Trebeschi - LEI nello sguardo di Comboni

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Trebeschi - LEI nello sguardo di Comboni
Quaderni del Tesöl
Limone sul Garda, gennaio 98
Presentazione
Dal 3 al 6 gennaio 98 un gruppo di laici, animati dal comune interesse per la missione e la persona
del Comboni, si sono ritrovati a Limone sul Garda (BS) per una tre-giorni di riflessione sul tema:
“Lei, immagine del divino” - “Lei, nello sguardo di Comboni”.
Sr. Enza Carini, comboniana ha presentato “il cammino della donna attraverso silenzi, parole e gesti di donne dell’Antico Testamento e delle discepole di Gesù”.
Domenica Ghidotti, partendo dalle icone che lei stessa dipinge, ha messo in evidenza gli aspetti salienti dell’esperienza di fede di Maria di Nazareth.
Don Mario Trebeschi, già parroco di Limone sul Garda, ha sviluppato invece il rapporto tra
Daniele Comboni e il mondo femminile. Con lunga e paziente ricerca ha passato in rassegna, attraverso gli Scritti, tutte le relazioni “al femminile” che il Comboni ha coltivato durante la sua vita, si-
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tuando ogni personaggio nel suo contesto storico e spirituale. Ne è emersa un’analisi ricca e profonda che proponiamo in questo “Quaderno del Tesöl”.
“Non c’è niente di più bello al mondo che l’azione della grazia in un’anima” ha scritto Edith Stein.
D. Mario, che ha “bastante sapienza per credere che ciò che vale non sempre appare”, ci ha aiutati ad entrare nel mistero della grazia che ha animato la vita di un grande uomo e di un grande missionario.
Entrando in contatto con la ricchezza e la profondità della sua esperienza umana e spirituale ne
siamo rimasti affascinati.
Auguriamo ai lettori lo stupore e la gioia che abbiamo avuto nello scoprire le caratteristiche
inedite dell’anima di questo grande uomo.
P. Renzo Piazza
Limone sul Garda 15 marzo 1998
167° anniversario della nascita di Daniele Comboni
INTRODUZIONE
Per trattare questo tema ho scelto, tra gli scritti del Comboni (Scritti, Verona, Emi, 1991), quelli
che parlano della donna, della missionaria e quelli indirizzati a donne conosciute dal Beato. Analizzandoli a modo di schedatura mi è parso di poter proporre il seguente schema di lettura e di
approfondimento (i numeri sono riferiti alla divisione che compare a margine degli stessi Scritti).
I. La donna in famiglia - generazione e rigenerazione
1.1 I genitori.
Il papà, paternità in Dio Padre: 162, 184-189. La mamma, maternità nell’Addolorata, maternità allargata: 175-180.
1.2 I conti Carpegna.
Nuova famiglia: 666, 693-694, 699, 707.
1.3 M.me Anne de Villeneuve.
Madre e moglie incomparabile: 1774-1775, 2831-2833, 3823-3829, 4669, 4713-4714.
II. La donna in missione
2.1 Missione e ruolo della donna al tempo del Comboni.
Alcune considerazioni.
2.2 La donna.
Azione potente: 970, 1217.
2.3 La donna nell’islamismo.
Azione redentrice di Cristo: 4541, 5032.
2.3 La donna nel Piano di rigenerazione dell’Africa.
Pari dignità e pari apostolato: 2764-2766, 2774-2781.
2.4 Gli istituti del Cairo.
Apostolato al femminile: 2511-2518. La donna nera, maestra, onore dei neri: 2524-2528.
III. La suora in missione - qualità umane e spirituali
3.1 Suore dell’Apparizione: 2008-2011; 2019; 3104-3111; 3711-3714.
3.2 Pie Madri della Nigrizia.
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IV. Caratteri della suora in missione
4.1 Donna del vangelo: 3553.
4.2 Missionaria al pari e più dei preti: 4464-4465; 5106-5107.
4.3 Collaboratrice indispensabile per la rigenerazione della società africana: 5441-5442.
4.4 Donna non serva: 6455-6456.
4.5 Sante e capaci: 6653-6656.
V. Sentire al femminile
5.1 Condivisione della sofferenza.
La morte del padre di suor Teresa Grigolini: 5067-5078.
5.2 Condivisione dell’umiliazione.
Il caso Virginia Mansur. Al card. Simeoni: 6990-7025; 7083-7087; 7161; 7174-7197. A p.
Giuseppe Sembianti: 6536; 7216; 7244-7246.
5.3 Ritratti di donne convertite. Giuseppina Condé: 2520-2522. Bianca Lemùna: 6707-6720.
VI. Collaborazione spirituale
6.1 Le sorelle Girelli: 2322-2327; 2372-2375; 2796-2797; 7150-7154.
6.2 Abbadessa Maria Mueller: 1885.
6.3 M. Marie Deleuil-Martiny: 1148-1153.
6.4 Suor Maria Annunciata Coseghi: 5283-5286.
VII. Maria - funzione regale
7.1 Consacrazione della Nigrizia a Nostra Signora di La Salette: 1638-1644. Consacrazione
dell’Africa Centrale a Nostra Signora del S. Cuore: 3991-3993; 4003-4004.
Come premessa, rileviamo che il Comboni non ha una dottrina precostituita sulla donna. Il
Comboni non è un teologo, o un ideologo. Egli è missionario, e quale missionario! La sua vocazione è dono di Dio e il Beato ha risposto con tutte le sue capacità spirituali ed umane. Non solo,
ha chiamato a raccolta persone di buona volontà, ha sensibilizzato molti e in vari modi sul problema missionario: uomini e donne, persone di Chiesa, papa, cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose di vari istituti, persone semplici, i suoi genitori e compaesani. Dalla sua esperienza egli si è fatto idee e convinzioni sui vari aspetti della vita della Chiesa, e conseguentemente anche della donna e della sua presenza in missione. Illuminanti e indispensabili a tal proposito sono gli indici posti al termine del volume degli Scritti. Per quanto attiene alla donna, vi
sono vari rimandi: le suore africane, le suore missionarie, l’Istituto Pie Madri della Nigrizia,
l’istituto Suore di S. Giuseppe dell’Apparizione ed anche la voce specifica dedicata alla donna.
Chi vorrà conoscere di più e meglio potrà usufruire efficacemente di questi riferimenti.
Veniamo ora ad esporre i contenuti del nostro schema.
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I
LA DONNA IN FAMIGLIA - GENERAZIONE E RIGENERAZIONE
1.1 I genitori. Il papà, paternità in Dio Padre. La mamma, maternità nell’Addolorata, maternità allargata
Partiamo dalla concezione della donna nel Comboni così come si è formata nel nucleo fondamentale della famiglia.
Il Beato ebbe nella sua famiglia, con il papà e la mamma, e i parenti, ottimi, gratificanti e
determinanti, quanto alla vocazione, rapporti. Nelle sue lettere alla famiglia si trovano singolari
accenti filiali di confidenza, pace, tenerezza, gaudio più di quanto si poteva riscontrare nelle famiglie del tempo, irrigidite nei ruoli dei componenti, che lasciavano poco spazio all’espressione
dei sentimenti più genuini dell’animo.
Il Comboni ha lasciato la famiglia sui dieci anni per recarsi a studiare a Verona. Non possediamo testimonianze su come egli abbia vissuto questo momento, ma si può intuire che il distacco non sia stato facile, a giudicare dalla circostanza analoga, anche se più impegnativa e carica
di incertezze, insieme a grandi speranze, dell’abbandono dei suoi per recarsi in Africa, nel suo
primo viaggio missionario (1857-1859).
Nelle lettere scritte durante il primo viaggio il giovane Comboni esprime i sentimenti del
suo vivo attaccamento verso i genitori e parenti, ma mai di nostalgia struggente, come se la famiglia fosse un rifugio alienante della sua missione. Pensare alla famiglia, parlare ai genitori con
lo scritto è per lui, invece, sempre, un momento coinvolgente di partecipazione di esperienze
nuove, di crescita spirituale e vocazionale. Egli invita i genitori ad associarsi al suo sacrificio e
alla sua opera e, nello stesso tempo, sollecita se stesso a cogliere nel generoso sacrificio dei genitori, che lo hanno lasciato partire per l’Africa, nuovi motivi spirituali per perseverare
nell’intrapresa missione.
Dalla biografia del Comboni sappiamo che il distacco dalla famiglia è stato vissuto, per vari
motivi (l’unico figlio che abbandonava i genitori bisognosi della sua opera, la partenza verso
una meta presagita più come non ritorno che effettiva missione, ecc.) in modo particolarmente
lacerante. Intervenne anche il parroco di Limone, don Pietro Grana, per rendere meno assurdo
“il martirio” di quella circostanza (secondo la stessa espressione del Comboni che se non seguiva la sua vocazione era martire per tutta la vita e se la seguiva faceva, invece, martiri due poveri
genitori). Prima di partire da Trieste il Comboni inviò una fotografia di se stesso alla mamma e
al papà con scritto “Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me”. Frase che a prima vista sembra un ammonimento severo, considerato come era stato tribolato il distacco, verso
l’insorgenza degli affetti naturali; in realtà, nel contesto delle lettere successive del Comboni,
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quella frase appare come la sanzione meritoria evangelica della sua scelta missionaria, che apparteneva a lui, ma non meno ai suoi genitori.
Dopo la sua partenza da Trieste e giunto in Palestina, il Comboni scrive alcune lettere ai genitori e ai parenti nell’autunno del 1857 in cui narra il suo viaggio nei luoghi santi. Sono lettere
molto belle, scritte con dovizia di particolari, sui quali don Daniele si sofferma per raccontare
con meraviglia le novità incontrate, intrattenendosi coi suoi, come se stesse raccontando attorno
al fuoco della cucina del Tesöl. Scrive lettere anche quando è arrivato nell’Africa Centrale dalla
tribù dei Kiks (1857-1858).
Egli si indirizza ai genitori, insieme, e a ciascuno distintamente. Un accorgimento che rivela
sensibilità d’animo di vero figlio, consapevole che se la relazione parentale è con ambedue i genitori, di fatto non prescinde dalla personalità e dalle ragioni che muovono l’animo di ciascuno.
Vi sono temi comuni su cui il Comboni si intrattiene col papà e con la mamma (si legga ad esempio la descrizione della lettera del 30 ottobre 1857, nn. 143-158); ma vi sono anche alcune
diversità interessanti.
Quanto al papà, Luigi, don Daniele ne considera il gesto di offerta alla luce della paternità di
Dio. Egli ringrazia il genitore per il suo “paterno amore”, specialmente per “l’eroico consenso”
datogli nel seguire la vocazione missionaria (nn. 162, 184-186) e questo esempio di dedizione
del papà viene associato alla paternità amorosa di Dio:
« Dio sia il centro di comunicazione tra me e voi. Egli guidi le nostre imprese, i nostri
affari, le nostre sorti e godiamo, ché abbiamo da fare con un buon padrone, con un fedele amico, con un padre amoroso. Ricordatevi soprattutto di confidare in questo buon
Padre, e di essere umile; mentre le grazie che il Signore vi ha fatto e vi farà, non furono a voi largite pei vostri meriti, ma per sua misericordia » (nn. 188-189).
Don Daniele parla di Dio al padre nel contesto della vocazione missionaria (“voi questo vostro figlio, ch’era tutto il vostro patrimonio in terra, l’avete interamente consacrato a Dio”- n.
185), indicandogli nella misericordia di Dio, che ama tutti gli uomini, la ragione della sua offerta e della comunicazione con il figlio lontano. Il padre terreno che dona il figlio è l’ombra e la
continuazione della divina bontà che raggiunge tutti gli uomini.
Per quanto riguarda la mamma, sono interessanti le uniche due lettere a lei indirizzate, una
del 27 novembre 1857 e l’altra del 9 dicembre 1857 (nn. 175-180), nelle quali il Comboni svolge alcune considerazioni.
Don Daniele ringrazia anche la mamma per il grande sacrificio da lei fatto nel donare al Signore il suo figlio, aggiungendo di mantenersi perseverante nella sua offerta, imitando Maria
addolorata ai piedi della croce:
« volgete la mente alla Madre Addolorata appiè della Croce » (n. 176).
Un riferimento, questo, a Maria addolorata, che sicuramente richiama le considerazioni teologiche del tempo sulla figura della Madonna corredentrice (si veda di G. VENTURA, La Madre Addolorata appiè della croce), ma che non può non far pensare anche alla pala (1547) della
chiesa parrocchiale di Limone, rappresentante la deposizione. Non sembra eccessivo credere che
il Comboni abbia invitato la mamma a ritrovare nella sua stessa chiesa, dove solitamente pregava, l’ispirazione del suo sacrificio.
Nella luce dell’Addolorata il Comboni invita la madre ad allargare la sua maternità:
« Oh se vedeste le miserie che vi sono in queste contrade, se ne aveste avuto cento di figli, li avreste tutti dati a Dio, perché venissero a portare un sollievo a queste povere anime » (n. 177).
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La mamma viene associata alla vocazione del figlio, ritrovando così un nuovo aspetto della
sua maternità e della sua funzione: ella può riacquistare la sua vocazione di madre soltanto se
allarga la sua maternità ad altri figli.
La vocazione anima lo stato di vita. Nella Chiesa vi sono gli stati di vita degli sposati, dei
religiosi, dei sacerdoti, così come tradizionalmente sono riconosciuti. A livello spirituale e vocazionale questi stati non sono rigidi in se stessi. La vocazione invece, che li anima, è continua,
dinamica, riproponibile secondo le situazioni nuove. Mentre lo stato di vita è ben codificato e
ben preciso (si è preti, sposi, ecc.), al suo interno le relazioni tra le persone che vi sono coinvolte
(il chiamato e colui che chiama, il Signore) sono sempre in fecondo dinamismo. Il Signore
chiama sempre, nello stesso stato di vita a condizioni nuove, a reinventare e reimpostare il contenuto originario della propria scelta. Ad es., può esserci un missionario, che pensa di recarsi in
paesi lontani e crede di ravvisare in questo lo stato di vita a cui il Signore lo chiama. Ma poi situazioni nuove, qualche imprevisto, una malattia possono impedire questa realizzazione: occorrerà allora ritrovare nuovi modi di essere missionari… pur stando in patria! Non sono riflessioni
di ripiego, ma ricerca di Dio e delle sue vie, che sono proprio… sue! Occorre ricreare, rivitalizzare attraverso l’attenzione al dinamismo della vocazione, il proprio stato di vita. Il Signore non
ci lascia inerti.
Il Comboni invita la mamma a riconsiderare la sua maternità: essa sarà madre non più di un
figlio che è nella famiglia naturale, ma madre di un figlio che è nella missione e, attraverso di
lui, di tanti altri figli, che il figlio si è fatto fratelli. Essa continuerà ad essere madre, sostenendo
il figlio con il suo sacrificio. Nello stesso tempo il figlio continuerà ad essere figlio, unendo la
madre alla sua missione, ampliando la sua maternità. Nella missione, la madre viene riconsegnata al figlio e ai nuovi figli e il figlio e i nuovi figli alla madre. Quella frase di Gesù “Chi ama il
padre o la madre più di me non è degno di me” assume il suo pieno valore, nel senso che il significato centrale non sta nel merito del distacco, ma nel ritrovare una più vasta parentela in una
dimensione nuova. Se il vangelo in un primo momento crea distacco è per ricreare unità su un
piano superiore. La vocazione del figlio trova quindi nuova forza nella nuova vocazione della
madre e viceversa: la madre rigenera il figlio ed il figlio rigenera la madre. Egli si ritrova ancora
più figlio e lei ancora più madre. Nina Pace, non ha mai smesso di essere mamma di don Daniele e questi di essere figlio suo.
