Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
scheda tecnica
titolo originale: CIDADE DE DEUS
durata: 130 minuti
nazionalità: bra – fra – usa
anno: 2002
regia: KATIA LUND, FERNANDO MEIRELLES
sceneggiatura: BRAULIO MANTOVANI dal romanzo "CITTA' DI DIO" di PAULO LINS
(einaudi editore)
produzione: O2 FILMES, VIDEOFILMES, GLOBO FILMES, LUMIERE PRODUCTIONS,
STUDIO CANAL, WILD BUNCH
fotografia: CESAR CHARLONE
montaggio: DANIEL REZENDE
musiche: ED CORTES, ANTONIO PINTO
interpreti: M.NACHTERGAELE (SANDRO CENOURA), S.JORGE (MANE' GALINHA),
A.RODRIGUES (BUSCAPE'), L.F.DA HORA (ZE' PICCOLO), P.HAAGENSEN (BENE'),
J.HAAGENSEN (CABELEIRA), D.SILVA (DADINHO), R.RODRIGUEZ SILVIA
(BERENICE)
Katia Lund
Fernando Meirelles
filmografia
filmografia
Cidade dos Homens (2002) (miniTV Series)
Cidade de Deus (2002) (co-director)
Golden Gate (Palace II) (2002)
"Brava Gente" (2000) (TV Series)
Minha Alma (2000)
Notícias de uma Guerra Particular (1999)
Constant Gardener, The (2005)
"Cidade dos Homens" (2002) (mini TV Series)
Cidade de Deus (2002)
Golden Gate (Palace II) (2002)
Domésticas (2001)
"Brava Gente" (2000 TV Series)
Menino Maluquinho 2: A Aventura (1998)
premi e festival
ABC Trophy Feature Film 2003
Miglior Direzione Artistica: Tulé Peak
Miglior Fotografia: César Charlone
Miglior Sonoro: Paulo Ricardo Nunes, Martín Hernández, Alessandro Laroca, Rudy Pi,
Adam Sawelson
AFI Fest 2002
Premio del pubblico – Miglior film / Migliore regia : Fernando Meirelles, Kátia Lund
BAFTA Awards 2003
Miglior Montaggio: Daniel Rezende
British Independent Film Awards 2003
Miglior Film Straniero
Cartagena Film Festival 2003
Miglior regia: Kátia Lund, Fernando Meirelles
Miglior film
Havana Film Festival 2002
Premio Havana University : Miglior film
Miglior attori: Matheus Nachtergaele, Seu Jorge, Alexandre Rodrigues, Leandro
Firmino, Phellipe Haagensen, Jonathan Haagensen, Douglas Silva
Migliore fotografia: César Charlone
Miglior montaggio: Daniel Rezende
Marrakech International Film Festival 2002
Miglior regia: Fernando Meirelles, Kátia Lund
Toronto International Film Festival 2002
Visions Award – Menzione speciale; Fernando Meirelles
Uruguay International Film Festival 2003
Premio Speciale della Giuria: Fernando Meirelles
Gangs of Rio de Janeiro
Tratto dal romanzo fiume di Paulo Lins, uno scrittore che per trent'anni ha vissuto a
Cidade de Deus, raccontando con precisione entomologica la vita all'interno della più
malfamata favela di Rio de Janeiro, City of God racconta la crescita del crimine
organizzato nelle favelas, tra la fine degli anni 60 e l'inizio degli 80.
Il vero protagonista del film non è una persona, ma è proprio quella favela, nota per essere
una delle più pericolose della città. L'azione è commentata da ‘Buscapé', un ragazzino di
colore, fragile, timido che invece di intraprendere la strada del crimine, come tutti i suoi
compagni, sogna di fare il fotografo. Ed è proprio attraverso i suoi occhi che vedremo le
vite, le battaglie, gli amori e le morti dei numerosi personaggi che animano il film, i cui
destini si scontrano e s'intrecciano mano a mano che la storia va avanti e il tempo passa.
