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Tempo libero è quello dedicato alla lettura vera, non a quella ipotetica.
Quel tempo è l’unico bene solo nostro – come scrive Seneca nelle
battute iniziali cupe e gravi , delle Lettere a Lucilio. Tempo che viene
eroso da occupazioni molteplici e da quello che con impavido
eufemismo chiamiamo secondo lavoro, mentre è il terzo o il quarto.
Tempo che ci viene sottratto dai ladri di tempo i disturbatori effigiati
da Orazio nella IX Satira.
E ai quali Kraus riserva un desolato
aforisma: “Molti desiderano ammazzarmi. Molti desiderano fare
un’oretta di chiacchiere con me. Dai primi mi difende la legge”.
Tempo libero per il libro, significa liberare la lettura da ambizioni
fuorvianti. La prima è di identificarla con il “Possesso” intellettuale di
un testo. Bisognerebbe emanciparsi dal desidero di “possedere” dico
idealmente, un libro. Leggere è un processo senza fine, che solo una
immaginazione debole può limitare alla lettura di un’opera. Allo stesso
modo il linguaggio erotico ci illude quando al verbo possedere fa
seguire, come complemento oggetto, una persona. Niente è più fugace
che quel modo di possedere. Però il delirio paranoico di onnipotenza ci
fa scegliere, tra i verbi, il meno adeguato. Meglio esporre quello che ci
dà un libro alle mutazioni che trasformano lui e noi. Non illudersi di
cristallizzarlo per una breve eternità, come nel forziere di una banca
trasformato in cripta.
Un’altra eredità patologica, trasmessa dalla scuola, è il culto della
completezza. Ideale impossibile, ci fornisce l’alibi più rigoroso e
insieme più diffuso per non leggere. Né si può dimenticare quel
personaggio del cimitero di Lee Masters, che diceva di avere
immaginato qualcosa di grandioso decidendo, da ragazzo, di leggere
tutta l’Enciclopedia Britannica. Gli ideali che a nostra insaputa ci
orientano nei sotterranei della mente e ci tolgono libertà di
movimento hanno una relazione arcana con progetti simili. Eppure il
significato di un libro non è mai in ciò che è, ma in ciò che siamo noi
dopo averlo letto. Il libro vive perché ci modifica. Questo tendiamo a
dimenticarlo, io naturalmente per primo. Ma resta il suo significato
essenziale. La follia – in greco mania – della completezza persegue una
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totalità irreale per inibirci l’unico spazio aperto a noi, quello della
parzialità.
Non ho ancora visitato parti della Grecia in attesa di leggere libri che
non leggerò mai. Non visiterò mai
quelle parti della Grecia. Ma il
ricordo di una valle sconosciuta a
Creta, sorvolata dai corvi, è più emozionante per me che le rovine del
palazzo di Cnosso.
Alle aberrazioni della completezza concorre un imperativo brutale
che definirei da economia dell’indigenza, tipica dei periodi di guerra:
non lasciare nulla nel piatto. Che sarebbe come imporre a un
commensale di mai desistere, anche se scopre un errore nella scelta.
Sembra che l’ingestione completa sia indispensabile per esprimere un
giudizio, mentre si sa che, ad esempio, per il vino, può bastare un
assaggio.
Inoltre i libri non vanno letti per essere giudicati, ma per essere
goduti. Longanesi paragonava i critici letterari, quando giudicano un
testo, ai commissari di polizia quando interrogano un indiziato.
Contiguo al culto della completezza è il culto della “Introduzione”.
Leggere un libro prima di leggerne un altro. La scuola ci abitua a
differire la lettura di un genio per una mediocrità che lo spieghi. Il
risultato è di smettere la lettura del primo e di non passare mai al
secondo. La noia della traversata spinge molte volte a cambiare rotta.
E Groucho Marx, chiesta una guida per addentrarsi nell’Ulysses di
Joyce, aveva poi ricusato il volume di Gilbert, dicendo che il commento
esigeva più spiegazioni che il testo. Un’altra immagine penitenziale e
burocratica del libro è quella dello “strumento di lavoro”.
Esistono i modi professionali di leggere. Li conosciamo tutti,
altrimenti non avremmo letto tutti i libri che non abbiamo letto.