Il Comboni riserva poi alla mamma osservazioni di affetto che non compaiono nelle lettere
al papà:
« Ogni momento parmi vedervi concentrata nel vostro dolore, ora lieta per una speranza futura, ora in una inesplicabile incertezza, ora tutta assorta nella confidenza in
Dio » (n. 178);
« Sì cara mamma, voi siete cara sommamente a Dio; ed io mi glorio di avervi per madre » (n. 179);
e ritorna alla considerazione sul reciproco coinvolgimento di genitori e figlio nella missione:
« e se non mi sforzassi di lavorare e tutta consumare la mia vita per la gloria di Dio,
seguirei molto male i generosi esempi dei miei genitori, che mi hanno preceduto nella
gloriosa impresa di sacrificar tutto per amore di G. Cristo » (n. 179).
Credo che possiamo ricavare dai precedenti rilievi sulla missione della mamma due osservazioni conclusive. Innanzitutto, ogni donna che diventa madre lo diventa non solo nella cerchia
della sua famiglia. Vi sono madri, che mentre sono tali nei confronti dei loro figli di generazione, esercitando gli affetti conseguenti, negano la loro identità materna nel mondo circostante. Si
tratta di una maternità possessiva, di tipo ritualistico, consumata all’interno di un ambiente;
quando, invece, si è costituiti in una identità per natura o per grazia, quella identità si vive e si
esercita in ogni ambiente, non a compartimenti stagni. Non si può pensare ad un prete che sia
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tale solo quando celebra la messa o ad un missionario che è tale solo quando è in Africa. Così è
della maternità; ed anche della paternità. Non si è madri solo nella famiglia d’origine. Vi sono
madri generose, disponibili, comprensive verso i loro figli, che improvvisamente diventano rigide, chiuse, ostili verso le necessità di tanti altri fratelli.
Una seconda osservazione. La maternità allargata accennata dal Comboni è una maternità
spirituale, che non è meno vero di quella fisica; come non è meno vera la maternità di Maria
verso di noi di quella generativa nei confronti di Gesù. Chi ha scelto uno stato di vita, che non
contempla la generazione fisica, non è esentato dall’esercitare una paternità e maternità spirituali, basate sul fatto che è costitutivo del nostro essere trasmettere vita, in ogni sua forma, sempre,
secondo la vocazione di ciascuno. È essenziale credere che l’aspetto della generazione spirituale, non è meno vero di quello della generazione biologica. È vero tutto ciò che è secondo la volontà di Dio, sul piano materiale e spirituale.
1.2 I conti Carpegna - nuova famiglia
Il senso della famiglia, in modo particolare della mamma, rimase sempre vivo in Comboni. Il richiamo di quell’affetto si fece sentire forte, specialmente dopo la morte della mamma (1858),
avvenuta mentre egli era in Africa, nel suo primo viaggio. Quando ritornò a Limone, la casa privata dalla dolce presenza materna lo colpì enormemente. Alcune lettere indirizzate ai conti di
Carpegna, famiglia di nobili che avevano possedimenti a Verona, a Roma e altrove, rivelano il
desiderio del Comboni di ritrovare nuovi legami familiari.
Il Comboni aveva incontrato uno dei componenti di questa famiglia, durante il 2° viaggio
missionario (1860-1861), quando si era recato in Africa, in Egitto, per il riscatto di fanciulli di
fanciulle schiavi, secondo il progetto missionario dell’Istituto Mazza; di ritorno da Alessandria
d’Egitto a Trieste il Comboni aveva viaggiato insieme al conte Guido di Carpegna di Roma,
sposato con Ludmilla di Carpegna. Noi possediamo delle lettere indirizzate a questi due sposi,
che contengono alcuni spunti eloquenti sull’aspetto familiare e sulla funzione della donna nella
famiglia.
Circa l’aspetto familiare, il Comboni rivela la sua gioia per aver trovato in questi amici una
famiglia. In una lettera al conte Guido (9 febbraio 1862) egli afferma espressamente di essersi
eletto un nuova madre:
« Io aveva una madre amorosa, ma l'ho perduta nel 1858, mentre vagava per gl'infocati deserti dell'Africa Centrale; ora che conosco quanto sia stato prezioso il tesoro perduto, oserei eleggermi qual madre colei che ha generato voi pure, non già nel corpo,
ma in un modo più nobile ed elevato collo spirito, sì che io pure con voi possa riguardarla qual madre col cuore » (n. 666).
Una seconda considerazione. Il Comboni rivisse la sua situazione di distacco esperimentata
al momento della partenza per l’Africa, nella circostanza della partenza del figlio Pippo Carpegna, che si doveva recare a Bruxelles, per motivi di studio. Così egli rassicurava in proposito la
contessa Ludmilla, fortemente preoccupata e rattristata (1 giugno 1862):
« Sento che sta per compiersi nella diletta famiglia un avvenimento doloroso, che è il
distacco per qualche tempo del caro ed ingenuo mio Pippo, distacco che io sento nel
più vivo dell'anima, perché finché si rimaneva in Roma, poteva sperare di vederlo più
spesso, mentre invece nel Belgio non ho per ora occasione di andare…
Sì, il Dio della pace e della misericordia non tarderà a spargere sovra la nobile famiglia
il balsamo della gioia e della concordia, dissiperà tutte le nuvole, che il nemico dell'umana felicità distende sovra delizie d'una famiglia che è degna degli speciali riguardi
di Dio e della società. Intanto sollevi lo spirito alla tranquillità, alla speranza, alle di-
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sposizioni di quel Dio che guarda i quattro membri della cara famiglia con ispecial
predilezione ed affetto » (nn. 693-694).
In una successiva lettera proponeva a considerazione alla contessa gli stessi pensieri che aveva suggerito alla propria mamma:
« Io sono convinto che Ella abbia fatto assai bene a mettere nel Collegio di Bruxelles il
caro mio Pippo, e che Ella ha agito da vera madre cristiana nell’aver saputo sacrificarsi nel distaccare da sé quel caro figliuolo per amor del suo bene avvenire » (4 luglio 1862
- n. 699).
In altra lettera dell’1 agosto 1862 alla contessa, il Comboni conferma le osservazioni da noi
fatte sulla maternità intesa come rigenerazione continua:
« Si consoli il di lei cuore, o mia buona contessa, che il suo sacrificio partorirà la felicità ed il bene di quell’anima » (1 agosto 1862 - n. 707)
Una terza considerazione riguarda il motivo spirituale di questa nuova amicizia familiare.
Dopo aver ribadito il suo affetto:
« Veggo che Ella e la sua famiglia serbano cara memoria di me. Se avessi da dirle che
passa un'ora senza che io non ricordi affettuosamente tutti i membri della sua casa, direi una solenne menzogna » (1 giugno 1862 - n. 693).
Il Comboni espone la ragione spirituale di tale corrispondenza, così come aveva fatto con i
suoi genitori. Al papà aveva suggerito riflessioni sulla paternità di Dio, alla mamma aveva presentato la figura dell’Addolorata, ai Carpegna rivela il centro della loro comunicazione:
« Nessuna preghiera parte dal mio cuore così spontanea, fervida, e piena di consolazione, quanto nei felici momenti in cui ogni giorno sollevo lo sguardo al Signore per
trovarvi il centro di comunicazione fra me e la sempre amata famiglia Carpegna, che
possiede tutto il mio cuore » (1 giugno 1862 - n. 694).
La positiva esperienza della famiglia naturale spinse il Comboni a ritrovare e a ricreare con
semplicità e sincerità rapporti di amicizia con altre famiglie, sostanziandoli con considerazioni
spirituali, che lo inducevano ad evitare che questi nuove relazioni diventassero luoghi di ritiro e
di impigrimento, e a confermarlo, invece, nella sua scelta missionaria.
1.3 M.me Anne de Villeneuve: madre e moglie incomparabile
Un terzo nucleo di scritti del Comboni rivela la sua concezione della donna nell’ambito familiare: le lettere a M.me M. Anne H. De Villeneuve. Questa signora era una benefattrice delle opere
comboniane. Era sposata ed aveva due figli, Augusto (sposatosi nel 1875 con la signorina Tanquerelles des Planches) e Desiré, sposato a certa Maria.
Le lettere alla Villeneuve possono essere lette secondo due indicatori. Il primo riguarda la
relazione che il Comboni dà sulle sue opere. Egli confida alla Villeneuve di voler piantare il
centro della sua opera a Parigi e di voler fondare un comitato di patronesse, di cui la signora faccia parte (15 novembre 1868 - nn. 1755-1756); la ringrazia per l’offerta da lei fatta di 100 franchi (15 maggio 1572 - n. 2963); la informa delle sue croci, malattie, tradimenti, fatiche (25 aprile 1875 - n. 3823); le esprime la sua compiacenza per la bellissima casula che la benefattrice le
ha fatto giungere e che ha superato senza danni, con alcuni missionari e suore di S. Giuseppe, un
naufragio alle cateratte del Nilo (25 aprile 1875 - n. 3824); ha parole di elogio per le suore del
suo vicariato, guidate dalla madre generale Emilia, che le ha concesso in aiuto suor Emilienne
Naubonnet (25 aprile 1875 - n. 3827); le rivela che nella seduta del 14 agosto 1874 la Congregazione di Propaganda lo ha elevato all’episcopato (25 aprile 1875 - n. 3829); si lamenta delle accuse che “una folla di nemici” gli ha rivolto, per impossessarsi della sua opera (31 dic. 1876 - n.
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4386); comunica con soddisfazione che tutto ciò di cui è stato accusato si è rivelato falso, dopo
tre anni di atroci pene, che egli perdona di tutto cuore ai suoi nemici, e che la Sacra Congregazione, il 2 luglio 1877, lo ha nominato vescovo e vicario apostolico dell’Africa Centrale, con
approvazione della nomina di Pio IX e consacrazione ai primi del mese di agosto (14 luglio
1877 - nn. 4665-4666); ritorna sugli ultimi preparativi della sua consacrazione a vescovo (è in
ritiro presso i Lazzaristi a Roma), fissata al 12 agosto 1877, e ringrazia la signora per l’anello di
famiglia, che ella ha intenzione di donargli e che lui porterà il giorno della sua consacrazione (4
agosto 18777 - nn. 4713-4714); avvisa del suo prossimo viaggio a Khartoum, dei relativi pericoli (13 marzo 1878 - n. 5080) e della sua salute spezzata, perché colpita dalle febbri malariche (15
agosto 1879 - n. 5760).
Un secondo indicatore di letture riguarda più direttamente le vicende familiari della Villeneuve. In queste si riscontra il pensiero del Comboni sul ruolo della donna in famiglia.
Innanzitutto il Comboni ricorda sempre, come già si è visto nei casi precedenti, che il centro
dell’amicizia è il Signore. Interessanti sono poi le considerazioni da lui esposte sulla sponsalità e
sulla maternità.
Quanto alla prima. Il Comboni partecipa alla vicenda dolorosa della morte del marito di Anne. Il caro defunto non era stato praticante, per cui la moglie temeva della sua salvezza eterna.
Don Daniele suggerisce alla vedova alcuni motivi di fiducia. Richiama alla confidenza nella misericordia di Dio; ricorda poi che il marito era un uomo di carità e di fronte alla carità, Dio si dispone alla misericordia. Inoltre consiglia la donna di prolungare dopo la morte il suo ruolo di
moglie, in una comunione dei santi che è salutare sia per chi vive su questa terra, sia per chi l’ha
lasciata.
« Quando lei pensa al suo caro marito occorre che non abbia mai i pensieri che mi esprime. Pensi che la misericordia di Dio è infinita e che è impossibile che egli non abbia
trovato grazia presso Dio dopo tante preghiere e dedizione da parte sua. Lei è stata
una sposa ammirevole, poiché lei è una madre che non ho mai trovato di simile sulla
terra. Dio è carità. La collera di Dio si cambia in dolcezza di fronte alla carità.
Io credo e sono convinto che Dio abbia esaudito la sua carità e la sua ammirabile dedizione per lui, carità e dedizione che le ha avuto per lui prima e dopo la morte; pensi
che suo marito era un uomo eccellente che faceva onore alla società; era un uomo onesto. Il solo peccato era di non essere stato praticante; ciò può darsi sia dipeso dalla sua
educazione e di trovarsi immerso negli affari. So però che è stato un uomo caritatevole
e che ha fatto del bene al suo prossimo. Ora questa virtù non può rimanere senza ricompensa. In più, mediante il matrimonio cristiano, l'uomo è tutt'uno con la donna e
siccome lei ha fatto molto bene prima e dopo la sua morte, trovo una ragione in più per
avere tanta confidenza nella misericordia di Dio. Confidenza, dunque, nel Buon Dio e
sia sicura che Dio ha avuto misericordia di lui; continui a pregare per lui e sia tranquilla e consacri tutti i mesi di novembre della sua vita in suo suffragio, poiché è un
mese di grazia e di misericordia » (5 dicembre 1868 - nn. 1774-1775).
Per quanto riguarda la maternità, il pensiero del Comboni espresso alla Villeneuve risalta
dalla sua partecipazione ad un’altra tragica circostanza di questa famiglia: la morte del figlio
Desiré, avvenuta a Parigi nel 1872. La consolazione da lui rivolta alla madre è quella della croce. In circostanze tanto difficili le parole potrebbero mancare, o essere reticenti, per non suscitare con un discorso troppo duro reazioni contrarie. Invece il Beato parla apertamente delle verità
di Dio e della sua volontà, come con chi ci si intende per consuetudine di fede e di amore. Queste sono le sue parole rivolte alla signora:
« Io sono convinto che Dio vuol fare di lei una vera santa. La vita umana è santificata
unicamente ai piedi del Calvario. Il buon Dio l'ha privata, Signora, per renderla felice
nell'eternità. Si ricordi, Signora, che dopo il Calvario Gesù Cristo è risuscitato. Dio le
prepara delle grandi consolazioni! Coraggio, Signora, la nostra santa Religione, la no-
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stra cara Fede c'insegna che c'è la vita militante e la vita trionfante. Quelli della vita
trionfante sono per la fede in comunicazione perfetta con la vita militante. Lei deve
guardare i suoi cari che sono in cielo, come presenti a lei, essi la vedono, l'ascoltano, essi contano le sue lacrime, i suoi sospiri, le sue gioie. Coraggio, cara Signora! » (16 febbraio 1872 - n. 2831)
Non meno risoluta è la proposta di fede fatta ai due superstiti, il figlio Augusto e Maria vedova di Desiré:
« Dica ad Augusto e a Maria che si gettino ai piedi di Gesù Cristo, che si nascondano
dentro il Cuore di Gesù Cristo e là, in questa sorgente inestinguibile di consolazione
troveranno il loro conforto. Nell'attesa bisogna trovare nella preghiera la consolazione
necessaria » (16 febbraio 1872 - n. 2833)
Proprio in nome della fede e per ciò che la fede ha creato nella personalità di questa donna il
Comboni chiama la Villeneuve più di una volta “madre incomparabile”, accennando alla sua
“fede eroica” e “alla perseveranza senza eguale” (n. 3821).
Ma, oltre l’aspetto esemplare, questa “incomparabilità”, sta nel fatto che la madre esercita la
sua funzione materna anche di fronte a Dio: è colei che genera alla vita, che la sostiene e la indirizza perché possa svilupparsi in tutte le sue qualità non solo secondo le previsioni degli uomini,
ma secondo i disegni di Dio. La mamma cristiana intercede da Dio un avvenire sereno, che non
può essere che la scelta della propria vocazione da parte dei figli.