Non è lui che muove le pedine del racconto, né quello che prende le decisioni che
determineranno la catena principale degli eventi. Ma è proprio attraverso la sua visione
della vita che noi riusciamo a comprendere l'umanità di un mondo apparentemente
condannato alla violenza senza fine.
Ma il vero protagonista del film è il luogo: Cidade de Deus. Ci sono dozzine di storie
collegate, che rivelano un mondo assolutamente inedito. Storie di amore, storie comiche e
storie di rivalità. Storie vere. Perché City of God è un film su personaggi e fatti che sono
davvero accaduti a Rio de Janeiro, ed è questo ciò che ne fa un film sorprendente.
Il profilo storico: la nascita delle favelas
A partire dagli anni 50, sulla spinta impetuosa di una selvaggia crescita economica, il
Governo Centrale e la Municipalità di Rio de Janeiro decisero di ‘riqualificare' la più grande
città del paese, allontanando le decine di migliaia di poveracci dai quartieri ricchi e
commerciali del centro. Rio de Janeiro è circondata da colline. E sulle colline fu ‘spinta' e
abbandonata la popolazione più povera, i senza tetto privi d'ogni assistenza. La situazione
non è migliorata durante il governo dell'ex presidente Fernando Henrique Cardoso, alla
fine del quale si è registrato il maggior tasso di disoccupazione nella storia del paese. Il
Brasile è ancora tra i paesi con la peggior redistribuzione del reddito, l'emarginazione
sociale è in continuo aumento, le favelas sono ignorate dal paese civile. La pressoché
totale mancanza di strutture: scuole, ospedali e polizia, le rendono un territorio di confine,
dove nel vuoto dello Stato si è insediata la criminalità organizzata, che unica in grado di
offrire una prospettiva di sopravvivenza, gestisce il territorio, imponendo le proprie ‘leggi'
con un capillare controllo sociale. Le famiglie povere ricevono dalle organizzazioni
criminali alimenti, medicinali e denaro in cambio di servizi e soprattutto, di fedeltà. I
bambini, invece, armi per affrontare la polizia. Avviati allo spaccio, finiscono poi quasi
sempre per diventare tossicodipendenti, spendendo per la droga tutto il denaro
guadagnato con la vendita al dettaglio: un circolo vizioso, insomma.
Alcuni dati statistici
Negli anni 60 (il periodo a cui il film fa riferimento) la fascia di età degli under 14 era la più
numerosa della popolazione brasiliana ( il 43%). Oggi la stessa fascia rappresenta il 34 %
della popolazione. Nello stesso periodo gli ultra sessantenni rappresentavano il 4% (oggi
sono all'8%). L'aspettativa di vita media arrivava ai 46 anni (oggi arriva a 65). Il tasso di
alfabetizzazione raggiungeva il 50% della popolazione (oggi è al 77%).
Il profilo artistico: una grande tradizione di cinema di denuncia
“Senza il neorealismo italiano credo che non avremmo mai incominciato, e credo che non
lo avrebbe mai fatto nessun paese economicamente debole... Perché la più grande
lezione del neorealismo è stata quella di aver realizzato i film facendo a meno di tutto
l'apparato materiale e economico della grande industria cinematografica che dominava
all'epoca, quella hollywoodiana... In Brasile noi abbiamo immediatamente cercato di
imparare quella lezione, ossia fare del cinema senza bisogno dei grandi studi, attenti alla
nostra realtà...” La dichiarazione è di Nelson Pereira dos Santos e risale al 1957, alla
presentazione di Rio, Zona Norte, per molti versi l'antesignano di City of God. Non per
niente tra i produttori di City of God c'è Walter Salles, che con Central do Brasil aveva
già indirizzato il proprio sguardo nello sconfinato universo del sottoproletariato di quel
paese. Ed è proprio a questo cinema che Fernando Meirelles si ricollega idealmente, al
grande cinema di denuncia brasiliano (e italiano) degli anni 60, ai Pereira dos Santos,
Glauber Rocha, Lima Barreto, ed ovviamente al Pixote di Babenco. Ma non nello stile.