Procedere per sondaggi, per scorci, per segmenti. Per sequenze,
per attacchi e conclusioni. Non è escluso che anche il tempo libero vi
faccia ricorso. Io sono convinto, senza essere affiliato a nessuna setta
spiritica, che la sola presenza fisica dei libri, in una biblioteca, agisca su
chi li possiede. Si legge anche per osmosi.
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Leggere è un’arte che si acquisisce non meno che quella di scrivere.
Cerco di insegnarla, ma nel senso del francese apprendre, che significa
contemporaneamente di impararla. E’ un’arte che non si finisce mai di
imparare.
Riacquistare il senso della lettura come felicità, non come costruzione:
ecco l’infanzia che bisogna ritrovare da adulti. Cercare i libri come
piaceri, non come strumenti. Piaceri golosi, furtivi, inesauribili. Amare
la voracità, non la continenza. Altrimenti si leggono – fino in fondo –
pochi libri all’anno e non sempre i migliori. Acquistare più libri in una
volta per leggerli parallelamente. Scoprire la poligamia. Certo la
monogamia riserva gioie inenarrabili, ma forse per questo di solito non
si raccontano e si preferiscono le sue infrazioni.
A volte un contatto fugace è più desiderabile della convivenza. Un
libro può offrire il meglio solo in certe parti. Tentare di trovarle e
indugiare su quelle. Non voglio suggerire la volubilità, ma la mobilità.
Tempo libero per il libro significa lettura sottratta a ogni finalità.
Significa leggere nel presente.
Parlo di una esperienza che mi è
quasi sempre preclusa.
Per avvicinarla bisogna dimenticare la lettura professionale e anche
quella del bibliofilo. Credo che la bibliofilia sia contenuta in un gene
che trasmette la brama di conoscere attraverso l’alfabeto. Nei casi più
gravi, in cui temo di rientrare, è la voluttà di inghiottire l’universo
attraverso i libri.
Ma qui una finalità, anche se irresponsabile, permane.
La stanchezza evocata da Mallarmé per avere letto tutti i libri diventa
nel bibliofilo la disperazione per non esserci riuscito. Donde il suo
sogno di svegliarsi nella mattina descritta da Nietzsche e scoprire la
felicità di camminare lasciando i libri alle spalle.
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Non leggere per (per imparare, per divertirsi, per scrivere, per
parlare, per pensare, per evadere, per ricordare). Leggere senza per,
anche se l’uomo progetta di continuo il proprio senso.
Leggere nel presente per leggere il presente. Il sapere delle tradizioni
di Oriente e di Occidente ha sempre affermato la centralità del
presente, la porta che schiude
l’accesso al tempo.
Nella civiltà della tecnica – ha scritto Heschel - noi consumiamo il
tempo per guadagnare lo spazio. Ma il tempo – aggiungeva – è il cuore
dell’esistenza. Penso che questo fosse il senso della frase rivolta da
Diogene ad Alessandro, che sostava davanti a lui accovacciato:
“Scostati, che mi togli il sole”.
Frase che è stata interpretata come volontà di circoscrivere la
gloria di Alessandro. Ma io dubito che Diogene, paragonandolo al sole,
volesse ridimensionarlo. Semmai il contrario. L’accento batte piuttosto
sul senso totale ed eterno del presente. L’accento batte piuttosto sul
senso totale ed eterno del presente. La figura di Alessandro oscura il
sole e toglie a Diogene il bene della luce.
Leggere nel presente, aderire a ciò che accade. Leggere come
ascolto dell’interiorità, come dialogo con l’autore e con se stessi.
Un grande collezionista di quadri mi diceva che il piacere di
possederli era soprattutto di poterli contemplare in silenzio, a lungo,
quando voleva. Non si proponeva scopi ulteriori. Come un monaco
potrebbe pregare, se non per ottenere, ma per ringraziare di pregare.
Leggere nel presente scoprirebbe il senso più importante del tempo e
della lettura. Uso il condizionale perché è una meta ardua. Però ho
cominciato a perseguirla. Forse, quando avrò duecentoquarantadue
anni, la raggiungerò ogni giorno. Per ora constato che leggere nel
presente vede finalmente la convergenza tra felicità e salvezza.
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Traduzione in Portoghese – Francesca Orlandi
Tempo livre é o dedicado à leitura verdadeira, não à hipotética.