All’appressarsi del matrimonio di Augusto con la signorina Tanquerelle des Planches (1875)
il Comboni scrive una lettera ad Augusto in cui chiama per tre volte questo partito la sua “fortuna” e ne attribuisce il merito alla mamma: “da molti anni ella ha versato tante lacrime e sospiri e
ha fatto pregare per questa fortuna” e più avanti invita i due sposi a rendere felici i giorni della
madre, che aveva meritato quella fortuna “con la sua fede, la sua perseveranza, il suo amore materno” (25 aprile 1875 - nn. 3820-3822).
Compare infine anche nel caso della Villeneuve il pensiero del Comboni sulla maternità allargata. Il Beato loda la Villeneuve per il suo grande cuore, che ha trovato modo di esprimersi
anche al di fuori della famiglia, coll’aiutare un giovane bisognoso, di nome Urbansky:
« Ho ricevuto notizie di Urbansky da Dresda del tanto bene che lei ha fatto a questo
buon ragazzo; sembra che le sue solerti cure l'abbiano salvato dalla morte. Lei mi colma di bontà e io mi sento ingrato verso di lei » (20 ottobre 1868 - n. 1739).
Immerso nelle sue fatiche il Comboni rivelava in una lettera del 14 luglio 1877 di aver ricevuto grande esempio della Villeneuve:
« E lei, cara signora, che non ho mai dimenticato un istante nelle mie preghiere, mi
scusi per il mio lungo silenzio, poiché sono sempre stato immerso nel dolore e negli affari e anche preoccupato di procurare i mezzi per sostenere i miei tredici Istituti che ho
fondato in dieci anni, spendendo quasi due milioni; ma ciò che mi ha abbattuto di più
sono le croci e le guerre dei religiosi.
Ho anche imparato molto dagli esempi luminosi della sua fede, della sua perseveranza
e della sua forza sovrumana nelle tribolazioni che sono veramente edificanti. Lei è una
madre senza uguali e il buon Dio, che ha visto la sua fede e la sua religiosità, l'ha esaudita e lei vedrà in poco tempo crescere una famiglia che sarà la sua consolazione » (nn.
4668-4669).
II
LA DONNA IN MISSIONE
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2.1 Missione e ruolo della donna al tempo del Comboni. Alcune considerazioni
Daniele Comboni si è inserito in un movimento missionario già affermato in quel tempo. Papa
Gregorio XVI (1831-1846) era stato prefetto di Propaganda fide (1816-1831) inaugurando il
metodo missionario del jus commissionis, cioè l’affidamento agli istituti missionari di un determinato territorio da evangelizzare.
Per ciò che riguarda l’organizzazione interna delle Chiese missionarie è interessante
l’istruzione di Propaganda del 1845, “Neminem perfecto”, che prevedeva che i capi delle missioni dovessero formare dei chierici sperimentati, fondare seminari e opere e attività missionarie
indigeni.
L’interruzione del concilio vaticano I, in cui lo stesso Comboni doveva intervenire, frenò lo
sviluppo di queste idee e il movimento missionario fu lasciato soprattutto alle buone intenzioni
delle singole congregazioni e al carisma dei fondatori.
Anche il mondo missionario poté usufruire dell’enorme sviluppo degli istituti religiosi
nell’Ottocento, in cui ebbe gran parte l’azione di grandi donne fondatrici, che portarono, tra gli
altri vantaggi, anche quello di presentare una nuova figura di donna, attiva e capace di progettare
e organizzare attività ecclesiali e sociali. Nell’Ottocento nacquero in Italia ben 183 istituti femminili (di diritto pontificio), dando corpo a quella che qualcuno ha chiamato una quieta rivoluzione femminile.
Per quanto riguarda la presenza della donna in missione in quei tempi, occorre dire che essa
era minima. Le cause sono da ravvisarsi nella difficoltà dei viaggi e dei climi, nel timore della
barbarie degli infedeli, ma soprattutto per due motivi di carattere strutturale presenti nella società e nella Chiesa. Nella società si attribuiva scarsa importanza alla capacità della donna di costruire e dirigere la civiltà; ciò era dovuto alla secolare emarginazione in cui era stata lasciata la
donna nella società europea, soprattutto nel mondo politico. Nella Chiesa vi era una concezione
ristretta del compito missionario, consistente soprattutto nella predicazione e
nell’amministrazione dei sacramenti. Secondo questa concezione la donna non aveva alcun spazio, non essendo sacerdote. Ma il coinvolgimento che la donna stava avendo nei nuovi istituti
religiosi, quanto all’assistenza, all’educazione, all’istruzione non poteva non avere riflessi favorevoli anche nel mondo missionario.
A Verona, città di educazione del Comboni, sorsero nell’Ottocento alcuni istituti femminili,
alcuni dei quali ora estinti: l’Istituto delle Penitenti della marchesa Marianna Sagramoso nel
1807, l’Istituto delle Figlie della Carità di Maddalena di Canossa nel 1808, l’Istituto delle Figlie
di Gesù di don Pietro Leonardi nel 1816, l’Istituto delle Sorelle della sacra Famiglia, di Leopoldina Naudet nel 1816, l’Istituto femminile per le fanciulle povere di don Nicola Mazza nel 1828,
l’Istituto delle sorelle Minime dell’Addolorata di Teodora Campostrini del 1829, l’Istituto delle
Figlie di Maria Immacolata di Giulia Bardelli Ottolini nel 1830, l’Istituto delle Sorelle della Misericordia di Carlo Steeb nel 1840, l’Istituto delle Benedettine Figlie del S. Cuore di Maria di
Lanza Astori nel 1846, l’Istituto delle Orsoline di Verona o Figlie di Maria Immacolata di don
Zeffirino Agostini nel 1860, l’Istituto delle Pie Madri della Nigrizia del Comboni nel 1872.
2.2 La donna: azione potente
Istruito a questa presenza della donna nell’Ottocento, il Comboni ha affermazioni di incondizionata fiducia nell’azione della donna cattolica.
A don Francesco Bricolo il 15 gennaio 1865 scriveva di aver potuto incontrare il fondatore
della pia Opera della Propagazione della fede, il conte d’Ercules, grazie ad alcune sue dame, alle
quali doveva serbare eterna amicizia “perché la donna cattolica è tutto” (n. 970). Il 6 febbraio
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1866, scrivendo dal Cairo (durante il 3 viaggio missionario assieme al p. Ludovico da Casoria),
esponendo al card. Alessandro Barnabò la sua intenzioni di introdurre un piccolo Istituto femminile in Negadeh, notava: “Ove s’introducesse l’azione potente della donna cattolica, sconosciuta in quelle parti, noi vedremmo in pochi anni dei grandi vantaggi” (n. 1217).
2.3 La donna e l’Islamismo
D’altro canto il Comboni, guardando alla donna africana rilevava la condizione servile in cui essa giaceva a causa dell’Islamismo. In alcuni passi delle sue lettere egli non esita ad usare termini
pesanti (oggi saremmo più cauti, non so se per amor di verità o di convenienza) nell’esprimere
l’inadeguatezza di questa religione al rispetto della dignità umana e della donna.
« L'Oriente, che del solo apparato esterno si bea e che più vivo sente il contrasto delle
passioni fu subito guadagnato da Maometto, il quale senza imporre credenze nuove offriva di volgari comuni credenze un mostruoso ammasso e tutta la sua religione facea
consistere in un culto puramente esteriore incoraggiando in pari tempo e autorizzando
la piena soddisfazione pure delle passioni più brutali.
Egli è il Corano che legittima la dissolutezza e non considera la donna come figlia della
religione, ma solamente come un arnese di casa, come uno strumento di immoralità.
Pel Corano gli Harem dove il sentimento umano imbestialisce, e l'idea la virtù
dell'uomo si debilita, si snerva, si perverte; dove l'intelletto si ottenebra e rende l'uomo
incapace non pur di apprendere di sentire o di apprezzare la nobiltà della Religione
Cattolica, ma eziandio della civiltà cristiana. Egli è difatti alquanto tempo che l'islamismo si trova in contatto colla civiltà europea: eppure quali acquisti, quali progressi poté far questa in mezzo ai maomettani? » (3 maggio 1877 - nn. 4540-4541)
Il Comboni apprezzava l’opera dell’esploratore anglicano Stanley che oltre ad esplorare i
luoghi più reconditi dell’Africa diffondeva tra le tribù e i loro capi idee di civiltà, sostenute dalla
fede cristiana. Il Comboni racconta che l’esploratore gli aveva riferito di aver istruito un re incontrato durante un suo viaggio, oltre che su alcuni concetti fondamentali della fede anche sulla
condizione della donna:
« Cristo fu quegli che sollevò la dignità della donna, e liberolla dall'ignominia in cui
era tenuta dai barbari e dai musulmani » (al card. di Propaganda Alessandro Franchi, 19 gennaio 1878 - n. 5032).
2.4 La donna nel “Piano di rigenerazione”: pari dignità e pari apostolato
Il Comboni elaborò un “piano” di intervento nelle missioni africane, che prevedeva la formazione di personale religioso e laico, bianco e di colore, maschile e femminile nelle zone dell’Africa
più accessibili all’uomo europeo, onde poi immetterlo nel centro del continente. Egli intendeva
formare con questo metodo, giovani negri come catechisti (tra i quali potevano sorgere anche
sacerdoti), maestri, artisti (agricoltori, medici, infermieri, farmacisti, falegnami, ecc.) e giovinette negre, il cui gruppo dovesse essere composto, secondo il “piano”:
« 1. Di Istitutrici, a cui si darà possibile istruzione nella religione e nella morale cattolica, affinché ne infondano le massime e la pratica nella femminile società africana,
dalla quale, come fra noi, dipende in gran parte la rigenerazione della grande famiglia
dei Negri.
2. Di maestre e donne di famiglia, le quali dovranno promuovere l’istruzione femminile in leggere, scrivere, far conti, filare, cucire, tessere, assistere agli infermi, ed esercitare tutte le arti donnesche utili ai paesi della Nigrizia centrale » (n. 2774).
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Dalle giovani nere, che non aspiravano allo stato coniugale si potevano trarre delle suore
(“la sezione delle Vergini della Carità”). Il “piano” dichiarava in proposito:
« Questa sezione privilegiata costituirà la più eletta falange della famiglia femminile,
destinata a reggere le scuole delle fanciulle, a compiere le funzioni più importanti della
cristiana carità, e ad esercitare il ministero della donna cattolica fra le tribù della Nigrizia » (n. 2777).
Nello stesso “piano” il Comboni fa un rilievo sulla maggior resistenza della donna europea
in missioni dell’Africa centrale, rispetto al missionario. Egli afferma prima di tutto che essendo
manifesto che la continua permanenza dell’europeo all’interno dell’Africa è deleteria per la sua
salute, gli istituti europei che dovranno insediarsi in attesa di essere sostituiti da personale indigeno, cambieranno i loro missionari al massimo ogni due anni. Per quanto riguarda la donna, invece, il discorso è diverso, data la dimostrata sua resistenza al clima:
« D'altro lato, le statistiche delle Missioni africane avendo dimostrato che la donna europea, attesa la vantaggiosa elasticità del suo fisico, l'indole del suo morale, e le abitudini del suo vivere domestico e sociale, resiste a gran pezza più del missionario europeo
all'inclemenza del clima africano; perciò, dietro il giudizio ed il mandato dei rispettivi
Vicari e Prefetti apostolici, si potranno stabilire degl'Istituti religiosi femminili d'Europa nei paesi dell'interno meno fatali alla vita dell'europeo, affine di prestare con
maggiore efficacia i maravigliosi ed importanti servigi della donna cattolica, per la rigenerazione della grande famiglia dei negri » (n. 2780).
Il Comboni, nel suo “piano” attribuisce alla donna pari dignità del missionario e pari opportunità di apostolato: essa non è considerata come sola esecutrice di impieghi previsti da altri, ma
è posta accanto al missionario con tutte le sue capacità di pensiero, di opera e di iniziativa per la
rigenerazione dei Neri.
2.5 Gli istituti del Cairo
Il pensiero del Comboni sull’opera della donna emerge chiaro in una sua relazione del 1871 alla
Società di Colonia, che espone scopi e attività degli Istituto fondati dal Beato al Cairo.
Il Comboni afferma dapprima che le missioni africane devono superare la situazione pionieristica dei primi missionari, penetrati nell’Africa senza preparazione, lasciandoci la vita. Per un
intervento fecondo le missioni hanno bisogno di una organizzazione, con uno scopo ben determinato, dei centri di attività e dei mezzi adatti. Occorre stabilire in Europa un seminario ben avviato e fondare centri e collegi di formazione sulle coste, per inserirsi poi all’interno. Tra queste
strutture il Comboni prevede anche una congregazione di suore missionarie:
« Prima ancora si sarebbe dovuto dar vita ad una Congregazione di Suore Missionarie
per mezzo delle quali si sarebbe dato alla missione un aiuto potente ed indispensabile
per la diffusione della fede in seno alle famiglie. Queste Missionarie costituiscono un
elemento indispensabile e sotto ogni rispetto essenziale » (n. 2472).
Espone poi le attività dei suoi istituti del Cairo: l’Istituto del S. Cuore di Gesù per i giovani
negri, l’istituto del S. Cuore di Maria e l’Istituto della Sacra Famiglia. Qui ci interessa il secondo
e il terzo istituto per le ospiti femminili.
L’Istituto del S. Cuore di Maria, o delle morette, affidato alle suore di S. Giuseppe
dell’Apparizione, è destinato a coadiuvare l’apostolato tra le donne nere. Perciò le frequentanti
riceveranno una formazione adatta quanto alla religione e quanto allo specifico campo di apostolato, che non potrà godere di un apporto positivo, e decisivo, se non dalla donna africana. Il
Comboni è consapevole della necessità dell’opera di questa, senza la quale la stessa attività del
missionario è destinata a fallire.
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« Le Suore e le morette, che devono lavorare per la salvezza delle anime, si preparano
ad iniziare l'apostolato della Nigrizia attraverso i seguenti studi:
1. Studio ampio del Catechismo e delle differenze dalle altre religioni, nella misura secondo cui quest'ultimo argomento è adatto al sesso femminile cattolico. Una missionaria impartisce loro di tanto in tanto questo insegnamento, e spiega con esempi le differenze delle eresie, come si fa anche nell'Istituti per i moretti. All'insegnamento delle
controversie religiose si aggiunge anche un'istruzione sul modo migliore di convertire
alla nostra santa religione la popolazione nera femminile di qualsiasi superstiziosa credenza. Si indicano loro il modo di argomentare e le similitudini più pratiche e piane
per combattere e distruggere gli errori delle superstiziose credenze delle donne dell'Islam, del paganesimo e delle varie sette etc. Siccome in Oriente molto difficilmente gli
uomini possono avvicinare le donne e siccome i missionari devono essere molto circospetti nel parlare e conversare con loro, noi ci ripromettiamo ottimi successi per la nostra santa fede cattolica soprattutto da parte delle Suore e delle morette nel loro influsso sul sesso femminile, nella loro qualità di missionarie. Mi sembra soprattutto importantissimo e oltremodo necessario che le giovani missionarie nere siano istruite in questo modo circa le differenze religiose, perché solo così può essere facilitata l'opera nostra » (n. 2515).
La donna, e la donna nera in particolare, è ritenuta dal Comboni capace di essere soggetto di
apostolato. Idee avveniristiche, allora, forse, ma il seme era gettato e avrebbe dato frutto a suo
tempo.
