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MARTEDÌ 4 MARZO 2008 COVER STORY @ MARTEDÌ 4 MARZO 2008 ■4 Per l’Italia sarà la stella del Salone di Ginevra per gli altri una rivale da temere Ecco i segreti, i numeri e la strategia del modello che arriverà sui principali mercati europei alla fine dell’anno La sfida più difficile ecco la nuova Lancia CARLO CAVICCHI facile, adesso, spifferare che la nuova Delta è bella, scommettere che piacerà, prevedere che i successi sempre più sorprendenti di Ypsilon e Musa si ripeteranno anche con la nuova nata di casa Lancia. Hanno diffuso le fotografie, a Ginevra tutti i presenti la potranno vedere dal vivo, tra pochi mesi il pubblico potrà convincersene entrando in concessionaria. Ma ancora due anni fa quest’auto era solo un chiodo fisso di chi la voleva in produzione e un dramma per chi la doveva progettare. A Torino giravano bozzetti che venivano puntualmente cassati nei piani alti. C’era persino chi non voleva farne nulla, chi era rassegnato a È che il glorioso marchio vegetasse alla meno peggio, avviato a un destino doloroso e terminale. Per fortuna, però, c’era anche chi la pensava all’opposto e si adoperava per tirare fuori il coniglio dal cilindro, un’idea che non cozzasse contro i troppi interessi di un Gruppo, come quello Fiat, che stava uscendo dalla crisi più difficile della sua storia e che aveva delle priorità già definite e giudicate irrinunciabili. Per esempio era appena stata lanciata la Bravo e su quel pianale doveva seguire l’erede dell’Alfa 147, una vettura dal piglio sportivo secondo la tradizione del Biscione. Inserire un terzo modello a qualcuno pareva un azzardo. La nuova Delta muove da qui, da un impegno forsennato dei suoi progettisti per mettere assieme qualche cosa capace di folgorare chi comandava al Lingotto, di fargli dire sì. Una vettura in grado di attirare una clientela dai gusti raffinati, dalle esigenze trasversali; un’auto un po’ retrò eppure anche all’avanguardia, non troppo anoressica, con le curve giuste al posto giusto. Un’altra Lancia capace di convincere un’affascinante first lady a salirci sopra ed ammiccare. Vista e piaciuta. Dopo diversi tentativi andati a vuoto, ecco la versione che ha folgorato il management e quindi, in versione prototipo, la marea degli invitati a Venezia in occasione della festa dei cento anni del marchio. Adesso l’auto è pronta per sfidare il mercato nel segmento più PER SAPERNE DI PIÙ www.lancia.it www.carlabruni.com www.catherinedeneuve.com ■5 Carla Bruni La top model e la sua Musa affollato, più combattuto e più difficile. Cucito addosso, ha un nome importante e anche scomodo. Battezzarsi Delta significa richiamare una stirpe dalle origini gloriose, macchiata da una seconda generazione purtroppo infelice. La prima Delta, firmata trent’anni fa da Giugiaro, per un decennio resse magnificamente la scena aggiungendoci, nella sua versione più sportiva e potente, una montagna di allori sportivi che al di fuori dell’Italia restano oggi il solo collegamento con la marca. Invece la Delta-due, messa in strada quindici anni fa, deluse tutte le aspettative, inadatta a ricevere quell’eredità tanto pesante. La terza serie a chi si avvicinerà? C’è da credere più alla vera Delta, cioè alla prima. Non c’è infatti sol- tanto il design molto riuscito a convincere anche i più scettici, ma si aggiungono mille squisitezze, tocchi di lusso diffuso, soluzioni tecnologiche avveniristiche e una proposta di motorizzazioni che partono dalle più scontate per arrivare persino a un superdiesel da 200 Cv o al 1900 biturbo da 190. Roba insomma non sufficiente per rivincere sei mondiali rally consecutivi, ma che basta e avanza per eccitare il lancista più vero. D’altronde l’insegnamento della 500, che ha fatto razzia di premi internazionali, dice che per avere successo occorre abbinare allo stile tanta sostanza. Per questo sulla nuova Delta tutti i motori saranno Euro 5 e i cambi tutti a 6 marce con in più anche la versione automatica. LA CAMPAGNA pubblicitaria da tre milioni di euro voluta dai vertici Lancia per la Musa ha come sensuale protagonista l’ex-modella, ora cantante, Carla Bruni, che recentemente ha sposato il presidente francese Nicolas Sarkozy. Probabilmente nessuno stratega della comunicazione sarebbe riuscito a far coincidere così bene i tempi di esposizione di uno spot che associa un prodotto, in questo caso la Musa, alla donna più in vista del momento. Risultato? La Lancia ha ottenuto in gennaio un aumento di quasi un punto percentuale e la Musa continua ad essere la monovolume compatta più venduta in Italia. Il passo molto lungo, poi, tranquillizza sull’abitabilità a bordo: spazio per le gambe e per le cose al seguito, grazie anche ai sedili posteriori che scorrono longitudinalmente e aprono scenari stuzzicanti per i collezionisti di valigie. In quanto agli optional, la lezione dei tedeschi è stata assimilata al meglio: pur con una grande dotazione di serie ci sarà sempre tanto da aggiungere. Dal tetto panoramico in cristallo, ai rivestimenti in pelle, dagli ammortizzatori con controllo elettronico al navigatore satellitare di nuova generazione non c’è limite. A dire basta, semmai, ci penserà il portafoglio. Il ritorno della Delta 2008 1979 Catherine Deneuve Indimenticabile quello spot “OUI, je suis Catherine Deneuve”. Difficile non ricordare con un pizzico di nostalgia quelle poche parole sussurrate con semplicità