ricerche storiche

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ricerche storiche
RICERCHE
STORICHE
Rivista quadrimestrale
dell'Istituto
per la storia della Resistenza
e della guerra di Liberazione
in provincia di Reggio Emilia
N. 62/63 -
ANNO XXIII
SETTEMBRE 1989
Direttore
Salvatore Fangareggi
Direttore
Responsabile
Sergio Rivi
Segretario
Antonio Zambonelli
Comitato di Direzione
Vittorio Parenti
Annibale Alpi
Luigi Ferrari
Aldo Magnani
Otello Montanari
Comitato di Redazione
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Renzo Barazzoni, Giorgio Boccolari,
Ettore Borghi, Sereno Folloni,
Sergio Marini, Marco Paterlini,
Massimo Storchi
Amministratore
Olga Baccarani
DIREZIONE, REDAZIONE,
AMMINISTRAZIONE
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lo per invito o previo accordo con la di·
rezione. Ogni scritto pubblicato impe·
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Istituto per la Storia della Resistenza
e della guerra di Liberazione
in provincia di Reggio Emilia
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Registazione presso il Tribunale di
Reggio E. n. 220 in data 18 marzo 1967
SOMMARIO
SALVATORE FANGAREGGI
Storia e società ................................... pago
3
SAGGI E RICERCHE
ANTONIO ZAMBONELLI
Ebrei reggiani tra leggi razziali ed
Olocausto. (2" parte) ..........................
»
7
ANDREA LUGLI
La classe politica dirigente a Reggio
Emilia dal 1926 al '43
»
59
Assemblea sociale del 18.3.1989 ......
»
89
Riunioni di organi dell'Istituto ..........
Conferenze ..........................................
»
»
95
95
Libri entrati nella biblioteca dell'Istituto da gennaio 1988 a settembre
1989......................................................
»
98
Giovanni Paolo Il sulla Resistenza
italiana .................................................
»
109
TESI DI LAUREA E DI DOTTORATO
L. FANTINI, Dalla parte di Franco.
Opinione pubblica e 'volontari' reggiani nella guerra civile spagnola (A.
Zambonelli); L. CASTELLANI, L'émigration communiste italienne en
France, 1921-1928. Organisation et
politique (A. Zambonelli) ....................
»
111
RECENSIONI
S. SPREAFICO, Storia e Vangelo
nelle esperienze postconciliari dei
missionari reggiani (S. Folloni); A.
CANOVI, Il popolo è giusto. Un mito
di città, (M. Paterlini); G. GIANNOCCOLO, Gli internati militari italiani
nei campi tedeschi 1943-1945, (S.
Fangareggi) .........................................
»
115
LETTERE AL DIRETTORE ........................
»
119
ATTI E ATTIVITÀ DELL'ISTITUTO
STORIA E SOCIETÀ
di Salvatore Fangareggi
La storiografia relativa all'antifascismo e al periodo resistenziale ha conseguito certamente, nel quarantennio repubblicano, un considerevole sviluppo,
dopo un faticoso avvio nei primi anni cinquanta.
Il costante rinvenimento di materiale documentatorio e l'emergere di inaspettate testimonianze hanno dato il senso della inesauribilità, almeno finora, dell'immenso patrimonio di storia legata all'antifascismo.
Si è trattato però, in fondo, di circuiti riservati alla specializzazione di livello istituzionale e accademico che nonostante qualche lodevole tentativo
non sono mutati in fenomeno culturale di massa.
Non si può allora negare che la grande generalità della popolazione nel nostro paese sia assolutamente estranea all'approfondimento delle tematiche
fascismo-antifascismo, conosca le vicende con molta approssimazione, sia
spesso alimentata da luoghi comuni, e in fondo propenda per la rimozione di
un passato tutto sommato piuttosto scomodo.
Parallelamente, ricorre con puntuale periodicità ma con formule ripetitive
scarsamente aggiornate, la parte ufficiale spettante alle istituzioni, che dalle
Ardeatine a Marzabotto, dal 25 aprile all'8 settembre, con sfilate e corone di
fiori - tutto doveroso, s'intende, ma insufficiente - sembra mettere a posto la
coscienza nazionale.
Concorrono a consolidare la precarietà di questa situazione diversi fattori:
- L'incapacità costituzionale della scuola italiana, a partire da quella dell'obbligo, a dotare gli studenti di un patrimonio culturale di educazione civica e quindi di capacità critica nei confronti dei decenni di storia nazionale
precedenti l'avvento della repubblica.