Ma il Comboni non si ferma qui. Egli ha bisogno di un esempio più chiaro per ridare onore
alla razza nera, renderla stimata davanti agli stessi africani e agli europei. Il mezzo da lui escogitato è quasi provocatorio, e renderà non più discutibile la dignità e la parità della razza nera se si
realizzerà: rendere la donna nera, maestra, dar voce a chi non ha voce. Si servirà di un istituto
apposito, dedicato alla S. Famiglia. Egli così argomenta:
« In Egitto la condizione dei poveri neri è quanto mai pietosa e triste. Molti anni di esperienza mi hanno convinto che non solo il musulmano e l'infedele, ma anche il cristiano cattolico di carattere buono e irreprensibile, fatte poche eccezioni, considera gli
infelici neri non come uomini, come esseri ragionevoli, ma come oggetti che recano
guadagno. In generale un cavallo, un lama, un asino, un cane, una gazzella si apprezzano di gran lunga più di un nero o una nera. Il valore di questi ultimi è in proporzione
solo al prezzo che sono costati o al denaro che essi possono fruttare coi loro servizi e fatiche o perfino con le loro perverse passioni. Qui il nero, come essere ragionevole, non
ha valore alcuno» (n. 2524).
Il Comboni riferisce la sua esperienza positiva e presenta il mezzo di uscire da questa condizione subumana:
« L'esistenza di un Istituto in cui i neri vengono educati nella fede e in tutti i rami della
cultura, come negli Istituti d'Europa, ha già fatto miracoli in Egitto. Infatti a molti Egiziani pareva proprio impossibile, che i neri potessero essere educati nella civiltà e che
avessero le attitudini dei bianchi. Oggi sono convinti che questo è diventato una radiosa realtà. Ebbene anche se per questo un tal Istituto agli occhi dei musulmani d'Egitto
dev'essere una prova evidente e parlante, tuttavia l'attività del medesimo non era rivolta all'esterno, dovendo noi usare troppa precauzione, per non cadere a causa del fanatismo musulmano in pericolose contese, e per non eccitare la suscettibilità delle varie
sette nella terra dei Faraoni. Pensai allora ad un mezzo per sollevare ancor più la razza nera e porla in una luce di favore davanti a quegli uomini, che hanno solo un'ombra
di civiltà. Il diritto che la razza nera possiede e che le si deve riconoscere presso quella
bianca, dovrebbe apparire ancor più evidente per gli Egiziani. E io volli mostrare
vieppiù ai popoli, provandolo con un esempio parlante, che secondo lo spirito sublime
del Vangelo tutti gli uomini, bianchi e neri, sono uguali dinanzi a Dio ed hanno diritto
all'acquisizione e alle benedizioni della fede ed alla civiltà cristiana Europea.
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Tra i mezzi da me escogitati per rispondere a questo scopo, il più pratico e il più conveniente per le condizioni in cui ci trovammo l'anno scorso, fu l'erezione di una scuola
pubblica al Cairo-Vecchio, nella quale dovevano lavorare soltanto maestre nere. Essa
doveva erigersi proprio all'europea e doveva essere frequentata da giovanette di qualsiasi razza. Pensavo che ciò avrebbe influito molto a mettere in maggior onore la razza
nera in Egitto. Nello stesso tempo le Missionarie nere potevano considerare la loro opera in questa scuola come una specie di noviziato ed un tempo di prova per esercitarsi
al futuro apostolato di maestre e di missionarie nell'Africa Centrale.
Queste due ragioni, congiunte alla necessità veramente urgente, di possedere al CairoVecchio una scuola pubblica per fanciulle, mi decisero ad erigere un piccolo Istituto
dedicato alla S. Famiglia » (nn. 2525-2526).
Non solo quindi per il Comboni la donna in generale è soggetto di apostolato, ma la stessa
donna nera deve diventarlo, a vantaggio di se stessa e della società africana.
III
LA SUORA IN MISSIONE - QUALITÀ UMANE E SPIRITUALI
Il Comboni si avvaleva per le sue missioni dell’attività di istituti sia maschili che femminili già
affermati: il “piano di rigenerazione” lo aveva previsto. Quante alle suore egli chiese ed ottenne
la collaborazione delle Suore dell’Apparizione di S. Giuseppe, prima di riuscire ad avere
l’apporto valido di un suo proprio istituto femminile.
3.1 Suore di S. Giuseppe dell’Apparizione
Nei suoi numerosi viaggi in Europa e in Italia il Comboni incontrava numerose persone, religiosi e laici, sensibili al problema delle missioni. Incontrò anche una suora, che tanto aiuto gli avrebbe dato in seguito, madre Emilie Julien, della congregazione delle suore di S. Giuseppe
dell’Apparizione, fondate nel 1832 dalla santa baronessa Emilie De Vialar (1797-1856). Queste
suore avevano come compito precipuo l’impegno nelle missioni. Furono approvate dal papa nel
1842. Quando la fondatrice morì l’Istituto era già diffuso in Francia, Grecia, Malta, Turchia,
Palestina, Libano, Cipro, Birmania, Australia..., ed anche in Italia.
Possediamo un buon nucleo di lettere scambiate tra il Comboni e la madre Julien, ed altre
suore dell’istituto, Euphrasie Maraval, Emilienne Naubonnet, Maria Bertholon, Giuseppina Tabraui, Maddalena Carcassian.
Il Comboni aveva in grande stima Emilie Julien, che considerava donna eccezionale. Così
ne parlava:
« Donna di carità sublime, un’ammirevole prudenza, un talento sodo e distinto che
conosce uomini e affari e il modo di trattarli. Un nobile coraggio, una fiducia eroica
nella provvidenza e pieno abbandono alla volontà di Dio: la conosco dal 1860 ed essa
più volte mi ha aiutato a fare del bene alle anime... » (n. 1803).
Il Comboni poté beneficiare dell’opera di queste suore dal 1867 al 1879. Egli aveva avuto
ottime referenze su di loro riconosciute come “le più adatte di tutte, le più utili, le meno esigenti
e con quelle con cui si incontrano meno fastidi che con altre Congregazioni di Suore” (n. 4466).
Con queste suore stabilì una convenzione nel 1874 e gli si affacciò persino l’idea di unire il
suo nascente istituto delle pie Madri della Nigrizia con quello dell’Apparizione. I vantaggi della
collaborazione delle suore dell’Apparizione erano due: avevano esperienza d’Africa e
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dell’ambiente mediorientale, essendo alcune originarie di quei luoghi, e avevano una buona conoscenza della lingua araba, che permetteva loro di comunicare facilmente con le popolazioni
tra le quali il Comboni operava.
Dalle lettere del Comboni a queste suore emergono alcune qualità che egli desiderava e stimava nelle religiose collaboratrici, come necessarie per la missione. Si tratta di doti fondamentali, umane e spirituali, proprie delle religiose del tempo.
Di suor Maria Bertholon riconosceva alcune doti: “piena di zelo, di dedizione e di pazienza,
molto pia, molto attiva, assai caritatevole” (n. 2009). Ne stimava anche l’umiltà ed anche
l’obbedienza, manifestata nel fatto che avendo essa chiesto di rinunciare al superiorato, desiderava rimanere nella stessa casa, per obbedire là dove prima aveva esercitato la direzione (n.
2019). Osservava che le morette apprezzavano le suore nelle quali trovavano delle vere madri
(n. 2010). Di un’altra suora affermava: “essa è un angelo, molto pia, assai docile, che si sacrifica
molto, sempre allegra e soddisfatta” (n. 2010).
Richiedeva continuamente alla Julien più soggetti, guardando anche alle difficoltà degli inizi delle suore da lui fondate che non erano ancora preparate alle difficoltà e alle durezze della
missione. Nel dicembre 1872, a pochi mesi dalla fondazione del suo istituto, diceva con un po’
di sconforto, che le sue suore al momento andavano bene per la clausura, mentre per l’Africa
occorrevano dei soldati (n. 3111). Ma non sarebbero passati molti anni per le suore della Nigrizia per fornire alle missioni elementi adatti e il Comboni lo riconoscerà al momento opportuno.
In una lettera a madre Emilienne Naubonnet, concessa dalla madre superiora Julien nel
1875, come direttrice dell’istituto delle suore della Apparizione di Khartoum e dell’Africa centrale, il Comboni esprime parole di elogio:
« Le confesso francamente che la nostra carissima Madre Generale non poteva meglio
soddisfare ai miei ardenti desideri con la grazia che ella mi ha fatto di scegliere per la
mia grande Missione la veterana delle Suora Missionarie dell'Oriente, cioè lei, mia
buona Madre, che ha educato quasi tutte le nostre brave Suore arabe e soprattutto
quella che non ho ancora finito di piangere, Sr. Giuseppina Tabraui…
Non importa che lei sia un po' avanti con l'età: io credo che qui lei diventerà più giovane. E' sufficiente l'occhio e la presenza d'una brava Superiora, senza molto lavorare,
per far proseguire gli affari. Il suo nome è ben conosciuto da noi; non è mai passata
una giornata per me, senza sentire il suo venerato nome dalle Suore e soprattutto dalle
nostre care Sr. Giuseppina Tabraui e Sr. Anna Mansur che lei ha così ben educato.
L'attendo, dunque, con impazienza a Khartum e vado a dare le disposizioni per farla
partire nel miglior modo possibile. La prego, Madre mia, di non risparmiare niente
per rendere il suo viaggio meno faticoso.
Il viaggio è facile: solamente il deserto è un po' faticoso per qualche giorno. La sua
ammirabile obbedienza alla Madre Generale di recarsi nell'Africa centrale, anche se
anziana e affaticata da tanti anni di Missione, mi ha molto edificato » (12 gennaio 1875 nn. 3711-3713).
Dell’opera delle suore il Comboni era tanto convinto che in una lettera alla Madre Julien di
supplica di nuove suore (15 dicembre 1872) dichiarava con convinzione:
« Pensi che non sono che la donna e S. Giuseppe che convertiranno l'Africa Centrale »
(n. 3114).
3.2 Pie Madri della Nigrizia
Per ciò che attiene le Pie madri della Nigrizia, le vicende della loro fondazione sono facilmente
reperibili ovunque, su biografie del Comboni o su opere specifiche. Qualche nota di cronaca sto15
rica. L’istituto fu fondato nel 1872 a Montorio; nel 1874 fu trasferito in S. Maria in Organo.
All’inizio ebbe momenti molto difficili, perché non si riusciva a trovare elementi capaci di buona direzione. Finalmente si trovò una degna superiora, Maria Bollezzoli (1828-1901), già orsolina, che guidò l’istituto attraverso difficili prove.
Di qualcuna di queste suore e delle loro qualità parleremo più sotto.
IV
CARATTERI DELLA SUORA IN MISSIONE
Come si è visto il Comboni attribuiva alle suore funzioni di insegnamento e di apostolato, non
solo di assistenza alla famiglia e di istruzione scolastica, e richiedeva alcuni qualità fondamentali, come preparazione di base sul piano umano e religioso. Ma egli si sofferma anche sui caratteri distintivi della suora in missione, proprio in quanto missionaria. Vi è come uno sviluppo nel
tempo delle idee del Comboni che si perfezionano in modo da presentare il profilo ideale della
missionaria.
4.1 Donna del Vangelo
Il Comboni in una lettera del 10 aprile 1874 paragona le suore alle donne delle vangelo. Questa
la sua descrizione.
« Se non avessi una farragine di occupazioni, vorrei scrivervi un cenno dell'Apostolato
di queste Suore vera immagine delle antiche donne del Vangelo, che colla medesima
facilità con cui insegnano in Europa l'a b c all'orfanella derelitta affrontano nell'Africa
Centrale viaggi di mesi e mesi sotto 60 gradi di Réaumur, passano deserti sul cammello
e montano e dominano il cavallo, dormono a ciel sereno sotto un albero o nell'angolo di
un'araba barcaccia, minacciano il beduino armato, rimproverano il vizio all'uomo
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immorale, riducono la concubina a penitenza, assistono il soldato nell'ospedale, reclamano giustizia dai tribunali turchi, e dai Pascià, a favore dell'infelice e dell'oppresso,
non temono la iena o il ruggito del leone, e a tutte le fatiche, ai viaggi disastrosi, alla
morte si sobbarcano per guadagnare anime alla Chiesa, e corrispondere colle proprie
forze, colla miracolosa debolezza e colla propria vita a quel Cuore, che ignem venit mittere in terram » (n. 3553).
“Donne del vangelo”. Da dove desume il Comboni questo termine? Dal vangelo stesso e dal
ruolo della presenza femminile ivi rappresentato, che è rilevante, anche se vi appare in forma discreta. Ma forse anche da qualche pubblicazione del tempo sulla donna cattolica: penso alle opere del teatino Gioacchino Ventura (1772-1860), che scrisse più libri sulla donna e su Maria.
Dalle donne del Vangelo emergono alcuni caratteri della loro fede: Maria, la femminilità
mosaica; Elisabetta, la femminilità rifiorita; Anna, la femminilità sperante; la donna che loda la
madre di Gesù, la femminilità dell’ammirazione; la Samaritana, la femminilità assetata; la emorroissa, la femminilità che sa osare; la vedova di Naim, la femminilità consolata; la suocera di
Pietro, la femminilità servizievole; l’adultera, la femminilità redenta; Marta, la femminilità casalinga; Maria, la femminilità devota; la cananea, la femminilità temeraria; la donna curva, la
femminilità liberata; le donne che assistono gli apostoli, la femminilità ausiliante; la donna della
dramma perduta, la femminilità della gioia; la madre dei figli di Zebedeo, la femminilità orgogliosa; la donna del lievito, la femminilità del nascondimento; la vedova del tempio, la femminilità della totalità del dono; le vergini stolte e prudenti, la femminilità svagata e previdente; le
donne del Calvario, la femminilità dolente; le donne della resurrezione, la femminilità annunciante.
Che cosa avrà inteso il Comboni parlando delle donne del vangelo? Certamente ha voluto
far risaltare l’idea della donna come colei che è attenta alle evidenze umane di ordine spirituale
e materiale e, in secondo luogo, come colei che è la più adatta a farvi fronte con capacità creativa, fuori dagli schemi usuali, in modo capillare, quotidiano, perseverante, a dispetto delle leggi e
delle consuetudini. La donna, dotata di un genio proprio in ordine alla vita e della sua sopravvivenza e “supervivenza” compare nel vangelo come sostenitrice di Gesù e degli apostoli e quindi
come indispensabile collaboratrice della stessa diffusione della verità. Poco più avanti ritroveremo la conferma di queste annotazioni a proposito di suor Teresa Grigolini delle Pie Madri paragonata alle donne del vangelo.
4.2 Missionaria al pari e più dei preti
Oltre a questo rilievo, che dà alla donna sì un posto importante, ma sempre ausiliante e subordinato, il Comboni si rende conto, dalla sua esperienza, che alla donna compete un posto di parità
col missionario. In una lettera alla madre Julien del 30 marzo 1877, in cui chiede suore per il suo
vicariato egli non esista a definire la religiosa in missione più di un prete.
« La Suora di carità è un prete e più di un prete. Una grande Stazione dove vi sono tre
preti e 15 Suore è come se avesse 20 preti Missionari. La rivoluzione che ha soppresso
gli Ordini religiosi in Italia, che ha obbligato tutti i giovani, anche ecclesiastici a essere
soldati, non ha fatto un gran male all'Africa Centrale, come l'ha fatto in Europa e in
altre Missioni.
La Suora di Carità nell'Africa Centrale fa come tre preti in Europa e questo secolo di
persecuzione contro la Chiesa cattolica che è privata dell'aiuto di tanti ecclesiastici e
religiosi, è il secolo della donna cattolica della quale la Provvidenza di Dio si serve come di veri preti, religiosi e apostoli della Chiesa, ausiliarie della S. Sede, braccio del
ministero evangelico, colonne delle Missioni apostoliche straniere, civilizzatrici delle
popolazioni primitive » (n. 4465).
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Il Comboni ritorna su questo tema in una successiva lettera a madre Euphrasie Maraval.
