Canto gregoriano - Fabio Sartorelli
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Canto gregoriano - Fabio Sartorelli
28/12/2010 Canto gregoriano Le musiche greche e romane, non essendo fissate per iscritto, svanirono gradualmente con lo scomparire delle relative civiltà. Un altro antico repertorio di tradizione orale, invece, è riuscito a giungere alla fase della stesura scritta che ne ha garantito la sopravvivenza fino ad oggi. Si tratta di quello che comunemente viene denominato canto gregoriano, ma che sarebbe più corretto definire monodia liturgica cristiana in quanto, come dimostrano studi relativamente recenti, la sua storia ha poco a che fare con quella di Papa Gregorio Magno, dal quale trae il proprio nome (Gregorio Magno svolse il suo pontificato fra il 590 e il 604 d.C). 1 28/12/2010 Caratteristiche del canto cristiano Si chiama canto cristiano, o canto piano, o canto gregoriano, o ambrosiano, un tipo di canto sacro avente le seguenti caratteristiche: 1. è sacro 2. è monodico (quindi le voci lo intonano all'unisono); 2. è esclusivamente vocale (cioè non si serve di strumenti musicali di accompagnamento); 3. è ritmicamente libero in quanto il ritmo è determinato dalla corretta dizione del testo e non segue alcun metro rigido; 4. è in latino. Il suo sviluppo occupa circa nove secoli di storia, dai canti sinagogali e delle primissime comunità cristiane d'occidente, al IX secolo, epoca in cui il repertorio assunse, grazie anche all'affermarsi della notazione musicale, un assetto stabile. 5. con la sola eccezione degli inni, tutti i testi sono tratti dalla Bibbia. La matrice da cui derivò il culto cristiano è chiaramente una matrice giudaica. La molteplicità degli elementi comuni tanto al culto giudaico quanto al culto cristiano ne è di fatto una conferma. Entrambi i culti sono infatti caratterizzati da: 1. l'aspetto comunitario del culto; 2. l'importanza della dimensione interiore (come ricorda Stefano: non in templi manufatti abita l'Altissimo) 3. l'attesa escatologica (cioè per la vita che verrà). Alla tradizione giudaica devono essere fatti risalire numerosissimi elementi: i riti battesimali; la liturgia della parola; alcune preghiere della liturgia eucaristica; il calendario ebraico (ritmo settimanale); la pratica del digiuno; la complementare funzione della preghiera comunitaria e di quella personale. 2 28/12/2010 I canti La testimonianza delle prime fonti cristiane I primi documenti cristiani relativi ad una pratica di canto si trovano nel Nuovo Testamento. Esempi di testi certamente cantati dalle prime comunità si trovano nei vangeli di Matteo (65-80), Marco (idem), Luca (intorno al 100). Alcuni di questi testi (come il Magnificat) posseggono una struttura ritmica determinata e non sono strofici (come è tipico dei salmi): sono i cosiddetti "noti cantici" che rappresentano una delle prime forme di canto. La particolare struttura di questi testi ha indotto gli studiosi a credere che fossero anteriori alla stesura del testo evangelico e che fossero tradizionalmente cantati. Tuttavia la più antica forma di canto è la cosiddetta "cantillazione" vale a dire una amplificazione della parola su un ristretto numero di suoni, regolata dal ritmo verbale e organizzata in frasi libere da qualunque struttura metrica. Questa primordiale forma di canto, che divenne elemento centrale del culto, è applicata alle letture evangeliche e bibliche, ai testi salmodici. Di seguito ma fin dai primissimi secoli, accanto ai salmi la tradizione cristiana accolse altre due forme di canto di derivazione ebraica : l'Inno e lo jubiuls. 