oso aprirlo. Me lo manda mio marito e so cosa dice:
“Vengo a prenderti”.
Partendo da questo incipit prova a scrivere: un testo di 500 caratteri e
un testo di 1000 caratteri
Elaborato da 500 caratteri
Lasciare la mia terra. E’ questo che dovrò accettare: andare in un paese straniero e
lontano o rimanere, soffrire la fame, vivere di stenti. Il mio cuore piange, tutto il mio
corpo piange. Ma lo farò per loro, i miei figli hanno diritto di vivere in un mondo migliore,
dove i diritti vengono rispettati, l’onestà e il rispetto dei doveri viene ripagato. La vita
continua e là, con l’uomo scelto dal mio cuore e con i miei figli sarà meraviglioso, “Vieni
pure a prendermi, amore mio”.
Elaborato da 1000 caratteri
So cosa dice: “vengo a prenderti… perdonami, ti amo, non accadrà mai più…”. Il terrore
riprende possesso della mia mente. Sul mio corpo ancora i segni dell’ultima violenza,
come un marchio, il suo marchio. Mi guardo allo specchio e non vedo luce nei miei occhi,
vedo una vecchia scialba e tremante… ma ho solo 29 anni. Scappare? Dove? da mia
madre. Ma mia madre non capisce, non vuole capire: “Il tuo posto è con tuo marito. Vedi,
te lo scrive che ti ama e vuol prendersi cura di te…” . Oh oh certo. Come no!! Mio padre la
batteva un giorno sì ed uno pure e poi ogni sera chiedeva perdono e si prostrava ai suoi
piedi… per cosa? Per averla compiacente a letto. E’ così che ci si prende cura della propria
moglie, no? La si tiene affamata d’amore. Ho passato la mia infanzia a sentir mamma
piangere di dolore per le botte e poi di notte a sentirla grufolare come una maiala per il
piacere che le dava quel porco di mio padre. Cosi per 30 anni finché il porco c’è rimasto
sopra mia madre, secco. E’ stato il giorno più bello della mia vita. E no, non ci casco più.
Non voglio passare i prossimi 30 anni come lei. Indietro non ci torno. Il primo treno è
mio: m’incammino sui binari e sento il fischio. Sempre più vicino. Sempre più vicino. Non
mi sposto e poi… ecco ora sono libera… vieni pure a prendermi adesso, stronzo.
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Esercizio
Descrivi te stesso a uno sconosciuto (500 caratteri)
“Sono quella che sono, sono fatta così, se ho voglia di ridere rido come una matta. Amo
colui che m’ama, non è colpa mia se non è sempre quello per cui faccio follie. Sono quella
che sono, sono fatta così, che volete ancora, che volete da me” questo è uno stralcio di
Prévert che mi dedicò mia sorella aggiungendo un apprezzato “resta come sei”.
Che dire di più: sono estroversa, fantasticosa , sognatrice ma anche molto pratica, dura
ma tenera,
molto decisa ed eterna indecisa, piena di fiducia nel prossimo e piena di
dubbi nel prossimo… C’è stato chi mi definì “una pupa nel tuo mondo di panna montata”…
ma anche chi disse di me “sei un panzer”, soprattutto da chi non voleva sentirsi dire
quello che si sentiva dire… Schietta. Mi son sentita dire tutto e l’opposto di tutto, chi sono
io e cosa sono io è troppo confuso nella mia testa e poi, sinceramente,
nemmeno mi
interessa: mi basta guardare mia figlia e son la donna più orgogliosa e felice
dell’universo… ops: dubbio: ma sono orgogliosa di lei o lo sono di me… ma che importa,
questa è un’altra storia e la scriveremo domani.
Descrivi te stesso a tuo padre (500 caratteri)
Quand’ero piccolo rimanevo ore ad osservarti e ti idolatravo. Studiavo ogni tua azione e
ne affinavo i particolari facendoli miei. Nei pochi momenti che ti dedicavi a me era uno
spasso giocare con te… Per me eri un dio. Un dio immortale e mai avrei pensato un
giorno di dover prendere il tuo posto. Tu hai sempre provveduto alla nostra famiglia per
tutto. Io aspettavo sempre che chiedessi il mio aiuto ma tu mi guardavi sempre con aria
di rimprovero e non mi chiedevi mai nulla e sono cresciuto alla tua ombra amandoti ma
anche vivendo nel terrore di non somigliarti e di non essere alla tua altezza. Ora sei
vecchio e stanco e dipendi da me ma riesci sempre a farmi sentire una nullità vicino a te
con il tuo sguardo rimproveratore. Oggi con gioia trascino un’intera gazzella tra le fauci
per il tuo pranzo padre… Cos’altro debbo fare per farti sentire orgoglioso di me?