Tutto è lasciato all'iniziativa di singoli presidi o insegnanti, in quanto disponibili, per lo più in occasione di ricorrenze o intitola:zioni di scuole.
- Il ricambio generazionale, in particolare attraverso lo iato tra coloro che
4
conobbero la guerra almeno da bambini e gli attuali infracinquantenni, fa
constatare una sconcertante approssimazione di giudizio nei confronti di fascismo, nazismo, antifascismo, resistenza, una scarsa padronanza della stor.ia bellica, una limitata curiosità intellettuale perfino verso la cronaca dei
fatti del proprio paese in questo secolo.
(Del resto, la caduta di interesse verso eventi non contemporanei è fenomeno diffuso: si pensi che la maggioranza di coloro che visitano la collinetta
di Waterloo credono di trovarsi sul luogo di una vittoria di Napoleone).
- Ancora: terminato il conflitto, davanti ai lutti, alle macerie e alle miserie
morali in Europa e nel mondo, un generalizzato senso di orrore sembrò sufficiente per consegnare alla storia la definitiva condanna delle dottrine e delle prassi che tali rovine avevano scientemente causato; e ciò andò a detrimento di una sistematica e diffusa coscienza critica delle cause, degli sviluppi e
della fine delle dittature in Europa Occidentale e del conflitto dalle stesse generato.
Superficialità di conoscenza e di capacità critica; qualunquismo o giustificazionismo con pretesti storicistici, stupore conclamato di fronte alla "scoperta" di realtà storiche fino ad ora incredibilmente ignorate (lager etc.);
peggio ancora, accenti di carattere "nostalgico" che però tali non possono
essere, perché diffusi fra strati di popolazione di maturazione post-bellica.
Si spiega così la naturalezza con cui è stata accolta in non pochi ambienti
la preoccupante crescita percentuale di movimenti neo-nazisti in Europa.
La risposta a qualsivoglia interrogativo inerente l'attualità del significato
delle attività culturali delle associazioni e degli istituti operanti nel campo
della storia del fascismo e del nazismo, non può che orientarsi su questi presupposti.
E' dunque in tale situazione che viene a collocarsi la presenza della nostra
rivista, che dovrà caratterizzarsi sempre più per massimo rigore di ricerca e
di analisi, per obiettività di valutazioni ed impegno professionale.
L'eliminazione di eventuali tabù consolidati negli ultimi decenni dovrà accompagnarsi al rifiuto di semplicistiche demonizzazioni ostative all'approfondimento critico dei fenomeni storici.
La trasformazione del periodico da "rivista di storia della resistenza reggiana" a "rivista di storia contemporanea etc. ", vuole indicare, nel superamento della idea crociana del fascismo come improvviso e transeunte fenomeno patologico della nazione, la impossibilità di circoscrivere l'analisi storica al periodo 1922-1945.
E' poi ormai concordemente acquisita !'insufficienza di una metodologia
5
di studio deWantifascismo che prescinda da un parallelo sforzo di ricerca
sulla natura e lo sviluppo del fascismo stesso: di qui la prospettiva di settori
di indagine vasti e stimolanti.
In una rinnovata veste editoriale e con un ampliato gruppo redazionale,
Ricerche Storiche offre il suo contributo specifico alla vita culturale della città e la sua modesta presenza nella storiografia nazionale, nella speranza di
non appartenere soltanto alla ristretta cerchia di specialisti, ma di coinvolgere più ampi strati di lettori, a cominciare dalla scuola.
E ciò sarà possibile, se si riuscirà a saldare il livello professionale della rivista con la sua capacità di porgere idee e contenuti in termini di reale fruizione popolare.
Saggi e ricerche
EBREI REGGIANI
TRA LEGGI RAZZIALI ED OLOCAUSTO.
1938-1945
(2 a parte)
di Antonio Zambonelli
5. IL CONO D'OMBRA DELLO STERMINIO
5.1. I salvàti
5.2. La R.S.!. contro gli ebrei. Prime misure.
5.3. I sommersi.
5.4. Gli ebrei di Correggio e Guastalla.
5.5. Il "giudaismo bolscevico-plutocratico" sulla stampa reggiana.
5.6. Sequestro e confisca dei beni.
5.7. Chi aiutò gli ebrei.
APPENDICI
1 - TESTIMONIANZE
- Vera Padoa: tra i montanari di Costabòna.