Aquele tempo é o único bem somente nosso – como escreveu Seneca
nos comentários iniciais tetros e graves, das Cartas a Lucílio. Tempo
que é consumido por múltiplas ocupações e pelo que com impávido
eufemismo costuma ser chamado de segundo trabalho, equanto é o
terceiro ou o quarto. Tempo que nos é roubado pelos ladrões de
tempo, os sujeitos que causavam incómodo efigiados por Horácio na
IX Sátira. E aos quais Kraus reserva um desolado aforisma: “Muitos têm
o desejo de matar-me. Muitos, o desejo de ter dois dedos de prosa
comigo. Dos primeiros a lei me protege.”
Tempo livre para o livro, significa livrar a leitura de ambições
enganosas.
A primeira é de identificá-la com a “Posse” intelectual de um texto.
Seria necessário emancipar-se do desejo de “possuir”, quero dizer,
idealmente, um livro. Ler é um processo sem fim, que somente uma
imaginação fraca pode limitar à leitura duma obra. Do mesmo modo, a
linguagem erótica ilude-nos quando após o verbo possuir coloca, como
complemento objecto, uma pessoa. Nada é mais fugaz do que esse
modo de possuir. Mas o delírio paranóico de onipotência nos faz
escolher, entre os verbos, o menos adequado. É melhor expor o que
um livro nos dá às mutações que transformam ele e nós. Não nos
iludamos em cristalizá-lo por uma breve eternidade, como que num
cofre de um banco transformado em cripta.
Uma outra herança patológica, transmitida pela scola, é o culto da
completeza. Ideal impossível, fornece-nos o álibi mais rigoroso e
juntamente o mais difundido para não ler. Nem se pode esquecer
aquele personagem do cimitério de Lee Masters, que dizia ter
imaginado algo de grandioso decidindo, enquanto rapaz, ler toda a
Enciclopédia Britânica.
Os ideais que sem sabermos orientam-nos nos subterrâneos da
mente e tiram de nós a liberdade de movimento têm uma relação
arcana com projetos similares. Mesmo assim o significado de um livro
nunca está no que ele é, mas no que somos nós depois de lê-lo. O livro
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vive por nos modificar. Tendemos a esquecer isso, naturalmente eu
por primeiro. Mas permence o seu significado essencial.
A loucura – em grego mania – da completeza persegue uma
totalidade irreal para nos inibir do único espaço aberto a nós, o da
parcialidade. Ainda não visitei partes da Grécia por esperar ler livros
que nunca lerei. Nunca visitarei aquelas partes da Grécia. Mas a
lembrança de um vale desconhecido em Creta, onde os corvos
sobrevoam, é mais emocionante para mim do que as ruínas do palácio
de Cnossos.
Às aberrações da completeza contribui um imperativo brutal que
eu definiria de economia da indigência, típica dos tempos de guerra:
não deixar nada no prato. Que seria como impôr a um companheiro de
mesa para nunca desistir, mesmo ao descobrir um erro na escolha.
Parece que a ingestão completa seja indispensável para expressar um
juízo, enquanto se sabe que, por exemplo, para o vinho pode bastar
somente experimentá-lo. Outrossim, os livros não devem ser lidos para
serem julgados, mas para serem desfrutados. Longanesi comparava os
críticos literários, quando julgam um texto, aos comissários de polícia
quando interrogam um acusado. Contíguo ao culto da completeza está
o culto pela “introdução”. Ler um livro antes de ler um outro. A escola
acostuma-nos a diferenciar a leitura de um gênio por uma
mediocridade que o explique. O resultado é parar a leitura do primeiro
e nunca passar ao segundo. A monotonia da passagem muitas vezes
leva a mudar de rumo.
E Groucho Marx, quando pediu uma guia para entrar no Ulisses de
Joyce, havia recusado o volume de Gilbert, dizendo que o comentário
exigia mais explicações que o próprio livro.
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Uma outra imagem penitencial e burocrática do livro é a da
“ferramenta de trabalho”. Há os modos profissionais de ler. Todos nós
os conhecemos, caso contrário nós todos não teríamos lido todos os
livros que não lemos. Proceder por inquéritos, por olhadelas, por
segmentos. Por sequências, por ataques e conclusões. Não se exclui
que o tempo livre também recorra a isso. Eu estou convencido, sem
fazer parte de nenhuma seita espírita, que somente a presença física
dos livros, numa biblioteca, aja sobre
quem os possui.