Esercizi
Descrivi un odore/sapore in prima persona (300 caratteri)
Acidulo come aglio e cipolla, acre come un limone andato male, rivoltante come quando
schiacci una cimice, formaggio di capra ma di quelli stantii, cacca fresca. Metti tutti questi
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ingredienti insieme in un frigo dove è saltata la corrente e non è più stato aperto da
giorni e…. Aprilo e svieni. Questo è l’eau de chèvre che mi porto addosso dopo due
settimane senza potermi fare una doccia, passate in appostamento in attesa del signor
ippopotamo.
Descrivi lo stesso odore/sapore come pensi lo senta un
ippopotamo, (300 caratteri)
Ed eccolo finalmente! Bellissimo… quanto può esserlo un ippopotamo. Maestoso. Resto
immobile. Non deve captare la mia presenza. Lui è in acqua. Non dà segno di avermi
notato. Ma ahimè il vento soffia verso di lui. Improvvisamente alza la testa, arrotola il
labbrone e il naso con un evidente senso di disgusto e balzando fuori dall’acqua corre a
gambe levate il più lontano possibile da me allertando altri ippopotami e indicandomi
come si indica uno colpito da peste bubbonica. Solo un vecchio ippopotamo non più in
grado di correre, si avvicina a me con aria docile e mi spinge delicatamente in acqua….
Noto che sul naso ha una specie di mascherina fatta con foglie.
Descrivi lo stesso odore/sapore come se tu fossi un ippopotamo
(300 caratteri)
Ragazzi!!!! Cos’è ‘sto tanfo di carogna putrescente. “Ehi tu piccolino, cos’è, l’hai mollata?”
Sento un odorino di aglio e cipolla ma il tutto è come ricoperto da un velo di terribile
lezzo… ma cos’è, cos’è questo nauseante tanfo di carne irrancidita… via, via, ragazzi,
fuori dall’acqua e allontaniamoci a gambe levate o rischiamo di intossicarci.
Prendete
delle foglie e copritevi il naso e correte. Ci pensa nonno GIPPO a sistemare la faccenda.
Guardate là. Ecco cos’è: un altro esemplare di quei puzzoni di umani. La natura è stata
veramente ingrata con loro. Poveracci!!!!
Esercizio
Prova a dar vita al tuo piatto del “cuore” scrivendolo e raccontandolo
insieme ai ricordi, luoghi e avvenimenti che l’hanno accompagnato
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IL PIOPPO E I PROFUMI DELLA CUCINA
Il pioppo, le sue stagioni e i profumi dalla cucina….
Quando penso alla terra e alle cose verdi che la rallegrano, la colorano e ne danno un
senso, davanti ai miei occhi s’illumina l’immagine dell’enorme pioppo cresciuto davanti
alla finestra. La mia
consunta e adorata poltrona, che porta ormai stampata la mia
impronta, come un segno di riconoscimento, è proprio lì, tra quella finestra e la porta
della cucina… Ah!!! che profumi da quella cucina!!!! E che immagini oltre quella finestra.
Quando sopraggiunge l’inverno e la neve abbraccia i rami del mio pioppo e li avvolge
come un caldo cappotto, me ne sto lì davanti alla finestra ad ammirare quella potenza di
albero, ne studio
tutte le ramificazioni e indovino qualche nido ormai rimasto vuoto e
triste in attesa del risveglio della stagione e sotto il naso mi arriva un aroma caldo, pieno,
che da solo fa già colmo lo stomaco… aroma di “cassoela”. Mi piace solo la ciccetta che
c’è in quel piatto. E i salamini? Al solo pensiero sento già crescere la saliva nella bocca!
Le verze puzzano di convento di suore.
Brutti ricordi, ma questa è un’altra storia e ne parliamo un’altra volta.
Mi sgocciola dal mento il sughetto dal tanto che ne traggo piacere.
Che soddisfazione la “cassoela” e ogni volta noto con soddisfazione che anche la mamma
è felice perché faccio onore alla sua cucina.
Dicevo? A si, il pioppo! Che bell’abito si mette in primavera?… Che dolci
e tenere
foglioline lo ricoprono. Foglioline che al sospirar del vento sembra accarezzino i propri
rami che sembrano quasi ingentilirsi e che sanno anche dare spettacolo di sé quando la
pioggia dirompente li sferza e li inclina sotto la sua forza ancestrale.