« Le nostre quattro suore di Khartum son un miracolo di dedizione e di carità. Sr. Severina è una vera Madre. Sr Germana è il tipo della vera missionaria; Sr. Eufrasia è
un angelo; Sr. Enrichetta è una vera Suora di carità e riesce in tutto. Queste quattro
hanno lo spirito vero della sua ammirabile Congregazione, nella loro semplicità e dedizione e senza rumore, hanno sostenuto tutti i lavori di questa Missione difficile. Esse
sono quattro preti che lavorano per otto preti » (5 maggio 1878 - n. 5106).
Nella stessa lettera si riconosce che queste suore hanno lavorato in maniera infaticabile:
« La Congregazione di S. Giuseppe, il suo coraggio e la sua eroica dedizione nell'Africa
Centrale, ha guadagnato molto nella reputazione degli spiriti più elevati e più illuminati » (n. 5108).
Il Comboni poi chiede almeno nove suore per il 1878, aggiungendo: “Una suora nell’Africa
centrale lavora con più merito che 10 suore nelle altre missioni, perché qui noi dobbiamo creare
tutto” (n. 5112).
4.3 Collaboratrice indispensabile per la rigenerazione della società africana
Il Comboni nel 1878 ritorna su un motivo riguardante la necessità della suora in terra africana,
già accennato nel “piano di rigenerazione”, derivata dagli usi e costumi locali. Al can. Cristoforo
Milone il 24 ottobre 1878 scrive (si faccia rilievo all’inciso del Comboni su una suora delle Pie
Madri della Nigrizia, che finalmente potevano fornire qualche elemento idoneo alle missioni):
« A Berber, e presto la farò passare in una missione del Centro, ho un ottimo soggetto
appartenente all'Istituto Pie Madri della Nigrizia da me fondato in Verona, nella persona di Concetta Corsi di Barletta, buona, e che farà molto bene in queste missioni, ove
la donna non è persona, ma è cosa di commercio e di capriccio, non altrimenti che una
pecora e capra, cara al padrone solo se apporta utile e diletto, e quando appassisce, e
non è più buona a nulla, si rigetta come merce marcita.
La Suora di carità nell'Africa Centrale è della stessa utilità del missionario; anzi il
missionario farebbe poco senza la Suora. Nei paesi musulmani alla sola Suora è dato di
penetrare nei segreti dell'harem, e comunicare colle donne, che tanta parte hanno nella
vita e indirizzo dell'uomo. Nei paesi poi ove e uomini e donne vanno vestiti colla sola
pelle dei nostri primi padri Adamo ed Eva quando erano nello stato d'innocenza, la
Suora è più necessaria del missionario, ed è una garanzia del missionario stesso: come
nella missione che ho aperto a Gebel Nuba. In quei paesi io mando le Suore più provate, e sperimentate; esse sole si avvicinano alla classe femminile per catechizzarle, e moralizzarle, e farle in parte coprire per renderle atte ad essere ammesse nella Religione
cattolica » (n. 5442).
4.4 Donna, non serva
Una quarta caratteristica rileva il Comboni a proposito della collaborazione: la donna deve essere “vera donna e non serva”.
Il 12 febbraio 1881, quando ormai le Suore di S. Giuseppe si erano ritirate e bisognava contare solo sulle Pie Madri, il Comboni scriveva al P. Giuseppe Sembianti, che a Verona si interessava della formazione delle nuove suore, rilevando purtroppo la carenza di elementi tra loro
nella conoscenza dell’arabo e nell’abilità di condurre e guidare le case ed aggiungeva:
« Quanto poi alla pace, all'obbedienza, alla dipendenza qui io sto e stiamo molto meglio che prima, cioè, stiamo meglio colle nostre di Verona che con quelle di S. Giusep-
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pe. Dunque coraggio, e tiriamo avanti, che verrà anche per le nostre il tempo che potranno avere l'abilità delle francesi. Ma per carità prenda poche serve, ed abbondi nel
prendere donne istruite (non importa se hanno oltrepassato i 26 anni), ma, come mi diceva nell'ultima sua, donne serie, buone, e di giudizio... insomma vere donne!!! » (n.
6456).
Il Comboni non voleva donne gregarie, ma donne che sapessero destreggiarsi nelle situazioni sempre nuove della missione basandosi sulla formazione intellettuale, spirituale e sulle loro
capacità umane. Donne, non serve degli uomini, ma serve di Dio.
4.5 Sante e capaci
C’è poi un’altra caratteristica che il Comboni ritiene necessaria alle sue suore missionarie: il
connubio tra santità e capacità.
Egli scriveva al p. Sembianti, il 20 aprile 1881, a pochi mesi dalla sua morte una lettera, che
è la sintesi, si può dire, del suo pensiero sul profilo ideale della suora missionaria, presentando
l’esempio della formazione alla missione in suor Teresa Grigolini. Essa era una delle prime entrate nelle Pie Madri, nel 1874, all’età di 21 anni. Era una giovane, di ottima famiglia veronese,
che era stata conquistata dalla proposta del Comboni di andare in Africa.
A proposito della sua condotta il Comboni nota due caratteristiche necessarie per le sue Madri della Nigrizia: santità e capacità. La santità corrisponde alla formazione di base della propria
persona, comprendente virtù umane, religiose e spirituali contemplate nella tipica educazione
religiosa dell’epoca, come già si è visto sopra; ma a queste bisogna aggiungere capacità pratiche, che sono possedute in modo innato, che si sviluppano e si liberano in condizioni di educazione che non conculca le doti di cui ciascuna è fornita, che anzi le libera e le pone in condizioni
di potersi esercitare. È oltremodo interessante ciò che il Comboni ritiene come contenuto di questa “capacità”, la carità, intesa come cura della salute e della conversione delle anime. Questa
“capacità” quindi, se non deve essere limitata dai superiori, non è neanche lasciata alla bizzarria
dei singoli, bensì è governata dal fine per cui la missionaria opera. Si tratta di una capacità di
carità, non di bravura.
Ecco le parole del Comboni.
« Modello della vera missionaria dell'Africa Centrale (questa sì che è come, o supera
Sr. Giuseppina Tabraui maestra di Virginia, colla Madre Emilienne, che ricevette Virginia a 6 anni, e colle migliori Suore di S. Giuseppe), cioè, Sr. Teresa Grigolini, la quale
(manifesto a lei il mio coscienzioso giudizio, che è diviso con altri e con Suor Vittoria) è
il primo e più compiuto e perfetto soggetto della Congregazione delle Pie Madri della
Nigrizia (lasciamo fuori la eminente santità, dico, santità di Suor Maria Gius. Scandola,
che brilla troppo in un soggetto di eroica umiltà etc.): testa, capacità, carità, e pietà distinta: essa alle qualità d'una Figlia di S. Vincenzo de Paoli, accoppia una sublime vita
interiore d'una Sacramentina e d'una Figlia della Visitazione ».
« A ciò aggiunge una salute di ferro ed una attività sorprendente, e anche in arabo si
difende abbastanza: ecco il tipo che intendo io: qui ed a Chartum ha tirato a Cristo ed
alla pratica dei Sacramenti alcune anime, che io mai avrei creduto. Quando verrà il
tempo che io pianterò una casa in Siria, in soli sei mesi son certo che Suor Grigolini
riuscirà; ed allora la conoscerà a Verona, e vedrà il vero stampo della Suora dell'Africa Centrale. Ma per riuscire a questo, ossia perché ciascuna, o gran parte delle Suore
riescano sicure missionarie dell'Africa Centrale, io convengo colla Grigolini (che non
sogna neanche che io abbia tanta stima di lei, che anzi la batto), che bisogna educare le
novizie, come si fa attualmente dalla nostra Madre di Verona sotto l'ispirazione stimmatina: e perché? perché spedite in Africa così umili, docili, schiette, e semplici, come
furono mandate quelle che sono in Sudan, si modellano alla vita pratica, come si vuole.
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Dunque, quanto all'educazione religiosa ella continui come ha fatto sinora, e come intende di fare, perché io conosco bene e profondamente il suo spirito, e il suo intendimento: santi e capaci. L'uno senza dell'altro val poco per chi batte la carriera apostolica. Il missionario e la missionaria non possono andar soli in paradiso. Soli andranno
all'inferno. Il missionario e la missionaria devono andare in paradiso accompagnati
dalle anime salvate. Dunque primo santi, cioè, alieni affatto dal peccato ed offesa di Dio
e umili: ma non basta: ci vuole carità che fa capaci i soggetti.
Una missione sì ardua e laboriosa come la nostra non può vivere di patina, e di soggetti
dal collo storto pieni di egoismo e di se stessi, che non curano come si deve la salute e
conversione dell'anime. Bisogna accenderli di carità, che abbia la sua sorgente da Dio,
e dall'amore di Cristo; e quando si ama davvero Cristo, allora sono dolcezze le privazioni, i patimenti, il martirio. Povero Gesù! quanto è poco amato da chi dovrebbe amarlo! Ed io sono fra questi » (n. 6653-6656).
In pochi anni il Comboni dalla prime intuizioni del piano di rigenerazione in cui riconosceva la donna come soggetto di apostolato al pari del missionario, sul piano operativo, e persino
più attiva degli stessi preti, la esaltava nel suo compito ausiliario simile a quello esercitato dalle
donne del vangelo, sia pure non in condizione servile, collaboratrice necessaria per ragioni ambientali per la rigenerazione della società africana, giunge a riconoscere e a proporre il motivo
fondamentale che dà alla donna e alla sua opera evangelizzatrice pari opportunità, la santità e la
capacità caritativa, elementi fondamentali di formazione e di operazione sia del missionario che
della missionaria.
V
SENTIRE AL FEMMINILE
5.1 Condivisione della sofferenza. La morte del padre di suor Teresa Grigolini
Negli scritti del Comboni risalta anche l’attenzione al sentire dell’animo femminile, così come si
manifesta in condizioni in cui è particolarmente sollecitato nei suoi sentimenti, nella sua affettività, nella sua capacità di relazione e di condivisione.
Significativo è un brano degli scritti che riguarda la morte di Lorenzo Grigolini (1878), papà di suor Teresa (nn. 5067-5078). Il Comboni scrive una toccante lettera da Assuan, il 3 marzo
18678, alla moglie Stella, in cui racconta come egli e don Antonio Squaranti hanno dato la notizia alla figlia Teresa, e come questa ha reagito.
In questa lettera il Comboni rivela tutta la sua capacità di condoglianza e umana e cristiana
nella sofferenza. Mentre egli e i missionari/ie sono in navigazione sul fiume Nilo diretti
all’interno dell’Africa i due sacerdoti non riescono a celare, di fronte alle continue richieste di
Teresa di notizie sulla sua famiglia, quanto è avvenuto al papà, e di cui essi già erano a conoscenza da parecchi giorni prima, quando ancora erano al Cairo. La suora aveva intuito dal comportamento un po’ reticente dei due che era successo qualche cosa di grave, perché sapeva che il
papà era in condizioni precarie. Lei stessa si fece incontro e chiese: “Mio padre è morto?”. La
successiva descrizione del Comboni riporta una scena pietosissima:
« D.n Ant.o ed io rimanemmo impietriti e affogati senza poter proferir sillaba, e versammo lagrime a torrenti, e fu solo dopo un dieci minuti che uscì dal nostro labbro un
sì... Mai ho tanto sofferto... Io sapeva essere la sua famiglia la più felice del mondo, che
non avea mai provato cosa sia la morte dei cari. Teresa non perdette mai nessuno della
sua famiglia; e però io misurava tutta l'ampiezza del suo dolore. Essa amava di un amor tenero suo padre, poiché non passò mai giorno che non ne parlasse, come parla
ogni giorno della sua mamma e de' suoi fratelli, e sorelle, e del suo zio.
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Ma fui stupito dell'eroismo di questa sua e mia figlia! E' una figliuola incomparabile, è
una vera santa, è una delle mie più grandi consolazione nella spinosissima mia carriera
apostolica. Appena uscì dal mio labbro il sì, essa si gettò in ginocchio, e colle braccia
aperte dinanzi a Dio e a noi due, esclamò: "Mio Gesù, Cuore del mio Gesù, Maria Immacolata, S. Giuseppe a voi offro con tutta l'anima ed il cuore, il mio caro papà; voi ricevetelo in paradiso: si ve lo offro: sia fatta la vostra santissima volontà etc. ma dategli
il paradiso, ove spero di raggiungerlo quando a voi piacerà: ma fatemi la grazia di proteggere, confortare, e difendere la mia cara mamma e la mia famiglia Gesù mio, vi
raccomando il mio papà, la mia mamma e la mia famiglia; io metto nel Cuor di Gesù
la mia mamma, e la mia famiglia: sì sia fatta sempre la vostra santa volontà, o mio Dio;
la croce è grande, straordinaria; ma voi l'avete portata per me: siate sempre benedetto. Oh! mio papà, non ti vedrò più sulla terra, ma ti vedrò certo in paradiso; prega per
me, pella mia mamma, pella mia famiglia... etc. etc. » (nn. 5069-5070).
L’affermazione “essa è una vera santa” l’abbiamo trovata anche precedentemente, riguardo
a M.me de Villeneuve, ad essa rivolta in circostanze analoghe di capacità sopportazione della
croce in unione a Dio (in quel caso per la morte del marito della Villeneuve). Per il Comboni la
santità consiste nella perseveranza e nella totale fiducia in Dio in mezzo alle croci.
Il Comboni aggiunge poi alcune righe di ammirazione su Teresa, paragonandola alle donne
del vangelo.
« Stette più di un quarto d'ora così inginocchiata davanti a Dio ed a noi; le parole che
le uscivano, erano parole della più sublime santità e religione. Quasi mai ho veduto
una figlia sì tenera ed amorosa pei suoi genitori; e mai vidi una donna sì forte, sì generosa, sì nobile, sì cristiana. Oh! ella è ben degna dell'alta missione, ed impresa, a cui
Dio l'ha chiamata. Ma se debbo gloriarmi di una figlia sì grande, sì santa, debbo gloriarmi di chi la formò a tanta perfezione e santità, debbo gloriarmi di Lei, Signora
Stella, e del mio caro Sig.r Lorenzo, che avete formato ed instillato nel cuore di questa
incomparabile figlia tanta pietà, fervore, zelo, candore, e generosità, che l'avete formata tale da potersi paragonare alle sublimi donne del Vangelo, che accompagnavano e
servivano gli Apostoli nella lor predicazione.
Suor Teresa è una perla, è degna di lei, del Sig.r Lorenzo; è degna da paragonarsi alle
Lucine, alle Petronille e alle donne del vangelo » (nn. 5071-5072).
Secondo queste parole la donna del Vangelo è la donna che ha queste tre caratteristiche: totale generosa disponibilità, sostegno di Gesù e degli apostoli nella loro missione, e fortezza nelle
difficoltà.
Il Comboni prosegue la sua lettera a Stella Grigolini, accennando ad ulteriori segni di condivisione del dolore di Teresa:
« Io le fui sempre al fianco, la lasciai piangere per qualche ora; ma poi le esposi le verità sopraddette ed altre, che il mondo che non ha fede non capisce, ma che bene capì
Teresa: passammo la sera insieme; e alle 10 ritiratomi nella mia stanza, essa passò la
notte un po' piangendo, un po' dormendo. Alla mattina assistette a tutte le messe che
celebrammo in barca pel Sig.r Lorenzo, ed tutte fecero la comunione per lui. Il giorno
di ieri si passò un po' piangendo, un po' pregando, e lavorando, e quasi sempre parlando del Sig.r Lorenzo, lei, e famiglia.
Stanotte Teresa dormì, e riposò; ed ora è molto sollevata, e spero che si rimetterà presto, soprattutto col pregar sempre per lui, e per lei. Essa poi vive in mezzo alla pace del
cuore: le Suore l'amano e la riveriscono come una madre. Dal dì che partii da Verona
fino ad oggi (e fui sempre con esse) queste 5 figlie menano una vita di paradiso: non vidi mai una nuvola: si amano più che sorelle: si aiutano a vicenda, il piacere dell'una è il
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piacere dell'altra, la volontà di Teresa è volontà di tutte, i loro interessi sono gli interessi di Dio, e ogni giorno sento il nome di lei. Teresa è una vera figlia » (nn. 5076-5078).