3 28/12/2010 Lo sviluppo dei canti (primi secolo dC anno 1000) Canto Periodo Salmodia – cantillazione I secolo dC (di derivazione ebraica) Inni I secolo dC (di derivazione ebraica) Jubilus I secolo dC (di derivazione ebraica) 4 28/12/2010 Nome del canto secolo della sua introduzione nella messa Introito V circa Kyrie IV– V Gloria IV– V Graduale IV– V Alleluia II circa Tractus II? – IV– V Sequenza IX (ufficialmente anche se forse era già cantata nel VI– VII secolo) Credo VI (in Spagna) – XI (a Roma) Offertorio IV– V Sanctus I– II Agnus Dei 687– 701 per volontà di papa Sergio I Communio III– IV Ite Missa Est II– III Benedicamus Domino XI Requiescant in Pace XII IV secolo: sviluppo del monachesimo 5 28/12/2010 …dopo la morte di Teodosio (395)… La diffusione dei canti non avvenne in maniera uniforme lungo tutto il vasto Impero Romano d’Occidente. Intorno al VI secolo, l’Europa ecclesiastica si presentava come una vasta scacchiera. Nella chiesa d’occidente il rito era in latino per tutte le chiese mentre il repertorio dei canti variava di zona in zona: a Roma e nell’Italia centrale dominava il vetero–romano a Milano e in parte della Lombardia l’ambrosiano ad Aquilieia (città progenitrice di Venezia) l’aquileiese nel ducato longobardo di Benevento il rito beneventano il gallicano in Francia il rito celtico dominava in Irlanda, Inghilterra, Francia e Bretagna il rito mozarabico in Spagna 6 28/12/2010 La nascita del gregoriano: un solo canto per tutto l’Impero e il ruolo di Gregorio Magno. 7 28/12/2010 Il VI secolo si concluse sotto il papato di S.Gregorio magno (590– 604), colui dal quale il canto gregoriano prese nome. Fino a qualche tempo fa, si riteneva che papa Gregorio avesse avviato una decisiva riforma del canto liturgico, modellandolo nella stesura definitiva che è giunta fino a noi. Studi più recenti hanno invece rivelato l’assoluta infondatezza di una tale attribuzione: non esiste alcun documento attendibile che dimostri un intervento del celebre papa riguardo alla musica. Anzi: è sopravvissuta una sua lettera al monaco Agostino, da lui inviato a evangelizzare l’Inghilterra, in cui Gregorio raccomandava di attingere a ciò che di meglio producevano le varie chiese e di deporlo presso gli inglesi come un variopinto mazzo di fiori. E’ palese, quindi, l’intenzione papale di rispettare e stimolare le autonomie locali, non certo di mortificarle in favore di un’unificazione imposta dall’autorità centrale. Quando e a che scopo, allora, nacque il mito di Gregorio quale creatore del canto gregoriano? 8 28/12/2010 vetero– romano rito gallicano roman– gallicano Vetero– romano roman– gallicano canto gregoriano la via verso la stabilizzazione a) la notazione musicale 9 28/12/2010 la via verso la stabilizzazione b) Gregorio Magno 10 28/12/2010 11 28/12/2010 La notazione 12 28/12/2010 Notazione S.Gallo IX secolo 13 28/12/2010 14 28/12/2010 linea gialla do linea rossa fa 15 28/12/2010 le chiavi Salmi 16 28/12/2010 La tradizione cristiana accoglie oltre 150 salmi, vale a dire testi di ispirazione sacra, la cui introduzione nella liturgia ebraica è attribuita a Davide. Il canto dei Salmi avveniva su melodie-tipo, o formule salmodiche, che il celebrante applicava estemporaneamente durante i momenti liturgici o di preghiera. Il testo dei salmi è organizzato in versetti, ciascuno dei quali diviso in due emistichi (dal greco hemistìchion "mezzo verso") distinti dall'adozione di una punteggiatura significativa (di solito: due punti, o punto e virgola). Da un punto di vista musicale le formule salmodiche seguono la struttura letteraria del salmo. In particolare si distinguono: un initium (o intonatio), cioè due o tre note introduttive che portano al tenor cioè alla nota ribattuta (detta anche "corda di recita") sulla quale s'intona il salmo; prima che si concluda il primo emistichio abbiamo la mediatio cioè due o tre note che ne sottolineano la conclusione; il secondo emistichio è aperto dal tenor; il versetto termina con la terminatio cioè con una formula melodica conclusiva scelta fra un certo numero di formule conclusive dette differentiae. Il terzo versetto e i successivi riprendono la struttura del secondo versetto ma senza initium. Il primo versetto è l'Antifona cioè una melodia più ornata rispetto alle formule salmodiche, che precede e segue il salmo. 