E io sempre lì, con il naso attaccato al vetro ad aspettar non so neppure io cosa … o forse
so bene cosa!
Con l’arrivo della stagione più calda dalla cucina arrivano profumi diversi… pollo arrosto
con patatine… ma non sono mai stato un tipo da verdure e anche le patatine le lascio alla
mamma… ma il pollo come lo fa lei è ineguagliabile, morbido dentro e quel rivestimento
unto e croccante… Mi piace persino di più la pelle, anche se la mamma non me la lascia
sempre… Forse piace anche a lei… La golosa!!!
E il mio pioppo sempre lì… e poi arriva il momento dei “piumini”… che spasso. Mi diverto
un mondo a vederli entrar dalla finestra e svolazzar per casa e col naso per aria ne seguo
il volteggiar e quando per caso mi vengono sotto il naso ci faccio degli starnuti…. Ci ho
tentato qualche volta di prenderli ma non è facile e poi la mamma, quando se ne accorge
chiude la finestra e si infastidisce perché nel fare la crostata le finiscono i piumini nella
pasta. La crostata con la crema di ricotta e la gelatina sopra la frutta. Ma tant’ è io sono
un po’ strano e della crostata inghiotto tutto tranne la frutta. Non fa per me.
Comunque non distraetemi con tutti questi odori di cibo. Si parlava del mio pioppo
preferito. Anche quando mangio il mio posto non è scelto a caso. Debbo vedere bene il
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mio albero. Il posarsi di un uccellino distoglie subito la mia concentrazione dal piatto e i
miei occhi ne seguono lo svolazzar tra i rami e come le invidio quelle ali.
Lui è nel giardino dei vicini e mamma non ama che io passi quel confine. Ma oggi non mi
va di ubbidire.
Tobia viene con me.
Ormai è deciso.
Eccoci pronti.
Siamo proprio sotto questi rami brulicanti di vita e una gioia infinita si impossessa di me
tanto che è non mi è più possibile contenerla.
Tobia parte senza indugio e io subito dietro.
Un balzo e siamo sul primo ramo e poi su e su e su fino quasi alla cima….. che
meravigliosa sensazione di libertà e di potere…..ma anche che dispendio di energia e che
fame… e… e… ma cos’è questo profumino??? Tonno!!!??? Ecco finalmente il mio preferito.
Quattro balzi e sono a terra, una strofinata alle gambe di mamma per ringraziarla, così lei
è felice, e giù a lappare con ingordigia. Poltrona… Una leccatina ai baffi e finalmente una
meritata ronfata. Sognerò verdi foglie e teneri uccellini. A domani pioppo mio. MIAO ,
MIAO.
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LUIGI STOMPANATO
Esercizio
Sono settimane che aspetto questo telegramma e ora che è
arrivato, non oso aprirlo. Me lo manda mio marito e so cosa dice:
“Vengo a prenderti”.
Partendo da questo incipit prova a scrivere: un testo di 500 caratteri e
un testo di 1000 caratteri
Elaborato da 500 caratteri
Tempo di vacanza e l’amore della mia vita, di ritorno in macchina dal suo viaggio di
lavoro, si fermerà solo per far salire l’amore della sua vita, e insieme andremo via. Per
fissare l’incontro ha usato le parole che ci hanno unito anni prima, adolescenti con la
voglia di giocare ancora a nascondino. Io che
fingo di nascondermi, lui che recita la
ricerca e mi dice: “Vengo a prenderti”, con gli occhi che aggiungono: “Per sempre”. Io,
distratta per gioco, mi sono fatta trovare, per sempre.
Elaborato da 1000 caratteri
Un brivido freddo mi scuote la schiena al pensiero che lui arriva e l’altro si trova nudo in
casa nostra, proprio in questo momento. Già una volta ero stato colto sul fatto e mio
marito, seppure con la voce rotta e gli occhi bagnati da lacrime di condanna, mi aveva
perdonato: “Come hai potuto farlo, con la tua salute zoppicante… Non voglio più fare la
spola continua con gli ospedali, temere ogni giorno di perderti. Smettila! Fallo per te,
fallo per me.” Io avevo smesso ma la voglia di rivederlo nudo non mi aveva mai
abbandonato e alla prima occasione di tradimento che era capitata, non avevo saputo
resistere. Ma ora mio marito tornava, veniva a prendermi, e io dovevo precipitosamente
rientrare in casa dove lui era ancora lì, splendidamente nudo. Tornavo a casa affannato
dalla zavorra dei miei 120 chili, il sangue che scorreva veloce portando in circolo il mio
eccesso di glucosio, eccesso potenzialmente mortale. A casa, in fretta, per prendere quel
cioccolato che avevo scartato, spogliato e in parte divorato in una inconscia volontà
distruttiva, rivestirlo di stagnola e farlo sparire.