5.2 Condivisione dell’umiliazione. Il caso Virginia Mansur
Il Comboni ha manifestato anche condivisione nei confronti di situazioni di umiliazione della
donna. Accenniamo al caso di Virginia Mansur. Questa era una suora delle di S. Giuseppe
dell’Apparizione, siriana. Il Comboni racconta la sua vicenda nei nn. 6990-7025.
Nel 1860, durante il massacro dei cristiani in Siria, Virginia aveva visto suo fratello maggiore e suo padre sgozzati dagli infedeli. Lei si era rifugiata a Saida dalla Superiora della suore di
S. Giuseppe, sr. Emilienne Naubonnet, che l’aveva spedita in Francia per salvarla. Là aveva
studiato presso le Suore dell’Apparizione. Si era ben formata come suora e fu in seguito mandata a Khartoum con le suore della sua congregazione. Queste nel 1879 lasciarono il Comboni; la
Mansur volle invece continuare la sua missione e chiese di essere accolta tra le Pie Madri della
Nigrizia. Ciò che avvenne; dovette però iniziare di nuovo la trafila di preparazione per appartenere al nuovo Istituto, ma non trovò un ambiente favorevole, perché era araba. Per ben otto volte, per i più svariati motivi, le fu negata la vestizione (“Essa ben otto volte si presentò alla superiora per vestir l’abito: ma la Superiora le diceva bensì che è contenta di essa, ma che il vestir
l’abito dipendeva dal P. rettore; e questi le rispondeva sempre, ora che non la conosceva abbastanza, ora che ne parlasse con sua em.za. e così Virginia che è perspicacissima e conosce bene
le cose, mi scriveva che era infelice, la più infelice delle creature” - n. 7086). Il Comboni, che si
era interessato per la sua accettazione, non poté, essendo lontano, difenderla direttamente dalle
contrarietà che incontrava da parte dei superiori, lo stimmatino padre Giuseppe Sembianti e lo
stesso vescovo Canossa di Verona (questi dichiarò che la Mansur non aveva vocazione, su suggerimento del p. Sembianti - nn. 7083, 7087). La superiora Bollezzoli si lasciò condizionare dalla volontà di questi ecclesiastici più influenti di lei e non ebbe il coraggio di opporsi alle dicerie
e ai sospetti.
Il Comboni, noncurante di quanto si poteva pensare di lui per il fatto che difendesse tanto
calorosamente una donna, ne prese assolutamente le difese, anche perché aveva conosciuto ciò
che la Mansur aveva operato di bene a Khartoum.
Il Comboni fu amareggiato prima di tutto per il poco conto in cui veniva tenuta una sorella
generosa e capace, in secondo luogo perché l’istituto si privava di una suora capace di parlare la
lingua araba, in terzo luogo perché egli si vide di fatto esautorato nello stesso istituto che aveva
fondato.
Il motivo della conoscenza della lingua araba era importantissimo per il Comboni, che operava direttamente sul campo, e ne constatava quindi tutta la necessità, mentre poco significativo
era per chi rivestiva autorità e aveva responsabilità sui suoi istituti a Verona. Al P. Sembianti, in
una lettera del 5 marzo 1881, riferiva che non esisteva scuola femminile a Khartum, perché le
Pie Madri né parlavano, né scrivevano arabo; alcune famiglie, che desideravano l’istruzione delle loro figlie, chiedevano quindi con insistenza le suore dell’Apparizione, che però avevano ormai abbandonato le missioni del Comboni nel 1879. Nella stessa lettera il Comboni, sulla mancanza di conoscenza dell’arabo da parte delle sue suore confessava: “È una grande mortificazione per me” e aggiungeva:
« Dunque teniamo conto di Virginia, la quale è stata la più fedele di tutte le Suore e
missionari per me e per la missione. E per me, che sono stato tradito da tanti e da quelli che erano i più fedeli, è un titolo di profondo rispetto e venerazione per Virginia, e
vorrei averne cento delle Virginie, e m'interessa di tenerla, e sopportare anche i suoi
difetti, perché ha fatto e farà il suo dovere. Il giorno che mi dimenticherò di Virginia
sarà il giorno in cui avrò perduto ogni zelo ed affetto per l'Africa. Ma siccome questo
22
difficilmente succederà perché fu Dio stesso che mi chiamò a zelare l'Africa, così farò
sempre il più alto calcolo di Virginia, perché ha qualità eminenti, e maggior talento e
coraggio di tutte le nostre Suore del Sudan, comprese le Superiore » (n. 6536).
Nelle lettere del Comboni su questa vicenda vi sono tratti di tale sofferenza, amarezza, ironia e sarcasmo nei confronti degli avversari, non riscontrabili altrove.
Il 24 settembre 1881 il Comboni scrive al card. Giovanni Simeoni un giudizio del p. Sembianti sulla Mansur, commentandolo ironicamente tra parentesi:
« Petulante (sic), doppia (sic etc.), bugiarda, tutta portata a interpretare in male, e
suppor male perfino nelle cose più indifferenti (il P. Sembianti dovrebbe provarlo coi
fatti, non colle chiacchiere, a me fondatore, Vescovo, e Superior Generale de' miei Istituti)… di spirito irrequieto e turbolento; essa si dà a veder priva di quella schiettezza
(sic, sic, sic etc. in omnibus et quoad omnia) e sincerità che nelle altre Suore lascia veder fino in fondo al lor cuore, priva di semplicità e rettitudine d'animo, di docilità
spontanea, e abbandono nelle mani dei Superiori (come può Virginia abbandonarsi
nelle mani di questo uomo, quale il P. Sembianti, che non volle entrare Rettore nel mio
Istituto prima che Virginia non fosse allontanata dalla comunità, dopo 20 anni di comunità religiosa, che sempre la guardò coll'occhio del Prefazio - e le donne sono fine, e
se ne accorgono facilmente - e che in tutti gli incontri mostrò di non volerne sapere di
lei? E non ha tutti i motivi Virginia di essere sfiduciata, e di non abbandonarsi nelle
mani del P. Sembianti benché per molto tempo vi si abbandonò?)…
Volubile (domando io se è volubile Virginia che sostenne tante prove per essere religiosa, fino a fuggire a 15 anni dalla sua famiglia che le avea preparato lo sposo, per farsi
religiosa etc. etc., e che dopo tante prove insiste ancora adesso, e insisterà fino alla
morte per essere religiosa missionaria » (nn. 7095-7096).
In un’altra lettera del 29 sett. 1881 al card. Giovanni Simeoni parlando di una ragazza convertita, esemplare nel suo comportamento aggiunge con ironia:
« la quale fu convertita, istituita e preparata al santo battesimo in El Obeid da quella
piaga della Missione, da quella petulante, bugiarda, torbida, capricciosa, e turbolenta
di Virginia Mansur che l’Em.mo de Canossa e il P. Sembianti han dichiarato che non
ha nessuna vocazione religiosa, e che non potrà mai convivere in una comunità ben regolata e che abbia spirito religioso » (n. 7161).
Il Comboni svela i retroscena delle sue vere intenzioni nei confronti della Mansur e dei suoi
familiari arabi, in una lunga lettera al card. Simeoni del settembre 1881 a cui si rimanda (nn.
7174-7199). Nella vicenda fu coinvolto lo stesso papà del Comboni, che allarmatissimo invitò il
figlio a “disfarsi” di Virginia.
La Mansur fu anche a Limone nel 1879, al Tesöl, ospite presso il padre del Comboni, quando il figlio vescovo venne a consacrare, in ottobre di quell’anno, la chiesa parrocchiale e amministrò anche le cresime. Nei registri della parrocchia di Limone è testimoniato che essa fece da
madrina a due giovani limonesi, Segala Domenica e Segala Elvira (vedi anche n. 7180).
Nonostante tanto zelo il Comboni non riuscì a nulla. Stordito da tanta incomprensione, espresse le sue ultime parole di riprovazione, cercando di risolvere il meglio possibile un caso
che aveva rivelato l’enorme distanza della mente e dello spirito del Comboni da altri che avevano cercato di seguirlo e di assecondarlo, ma non avevano la stessa levatura spirituale e umana.
Il 2 ottobre 1881, alcuni giorni prima di morire, in una lettera al p. Sembianti, rilevava con
sconfinata amarezza:
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« Mi recò molta meraviglia nel sentire il turbamento della Superiora nell'aver ricevuto
la mia lettera, in cui le chiedeva cose che riguardavano il suo dovere, e che io avea diritto di chiedere coscienziosamente. Se la cosa è così, siccome io non voglio essere causa
di nessun incomodo, assicuro lei, e lei assicuri la Superiora che io non la disturberò
mai più con nessuna mia lettera o scrittura. Che magnifici rapporti passano fra un Istituto, ove deve fiorire la carità, l'obbedienza, la fiducia, ed il rispetto all'autorità, che
magnifici rapporti, dicea, passano fra l'Istituto delle Pie Madri della Nigrizia col suo
Fondatore che suda, fatica, e non dorme per sostenerlo e far sì che non gli manchi
niente! Che spirito del Signore! » (n. 7216).
E il 4 ottobre 1881, al p. Sembianti confessava la sua capitolazione e affidava la Mansur a
un caro amico sacerdote:
« Tuttavia per non mettere ostacolo alla rispettabile volontà del P. Vignola che vuole
subito fuori dell'Ist.o Virginia, io ordino a lei di consegnare a Virginia 500 franchi, e di
mandarla subito a Roveredo presso D. Bertanza [sacerdote originario di Limone, letterato, intimo amico del Comboni; aveva guidato la celebrazione della consacrazione
della chiesa parrocchiale di Limone] e sua sorella Teresina; ove Virginia starà tranquilla fino ad altra destinazione che Dio vorrà assegnarle. A Beirut presso la sua famiglia scismatica non voglio ora che vada, e lo dichiarai già da molti giorni al mio veneratissimo Superiore l'E.mo Card. Simeoni.
Che Virginia esca fuori dall'Ist.o di Verona è urgente per il suo morale, perché è troppo isolata, umiliata, avvilita. Si procuri di persuaderla ad andare per ora a Roveredo, e
ne avrà conforto anche spirituale. A tale oggetto ho scritto ora a D. Gio. Bertanza che
venga o mandi a prendere Virginia. Così l'Istituto delle Pie Madri ne sarà contento.
Che avvenga pure tutto quello che Dio vorrà. Dio non abbandona mai chi in lui confida. Egli è il protettore dell'innocenza ed il vindice della giustizia. Io sono felice nella
croce, che portata volentieri per amore di Dio genera il trionfo e la vita eterna » (nn.
7244-2746).
Il Comboni terminò la sua vita trafitto da questa dolorosissima vicenda, la cui rievocazione
desta ancora oggi sofferenza e sconcerto. Ma il bene non si afferma se non riconoscendo anche
le manchevolezze nostre e di chi ci ha preceduto. In Dio, poi, chi è stato ingiustamente colpito
gode della nostra conversione.
5.3 Ritratti di donne convertite
Il Comboni aveva progettato un “piano di rigenerazione” e conversione dell’Africa, in cui era
coinvolta in primo piano anche la donna. Lo si è notato più volte nelle pagine precedenti. Egli ha
provato nei fatti la bontà delle sue previsioni, istruite alla visione della fede. Se ha perseverato
nel suo disegno è anche perché ha constatato la bontà delle sue intuizioni nelle conversioni avvenute e nell’adesione alla fede di persone e popolazioni ritenute allora da alcuni persino prive
dell’anima. Il Comboni accenna talvolta di sfuggita ai risultati della sua opera. Talaltra vi si sofferma più ampiamente, indugiando gratificato su ciò che la fede andava realizzando in testimonianze di eroica generosità e fedeltà al vangelo.
Quanto alla conversione della donna sono di interessante lettura due episodi riguardanti due
ragazze morette, Giuseppina Condé (nn. 2520-2522) e Bianca Lemuna (nn. 6707-6720). A questi racconti si rimanda per una lettura diretta. Basterà qui ricordare la conclusione del Comboni
della relazione su Bianca, per far capire il suo entusiasmo messo nella conversione dei neri e
nella constatazione gioiosa del frutto ottenuto (il rievocare questa fortunata vicenda, all’8 maggio 1881, proprio nei mesi in cui si svolgeva l’altra tristissima della Mansur gli fu certamente di
grande conforto):
24
« Essa [Bianca Lemuna] è la più fervorosa ed edificante creatura che possediamo in
questa Missione cattolica del Cordofan; essa forse è il fiore il più fulgido ed olezzante,
che questa nascente vigna del Signore di Sabbaoth abbia giammai prodotto fra i popoli
dell'Africa Centrale » (8 maggio 1881 - n. 6720).
VI
COLLABORAZIONE SPIRITUALE
Prima ancora che la collaborazione delle opere il Comboni cercava la collaborazione dello spirito. Per questo compì viaggi in Europa, per informare, sensibilizzare e chiedere l’aiuto della preghiera, della cui necessità era profondamente convinto. In questo paragrafo esponiamo alcune
testimonianze in merito.
Val la pena fare un’osservazione preliminare. Nella ricerca storica del mondo cattolico
dell’Ottocento ci si imbatte frequentemente in anime che avevano lo stesso sentire spirituale e
che la provvidenza metteva sulle stesse strade e faceva incontrare. L’osservazione potrebbe essere suffragata da molti esempi. La Chiesa è fatta così: è vasta, ma in essa chi vuol mettersi in
collegamento spirituale trova facilmente corrispondenza. Le anime grandi prima o poi si incontrano.
6.1 Le sorelle Girelli
Il Comboni era bresciano e non ha dimenticato le sue origini, il suo paese natale, la parrocchia,
la diocesi. Egli conosceva bene il vescovo di Brescia Girolamo Verzeri, che apprezzava moltissimo, come vescovo aperto alle necessità della Chiesa, ed anche due insigni donne bresciane, rifondatrici della Compagnia di S. Angela Merici a Brescia nel 1866, le serve di Dio, sorelle
Maddalena (1838-1923) ed Elisabetta (1839-1919) Girelli.
Il Comboni riponeva grande fiducia nell’ambiente mericiano, per ottenere collaborazione
per le sue opere. La superiora delle Pie Madri, Maria Bollezzoli era stata precedentemente una
orsolina, in un istituto a Verona fondato da don Zeffirino Agostini. Prima di questa era stata interessata alla stessa mansione Teresa Brauneis che fu superiora delle figlie S. Angela a Verona
fino alla sua morte nel 1924. Anche Faustina Stampais, di Maderno, cugina del Beato, che ebbe
affidate per un certo tempo, lui vivente, alcune sue opere, era figlia di S. Angela.
Il Comboni entrò in conoscenza delle sorelle Girelli circa nel 1870. Fu un contatto fecondo,
come dimostrano alcune lettere da lui indirizzate alle sorelle, contenenti originali intenzioni spirituali di collaborazione.
In una lettera del 22 settembre 1870, da Verona, il Comboni scriveva di essere rimasto molto edificato dell’incontro avuto con le due sorelle, a Brescia, e di aver letto la spiegazione della
regola di S. Angela da loro scritta e proponeva una sacra lega di preghiera:
« E' d'uopo che noi facciamo una sacra lega di preghiera, ed il Cuore Sacratissimo di
Gesù sia il centro di comunicazione fra noi, fra Brescia e la Nigrizia. Noi pregheremo
incessantemente in comune negli Istituti d'Africa per tutte loro; e le generose figlie di
S. Angela Merici capitanate dalle due sorelle innalzino fervide preci all'Altissimo per
la conversione dei negri. Questa unione di preghiera sarà una fortissima operazione di
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assedio, con cui si affronterà l’impero delle tenebre che opprime l’infelice stirpe di
Cam, e dalla patria di S. Angela partirà quella benefica luce, che brillerà sulle erranti
e tenebrose tribù della Nigrizia, per guadagnarle a Cristo » (n. 2323).