- Franco Tedeschi: ospitalità contadina e fuga in Svizzera.
- Fausto Ravà: dal ghetto di Reggio al passaggio oltre le linee.
- Mons. Angelo Cocconce1li: come ho difeso gli ebrei
- Leone Ravenna: ebrei italiani all'Università di Losanna
2 - DOCUMENTI
9
5.1. Isalvati.
Nella notte sul 9 settembre 1943 truppe germaniche occuparono i principali
centri della provincia di Reggio reprimendo rapidamente gli sporadici e spontanei tentativi di resistenza da parte dei militari italiani di stanza in città.
La cosa allarmò tutta la popolazione, che manifestò sùbito una generosa solidarietà verso i soldati del dissolto esercito italiano che, sottrattisi alla cattura da
parte dei tedeschi, vennero forniti di abiti civili onde potersi meglio muovere tra
le maglie della rete tesa dai soldati di Hitler.
Atteggiamento analogo la popolazione ebbe nei confronti degli ex prigionieri
alleati fuggiti dal campo di concentramento di Fossoli nelle ore immediatamente successive all' armistizio.
Ma più di tutti si allarmarono quanti - tra gli ebrei - erano consapevoli dei rischi mortali che correvano nella nuova situazione.
Molti di loro cominciarono a nascondersi o cercare scampo fuggendo.
La famiglia dell'avv. Augusto Tedeschi stava in quei giorni trascorrendo la
villeggiatura a San Polo d'Enza, nella propria casa di campagna annessa al poderetto, appena sopra al paese, lungo la strada per Cannossa.
Lì, poco dopo il9 settembre, reparti germanici fecero una puntata da Reggio.
"Quando li vedemmo prendere la strada per Canossa - raccontaI' avv. Franco
Tedeschi - uscimmo di casa e ci nascondemmo in un fosso, per prudenza, li sentimmo passare e rientrammo" .
Di lì a poco, tramite amici, la famiglia Tedeschi trovò rifugio presso contadini. Per alcuni erano normali "sfollati", come ce n'erano tanti in quel periodo,
ma altri sapevano con chi avevano a che fare e con quali rischi personali.
Infine i Tedeschi espatriarono clandestinamente in Svizzera, previo profumato pagamento ad un contrabbandiere.
Alessandro Cantoni e la propria madre si trasferirono, in un primo tempo,
dalla città ad una casetta nei pressi della Béttola, sulle colline reggiane, come
normali sfollàti.
In seguito si sistemarono a Novellara, dove avevano amici ed erano conosciuti.
La madre era "ariana" ma il Cantoni, ebreo a tutti gli effetti, correva grossi
rischi. Eppure lì a Novellara - il grazioso centro della 'bassa' che aveva visto nel
giugno' 39la solitaria tragedia del suicidio di Carlo Segré - rimase fino alla Lìberazione, munito di falsi documenti di identità da presentare all' occorrenza a tedeschi e fascisti.
Per tutti quei mesi il Cantoni, abitando in una casa situata nei pressi di un presidio germanico, stabilì rapporti di una certa confidenza col tenente che lo comandava e poté collaborare con la Resistenza locale fornendo utili informazioni
su rastrellamenti e spostamenti vari di reparti germanici.
Dopo la liberazione ebbe dal CLN locale vari incarichi, proprio in considerazione dei suoi trascorsi e tenuto conto della sua preparazione culturale. 1
1 Ulteriore testimonianza di A. Cantoni all'autore dopo quella pubblicata in "Ricerche storiche",
n. 61, pp. 47-54.
lO
Alfredo Cantoni (fratello di Alessandro), impiegato di 1.a categoria alle
"Reggiane" fino al 1938, poi alla Lombardini Motori, venne ricercato già all'indomani dell'8 settembre '43, cioé 3 mesi prima dell'ordine di arresto degli
ebrei diramato dalla questura di Reggio, probabilmente perché in odore di antifascismo. Riuscì a sua volta a sfuggire alla cattura da parte della gendarmeria
tedesca e, successivamente, della G.n.r., dandosi alla latitanza nel Reggiano,
grazie anche alla solidarietà dei suoi datori di lavoro, i Lombardini, che continuarono ad avvalersi della sua collaborazione professionale.
Dal settembre al dicembre' 43 risiedette nella località Longagnano, a Borzano di Albinea; successivamente e fino al gennaio 1944, trovò rifugio a Reggio
città, in via del Carbone, 2.