49
Esercizio
Descrivi te stesso a uno sconosciuto (500 caratteri)
Finalmente sei mia, anche se ho dovuto pagare per averti ma sono sicuro che ne varrà la
pena, e poi tanto ho usato la Mastercard. Ora possiamo conoscerci e di me ti dico che so
come va il mondo e non sottilizzo se tanti altri già ti hanno posseduto. I miei occhi color
castano miope, di fronte a te non hanno bisogno di lenti. Mi piaci perché non protesti se
ho la barba che prende aria da giorni, o se a volte ti trascuro, tanto tornerò sempre da
te, perché ho bisogno di certezze certe, della compagnia di chi non domanda troppo; non
ti arrabbi se non ti accarezzo delicatamente, o se ogni tanto mi metto le dita nel naso,
perché sai, nel tuo silenzio paziente, che in fondo, anche se prima di te ce ne sono state
altre, e altre ne verranno dopo di te (spero) tu per me sarai sempre l’unica, cara prima
pagina di un libro nuovo.
Descrivi te stesso a tuo padre (500 caratteri)
Ciao papi, scusa se ti chiamo così ma mi aiuta a dar voce a un sogno; oggi c’è vento in
paese, un vento che disordina i miei capelli biondissimi, quasi bianchi, ma mi mette di
buon umore, mi fa sorridere senza vergogna per quel dentino che mi manca. Sai? Quel
vento ha cambiato la chimica del mio sangue e fatto impazzire i miei globuletti pallidi,
tanti anni fa ha portato dalle mie parti aria fritta che non mi ha fatto bene, veniva da un
posto che ha un nome simile a quello dove abiti tu, che sei di Cernobbio, e se potessi
raggiungerti, magari portato dallo stesso vento che sto respirando, potresti curarmi e
permettere che i miei capelli riescano a diventare veramente bianchi, tra moltissimi anni.
Quindi che fai? Mi adotti?
Esercizi
Descrivi un odore/sapore in prima persona (300 caratteri)
L’umano è stupido quanto l’ippopotamo, per millenni non si è accorto che anche noi
formiche proviamo emozioni olfattive: forse più di loro posso godermi il generoso
abbraccio di questa foglia lavata dalla pioggia finita, e assorbire nel mio piccolo fondo
l’odore fresco di acquosa speranza e umida dolcezza. Emozione forte, più forte ora che
vedo che sarà l’ultima.
50
Descrivi lo stesso odore/sapore come pensi lo senta un
ippopotamo, (300 caratteri)
La bestia arriva, stupida come un uomo, viene a interrompere il romanticismo e rompere
le palle; le sue naricione non avranno emozione, della foglia bagnata lui coglierà solo
l’acquolina del suo palato, il brontolio del suo stomaco, l’istinto della sopravvivenza,
odore si tradurrà in fame, sicuro, e io ho zampe troppo piccole per scansarmi. Vai a
cagare bestia, così poi tornerò libero.
Descrivi lo stesso odore/sapore come se tu fossi un ippopotamo
(300 caratteri)
Grosso, grasso, grosso, fame, fame, sempre, fame, grosso, grasso, fame, foglia, grosso, e
fame, grossa, foglia, odore, foglia, verde, foglia, buono, odore, buono, sapore, foglia, per,
mio grasso, perché, io grosso, ancora, odore, altra, foglia, tutta, foglia, tutta, in bocca,
anche, puntino, sopra, foglia, non, importa, grosso, e grasso, odore, è foglia, è fame,
tutto, in bocca.
Esercizio
Prova a dar vita al tuo piatto del “cuore” scrivendolo e raccontandolo
insieme ai ricordi, luoghi e avvenimenti che l’hanno accompagnato
PIATTO: PIZZA DI MACCHERONI
TEMPO DI PREPARAZIONE 53 MINUTI E 08 SECONDI, CHE E’ LA DURATA DEL CD “LA VITA
E’ ADESSO” DI CLAUDIO BAGLIONI
INGREDIENTI: 400 GR DI LINGUINE, UNA CONFEZIONE DI PANCETTA AFFUMICATA A
DADINI, GRANA GRATTUGGIATO, PAN GRATTATO, DUE UOVA, 2 MOZZARELLE, UNO
SPICCHIO DI NOSTALGIA, UN CUCCHIAIO DI MALINCONIA, ILLIMITATA PASSIONE PER
CLAUDIO BAGLIONI, UN QUINTALE DI VOGLIA DI METTERSI AI FORNELLI (MA DOVE LA
VENDONO?)