Il Comboni suggerisce poi nella stessa lettera quale sia il fondamento dell’efficacia della
preghiera.
« Affinché sia efficace la nostra preghiera cerchiamo il tesoro della Croce. La sapienza
di Dio non si è giammai disvelata con maggiore splendore che nel creare la Croce.
Il Figliuolo di Dio non potea rivelarci più luminosamente l'infinita sua sapienza che nel
fabbricare la Croce. Le grandi Opere di Dio non nascono che appiè del Calvario. Io le
sarò molto tenuto se pregherà il Cuor di Gesù che mi mandi gran copia di croci: sarà
segno che saran seguite da un gran numero di anime conquistate alla fede.
Io pure pregherò Gesù che le mandi delle crocette non poche. In paradiso conosceremo
profondamente la filosofia della Croce. Dunque all'armi: percorriamo a passi da gigante la via della carità e della Croce, ed arrestiamoci appena in paradiso » (nn. 23242326).
In un’altra lettera del 22 novembre 1870 il Comboni affermava ad una delle Girelli:
« Preghi il divin Cuore per questi tre motivi: 1°. perché mi conceda una gran quantità
di Croci e spine da poter appena respirare, perché senza Croci non si piantano opere
di Dio. 2°. perché mi conceda un personale vestito dello spirito di G. C. e animato della
sua carità tanto maschile che femminile per l'Opera. 3°. gran copia di mezzi pecuniari
e materiali, affinché si mantengano le nostre Opere » (n. 2374).
Il Comboni, oltre che chiedere preghiere, pensò anche ad una più vicina opera di collaborazione delle sorelle alla missione. Egli manifestava, nel gennaio 1872, il suo progetto, secondo
cui le sorelle si dividessero il campo di lavoro e una seguisse le opere dell’Europa e l’altra
dell’Africa.
« Fra poco verrò a Brescia, e discorreremo a lungo sulle nostre cose. Intanto si ricordino di quanto loro dissi a voce. In una parola è bene in questo caso che ambedue alzati
gli occhi al cielo con uno slancio di quell'ardire pieno di opera nel quale l'anima esalta
e umilia se stessa spartiscano fra loro l'Europa e l'Africa come il lavoro d'un campo,
tenendo l'una l'Opera di S. Angela Merici, l'altra l'infelice Nigrizia » (n. 2797).
Nell’ultima sua lettera alle Girelli del 26 settembre 1881, il Comboni le informa della morte
dei suoi missionari:
« L'altro giorno abbiamo celebrato ufficio e Messa de Requiem per un piissimo mio
Missionario morto testé, e che io stesso aveva ordinato prete, cioè, D. Mattia Moron
polacco. Prima ancora di levare il catafalco mi giunge la notizia della morte di un altro
mio Missionario D. Antonio Dobale alunno di Propaganda e da me riscattato nell'Indie
Orientali nel 1861 e condotto a Verona morto ad El-Obeid capitale del Cordofan per
febbre tifoidea. Ieri mattina ne celebrammo l'ufficio e la Messa de Requiem.
Appena finita la funebre cerimonia mi giunge un dispaccio che Suor Maria Colpo del
mio Ist.o morì a Malbes di là dal Cordofan, e morì da santa ed eroina, contenta e giuliva più che due novelli sposi nel dì delle nozze. Fu sepolta vicino ad un baobab (Adansonia Digitata) albero della grossezza di 27 a 30 metri. Che fare? Stamane dopo celebrate le funebri funzioni per questa fortunata Suora vicentina, ho ordinato di lasciare
intatto il catafalco, perché m'aspetto altri bacetti dalle mani amorose di Gesù che ha
mostrato più talento (sotto un certo aspetto e per così dire) e testina quadra nel fabbricare la Croce, di quello che nel fabbricare i cieli » (nn. 7151-7152).
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L’altro “bacetto” che stava per arrivare di lì a poco era la morte di un altro missionario e poi
la sua. Nella stessa lettera il Comboni informava delle condizioni impossibili di sopravvivenza
in cui si trovava:
« A Cordofan son dieci mesi che spendo da 40 a 50 franchi al giorno di acqua sporca
per non morire di sete. E quest'anno primo da che mondo è mondo dopo tre mesi di
pioggia, non ancora venne una goccia di acqua ai pozzi. Ah! mio Gesù! Che croce per
un vescovo missionario! Ma caro Gesù; noi non abbiamo testa, ed abbiamo naso corto:
se avessimo il naso più lungo, e potessimo vedere il perché così Dio opera, dovremmo
lodarlo e benedirlo, perché così è bene per ogni riguardo » (n. 7152).
Da questa lettera risalta ancora la stima del Comboni verso le sorelle, e in particolare verso
Elisabetta, riguardo ai libri di questa di meditazione e di lettura spirituale. Egli ricorda di aver
“letto, meditata e veramente gustata” tra le tribù dei Nuba la vita di S. Angela da lei scritta e che
i suoi missionari e suore ogni giorno leggevano e meditavano i suoi libri di S. Giuseppe, il S.
Cuore, la vita di Gesù (nn. 7151, 7153; si veda anche n. 6652).
Subito dopo la morte, avvenuta il 10 ottobre 1881, il giornale cattolico bresciano “Il Cittadino” dedicò alcuni scritti alla figura del Comboni, pubblicando anche la lettera del 26 settembre
alle Girelli, certamente da loro passata al direttore del giornale, appena nominato l’1 ottobre
1881 nella persona di Giorgio Montini, il futuro papà di Paolo VI.
La preziosa memoria del grande missionario rimase inalterata nelle Girelli anche a distanza
di anni. Quando fu inaugurato il santuario del S. Cuore a Brescia il 13 giugno 1909, Elisabetta
Girelli scrisse il suo ricordo “sull’uomo grande, che Dio volle a strumento dell’ardua impresa
della rigenerazione dell’Africa”:
« Io ebbi la fortuna di conoscere personalmente mons. Comboni, e parmi tuttora di vedere
quella sua maestosa figura, resa ancor più veneranda dalle insegne episcopali, e di udire
dal suo labbro quel motto: O Nigrizia o morte! che fu come la sintesi delle sue eroiche aspirazioni.
Ricordo come una volta fra le altre, parlandomi con santo entusiasmo delle dolorose vicende della sua cara missione, mi stese innanzi una grande carta geografica dell’Africa
centrale, ed invitandomi a misurare collo sguardo quella sterminata regione, e calcolare
il numero immenso delle tribù selvagge, che vivono colà prive del lume della fede, finiva
esclamando: Ma il Cuore di Gesù è più grande di tutta l’Africa! In lui vi ha luogo per tutti; e non debbono restare esclusi quei poveri negri, che da tanti secoli aspettato da lui i
benefici della redenzione e della civiltà cristiana ».
6.2 Abbadessa Maria Michela Müller
La richiesta di preghiere da parte del Comboni per le sue missioni è testimoniata anche da alcune righe di una lettera inviata il 4 aprile 1869 a Maria M. Müller, abbadessa del monastero di
Nonnberg. Il Comboni aveva mobilitato moltissimi istituti chiamandoli a cooperare con le sue
imprese.
« La prego di rivolgere al Signore ferventi preghiere per l'Opera della conversione della Nigrizia. Qui in Egitto al Cairo a soli pochi passi dalla Santa Grotta, ho fondato due
Stabilimenti per neri. Quest'anno abbiamo avuto delle conversioni veramente singolari. Oh! Preghi per le mie Suore e per i miei Missionari! Il Sabato Santo abbiamo avuto
un Battesimo particolarmente consolante, e in questa settimana toccava quello delle
due turche convertite, che al presente si trovano nel mio Istituto per l'istruzione. Preghi anche per la nuova Casa, che ho intenzione di fondare nel corso di quest'anno, se
riuscirò a superare le molte difficoltà. In Francia, in Belgio, in Germania, in Italia, ho
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più di 200 case religiose che pregano il buon Dio, che io riesca a portare la luce della
santa fede nell'interno dell'Africa, ove già più volte fui vicino alla morte, e ove più di
30 Missionari, tra i quali molti tedeschi, di fatto sono morti. Finora il buon Dio nella
sua infinita misericordia mi ha sempre aiutato. Spero, anzi ne sono sicuro, che Egli mi
farà riuscire a fondare una Casa per la conversione della Nigrizia; poiché Lei sa
senz'altro, o mia buona Madre, che i trattati di Gesù Cristo sono molto più sicuri che i
trattati dei sovrani di questa terra. Di conseguenza il trattato del Vangelo: "Chiedete e
vi sarà dato, bussate vi sarà aperto", è molto più sicuro del trattato di Vienna dell'anno 1815, di quello di Parigi del 1856, come di un altro del 1866 e della Convenzione di
Parigi del 15 settembre del 1864 etc. etc. etc.
Infatti quando Lei prega per me, si unisce alle molte case religiose di tutto il mondo, e
la preghiera di tante anime deve trovare ascolto presso il Cuore Sacratissimo di Gesù
“nel dare a chi chiede, e nell'aprire a chi bussa”.
L'Opera della conversione dell'Africa è tra le più importanti del nostro tempo. E' molto difficile, ma Dio aiuterà. Oh! Preghi e faccia pregare, e Iddio la ricambierà al centuplo » (nn. 1886-1890).
6.3 Marie Deleuil-Martiny
Un’altra donna con cui il Comboni è venuto in relazione per collaborazione spirituale è Marie
Deleuil-Martiny. Questa era una zelatrice della Guardia d’onore del S. Cuore. Questa pratica era
esercitata da una associazione apposita, che aveva come scopo di offrire sacrifici e preghiere a
Gesù crocifisso a turno per ogni ora della giornata, stando nelle occupazioni quotidiane, in unione a Maria, S. Giovanni e le donne ai piedi della croce. La Martiny fu uccisa da un anarchico a
Marsiglia il 27 febbraio 1884.
Nelle poche lettere del Comboni alla Martiny il Comboni si rivela entusiasta diffusore della
Guardia d’onore. Egli è disposto a promuovere la gloria del S. Cuore e rivela di voler consacrare
i vicariati dell’Africa centrale al S. Cuore (5 luglio 1865 - nn. 1149-1150). Il 15 ottobre le 1868
scriveva:
« La Guardia d’onore è per me una forza e mi dà tanto coraggio che il diavolo sarà
schiacciato, perché non è che per Gesù che noi lavoriamo. E per di più le stesse terribili
croci che mi opprimono sono per me la più grande consolazione, perché Gesù ha sofferto, Gesù è una Vittima, Gesù ha scelto la Croce, e Gesù ha detto: Coloro che seminano nelle lacrime mieteranno nella gioia » (n. 1732).
Egli informava la Martiny su ciò che avrebbe scritto al card. Barnabò sulla sua scelta della
croce e dell’impegno a diffondere la Guardia d’onore.
« Da un po’ di tempo la Croce mi è talmente amica ed è così assiduamente vicino a me
che l'ho scelta per mia carissima Sposa, tanto che ho deciso di vivere sempre con Lei fino alla morte e, se fosse possibile, nell'eternità! Sa, Eminenza, che il Cuore di Gesù è
stato ferito dalla lancia sulla Croce mentre Egli era morto e che questo colpo terribile
di lancia ha trapassato il Cuore della nostra Madre Maria: questo colpo di lancia si ripercuoterà anche nell'Africa.
E' in Africa che con la mia croce ho portato la Guardia d'onore del Cuore trafitto di
Gesù, che sua Em.za può darsi non conosca, ma avrò io la fortuna di fargliela conoscere. Sa lei quale forza dona al mio spirito questa Guardia d'onore nella quale io venero
il Cuore di Gesù e la ferita della lancia? Essa mi dà la forza di portare la mia croce con
gioia, come se io avessi fatto fortuna per le Missioni; e con la Croce mia Sposa carissima e maestra di prudenza e di saggezza, con la Santissima Vergine, mia cara Madre, e
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con Gesù, mio Tutto, io non temo, o Em.za, né le tempeste di Roma, né le persecuzioni
d'Egitto, né il furore della Nigrizia, né i nuvoloni di Verona, né il diavolo dell'inferno,
perché io sono il più felice degli uomini e sono nella condizione più desiderabile » (nn.
1733-1734).
Dopo alcuni anni il Comboni, avviato da questi primi approcci alla devozione del S. Cuore,
decideva di consacrare il vicariato dell’Africa centrale al S. Cuore. Interessava il gesuita Henri
Ramière, che aveva portato a conoscenza mondiale il movimento dell’Apostolato della preghiera fondato nel 1844 dal gesuita Xavier Gautrelet nel 1844, il quale gli compose la preghiera di
consacrazione. L’1 agosto 1873 il Comboni pubblicava la lettera pastorale (nn. 3323-3330) in
cui annunciava la consacrazione e il 14 settembre consacrava solennemente il vicariato al S.
Cuore nella chiesa di El Obeid (n. 3202). Quello che era stato un germe di spiritualità tipica del
tempo, gettato da una donna nel cuore del Comboni, divenne in lui fuoco ardente di donazione
vittimale e nell’Africa fornace di carità redentiva.
6.4 Sr. Maria Annunciata Coseghi
Accenniamo infine ad un’altra donna, sr. Maria Annunciata Coseghi, che ha raccolto una confidenza del Comboni sui motivi dell’efficacia del suo apostolato: la consacrazione al S. Cuore,
l’opera del ministero della donna e la preghiera. La Coseghi era una schiava di origine nubana,
riscatta e poi diventata suora nel monastero delle serve di Maria di Arco.
Il 24 luglio 1878 il Comboni le scriveva, tra l’altro:
« In mezzo però a tante pene è immensa la mia consolazione spirituale per l'acquisto
dell'anime e pel progresso dell'Opera della conversione della Nigrizia. Le Opere di Dio
devono nascere e crescere appiè del Calvario, e la croce è il contrassegno della santità
di un'Opera, e la stessa Madre di Dio fu la Regina dei martiri; e bisogna passar pel
martirio, pel sangue, e pella Croce; ed io affranto nel corpo, fidato nel Cuor di Gesù,
son più che mai fermo ed incrollabile, cascasse anche l'universo, nel mio grido di guerra, con cui ho fondata ed avviata, contro tanti ostacoli e a prezzo di tante pene, l'opera
della Redenzione dell'Africa, son più che mai fermo, dicea, nel mio primo grido di
guerra: O Nigrizia, o Morte.
Sì, cascherà il mondo; ma io, finché il Cuore di Gesù assisterà colla sua grazia, starò
fermo ed incrollabile sul mio posto, e morirò sul campo di battaglia.
L'Africa Centrale è la più ardua e laboriosa missione dell'universo: hanno tentato
dapprima i Gesuiti (che vogliasi o non vogliasi sono i primi i più degni missionari della
Chiesa cattolica), e poi sen tornarono.
Hanno tentato i buoni Padri Francescani, che hanno sempre dei sublimi e santi soggetti; e poi hanno dovuto abbandonare. Ora perché il più piccolo ed insignificante degli
Istituti, qual'è il mio, microscopico, che ho piantato in Verona, ha potuto consolidare
l'Apostolato dell'Africa Centrale, e dilatare le sue tende più, che non han potuto fare i
miei antecessori? Perché io d'accordo con Pio IX ho consacrato solennemente il Vicariato al Sacro Cuor di Gesù, a Nostra Signora del Sacro Cuore, e a S. Giuseppe, e perché in tutti i Santuari del mondo da me visitati, ed in quasi tutti i più ferventi monasteri ed Istituti dell'Europa, si prega e ardentemente per la conversione della Nigrizia, e perché nell'apostolato dell'Africa Centrale io il primo ho fatto concorrere l'onnipotente ministero della donna del Vangelo, e della Suora di carità, che è lo scudo, la
forza, e la garanzia del ministero del Missionario.