Dal gennaio all'ottobre 1944 abitò in piazza Gioberti, 4; da ottobre a marzo
1945 tornò addirittura nel vecchio ghetto, in Via Monzermone n. 2. Da fine
marzo alla Liberazione fu di nuovo in Via del Carbone.
Durante la latitanza eb be anche a collaborare con la Resistenza.
Scrisse fra l'altro alcuni articoli di propaganda antifascista che recapitava al
comunista Giuseppe Cattabiani, nella cui casa di Novellara funzionò, fino al2
novembre 1943, un centro stampa clandestino, e che successivamente fu commissario di guerra nelle formazioni partigiane del Varesotto mantenendo sempre i contatti col Cantoni.
Il prof. Lazzaro Padoa, con la sorella Vera ed il padre Dante, trovò ospitalità presso una famiglia contadina dell' Appennino reggiano, nei pressi di Costabona di Villa Minozzo.
Anche Fausto Ravà, già "discriminato" al momento dell'applicazione delle
leggi razziali del 1939 in quanto di madre cattolica e "ariana", venne considerato ebreo a tutti gli effetti sotto la R.s.i ..
Dopo varie incertezze, di cui ci parla nella testimonianza che pubblichiamo
in questo stesso fascicolo (così come pubblichiamo quelle degli altri "salvati"
prima citati) trovò in don Spadoni, parroco di San Francesco (nella cui canonica si tenne, il 28 settembre' 43 la riunione costitutiva del C.L.N.P . clandestino)
chi gli fornì una lettera di presentazione - della quale però non si potè servire per un sacerdote del Cassinate.
Partito da Reggio il 23 settembre' 43 per Cassino, dopo molte traversie si aggregò a reparti dell' esercito alleato.
Il padre di Fausto Ravà, Gino, all'epoca in età di 58 anni, sfuggì alla retata
del dicembre' 43 (in cui caddero invece la sorella Beatrice e le nipoti Ilma e 10le) perché era già sfollato in collina.
Durante una sua venuta in città nell'agosto '44, in cerca di sigarette essendo
accanito fumatore, fu notato da qualcuno e la sua presenza venne segnalata in
questi termini su "Diana repubblicana" del 5 settembre 1944, sotto il titolo Occhiatacce in quel di Reggio: "Ah Ahi... L'ebreo Ravà, custode della Sinagoga
di Via dell' Aquila se la gira indisturbato per Reggio.
Ma non era stato arrestato? E non esiste forse un campo di concentramento
destinato a raccogliere la feccia giudaica?"
In effetti Gino Ravà (succeduto nel ruolo di custode della sinagoga, benché
ebreo laicizzante, al padre Serse, dopo la morte di questi) era stato in preceden-
11
za arrestato, ed in circostanze di cui il figlio Fausto rende testimonianza (si veda in appendice); Ebbe tuttavia la sorte di imbattersi nell'avv. Scolari (sequestratario dei beni ebraici oltre che primo segretario del federale del P.F .R.) che
Fausto aveva conosciuto frequentando il gruppo rionale fascista" Amos Maramotti" .
"Questa conoscenza giovò a mio padre - afferma Fausto Ravà - che poté salvarsi facendosi ricoverare prima all'ospedale e, in seguito, in un ospizio per anziani della bassa reggiana" .
Non è escluso, aggiungiamo noi, che la nota pubblicata su "Diana" fosse il
parto di qualcuno che - sapendo - intendeva anche mettere in difficoltà lo Scolari, che di lì a poco verrà trasferito a Verona.
La signora Beatrice Tedeschi, detta Bice, vedova Salmon, che abitava nella
propria villa dell'attuale Via Martiri della Bettola (villa ancora esistente nei
pressi del "centro direzionale" di San Pellegrino-Canalina), già sugli ottant'anni, in teoria non correva il rischio dell'arresto e della deportazione (in ragione della norma riguardante gli ultrasettantacinquenni) ma per maggiore sicurezza si era presa in casa, come governante, una tedesca, Martha Lohse, già
istitutrice dei figli del grossista di tessuti Monti.
Ma le SS germaniche andarono a prelevarla e solo grazie all'impegno di don
Angelo Cocconcelli (parroco di San Pellegrino dal 1941 ) si riuscì a sottrarla alla
deportazione e all'inevitabile camera a gas,2 ricorrendo anche all'espediente di
un prolungato ricovero nell'ospedale di fortuna sistemato nelle scuole elementari di villa Rivalta.