“Bentornato a questo sole, nelle camere di tutto il mondo, quando allaga letti e cuori, che
si girano per un secondo”.. gli occhi socchiusi, Morfeo non è ancora diventato Orfeo ma
quel po’ di coscienza già sveglia mi dà comprensione della prima buona notizia della
giornata, cioè la canzone che passa la radio, la seconda è la gita che farò con mamma,
papà, sorella piccola e sorella più piccola ancora; dove andremo? Che importa? Le gite
51
sono un pretesto per arrivare in un luogo, ma soprattutto in un tempo, quello del pranzo,
quando mamma chiama a raccolta la prole e ogni luogo diventa cucina, sia una panchina
o un prato o un sasso o sabbia, non è così importante, mamma scarta le fette di pizza già
tagliate da quando il viaggio era ancora progetto, distribuisce e noi gustiamo questo cibo
sorretto con le mani, attenti che la fame e il gusto non ci facciano mangiare anche la
carta che lo copriva.
“E tutti adesso incontro ad un sogno che non è lo stesso ma ne abbiamo già bisogno”, è
la stessa canzone ma sono passati 20 anni, le sorelle piccole, sempre pigre nelle gite di
famiglia, ora sono protagoniste di famiglie, sono diventate più grandi di me, e a loro ho
chiesto la ricetta di questo antico piatto, con il sogno bisogno di riscoprire e ricordare. E’
la stessa canzone ma non è pescata a caso nella radio, ho scelto io il cd e lo ascolterò
mentre compirò l’evento raro di mettermi ai fornelli.
“anche chi dorme in un angolo pulcioso coperto da giornali, le mani a cuscino, ha avuto
un letto bianco da scalare e un filo di luce accesa dalla stanza accanto, due piedi svelti e
ballerini a dare calci all’acqua nell’ultima estate da bambini..” Claudio vive nella mia
cucina attraverso le sue note, ed appena appena lo disturba il lento ma inesorabile
rumore di metamorfosi della pancetta affumicata a dadini, che galleggiante nell’olio
cambia colore e, come toccata da re Mida, si dora.
In un altro contenitore, due uova private del guscio, pezzi sparsi di mozzarella e una
pioggia di parmigiano grattato attendono il loro turno, mentre una pentola sacrifica il suo
culo al fuoco per l’acqua che deve arrivare a scottare e cominciare a ballare il latino
americano.
In attesa che l’acqua si agiti, posso concedermi un attimo di pausa per godermi i primi
accordi di pianoforte che annunciano
uno dei tanti capolavori di Claudio. Oh Claudio
Claudio, tu, che sei l’unico uomo che potrebbe farmi diventare omosessuale, Claudio
mio.. “Sei tu che spingi avanti il cuore, per il lavoro duro di essere uomo e non sapere
cosa sarà il futuro” vero Claudio, l’unica certezza che abbiamo è cosa sarà il passato, e
piace pensare a come sembrava tutto più colorato e saporito, a partire da quel piatto che
sto cercando di replicare, come se volessi schiacciare il rewind di una cassetta che
funziona però solo per avanzamento, come se volessi ancora cedere la gestione del mio
tempo, lasciare ancora mamma a scandire il mio tempo, dal gioco al cibo, e poi a letto
senza fare brutti pensieri, tanto domani si va ancora in gita, perché da bimbi il giorno
dopo c’è sempre una gita da fare.
L’acqua borbotta, comincia a evaporare, è tempo di buttarci le linguine (sorella ma non
vanno bene gli spaghetti? No, la pizza di maccheroni si fa con le linguine!), che principi
del cavolo! Ma come può essere credibile il dogma della linguina in una ricetta di un
piatto che si chiama “pizza di maccheroni”? Dov’è la pizza? Dove sono i maccheroni? Un
nome inutile, magari è una svista della memoria, che perdono per i tuffi che continua a
regalarmi nel ritroso.