1° emistichio initium corda di recita 2° emistichio mediatio cr terminatio dossologia 17 28/12/2010 Salmo 109 – da Liber usualis Le formule per intonare i salmi vennero più tardi codificate. Se ne riconoscono sette, più una detta Tono Peregrino per via della presenza di due tenores, il secondo (posto nel secondo emistichio) più basso del primo, fra loro differenziate per la formula melodica di partenza, per l'altezza della nota del tenor, per la mediatio ed infine per la terminatio. Nel caso di emistichi particolarmente lunghi è possibile trovare una flexa cioè una piccola deviazione melodica dal tenor. Esistevano diverse maniere di intonare i salmi. Gli ebrei ne conoscevano ben sette; i cristiani ne adottarono quattro: 1. 2. 3. 4. salmo responsoriale (Solista A, Assemblea A, Solista B, Assemblea A ecc.); Salmo alleluiatico (dopo ciascun versetto intonato dal solista la assemblea intonava alleluia); Salmodia antifonica (i versetti del salmo erano alternati fra due semicori); Salmodia direttaneo-solistica (si tratta di un salmo intonato per intero da un solista; data l'importanza del coinvolgimento dell'assemblea era poco praticata). 18 28/12/2010 esempio: Dixit Dominus, salmo 109 (110) per i Vespri della domenica (tonus peregrinus): Audio Dixit Dominus Consortium vocale Oslo dir. Alexander M. Schweitzer Inni 19 28/12/2010 Erano canti già in voga presso gli ebrei. Sostanzialmente sono dei canti di lode a Dio (diceva S. Agostino: "se lodi Dio e non canti non è un inno; se canti e lodi qualcuno al di fuori di Dio non è un inno; se canti e non lodi alcuno, non è un inno"). La loro principale caratteristica consisteva nel fatto che i testi, anziché essere tratti dalla Bibbia, erano libere parafrasi del testo liturgico. Per questa ragione furono, a seconda delle epoche, tollerati o soppressi. Li abolirono: il concilio di Laodicea (360-381); il concilio di Braga (563); Gregorio Magno (604). Li tollerò invece il concilio di Tours (567). Diedero loro un forte impulso i monaci benedettini (San Benedetto morì nel 547 ca.). Ciò che impedì la loro totale abolizione fu il grande successo popolare che incontrarono. Trattandosi però di un repertorio soltanto tollerato dalla chiesa di Roma, esso è giunto a noi con numerosissime varianti melodiche (le melodie cambiano da regione a regione; a volte vi sono più testi per una sola melodia). Al contrario il canto gregoriano, cioè quello ufficiale della chiesa, è giunto a noi con minor varianti. Storicamente i primi inni furono composti in Oriente da S. Efrem diacono di Edessa (303-73). La sua produzione è strofica, isosillabica e fa uso dell'acrostico (i vv. cominciano con le lettere alfabetiche in successione) e di melodie preesistenti. L'inno occidentale più antico è un frammento di un canto di lode in onore della SS. Trinità (fine III sec.). E' in lingua greca. Anche S. Ilario (315-67) vescovo di Poitiers scrisse degli inni in funzione antiariana; erano tuttavia inni dotti e complicati che mai furono eseguiti in un contesto liturgico. Padre dell'innodia in occidente è considerato S. Ambrogio (333/340-397) che scrisse i suoi inni in funzione anti-ariana (da Ario che sosteneva essere il Cristo di natura diversa dal padre). S. Agostino, che fu testimone della nascita dell'innodia disse che S. Ambrogio aveva conquistato i suoi fedeli proprio grazie al canto degli inni. 20 28/12/2010 In questo olio di Giovanni Ambrogio Figino (1548-1608) – Il vescovo Ambrogio sconfigge gli ariani (Milano, Chiesa di Sant'Eustorio, cm 260 x 160) – c'è la sintesi delle paure e delle speranze di un'epoca. La «ferza» che ha in mano, fra i simboli del santo, ricorda la sua strenua lotta contro l'eresia che tuttavia Ambrogio non combatté mai con le armi. Sebbene la tradizione storica attribuisca ad Ambrogio la composizione di centinaia e centinaia di Inni è certa soltanto la paternità di 4 inni (su altri 14 gli studiosi sono incerti): 1. deus creator omnium 2. aeternae rerum conditor; 3. iam surgit hora tertia 4. intende qui regis Israel. Gli Inni di Ambrogio presentano alcune ben precise caratteristiche: anzitutto il verso composto di un