É possível ler também por
osmose.
Ler é uma arte que se adquire não menos do que a de escrever.
Procuro ensiná-la, mas no sentido da palavra francesa apprendre, que
significa contemporaneamente aprendê-la. É uma arte que nunca se
termina de aprender.
Readquirir o senso da leitura como felicidade, não como
construção: eis a infância que é preciso reencontrar em idade adulta.
Procurar os livros como prazeres, não como ferramentas. Prazeres
gostosos, furtivos, infindáveis.
Amar a voracidade, não a continência. Caso contrário leem-se – até
o final – poucos livros por anos e nem sempre os melhores. Comprar
vários livros de uma vez para lê-los paralelamente. Descobrir a
poligamia. Claro, a monogamia reserva alegrias que não podem ser
narradas, mas talvez por isso normalmente não são contadas e
preferimos as suas infrações.
Às vezes um contacto fugaz é mais desejável que a convivência.
Um livro pode oferecer o melhor somente em certas partes. Tentar
achá-las e demorar nelas. Não quero sugerir a volubilidade, mas a
mobilidade.
Tempo livre para o livro significa uma leitura priva de qualquer
finalidade. Significa ler no presente. Estou a falar duma experiência que
me é quase sempre impedida. Para se aproximar dela é necessário
esquecer a leitura profissional e também a do bibliófilo. Acredito que a
bibliofilia esteja contida dentro de um gene que transmite o forte
desejo de conhecer atavés do alfabeto. Nos casos mais graves, ao qual
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temo fazer parte, é a voluptuosidade de engolir o universo através dos
livros.
Mas aqui uma finalidade, mesmo que irresponsável, permanece. O
cansaço evocado por Mallarmé por ter lido todos os livros, torna-se no
bibliófilo o desespero por não ter conseguido atingir tal alvo. Daí o seu
sonho de acordar na manhã descrita por Nietzsche e descobir a
felicidade de caminhar deixando os livros para trás. Não ler para (para
aprender, para se divertir, para escrever, para falar, para pensar, para
fugir, para lembrar). Ler sem para, apesar de o homem projectar
continuamente o próprio sentido. Ler no presente para ler o presente.
O saber das tradições do Oriente e do Ocidente sempre afirmou a
centralidade do presente, a porta que abre o acesso ao tempo.
Na civilização da técnica - escreveu Heschel – nós consumimos o
tempo para ganhar espaço. Mas o tempo – prosseguia – é o coração da
existência. Acho que este fosse o sentido da frase dirigida por
Diógenes a Alexandre, que estava parado na frente dele agachado:
“Afasta-te, proque estás a cobrir o sol”Frase que foi interpretada como
vontade de circunscrever a glória de Alexandre. Mas eu duvido que
Diógenes, comparando-o ao sol, quisesse dar-lhe uma nova dimensão.
Eventualmente, o exacto contrário. O foco, na verdade, está no
sentido total e eterno do presente.
A
figura de Alexandre obscurece o sol e tira a Diógenes o bem da luz.Ler
no presente, aderir ao que acontece. Ler como forma de escutar a
interioridade, como diálogo com o autor e consigo mesmo.
Um grande colecionista de quadros disse-me que o prazer de
possuí-los era principalmente a possibilidade de contemplá-los em
silêncio, por longo tempo, quando desejasse. Não tinha outros
objectivos. Como um monge que poderia orar, se não para receber,
mas para agradecer que está a orar.
Ler no presente descobriria o sentido mais importante do tempo e
da leitura. Uso o tempo condicional porque é uma meta árdua. Porém,
comecei a procurar aingi-la. Talvez, quando tiver duzentos e quarenta
e dois anos, alcança-la-ei todos os dias. Por agora constato que ler no
presente vê finalmente a convergência entre a felicidade e a salvação.
@Traduzione in Portoghese di Francesca Orlandi – 19.03.2014
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Traduzione in Russo – Yulia Amlinskaya
Свободное время
должно быть посвящено чтению,
настоящему чтению, а не воображаемому. «Время – единственное
имущество, которое принадлежит только нам», - пишет Сенека в
первых глубоких и суровых строках «Писем к Луцилию». Время,
растраченное на многочисленные занятия, которое мы, используя
бесстрашный эвфемизм, называем второй работой, тогда как на
самом деле это третья или четвертая работа. Время, которого нас
лишают воры времени, мешающие нам жить, описанные
Горацием в Сатире IX и обозначенные Крауссом в полном
отчаяния афоризме: «Многие хотят меня убить. Многие хотят
провести час в разговорах со мной. От первых я защищен
законом».