Quella di Meirelles è una nuova, sorprendente cifra stilistica che ha il sapore del cinema
americano di Scorsese, Ferrara, Tarantino.. . Un cinema duro, viscerale, incalzante: le
gangs di Rio de Janeiro di Fernando Meirelles non sono ‘epiche' come quelle di NewYork
di Scorsese, ma sono drammaticamente più autentiche, e sconvolgenti.
Intervista con il regista Fernando Meirelles
Più regista televisivo e pubblicitario che cinematografico, Fernando Meirelles ha compiuto
un esperimento forse irripetibile per realizzare questo film, mettendo insieme 110 giovani
attori non professionisti, obbligandoli a seguirlo per 8 mesi, e utilizzando nel film le loro
esperienze personali, il loro linguaggio e la loro capacità d'improvvisazione.
Perché ha deciso di girare City of God?
La lettura del libro è stata una rivelazione. Naturalmente avevo già letto articoli e libri sulle
favelas, sul traffico di droga e credevo di essere a conoscenza del problema della
ghettizzazione. Tuttavia, in qualche maniera il libro è riuscito ad andare al di là di tutto
questo e ha trasformato totalmente la mia visione di quell'universo. Lo scrittore Paulo Lins
è cresciuto a Ciudade de Deus e ha scritto il libro praticamente osservando i personaggi
che passavano davanti alla sua finestra. La litania di tutte quelle giovani vite spezzate e
l'accettazione di tutta quella violenza da parte di quelli costretti a conviverci sono stati gli
elementi che mi hanno colpito di più e che mi hanno quasi costretto a realizzare il film. Un
ragazzino di 16 anni è consapevole di aver già vissuto gli anni migliori della sua vita e che
dovrà ringraziare il cielo se avrà la fortuna di viverne altri tre o quattro. Sa che potrebbe
morire da un giorno all'altro e affronta l'eventualità di questa morte così prematura come
un qualcosa di inevitabile. Il tema centrale del film è proprio lo spreco di tante giovani vite
umane.
Come è nata l'idea di scegliere attori della strada?
Desideravo che lo spettatore si immedesimasse direttamente nel personaggio, senza
alcun filtro. Volevo che non soltanto conoscesse la storia di ‘Zé Pequeno' ma che
arrivasse a conoscerlo veramente. Ed è per questo motivo che abbiamo cominciato a
pensare all'idea di usare come attori i giovani delle favelas. Sapevo che non sarebbe stato
facile, ci è voluto più di un anno. Abbiamo creato una troupe di sei persone per visitare in
coppia le favelas: Rocinha, Cantagalo, Chapeu Mangueira, Cidade de Deus, Dona Marta,
Vidagal. Abbiamo avvisato tutte le Associazioni di quartiere che avremmo fatto dei provini
per ragazzi interessati a frequentare un corso di recitazione, senza accennare al film.
Il giorno stabilito, si sono presentati centinaia di candidati ai quali abbiamo fatto un
regolare provino. Dopo 40 giorni, avevamo 2.000 provini filmati. Tra questi abbiamo
selezionato 200 ragazzi la maggior parte dei quali ha frequentato per due mesi un
laboratorio di recitazione per due giorni alla settimana, in cambio di cibo e trasporto gratis.
Il laboratorio lavorava su 4 turni per 11 ore. I giovani attori non sapevano che avremmo
diretto un film e vedendoci sempre nei paraggi hanno imparato ad accettarci e a fidarsi di
noi. Dopo due mesi di corso così organizzati, abbiamo cominciato a farli lavorare tutti
insieme. L'entusiasmo collettivo ha contribuito a fare amalgamare il gruppo e ci ha
permesso di tenerli a bada.
Come ha funzionato l'esperimento del laboratorio di recitazione?