tetrametro giambico (quattro coppie di sillabe, breve lunga, breve lunga ecc. che davano vita ad una successione ritmica trasferita poi in sede esecutiva) ; poi la struttura (musicale e letteraria), strofica, per cui la stessa melodia si ripete invariata per ogni verso; infine l'origine popolare delle melodie. Gli inni successivi ad Ambrogio mantennero inalterata la stroficità che ne favoriva l'apprendimento. La loro diffusione fu enorme specialmente per l'attività di poeti quali Aurelio Prudenzio (V sec.), Paolino da Nola, Celio Sedulio, Venanzio Fortunato (VI sec.). Gli ultimi Inni composti risalgono addirittura al 1400. 21 28/12/2010 Veni redemptor gentium Fra i pochi certamente scritti d Sant'Ambrogio (lo stesso Sant'Agostino gliene attribuisce la paternità), si canta durante la “Liturgia delle Ore”. Malgrado l'inno sia strutturato su un metro latino (dimetro giambico) di fatto cerca di far coincidere le quantità lunghe con gli accenti tonici. È un segnale della trasformazione della sensibilità ritmica. Proprio in riferimento a questa prerogativa del teso l'inno è proposto in una esecuzione che distingue note lunghe e brevi corrispondenti alle sillabe di sostegno. Tale prassi è indicata esplicitamente in vari codici, ma non sempre in modo coerente. 22 28/12/2010 V eni, Redemptor gentium; Ostende partum V irginis; Miretur omne saeculum. Talis decet partus Deo. Non ex virili semine, Sed mystico spiramine V erbum Dei tactum est caro, Fructusque ventris floruit. Alvus tumescit virginis. Claustrum pudoris permanet; V exilla virtutum micant, V ersatur in templo Deus. Procedit e thalamo suo, Pudoris aulo regia, Geminae gigans substantiae Alacris ut currat viam. Aequalis aeterno Patri, Carnis tropaeo accingere, Infirma nostri corporis V irtute firmans perpeti. Praesepe iam fulget tuum, Lumenque nox spirat novum, Quad nulla nox interpolet Fideque iugi luceat. Sit, Christe, rex piissime Tibi Patrique gloria Cum Spiritu paraclito In sempiterna saecula. Amen V ieni, redentore delle genti, mostra il figlio della V ergine; si stupisca ogni tempo: tale figlio si addice a Dio. Non dal seme dell'uomo, ma dal soffio dello Spirito il v erbo di Dio si è fatto carne e il frutto del v entre è maturato. Il grembo della Vergine accoglie la vita, la forza del pudore rimane intatta, i v essilli della v irtù risplendono, Dio risiede nel suo tempio. Proceda dal proprio talamo, residenza regale del pudore, come gigante di duplice sostanza pronto a percorrere il cammino. Pari all'eterno Padre, riv estito di carne, sopporta con forza e fermezza la debole virtù del nostro corpo. Già rifulge il tuo presepe e la notte emana una nuova luce, che nessuna notte potrebbe oscurare, perché risplende di fede inesauribile. O Cristo, re clementissimo, sia gloria a te e al Padre, con lo Spirito Paraclito, ora e sempre nei secoli. Amen. Inno (esecuzione ver. ritmica Kantores 96 dir. Bonifacio Baroffio) 23 28/12/2010 Jubilus E' anch'esso un tipo molto antico di canto. Affonda le sue radici nella tradizione ebraica e consiste nell'esplosione gaudiosa di un melisma (cioè vocalizzo), a volte lunghissimo, privo di testo. Ne parlano: Ambrogio (339-397); Agostino (354-430). Quest'ultimo ne parla come di un canto destinato, oltre che al solista, all'assemblea. Possiamo perciò immaginare che esistessero degli Jubila facilitati destinati ad essere appresi dall'assemblea. 24 28/12/2010 S. Agostino, commento al Salmo 32 Cantate a lui un canto nuovo, cantate a lui con arte (cfr. Salmo 32, 3). «Ciascuno si domanda come cantare a Dio. Devi cantate a lui, ma non in modo stonato. Non vuole che siano offese le sue orecchie. Cantate con arte, o fratelli. Quando, davanti a un buon intenditore di musica, ti si dice: canta in modo da piacergli; tu, privo di preparazione nell’arte musicale, vieni preso da trepidazione nel cantare perché non vorresti dispiacere al musicista; infatti quello che sfugge al profano, viene notato e criticato da un intenditore dell’arte. Orbene, chi oserebbe presentarsi a