Фраза «Свободное время – для книг» означает спасение чтения
от отвлекающих устремлений. Чтение может быть определено как
интеллектуальное владение текстом. Тем не менее, в идеале
необходимо отказаться от идеи обладания книгой. Чтение –
бесконечный процесс, который может быть ограничен книгой
только бедным воображением. Таким же образом язык эротики
нас обманывает, когда мы используем дополнение со значением
человека с глаголом «овладеть». Нет ничего более мимолетного,
как этот вид обладания. Но маниакальное желание всевластия
заставляет нас выбирать среди всех глаголов наименее
подходящий. Было бы гораздо лучше позволить тому, что дает нам
книга, изменить книгу и изменить нас самих. Не обманываться,
кристаллизуя её в краткую вечность, как
сейф банка,
превращенный в склеп. Другое патологическое наследие,
распространяемое школой, - это культ полноты. Идеала достичь
невозможно, поэтому у нас есть неукоснительное и одновременно
самое распространенное алиби для того, чтобы не читать. Не стоит
забывать героя Ли Мастерса на кладбище, который утверждал, что
в юности хотел сделать что-то грандиозное, как, например,
прочитать всю Британскую Энциклопедию.
Идеалы, связанные с такого рода планами, без нашего ведома
ведут нас в подземелье рассудка и лишают нас свободы действий.
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Таким образом, смысл книги не состоит в том, чем он является, а в
том, кем являемся мы после ее прочтения. Книга живет, чтобы
изменить нас. Мы склонны об этом забывать, я – скорее, чем
другие. Но в этом заключается основное ее значение.
Одержимость, по-гречески «мания», - полнотой преследует идею
нереальной
целостности,
чтобы
закрыть
единственное
пространство, открытое для нас, - пространство наших
пристрастий. Я пока не посещал Грецию в ожидании прочтения
книг, которые я никогда не прочитаю. Я никогда не посещу
Грецию. Но воспоминания о неизвестной критской долине, над
которой пролетает воронье, кажутся мне более волнительными,
чем руины кносского дворца. Заблуждение о целостности дает
нам
императив, который я охарактеризовал бы как
принадлежащий экономике нищеты, типичной во время войны:
«Не оставлять ничего не тарелке». Это то же самое, что заставить
сотрапезника не отказываться от еды, даже если обнаруживается,
что выбор был ошибочен. Кажется, что полное заглатывание
необходимо, чтобы выразить мнение, когда на самом деле
известно, что, например, вино достаточно дегустировать для этого.
Кроме того, книги не читаются, чтобы рассуждать о них, а чтобы
наслаждаться ими. Лонганези сравнивал литературных критиков,
рассуждающих о тексте, с комиссарами полиции, допрашивающих
подозреваемых. За культом целостности следует культ
«введения». Прочитать одну книгу до чтения другой. В школе нас
обучают подменять чтение гениальных писателей чтением
посредственных людей, объясняющих их творчество. Скука в пути
часто заставляет нас сменить маршрут. Граучо Маркс, заказав
«путеводитель» по глубокому пониманию «Улисса», бросил читать
книгу Джилберта, сказав, кто комментарии к роману нуждаются в
большем количестве объяснений, чем сам текст романа.
Другое преступное и бюрократичное
понимание книги – книга как инструмент для работы. Существуют
профессиональные виды чтения. Мы все знаем их, иначе бы мы не
прочитали всех книг, которых мы на самом деле не читали. Мы
просматриваем анкеты, сокращения, фрагменты. Или же ряды
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элементов, связи между ними и выводы. Вероятно, свободное
время может подать на это аппеляцию. Я абсолютно убежден, не
будучи членом секты спиритистов, что даже физическое
присутствие книг в домашней библиотеке влияет на того, кто ими
владеет.
Мы
читаем
также
благодаря
осмосу.
Чтение – искусство, которому можно обучиться так же, как
искусству письма. Я пытаюсь научить чтению, но в значении
французского глагола “apprendre”, что одновременно значит
«научиться самому». Это искусство, которому можно учиться
всегда. Снова приобрести смысл чтения как счастья, а не как
конструкции – это детство, которое нужно снова найти, будучи
взрослыми. Находить чтение удовольствием, а не инструментом.