Sin dall'inizio, abbiamo sempre tenuto la macchina da presa in funzione per far sì che si
abituassero alla sua presenza. Dopo un po', abbiamo cominciato con le improvvisazioni
libere seguite da improvvisazioni basate sulla sceneggiatura. I gruppi sono stati divisi in
gruppi più piccoli che si sarebbero preparati per le scene previste; dopodiché li avremmo
riuniti per girare le scene davanti alla macchina da presa.
Ogni scena del film è stata riprovata diverse volte. Ogni volta venivano aggiunte o
eliminate delle frasi, reazioni, battute. Tutti i contributi offerti dai giovani attori venivano
passati al vaglio dallo sceneggiatore (Braulio Mantovani), che li inseriva nella nuova
versione della sceneggiatura. Ma i contributi degli attori non sono venuti fuori solo durante
le prove. Se una situazione o un dialogo non producevano nessuna risposta da parte loro,
se una scena non gli sembrava parte del loro universo, veniva tagliata perché sarebbe
stato inutile tenerla.
Come siete riusciti a mettervi in relazione con i boss delle favelas?
Il film inizia nel momento in cui i signori della droga cominciano ad assumere il controllo
delle favelas negli anni 70. Il processo è stato più o meno analogo in tutte le favelas di Rio
de Janeiro. Da allora ogni comunità ha un ‘padrone' che fa e applica la legge. Per quelli
che vengono dai quartieri ‘ricchi', le favelas sono come un paese straniero. Lo Stato è
invisibile, le leggi non valgono, la polizia costituisce l'unica e suprema minaccia, ed è una
continua fonte di conflitti e disordini. Sono state le organizzazioni che controllano il
narcotraffico a darci il permesso di girare, non il comune. Per girare all'interno di una
favela hai bisogno di produttori locali che sappiano come mettersi in contatto con il
‘padrone' e che conoscano i codici comportamentali ed i protocolli da seguire per non
commettere errori.
Dove è stato girato il film?
Era nostra intenzione girare a Ciudade de Deus, ma il ‘padrone' ha mandato qualcuno a
dirci che il film non avrebbe dovuto mostrare i trafficanti di droga, per non dare un cattivo
esempio ai giovani. Inoltre i trafficanti veri di droga onnipresenti e armati fino ai denti che ci
stavano sempre intorno ci hanno convinti del fatto che il film non poteva essere girato lì.
Abbiamo optato per un'altra zona costruita alla stessa epoca di Cidade de Deus, ma
dall'altra parte della città. Il vantaggio maggiore di questa favela è che il ‘padrone' ha già
40 anni e quindi è un po' più stabile e maturo rispetto ai diciannovenni che controllano le
altre zone. Ci ha chiesto di vedere la sceneggiatura e ci ha imposto alcune condizioni:
ingaggiare manodopera della favela, rendere riconoscibili i nostri veicoli e comunicargli le
ore esatte di entrata e di uscita. Inoltre, ha stabilito il prezzo per l'affitto delle location e per
le comparse. Tutte le trattative sono state condotte da alcuni suoi intermediari, dal
momento che il nostro referente all'epoca occupava una cella del carcere di Bangu.
Quando abbiamo sistemato tutti i dettagli, non abbiamo avuto più alcun problema. La
popolazione ci ha accolti a braccia aperte e ha fatto tutto il possibile per aiutarci: hanno
tolto tutte le auto più moderne da vicoli e strade, hanno affittato dei garage, ci hanno fatto
entrare nelle loro case per poter girare dalle finestre.