52
“Sei tu nel tempo che ci fa più grandi, e soli in mezzo al mondo, con l’ansia di cercare
insieme un bene più profondo”, hai ragione Claudio ma scusa se mi distraggo un secondo
dalle tue parole spesse e mi concentro sul delicato momento di far fare sesso all’uovo
nudo, la mozzarella, il grana grattugiato, i dadini ingialliti e le linguine piegate dall’acqua
scottante. Unisco e mescolo tutti i protagonisti di questo piatto, li lascio in un contenitore
e passo al lato B, sia del cd che della ricetta: ora devo prendere una padella, inumidirla di
olio e poi vestirla di pan grattato, “sei tu che porterai il tuo amore per cento e mille
strade, perché non c’è mai fine a un viaggio anche se il sogno cade”, muovo la padella
come un’arma da scherma per spalmare equamente l’olio su tutta la superficie; caro
Claudio, il viaggio procede ma il sogno continua a cadere, come la mettiamo? Il pan
grattato si posa sopra l’olio, e sotto c’è la padella, sopra verso la miscellanea
precedentemente preparata, e stavolta è la padella che sacrifica le terga, per fondere il
pane alle linguine e rendere croccante la superficie.
“Domattina mi alzerò un po’ prima a far la fila allo sportello
degli amori smarriti per
cercare il nostro, poverello”, frigge la parte sfigata della linguina che è più vicina al fuoco,
per quanto tempo dovrà sacrificarsi? Questo non l’ho capito, andrò a naso, o a caso,
sperando che il croccante resti raso e non invada troppo in profondità, dove è sepolto il
dadino di pancetta. In attesa penso agli amori smarriti, esiste davvero lo sportello dove
poterli ricercare? Per poterli ritrovare? Riprovare? Cercando di non ripetere gli errori che
te li hanno fatti smarrire?
Decido che il supplizio per la linguina è sufficiente, quindi porto l’agglomerato di cibo su
un piatto, lavo la padella, ripeto l’operazione di diffusione dell’olio e pioggia del pan
grattato, rimetto il malloppo sulla padella, stavolta dal lato opposto, e attendo che
termini la stessa operazione di croccantatura.
C’è stato un tempo che non dovevo fare io queste cose, c’era chi le faceva per me e io
dovevo solo goderne il sapore e abbinarlo a un momento felice, mamma chiamava e io
correvo subito, le mie sorelle si attardavano al sole, scaldavano i ventri per renderli, 20
anni dopo, fertili di figli per sé, di nipoti per i miei genitori.
“Amori, eterni come l’acqua alle fontane, e i giorni son più lunghi e si esce fuori a
respirare gli orizzonti e le montagne più lontane”, eternità, l’unica eternità che so è il
morso profondo dato alla pizza di maccheroni, un secondo e un terzo, la carta vuota e lo
sguardo verso mamma: “Ce n’è ancora?”, la risposta un sorriso che era una carezza, che
voleva dire già sì, prima della sillaba pronunciata.
La doratura del lato B è terminata, la mia pizza di maccheroni è pronta, la trasloco dalla
padella a un piatto e la guardo orgoglioso, l’abbandono per un attimo per andare in
bagno,
mettermi
davanti
allo
specchio
e
applaudirmi
da
solo,
a
metà
tra
l’autoammirazione e il cretinismo galoppante, torno di là mentre Claudio canta “tuo padre
aspetta sempre qualche nave funambolo sul filo del passato e cena con una bistecca
stanca” torno a mirare il mio capolavoro, altro che bistecca stanca mangerò tra poco,
53
ma l’occhio mi cade sul sacchetto del formaggio grattuggiato, e su sei crudeli cifre: 06 04
10, cosa vogliono dire? Sei aprile 2010, e oggi che giorno è? Stramaledizione: 15 maggio
2010.
L’apparenza del mio prodotto è fantastica, la doratura perfetta, la superficie accattivante,
ma dentro? Questo maledetto ingrediente scaduto, guasto, che sapore lascerà in eredità
alla mia pizza di maccheroni?
“Vorrei un biglietto per un posto dove non ci sono cani, poveri granelli di pepe,
abbandonati in mezzo ad una estate; un posto dove non ci sono vecchi soli che amavano
molto la moglie e tengono i nipoti in un portafoglio di foto ciancicate” io, molto più
concretamente, vorrei essere stato più attento alle date di scadenza degli ingredienti per
non vanificare tutto il lavoro fatto in questo mio raro impegno culinario, e ora anche le
canzoni di Claudio hanno un gusto amaro: la canzone che ascolto ora la canticchiavo 20
anni fa, e nel frattempo cosa è successo? Quanti anni avevo 20 anni fa? Quanti sogni
avevo da realizzare 20 anni fa? Quanti sogni sono diventati realtà 20 anni dopo? Invece
quanti hanno fatto la fine di questo piatto che ho preparato?