Сладкое удовольствие, неисчерпаемые секреты. Любить жадность,
а не воздержанность. В противном случае книг, читаемых до конца
в течение года, будет мало, и они будут не самыми лучшими.
Покупать несколько книг, чтобы читать их одновременно. Открыть
для себя полигамию. Правда, моногамия скрывает в себе
неописуемое наслаждение; вероятно, поэтому их не принимают
во внимание и предпочитают грехи. Иногда мимолетный контакт
более уместен, чем совместная жизнь. Книга может предложить
нам лучшее только в некоторых частях. Нужно уметь их найти и
получить от них удовольствие. Я рекомендую вам быть не
непоследовательными, а разнообразными. Свободное время –
для чтения, это значит чтение без всякой цели. Это значит, читать
сейчас. Я говорю о занятии, которого меня практически всегда
лишают. Чтобы приблизить его к себе, нужно отказаться от
профессионального чтения и от чтения библиофила. Я полагаю,
что библиофилия содержится в гене, который передает жадность к
знаниям с помощью алфавита. В самых тяжелых случаях, к
которым я могу себя причислить, это сладострастие ощущения
того, что ты проглатываешь вселенную через книги. Но здесь
присутствует цель, хотя и безответственная. Усталость,
упоминаемая Малларме, после прочтения всех книг, у библиофила
превращается в отчаяние из-за того, что он этого не достиг. Тут
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можно упомянуть мечту о пробуждении утром, описанную Ницше,
и обнаружить, какое счастье – просто гулять, оставив книги позади.
Не читать для (для того, чтобы учиться, развлекаться, писать,
разговаривать, думать, избавиться, вспоминать). Читать без «для»,
несмотря на то, что каждый человек придумывает свой смысл.
Читать в настоящем времени, чтобы читать настоящее время.
Мудрые традиции Востока и Запада всегда твердили нам о
сосредоточении на настоящем (как) на двери, которая открывает
нам время. В технической цивилизации, писал Хешель, мы
потребляем время, чтобы получить пространство. «Но время, добавлял
он,
это
сердце
существования».
Полагаю, что я этом же был смысл
фразы, сказанной Диогеном Александру, который сидел перед
ним на корточках: «Подвинься, ты загораживаешь мне солнце».
Эта фраза была интерпретирована как желание поставить
Александра на место. Но я сомневаюсь в том, что Диоген,
сравнивая Александра с солнцем, захотел приуменьшить его.
Совсем наоборот! Акцент стоит на общем и вечном смысле
настоящего. Фигура Александра затемняет солнце и отнимает у
Диогена радость видеть свет. Читать в настоящем, принадлежать
тому, что происходит. Читать как слушать внутри себя, как
разговаривать с автором и с собой. Один известный коллекционер
картин сказал мне, что удовольствие иметь их – это прежде всего
удовольствие смотреть на них в тишине, долго, тогда, когда ему
хочется. У него не было других целей. Так, монах может молиться
не чтобы просить милостыню, а как благодарность за то, что он
может молиться. Читать в настоящем мог бы открыть нам самый
важный смысл времени и чтения. Я использую сослагательное
наклонение потому, что это очень трудно добиться этой цели. Но я
уже в пути. Возможно, когда мне будет двести сорок два года, я
буду добиваться цели каждый день. Пока что, по моим
наблюдениям, читать в настоящем наконец имеет в себе
сочетание счастья и спасения.
Перевод Юлии Амлинской, 24 марта 2014 года.
Traduzione dal Portoghese di Yulia Amlinskaya – 24 Marzo 2014
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Traduzione in Italiano – Davide Ruggi
Il tempo libero dev’essere consacrato alla lettura; ma alla lettura
vera, non a quella immaginata. “Il tempo è l’unico bene che
appartiene soltanto a noi” scrisse Seneca nelle prime righe, profonde
e severe, delle “Lettere a Lucilio”; quel tempo che disperdiamo in
molteplici occupazioni e che chiamiamo, usando un ardito eufemismo,
secondo lavoro, sebbene sia in realtà il terzo o il quarto; quel tempo
sottrattoci dai ladri di tempo che c’impediscono di vivere, già descritti
da Orazio nella Satira IX e caratterizzati, con un aforisma colmo di
scoramento, da Krauss: “Molti vogliono uccidermi. Molti vogliono
passare un’ora conversando con me. Dai primi mi protegge la legge”.