Ma soprattutto è la preghiera, perché Gesù Cristo è un galantuomo, e mantiene la sua
parola, ed ha proclamato il petite et accipietis, il pulsate et aperietur: e questo vale di più
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che tutti i trattati dei sovrani e dei potenti della terra. Dunque tu, che sei stata chiamata a servire ed a santificarti nel Santuario di un monastero, puoi essere vera missionaria ed apostolo dell'Africa tua patria, se pregherai sempre, e farai pregare, e susciterai
e solleciterai da altri monasteri le più fervide e assidue preghiere pella conversione e
redenzione dei cento e più milioni di negri tuoi fratelli, che la S. Sede affidò alle mie cure » (nn. 5281-5285).
VII
MARIA - FUNZIONE REGALE
Parlando della donna non è certo possibile dimenticare colei che di ogni donna è simbolo ed esempio: Maria Santissima.
Attorno alla metà dell’Ottocento si verificarono due episodi che attirarono l’attenzione dei
cattolici su Maria e di cui si trova cenno negli scritti del Comboni. Il primo, di ordine ecclesiale,
fu la proclamazione del dogma dell’Immacolata (8 dicembre 1854). Il secondo, di carattere privato è rappresentato dall’apparizione della Madonna a due ragazzi a La Salette (19 settembre
1846). Nel 1851 il vescovo di Grenoble autorizzò il culto e nel 1852 fu eretto sul luogo un santuario.
Il Comboni, il 26 luglio 1868, era a La Salette e consacrò la Nigrizia alla Vergine, dopo aver
tenuto ai presenti un discorso in francese sulle missioni. Il 28 ottobre 1875 con lettera circolare
da Delen indisse la consacrazione a Nostra Signora del S. Cuore, proclamata poi nel novembre
1875.
La devozione a nostra signora del S. Cuore era stata diffusa dal padre Jules Chevalier (18241907). Questi, a Issoudun, fondò nel 1854 i missionari del S. Cuore e nel 1874 le figlie di Nostra
signora del S. Cuore. Il Chevalier era conosciuto dal Beato, che nel suo ultimo viaggio in Europa nel 1877, si recò proprio a Issoudun, ricevendo in dono una statua lignea di Nostra Signora.
Per cogliere qualche elemento spirituale da questi atti pubblici di venerazione del Comboni
a Maria è utile accennare alla triplice funzione della Chiesa, che si riverbera anche in Maria: la
funzione regale, sacerdotale, profetica.
La Madonna viene considerata solitamente nella sua funzione profetica, come colei che, ascolta, accoglie la parola di Dio, la medita e la mette in pratica; e tale viene presentata apertamente da Gesù, quando la indica a chi esalta sua madre. Una funzione profetica che si esercita
anche nell’aspetto di annuncio e di testimonianza (la Madonna del Magnificat).
Maria è inserita anche nel dinamismo sacerdotale, cultuale, che si può ravvisare in modo
particolare quando compare come vergine che ospita l’azione dello Spirito santo in se stessa
nell’Incarnazione e nella Chiesa, di cui fa parte nel giorno della Pentecoste nel cenacolo, e che
offre il frutto di questa azione, Gesù stesso, al Padre e al mondo. Quanto questa considerazione
abbia una portata avveniristica e possa giungere allo sviluppo del discorso della ministerialità
sacerdotale della donna e in quali forme, sarà la storia della Chiesa a dirlo; il tema è molto dibattuto oggi.
Ma c’è in Maria un’altra ministerialità, in genere scarsamente valutata, quella regale, svelata
soprattutto dall’episodio di Cana e della consegna di Giovanni a lei ai piedi della croce. Maria è
colei che intercede per i bisogni degli uomini, come madre, ma l’esercizio di questa maternità
non è semplicemente consequenziale alle richieste dei figli, quasicché siano questi a stabilire il
come, il dove e il perché dell’intervento intercessore di Maria; è invece un esercizio di maternità
regale, operativo, precedente a qualsiasi richiesta, che si fa carico delle vere necessità dei figli,
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anche se essi non ne sono ancora consapevoli; è un’azione che anticipa la festa del regno di Dio
e della sua provvidenza nella storia.
I testi citati del Comboni della consacrazione a Maria contengono ampiamente questo aspetto.
Nella consacrazione a Maria a La Salette, 26 luglio 186 (nn. 1638-1644), il Comboni ringrazia dapprima la Madonna, a cui deve di non essere ancora morto come tanti altri missionari. Ricorda poi che l’apparizione di Maria ai giovani di La Salette ha avuto come centro il richiamo
alla conversione affinché l’umanità non fosse colpita dai mali che la sovrastavano. Egli presenta
perciò i mali dei Neri e invoca l’intervento di Maria come Madre e prosegue:
« Innumerevoli sono i mali che da secoli opprimono i poveri neri; sono pure orribili le
superstizioni e i crimini che li degradano... Più di cento milioni di anime sono oppresse
sotto il giogo di Satana... ma il terribile anatema di quaranta secoli deve infine essere
tolto.
O Vergine Immacolata de La Salette, rigeneratrice del genere umano, è qui che sei scesa per proclamare al mondo questa grande novità, è qui che hai ordinato di farla sapere a tutto il Tuo popolo, è qui che ogni giorno manifesti i prodigi della Tua potenza e
della Tua bontà; qui ti mostri veramente nostra Regina per dominare, ma anche nostra Madre per ottenerci grazie e perdono, perché è veramente un nuovo Calvario, un
altro altare di espiazione. O Maria, rifugio dei poveri peccatori, mostrati anche Regina
e Madre dei poveri neri, poiché anch'essi sono Tuo popolo. Io voglio far loro imparare
questa grande notizia che hai proclamato dall'alto di questa santa montagna.
Sì, buona Madre di misericordia, Tu sei la Madre dei neri: in questo momento io, loro
padre e loro missionario, li metto tutti ai Tuoi piedi affinché Tu li metta tutti nel Tuo
Cuore: mostrati Madre! Lo so che ti domando un grande miracolo. Ma, Divina Madre,
Tu non sei venuta a piangere in questi luoghi che per moltiplicare i Tuoi miracoli. Io a
mia volta, piango con Te per ottenerne uno in favore dei miei neri: mostrati Madre!
O mia divina Madre, Tu sai quante anime belle e cuori generosi io, grazie a Te, ho trovato tra queste tribù dell'Africa.... Sì, c'è in queste primizie della mia Missione, che
metto di nuovo sotto la Tua protezione, la certezza che il tempo è venuto in cui l'umanità intera, che è il popolo di Dio e il Tuo, non deve più formare che un gregge sotto il
vincastro del Buon Pastore. Ebbene, Vergine della riconciliazione, mancherebbe qualche cosa alla Tua gloria e il Tuo trionfo e quello della Chiesa sarebbe incompleto se la
razza di Cam restasse ancora respinta dal festino del Padre di famiglia. Dei paesi omicidi dei poveri neri, hanno arrestato lo slancio dei Missionari cattolici; ma nello stesso
tempo in cui gli orientali scismatici si convertiranno principalmente per mezzo degli
orientali cattolici, io ho compreso, per una Tua ispirazione, che bisognava lavorare soprattutto per la conversione dei neri per mezzo dei neri stessi. O Maria, opera questa
meraviglia: io Te li consacro, io Te li affido affinché Tu li lavi dalle loro sozzure e togli
questa terribile maledizione che pesa ancora su loro: allora essi diventeranno degni di
tutto il Tuo amore.
Allora, come ti ha proclamata il mio venerabile Pastore, il Vescovo di Verona, come ti
ha proclamato il Pontefice della Tua Immacolata Concezione, Tu sarai sempre la Regina dell'Africa, la Regina della Nigrizia. Fa' in modo che più essi siano liberati dalla
sfortuna, più siano tuffati per mezzo Tuo, in tutte le gioie della fede, della speranza e
della carità. O Maria, Tu sei molto potente e poiché Dio può fare con delle pietre dei
figli di Abramo, io Ti chiedo, di grazia, Figlia dell'Altissimo, di fare figli di Abramo
questi sfortunati figli di Cam, a tal punto che ormai la Chiesa applichi loro questo elo-
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gio che fa di Te lo Spirito Santo: Sono nera, ma bella, mia figlia di Gerusalemme » (nn.
1640-1644).
Questa preghiera riportata qui solo in parte esalta Maria nella sua funzione materna verso gli
uomini, che si esprime nella pietà e soccorso verso i bisognosi. Più esplicita, invece, per quanto
riguarda l’aspetto regale, è la lettera circolare, scritta dal Comboni a Delen, per la consacrazione
dell’Africa a Nostra Signora del S. Cuore (nn. 3990-4001; 4002-4005): la Madonna è intesa
come colei che si fa promotrice presso il Cuore di Gesù, in forza della sua Maternità, della riconciliazione dell’Africa. Sembra qui di vedere Maria alle nozze di Cana che si fa avanti a provocare l’opera di Gesù. La Madonna ha accesso al S. Cuore, lo apre come chiave, per riversare
sull’Africa i benefici dell’opera redentrice.
« Ma qual creatura umana od angelica ci avrebbe mai aperto l'ingresso in quel Santuario divino, e fare scaturire su di noi le sue inesauribili ricchezze? Ah! piangeva il prediletto Discepolo quando vide quel Libro misterioso segnato con sette sigilli; udendo
insieme un Angelo che con voce sonora esclamava: Chi è mai degno di aprire il Libro e
di sciogliere i suoi sigilli? Quis est dignus aperire Librum et solvere signacula eius? E
nessuno ciò poteva né in cielo né in terra: et nemo poterat neque in coelo neque in terra; et ego flebam multum (Apoc. V.3.4.). Chi dunque ci aprirà questo Libro misterioso
del Cuore Sacratissimo di G. C.? Quale sarà questa Chiave benedetta che ce ne schiuderà la porta?... Ah! tergiamo le lagrime, o Figliuoli carissimi, rasciughiamo il pianto,
consoliamoci....
Ecco la bella Figlia del Re Davide, Maria Vergine Immacolata, che ha nelle mani questa preziosa Chiave, anzi Ella medesima è la mistica Chiave del Cuore adorabile del
suo Figlio Gesù. Sì Maria apre questo Cuore e nessuno lo può chiudere; lo chiude e
nessuno lo può aprire: Clavis David quae aperit et nemo claudit; claudit et nemo aperit. Ella apre questo Divin Cuore a chi vuole, come vuole, e quando vuole. Ella dispone
dei tesori infiniti di quel Cuore divino, come a Lei piace, e a favore di chi Le piace. Ma
e perché Maria può tanto sul Cuore adorabilissimo di Gesù? Perché Ella è la Madre
avventurata di Gesù, e perciò è Regina e Signora del Cuore di Gesù. O Nome benedetto!
O Nome adorato! O Nome il più bello dopo quello di Madre di Dio! Nostra Signora del
Sacro Cuore di Gesù! Questo Nome ineffabile è miele alla bocca, melodia all'orecchio,
giubilo al cuore: mel in ore, melos in aure, in corde iubilus.
E' un Nome che ha fatto brillare la bontà del Cuore di Gesù C. in questi tempi calamitosi per illuminare e consolar tutti, confortare i giusti, animare i peccatori a penitenza,
arricchire di grazie quanti a Lei ricorrono. Ond'Ella si consola d'essere dai Figli suoi
invocata Nostra Signora del S. Cuore di Gesù; col qual titolo Ella è proclamata la Dispensatrice generosa di tutti gl'immensi tesori e di tutte le grazie del Sacratissimo Cuore del suo divin Figlio Gesù. E' predicata la Madre la più tenera e la più amorosa di
tutte le madri; l'Avvocata la più eloquente di tutti gli Angeli e di tutti i Santi; la Speranza dei peccatori; il Conforto degli afflitti; la Luce degli erranti; il Porto dei pericolanti. E’ salutata la Donna senza macchia, la Sede della Sapienza, il Prodigio dell'infinito Amore di Dio, il perpetuo Panegirico di tutti i secoli, l'Elogio universale di tutti gli
esseri, il Concerto pubblico e generale di tutte le creature, il Miracolo dell'Onnipotenza divina » (nn. 3991-3993).
CONCLUSIONE
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Nella Chiesa vi sono innumerevoli necessità che stimolano la nostra fede e fantasia a intervenire
per risolverle. Per quanto riguarda la presenza e la funzione della donna nel popolo di Dio, negli
ultimi tempi la mentalità si è sviluppata verso la promozione e la valorizzazione, sollecitata anche dalla sensibilità del magistero, che si è espresso in pronunciamenti estremamente promettenti, a sua volta sospinto, peraltro, da una maturazione di riflessioni sul ruolo della donna, frutto
dell’azione di questa, che aveva operato da molto tempo nella Chiesa senza aspettare l’avvio ufficiale di qualche autorità. Occorrerà studiare questi documenti e approfondirli come segni dello
Spirito che opera nella Chiesa, per coglierne il valore di speranza e di chiamata al compimento.
La forma e l’efficacia delle presenza e azione femminile nella Chiesa avviene però non solo
per iniziale convinzione di idee, ma anche per dato di fatto, perché secoli di distorsione nei confronti dell’identità della donna hanno lasciato spesse incrostazioni, che non si sgretolano solo
con i documenti.
Oltre le parole, la donna, fondandosi sulla fede, deve prendersi le sue responsabilità e il suo
spazio di azione, ufficialmente già riconosciuti, ma anche portare in evidenza quel grande impegno di ministerialità sommersa, che esiste nelle nostre parrocchie. Non vuole essere, questo, un
discorso rivoluzionario; semmai è un discorso “rivelazionario”, di rivelazione, che presuppone e
riconosce cioè il senso della fede nel popolo di Dio, che opera, nonostante i condizionamenti e i
tarpamenti che provengono dalle situazioni storiche e dalle persone, pur animate da buona volontà.
Il Comboni, sospinto dalla fede si è trovato in missione, ha visto le forze immense ivi esistenti, e le ha interpretate come doni dall’alto, convogliandole verso la diffusione del vangelo,
senza aspettare approvazioni ufficiali, pur non attuando comportamenti di rottura. Uomini e
donne, neri e bianchi, ecclesiastici e laici, chiunque fossero, tutti dovevano essere coinvolti: egli
fece tesoro, di fatto, delle capacità di ognuno, in fedeltà a Dio stesso e agli uomini, rendendo
consapevoli della loro identità coloro che operavano con lui.
Se la donna vuol essere proficuamente presente nella Chiesa, agisca e continui ad agire, facendo leva su ciò che già le è riconosciuto e osando su ciò su cui si è ancora reticenti; matureranno poi anche le idee. Non sempre è la convinzione che muove la funzione; spesso è
l’esercizio di fatto che fa maturare le idee. Chi può costringere e limitare la forza prorompente
della fede? Gesù non si è opposto all’azione previdente e provocatrice di Maria a Cana.
Maria, la vergine fedele, che tiene sempre aperto il Cuore di Gesù, apra anche il cuore degli
uomini della Chiesa, affinché la presenza prevalente della donna nelle nostre comunità, quantitativamente e qualitativamente, così come si constata quotidianamente, non resti il talento nascosto sotto terra, per paura, neghittosità e malafede, o lampada messa sotto il moggio, ma sia capitale riconosciuto, apprezzato, trafficato e valorizzato in tutta la sua pienezza e luce che fa chiaro
a tutti quelli che sono nella casa.
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