cantare con arte a Dio, che sa ben giudicare il cantore, che esamina con esattezza ogni cosa e che tutto ascolta così bene? Come potresti mostrare un’abilità così perfetta nel canto, da non offendere in nulla orecchie così perfette? Ecco egli ti dà quasi il tono della melodia da cantare: non andare in cerca delle parole, come se tu potessi tradurre in suoni articolati un canto di cui Dio si diletti. Canta nel giubilo. Cantare con arte a Dio consiste proprio in questo: cantare nel giubilo. Che cosa significa cantare nel giubilo? Comprendere e non saper spiegare a parole ciò che si canta col cuore. Coloro infatti che cantano sia durante la mietitura, sia durante la vendemmia, sia durante qualche lavoro intenso, prima avvertono il piacere, suscitato dalle parole dei canti, ma, in seguito, quando l’emozione cresce, sentono che non possono più esprimerla in parole e allora si sfogano in sola modulazione di note. Questo canto lo chiamiamo “giubilo “. Il giubilo è quella melodia, con la quale il cuore effonde quanto non gli riesce di esprimere a parole. E verso chi e più giusto elevare questo canto di giubilo, se non verso l’ineffabile Dio? infatti è ineffabile colui che tu non puoi esprimere. E se non lo puoi esprimere, e d’altra parte non puoi tacerlo, che cosa ti rimane se non “giubilare”. Allora il cuore si aprirà alla gioia, senza servirsi di parole, e la grandezza straordinaria della gioia non conoscerà i limiti delle sillabe. Cantate a lui con arte nel giubilo (cfr. Salmo 32, 3)». 25 28/12/2010 La Messa 26 28/12/2010 Introito · Canto d’inizio nella Messa romana (ingressa in quella ambrosiana). È costituito da un'antifona che si alterna ai versetti di un salmo eseguito secondo il tono salmodico corrispondente alla modalita dell'antifona. Il canto si prolunga per tutto il tempo richiesto dai riti iniziali. Prima della conclusione, al posto di un versetto salmodico, s"introduce la dossologia minore Gloria al Padre e al Figlio. Graduale È il canto che segue la prima lettura biblica della messa quale 'risposta' di adesione alla parola di Dio. È infatti detto responsorium graduale, dove 'graduale' rimanda al luogo in cui il cantor intonava il versetto: i gradini per accedere all'ambone (il pulpito in cui si recita la lettura). In tempo pasquale (dal sabato della prima settimana di Pasqua) è sostituito dall'Alleluia a testimoniare la gioia della resurrezione: in tal periodo si hanno perciò due Alleluia. È strutturato in responsum - versetto – responsum. È fra i canti più ornati e melismatici della messa (da qui il nome all'intero libro che raccoglie tutti i canti della messa). Usa un ambitus piuttosto ampio e in genere il versetto è in posizione più acuta del responsum. Alleluia · Acclamazione che riprende una locuzione ebraica che significa «lodate Dio»: a) È un'acclamazione inserita in molti canti liturgici, sempre a conclusione dei brani nel tempo pasquale. b) Canto della Messa. Nella liturgia romana il canto della parola Alleluia prevede un ampio melisma sulla sillaba finale -ia (= jubilus). Segue un versetto alla fine del quale si ripete l'Alleluia iniziale. Fino al Conciclio Vaticano II era un canto responsoriale così articolato: cantore: alleluia (solo intonazione) coro: alleluia più melisma (jubilus) cantore: verso coro: concl. del verso (spesso è la stessa melodia del melisma) cantore: alleluia (soltanto intonazione) coro: jubilus (-a) 27 28/12/2010 Offertorio E' il canto eseguito durante la processione che reca all'altare le offerte del sacrificio. In origine era un canto antifonale, ma poi divenne responsoriale. Ha uno stile melismatico simile a quello dei graduali. Le sue principali caratteristiche sono: ambito melodico amplificato; ripetizione di singole parole o di frasi del testo. Communio Canto che accompagna il rito di comunione. Fino al sec. XII il canto di comunione aveva la medesima struttura dell'introito: prevedeva l'alternanza con versetti salmici. Audio 28 28/12/2010 Audio 29 28/12/2010 Audio Audio 30 28/12/2010 Audio 31