La frase “il tempo libero per i libri” significa proteggere la lettura
dalle distrazioni. La lettura può essere definita come il possesso
intellettuale del testo, nonostante che idealmente sia necessario
rinunciare al proposito di possedere un libro, essendo la lettura un
processo senza fine, limitato al libro soltanto da una sterile
immaginazione. Allo stesso modo c’inganna il linguaggio dell’erotismo,
quando impieghiamo un complemento, significante una persona, con
il verbo “possedere”: nulla è più effimero di questo tipo di possesso,
benché il nostro maniacale desiderio di onnipotenza ci costringa a
scegliere, fra tutti i verbi, proprio il meno adatto. Sarebbe molto
meglio consentire a ciò che ci dà un libro di tradire il libro e cambiare
noi stessi, senza ingannarci nel cristallizzarlo in una fugace eternità,
come un forziere bancario trasformato in loculo funerario.
Un altro patologico retaggio, diffuso dalla scuola, è il culto della
totalità. È impossibile raggiungere quest’ideale; conseguentemente
abbiamo un alibi, inderogabile e allo stesso tempo largamente diffuso,
che ci consente di non leggere. Non bisogna dimenticare un
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personaggio del cimitero di Lee Masters, quello che affermava di aver
voluto compiere in gioventù qualcosa di grandioso, come leggere
l’intera Enciclopedia Britannica!
Gli ideali collegati a quel genere di progetti ci conducono
inconsapevolmente nelle latebre della ragione e ci privano della
libertà di agire. Il senso del libro, pertanto, non sta in ciò che esso è,
ma in ciò che siamo noi stessi dopo aver terminato la lettura. Il libro
vive per cambiarci; siamo propensi a dimenticarlo, io forse ancor più
di altri: eppure in questo è racchiuso il suo valore fondamentale.
L’ossessione, in greco “manía”, della compiutezza persegue l’idea
di un’irreale totalità e chiude l’unico spazio aperto per noi, quello
delle nostre predilezioni. Non ho ancora visitato la Grecia in attesa di
leggere dei libri che non leggerò mai e quindi non visiterò mai la
Grecia; ma la memoria di una sconosciuta valle cretese, sorvolata da
uno stormo di cornacchie, mi sembra più emozionante delle rovine del
palazzo di Cnosso.
L’errore della compiutezza genera un imperativo, che
caratterizzerei come appartenente all’economia della povertà, tipica
del tempo di guerra: “Non lasciar nulla nel piatto”. È come forzare un
commensale a non rifiutare il cibo, ancorché si scopra che la scelta è
stata errata. Ci sembra che la deglutizione totale sia condizione
necessaria per esprimere un parere, quando è ben noto, per esempio,
che è ben sufficiente degustare un vino per giudicarlo. Non solo: i libri
non si leggono per discuterli, ma per goderli e Longanesi confrontò i
critici letterari che discutono di un testo ai commissari di polizia che
interrogano gli indagati.
Al culto della totalità segue il culto dell’“introduzione”: leggere un
libro prima della lettura di un altro. A scuola c’insegnano a sostituire la
lettura di scrittori geniali con quella di autori mediocri, che ci spiegano
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le opere dei primi. La noia, poi, sovente c’impone di cambiare
percorso; Groucho Marx, dopo aver ordinato una “guida” alla
comprensione profonda dell’“Ulisse”, smise di leggere il libro di
Gilbert, dicendo che i commenti al romanzo richiedevano più
spiegazioni
del
testo
stesso
del
romanzo.
Un’altra interpretazione del libro, burocratica e criminale, è
considerarlo uno strumento di lavoro. È vero, esistono modi di lettura
professionale e tutti noi li conosciamo, altrimenti non avremmo letto
quei libri che non abbiamo mai letto in realtà. Osserviamo le schede,
le riduzioni, i frammenti; oppure le serie di elementi, i loro mutui
collegamenti e le deduzioni. Probabilmente il tempo libero può
ricorrere in appello contro tutto ciò. Sono assolutamente convinto,
pur non appartenendo a una setta spiritica, che la mera presenza dei
libri in una biblioteca domestica influisca su chi li possiede.