Recensioni
La Stampa - Lietta Tornabuoni
La Città di Dio è un quartiere di edifici per abitazione costruito negli Anni Sessanta a Rio
de Janeiro e divenuto già negli Anni Ottanta uno dei luoghi più corrotti e rischiosi della città
e del Brasile, dominato dai «malandros», criminali adulti ma soprattutto ragazzini o
bambini: furto, spaccio di cocaina, morte nelle guerre tra bande. In questo quartiere ha
vissuto Paulo Lins, autore nel 1997 d'un libro molto bello (editore Einaudi) su quella realtà
delinquenziale; Fernando Meirelles ne ha tratto il suo primo film, vicenda corale narrata in
un andirivieni di fatti e personaggi diversi, interpretata da autentici ragazzi della Città di
Dio, realizzata in uno stile straordinariamente forte e affascinante. Nella grande storia c'è
un protagonista o almeno un personaggio-guida: un ragazzo troppo sensibile e timido per
diventare un criminale, troppo intelligente per accontentarsi di lavoretti malpagati. Ne
uscirà grazie a una forma d'arte (o a una forma di redenzione): diventerà fotografo,
testimone e narratore del proprio sottomondo come lo è stato lo scrittore Lins. Intorno e
accanto a lui, decine di figure di criminali assassini, vanagloriosi, indifferenti: c'è il bambino
che ha cominciato a uccidere a meno di dieci anni ed è diventato un boss, c'è il ragazzo
che tenta di imitare i coetanei ricchi, ci sono donne devastate, ragazze diffidenti. Il regista
dice che nel quartiere si balla sempre, si ascolta musica, si lasciano porte e finestre
aperte; che la povertà è assoluta ma la gente è anche felice, a meno che non lavori come
narcotrafficante assediato dalla paura di morire. Fernando Meirelles non giudica l'epopea
criminale, la guarda e la racconta; il suo stile, accusato d'un eccesso di glamour dato che
prima di dirigere questo film ha lavorato molto nella pubblicità, è invece intenso,
travolgente. E City of God appartiene a quella nuova ondata del cinema dell'America
Latina (Brasile, Argentina, anche Colombia) che potrebbe rappresentare una rinascita
importante.
la Repubblica - Paolo D'agostini
Lo sapevamo che la vita delle favelas è l'inferno in terra. Ma Fernando Meirelles ce lo
vuole dire lo stesso adattando al cinema (con personalità di stile) le centinaia di pagine
corali di un romanzo che è l'epopea di una di queste bidonville di Rio, la "città di Dio",
seguendo dall'infanzia alla giovinezza il percorso di dannazione di un gruppo di baby
delinquenti. La fama di questo film ha fatto il giro del mondo come vanto della coraggiosa
esistenza di un giovane cinema brasiliano. Ma un'inchiesta o un documentario sarebbero
stati più efficaci di questa kermesse di violenza e corruzione che la fiction finisce per
glorificare. O, quantomeno, rendere pittoresca.
Film TV - Pier Maria Bocchi
Amatissimo da certa critica (vedi quella d'oltremanica), sbertucciato da altri (la maggior
parte dei quali nostrani), il film di Meirelles, presentato a Cannes 2002 e a Rotterdam
2003, non merita nessuno di tali estremismi. Per raccontare un decennio di violenza,
sommovimenti socio-culturali,e droghe, nella "Cidade de Deus" ai piedi di Rio, il regista
succhia il romanzo fiume di partenza (dì Paulo Lins) attraverso lo sguardo di un ragazzo
che, mai "da esterno", anzi sempre inzuppato fino al collo nel caos dell'ambiente, trascorre
gli anni maturando. Affermare, come è stato fatto, che Meirelles, per raccontarla, sfrutta la
miseria delle favelas, sembra davvero fuori luogo: potremmo dire lo stesso di ogni film sul
crimine dei sobborghi, delle periferie. Se ha un difetto, City of God è quello di essere tutto
derivativo. Ma, ricordando Scorsese e via di seguito, è pure vitale, sanguigno, ansioso,
esplicito, fangoso, nudo e crudo. Stilisticamente, è in equilibrio precario tra glamour sporco
e dimostrazione. Però non infastidisce, prova spesso di essere in grado di montare la
tensione e il ritmo, di riuscire in scelte narrative abbastanza ardite e di tenere in mano una
polifonia di volti, voci e corpi davvero notevole. Almeno, non è Walter Salles.

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