E’ come la ricetta, all’apparenza tutto a posto, ma qualcosa dentro è guasto, qualcosa
nella ricetta non va bene, qualcosa dentro di me non va bene. Mamma, papà e le sorelle
piccole non ci sono più, e cercarle nel passato forse è stato un errore, mi conviene
probabilmente rassegnarmi al presente, cercarli tutti qui, e forse una telefonata è più
facile che mettersi in cucina, il tempo presente più facile da coniugare del tempo passato.
La pizza di maccheroni non ci sarà più, ma magari mi aspettano pietanze nuove, non più
buone o meno buone, nuove.
“Questa notte di note è come qualcosa di rauco che ti chiedi cos’è mentre ti è già
passato”, va l’ultima canzone del cd mentre devo decidere che fare della mia creazione, e
magari anche della mia vita; purtroppo per il piatto c’è poco da fare, il sacchetto dei
rifiuti umidi ha meno fame di me ma è l’unico posto che potrà accogliere mio figlio,
mentre io mi aggrappo per l’ultima volta, in queste ore e in queste righe, alle parole di
Claudio, cuoco migliore di me, capace sempre di rispettare le scadenze nelle cadenze
delle parole: “Qui in questa via di nessuno, mi sto frugando parole per far sognar
qualcuno, quando verrà dal cielo dove si trova, una speranza di luce, una canzone
nuova”.
Addio, pizza di maccheroni.
54
MICHAEL TOGNOLI
Esercizio
Sono settimane che aspetto questo telegramma e ora che è
arrivato, non oso aprirlo. Me lo manda mio cugino e so cosa dice:
“Vengo a prenderti”.
Partendo da questo incipit prova a scrivere: un testo di 500 caratteri e
un testo di 1000 caratteri
Elaborato da 500 caratteri
Ieri sera avevo evitato di leggerlo perché ero provato dalla giornata alla pescheria dove
lavoro da qualche giorno. Adesso al tavolo della cucina mentre odoro il caffè appena
versato nella mug della colazione apro con un dito il foglio e verifico la mia ipotesi.
Guardando fisso verso la finestra penso all’accaduto un anno prima ed un brivido mi
riporta a quella maledetta serata piovosa a casa di Teo. Forse è il momento di smettere di
scappare ed affrontarlo a viso scoperto. Dopo tutto vivere così nascondendosi dietro a
false maschere non mi permetteva di essere sincero con il mondo.
Elaborato da 1000 caratteri
Riepilogo velocemente il contenuto dello zaino; da oltre un mese aspettavo quel giorno in
cui finalmente avrei partecipato al trekking con gli amici.
La montagna della nostra infanzia era una meta divertente anche perché ci avevo vissuto
alcune delle mie più avvincenti avventure di bambino in vacanza estiva.
Avevo scoperto la magia di passare la notte in tenda con gli altri amici scout intenti a
raccontarci storie di paura condite dai rumori del bosco e dallo scorrere del ruscello;
avevo imparato a costruirmi il legno da passeggio intagliandolo con il coltellino al termine
di ogni “missione”; avevo imparato a suonare nel grande corno sulla cima del monte dopo
innumerevoli tentativi.
Avevo fortemente voluto quella rimpatriata perché desideroso di rivederli tutti e curioso
di vedermi di nuovo all’opera atletica dopo anni di grigiore cittadino
Suona il clacson e dopo aver vestito il mio arsenale corsi giù dalle scale eccitato e
contento.
55
Esercizio
Descrivi te stesso a uno sconosciuto (500 caratteri)
Provare a presentarmi in poche righe potrebbe rivelarsi un’impresa difficile se il mio
obiettivo fosse quello di sedare ogni tua curiosità, citandoti ogni mia caratteristica.
Potrei cominciare con i dati anagrafici, studi effettuati, attuale impiego, hobbies, ma
ritengo questi dati ben lontani da quello che tu ti aspetteresti di sapere se effettivamente
volessi conoscermi.
Ho quindi appena deciso di proporti un aggettivo che bene o male è parte di quello che
sono:
Sono continuamente SORPRESO dalla vita!
Esercizi
Descrivi un odore/sapore in prima persona (300 caratteri)
E’ l’unico profumo che mi genera istantaneamente emozioni; dalla nostalgia alla gioia
all’abbraccio al cielo. Quando infatti per una fortuita coincidenza le mie narici distratte si
colmano con la nuvola piena di aromi semplici ma definiti dell’odore del pane appena
sfornato, la mia mente vola!