Leggiamo anche grazie all’osmosi. La lettura è un’arte che
dobbiamo imparare, allo stesso modo della scrittura. Io cerco
d’insegnare la lettura, ma nel senso del verbo francese “apprendre”,
che significa allo stesso tempo anche “imparare”. È un’arte che si può
sempre assimilare, acquisendo di nuovo il senso della lettura come
felicità e non come costruzione. È un’infanzia che dobbiamo ritrovare
pur essendo adulti. Trovare nella lettura un piacere e non uno
strumento, un dolce piacere, segreti inesauribili. Amare l’avidità e non
la moderazione. In caso contrario, nel corso di un anno, i libri letti fino
alla fine saranno pochi e non i migliori. Comprare alcuni libri per
leggerli contemporaneamente. Scoprire per sé la poligamia. Vero è
che la monogamia nasconde un piacere indescrivibile, forse proprio
per questo non la prendono in considerazione e preferiscono peccare.
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- Sequenza F -->Portoghese->Russo2-->Italiano
Talvolta un contatto fugace è più appropriato della convivenza: il
libro può proporci il meglio soltanto in alcune parti; bisogna saperle
trovare e da esse ricevere piacere. Io vi raccomando di essere non
incongruenti, ma poliedrici.
Il tempo libero per la lettura significa leggere senza alcun fine.
Significa leggere nel momento presente e sto parlando
dell’occupazione di cui, praticamente sempre, mi privano. Per
avvicinarla a sé, si deve rinunciare alla lettura professionale e alla
lettura del bibliofilo. Suppongo che la bibliofilia sia contenuta in un
gene, che trasmette la brama di sapere mediante l’alfabeto; nei casi
più gravi, tra i quali posso annoverare anche il mio, è la conturbante
sensazione d’inghiottire l’intero universo attraverso i libri.
Qua però s’intravede un fine, anche se irresponsabile. La
stanchezza dopo la lettura di tutti i libri, citata da Mallarmé, nel
bibliofilo si trasforma in disperazione di non aver raggiunto il fine. A
questo proposito possiamo evocare il desiderio, descritto da
Nietzsche, di svegliarsi un mattino e scoprire quanto grande sia la
gioia di passeggiare semplicemente, essendoci lasciati i libri alle
spalle.Non leggere per (imparare, divertirsi, scrivere, parlare, pensare,
liberarsi, ricordare); leggere senza “per”, nonostante che ciascuno
immagini una sua ragione. Leggere nel presente per leggere il
presente. Le sapienti tradizioni dell’Oriente e dell’Occidente ci hanno
sempre ripetuto che la concentrazione sul presente è la porta che ci
apre il tempo. Nella civiltà tecnica, scrisse Heschel, consumiamo
tempo per ottenere spazio, “ma il tempo – egli continuava – è il cuore
dell’esistenza”.
Ritengo che proprio questo sia il senso della frase, rivolta da
Diogene ad Alessandro che sedeva coccoloni davanti a lui: “Spostati,
mi nascondi il sole”. Questa frase fu interpretata come il desiderio di
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- Sequenza F -->Portoghese->Russo2-->Italiano
mettere al suo posto Alessandro; ma io dubito che Diogene,
paragonando Alessandro al sole, volesse sminuirlo. Al contrario!
L’accento è sul valore generale ed eterno del presente: la figura di
Alessandro copre il sole e toglie a Diogene la gioia di veder la luce.
Leggere nel presente, appartenere a ciò che accade. Leggere come
ascoltare dentro di sé, come parlare con l’autore e con se stesso.
Un noto collezionista di opere d’arte mi disse che il piacere di
possederle è soprattutto il godimento di contemplarle nel silenzio, a
lungo, in qualsiasi momento. Egli non aveva altro scopo. Così un
monaco può pregare non per chiedere una grazia, ma come
ringraziamento del fatto stesso di poter pregare. Leggere nel presente
potrebbe rivelarci il significato più profondo del tempo e della lettura.
Uso il condizionale perché è difficilissimo raggiungere questa meta,
ma io sono già per strada. È possibile che quando avrò duecento
quarantadue anni cercherò ogni giorno di raggiungere la meta; per
ora, posso osservare che leggere nel presente ha in sé la
combinazione della felicità e della salvezza.
@Traduzione dal Russo di Davide Ruggi – 03.05.2014
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