e dolcezza, doti che certo non mancavano alla diva francese, dopo aver parcheggiato davanti ad un albergo di lusso ed essere scesa da una Delta nuova di zecca. Erano i primi anni ’80, e questo fu lo spot, essenziale nei contenuti e stringato nello svolgimento, scelto dalla Lancia per pubblicizzare la LX. L’impatto mediatico fu tale, grazie alla qualità della vettura e allo charme dell’attrice, da spingere alcuni critici a indicare ancora oggi il binomio Delta-Deneuve come uno tra i più riusciti nella storia della pubblicità. Di certo, quel tailleur rosso e quel sorriso disarmante non potevano non cogliere nel segno. E contribuirono al successo della creatura di Giugiaro, che di lì a poco avrebbe intrapreso anche la strada delle competizioni facendo man bassa di titoli mondiali rally. Oggi il testimone passa da una francese “italianizzata” ad un’italiana che si è trasferita in Francia, Carla Bruni. MASSIMO NASCIMBENE ncora una volta la Fiat ha scelto frugando nei cassetti, alla ricerca di un aggancio con il passato: dopo Bravo e Croma per la marca capogruppo, ecco il ritorno di Delta. Un nome che pur avendo “saltato un giro”, come gli altri due, riesce ancora a evocare la felice stagione degli anni Ottanta, quando la famiglia Lancia era stata costruita saccheggiando a piene mani l’alfabeto greco. Una stagione di successi segnati da una forte connotazione sportiva, grazie a quel vero e proprio fenomeno che fu la Delta Integrale. Grandi trascorsi, insomma, che in fondo non hanno molto da spartire con la “berlinotta” che debutta adesso. Anzi, a ben guardare le analogie fra i due modelli non vanno oltre la col- A Attenti al nome, da solo vale un tesoro locazione di mercato, in quel guazzabuglio di vetture di taglia media che gli addetti ai lavori chiamano “segmento C”. Ma la decisione torinese non deve sorprendere più di tanto. Perché battezzare un nuovo modello non è mai un compito facile, tanto che la storia dell’auto è piena di appellativi che sopravvivono di generazione in generazione. Succede in Europa (vedi Golf o Fiesta) in Giappone (Accord, per fare un solo esempio) e pure in America, con le varie Corvette e Mustang, che ritornano puntualmente da mezzo secolo in qua. E non sempre si tratta di accompagnare la naturale evoluzione dello stesso modello: basta guardare in casa Honda dove, alla voce Civic, si sono succedute vetture di connotazione variegata, che spaziavano da paludate tre volumi per famiglia a berlinette di chiara impronta sportiva. Non si cambia insomma, finché le cose vanno bene o almeno non vanno troppo male. E in fondo è normale che sia così, anche perché puntando sul nuovo è più facile andare incontro a dei problemi, che non aggiungere valore. Difficile, in altri termini, che qualcuno scelga un modello semplicemente perché porta un bel nome. Più faci- le casomai il contrario, che un appellativo sbagliato, tipo Jetta, finisca per danneggiare la vettura cui è toccato in sorte. E poi, ormai è diventato difficile trovare nomi “liberi”, non registrati da altri costruttori o già utilizzati in altri comparti commerciali, con il rischio di cacciarsi in lunghe battaglie legali, tipo quella che toccò alla Ford anni fa, all’introduzione di Focus. E ancor più raro è trovare qualcosa che funzioni in tutte le lingue e in tutti gli angoli del pianeta. Che non costringa poi a cambiare in corsa, com’è successo più volte in passato: basti pensare a Pajero e Montero per Mitsubishi, alle peripezie degli importatori della Hyundai quando toccò loro in sorte la Sonata o, per tornare in casa Fiat, a Ritmo e Strada. Per il gruppo torinese, l’operazione di recupero delle denominazioni passate ha avuto un inizio quasi obbligato: come è noto, cinque anni fa il ritorno a Panda fu deciso in extremis, con inviti per il lancio già stampati e loghi già disegnati, soltanto per l’impossibilità di utilizzare il prescelto Gingo. Chiaro che non esiste mai una controprova: nessuno può dire con certezza che la casa torinese avrebbe venduto una macchina in meno (o una in più) se avesse potuto utilizzare il nome scelto per la nuova generazione della sua supermini. Così come nessuno potrà mai dire se ha fatto davvero bene la Ford nel salvaguardare Fiesta (e non passare a Verve) per la prossima generazione della sua compatta, pur tanto diversa dal modello che va a rimpiazzare. «Per conservarne i valori, il traino di un’immagine positiva, ma anche trent’anni di investimenti fatti sul nome Fiesta», come ha sottolineato John Fleming, presidente di Ford Europa, nello spiegare la sua scelta. Facendo per certi versi eco a quanto aveva detto Carlos Ghosn, uno che di numeri se ne intende, a proposito della decisione della Renault di restare fedele per la terza volta a Laguna: «Lanciare un nome nuovo costa dagli 80 ai 100 milioni di euro, non ne valeva la pena». Così, dietro strategie di comunicazione, focus group, analisi di marketing, consultazioni popolari via Internet, viene fuori che spesso a dettare le scelte dei costruttori è più prosaicamente il portafoglio. Meglio risparmiare e andare sul sicuro, insomma. Come fanno tutti, o quasi. Perché ogni tanto, invece, a prevalere è la voglia di dare un segnale di cambiamento. È successo anche a una casa tradizionalmente prudente nelle sue scelte com’è la Toyota, che almeno in Europa ha preferito abbandonare lo storico Corolla in favore di Auris. Ma forse, a Bruxelles, se ne sono già pentiti.