Descrivi lo stesso odore/sapore come pensi lo senta un
ippopotamo, (300 caratteri)
Stava dormendo tranquillo a bordo della vasca dello zoo. Aprì gli occhi e, curioso,
cominciò a chiedersi cosa lo stava costringendo ad alzarsi. Si avvicinò in trance al recinto
che costeggiava il quartiere e lo vide; il panettiere stava caricando la bicicletta con
sacchetti fumanti che da ormai tanti anni lo svegliavano piacevolmente.
Descrivi lo stesso odore/sapore come se tu fossi un ippopotamo
(300 caratteri)
AAAAOOooohh!(sbadiglio) Uh?uuHH?(alzo il muso) eh?uhmmm?(sento e apprezzo il
profumo) AAAAOOOhhhh(sbadiglio) ohiohiohi(mi alzo stancamente perché come ogni
giorno mi illudo che il guardiano abbia portato cibo diverso) gronfgronfGronf(mangio
avidamente quelle forme fumanti che odorano di buono)
56
Esercizio
Prova a dar vita al tuo piatto del “cuore” scrivendolo e raccontandolo
insieme ai ricordi, luoghi e avvenimenti che l’hanno accompagnato
Avevo voglia di cucinare qualcosa di diverso e, giunta l’ora,sono entrato in cucina per il
doveroso rito serale.
Per prima cosa accendo il faro direzionandolo verso “l’altare” dove avrei compiuto
l’estremo sacrificio; accendo anche la radio e la sintonizzo su una musica consona al
momento.
Il mio vestito è adeguato quindi posso pure cominciare:
prendo una pentola e la riempio di acqua pura che, dopo avere posizionato sul fuoco
destro dell’altare, salo quanto basta; copro il tutto con il giusto coperchio.
Giro la ruota dei cibi, posizionata a livello delle mie ginocchia, fino a che scorgo quello
che cercavo: gli spaghetti.
Con cura li poso accanto al sacro focolare e spio la situazione dell’acqua di cottura: sono
già evidenti i primi segni della trasformazione del liquido.
Il momento è ideale per estrarre dal frigorifero il protagonista della serata; apro la porta
ed un vento gelido mi distrae ma non mi impedisce di vedere il mio obiettivo; con cura
prendo il vasetto che lo contiene e lo poso sull’altare accanto agli spaghetti.
Prendo dall’armadio un’ulteriore pentolino e lo poso sulla fiamma sinistra dell’altare; con
movimenti mirati e repentini, verso il contenuto del vasetto e lo allungo con un cucchiaio
di acqua da cottura, prelevandola dalla pentola madre.
Quello che inizialmente sembrava un grumo di materia intonso e solido a contatto con la
superficie scaldata del pentolino si ingentilisce e si lascia stendere lungo tutta l’area del
medesimo; con un cucchiaio di legno sacro tengo mescolata l’essenza.
E’ il momento propizio per agevolare gli spaghetti nell’acqua ormai rumorosa e intanto
continuo a mescolare l’altro pentolino.
La musica mi distrae e trasalendo dal territorio incantato nel quale grazie al rito ero
sprofondato, apparecchio la tavola tenendo sempre controllati i rumori delle cotture in
corso.
Devo assolutamente recuperare un pezzo di pane per godere fino in fondo il risultato del
sacrificio, ma non ne ho; l’ansia mi avvolge e penso a dove io possa recuperarlo: idea….!!
Vado dai vicini che con estremo garbo mi donano una michetta.
Dopo averli salutati esco e corro attraverso il cortile per tornare al più presto nella mia
cucina; apro la porta ed un senso di tristezza e dolore mi annebbia la vista.
Vado all’altare lasciando cadere il pane sul tavolo e li mi paralizzo: guardo nel pentolino e
realizzo che metà del magico contenuto è già bruciata!!
57
Cerco con il cucchiaio di ravvivare il tutto; sono disperato e nonostante gli sforzi il
dramma è ormai compiuto..
Spengo il fuoco e piango…..
Intanto la pasta è cotta e senza perdere altro tempo la colo nel lavandino e la verso nel
piatto della cena: prendo il pentolino e lo rovescio sugli spaghetti dopo avere rimosso i
cadaveri della cottura.
Mi siedo a tavola e mangio meccanicamente con lo sguardo fisso verso il vuoto.
EPILOGO
Per tutta la notte ho ripensato all’ultimo sguardo del sugo ai 4 formaggi defunto sul fondo
del pentolino e addirittura ne ho sentite anche le grida disperate……
ATTORI
Protagonista: SUGO PRONTO AI 4 FORMAGGI
Coprotagonista: IO
Altare sacro: FORNELLO 4 FUOCHI WHIRLPOOL
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