Ida Liuzzi, nata il 22.6.1877 da Samuele e Irene Carmi, domiciliata a Reggio
in Via Roma n. 7, visse nascosta nella pedecollina reggiana, in comune di Albinea. Li morì il 16 agosto 1944, ma la sua morte venne comunicata alla prefettura di Reggio soltanto il13 settembre successivo.
Clandestina negli ultimi mesi della sua vita, fu anche clandestinamente inumata nel cimitero israelitico di Reggio dove venne trasportata, su di un rozzo
carretto, con la "complicità" dei custodi del cimitero stesso, una famiglia
"ariana" che dall'epoca napoleonica vedeva (e vede) i propri componenti succedersi nella funzione. 3
5.2. La R.s.i. contro gli ebrei. Prime misure.
A Reggio il Partito fascista, con la qualifica di "repubblicano", fu ufficialmente rifondato - dopo la sua dissoluzione conseguente il colpo di stato del 25
Sulla vicenda di Beatrice Tedeschi si veda la testimonianza di don Angelo Cocconcelli, in questo
stesso fascicolo.
Da una nota del 7 agosto 1944 in AdS RE, Carte di Prefettura. Ebrei reggiani 1939-1945 [d'ora in
avanti CCPE r], busta Fascicoli singoli 1-33, si apprende che la Tedeschi, avendo subìto il sequestro dei beni, ebbe un assegno mensile di L. 1.000.
In un altra nota del 2 settembre 1944 si dice che la T. non deve essere internata in campo di concentramento poiché di età superiore ai 75 anni.
3 La tomba di Ida Liuzzi si trova sul lato nord del Cimitero israelitico di Reggio, a fianco di quella
della sorella Eloisa, deceduta nel 1934, in età di 67 anni.
Per entrambe un'unica dedica: "I nipoti a perenne ricordo posero".
2
12
luglio - il 17 settembre 1943, quattro giorni dopo la liberazione di Mussolini
dalla blanda prigionia del Gran Sasso, ad opera di un "kommando" germanico.
Dalla Germania il duce ridava anche vita, per volontà personale di Hitler, ad
un nuovo stato fascista, la Repubblica sociale italiana. Il nuovo stato, da sùbito contrastato, anche qui a Reggio, dall' attività del movimento di resistenza, si
impegnava immediatamente, in ossequio alla volontà dei protettori nazisti,
nell'ulteriore indurimento delle misure contro gli ebrei collaborando anche,
con i propri organi di polizia, nell' opera di cattura e deportazione verso i campi
di sterminio. 4
La stampa ovviamente non fu da meno. Continuando l'opera già avviata fin
dal 1938, pezzi di ancor più truculento antisemitismo compaiono qui a Reggio
sia sul "Resto del Carlino" che nel risorto (dal 14 settembre 1943) "Solco fascista" e su "Diana repubblicana" (settimanale del fascismo reggiano), nella ossessionata ricerca di adeguamento al modello nazista.
Già il5 ottobre 1943 "il Solco" indicava come Problema numero uno (titolo
in 1a pagina, di spalla) quello ebraico, spiegando che tale problema "non esisterebbe più a questa ora, come non esiste da un pezzo in Germania, se le direttive date a suo tempo dal Duce per eliminare integralmente il giudaismo dal Fascismo italiano fossero stati fedelmente applicati (sic)" .
"Questa è l'ora della inesorabilità - conclude l'anonimo articolista -. Gli
ebrei debbono scomparire dalla circolazione perché le Camicie Nere che riprendono le armi ed offrono il loro sangue generoso per la resurrezione dell'Italia
non vogliono essere per la seconda volta pugnalati alle spalle" .
Insomma gli ebrei colpevoli del 25 luglio, dell'8 settembre, delle batoste in
corso a carico degli eserciti nazifascisti. ..
Alla prima assemblea del "fascismo repubblicano reggiano", a metà ottobre, il commissario federale, nel suo rapporto alla "vecchia guardia" e ai commissari politici del capoluogo e della provincia, ancora alla ricerca di motivi per
spiegare la vergognosa sparizione dei fasciti dopo il 25 luglio ' 43, se la prendeva
con "i traditori, gli ebrei, i massoni" .5
Il 6 novembre' 43 in un fondo di prima pagina dal titolo su due colonne La
legislazione razziale, l'anonimo di turno sostiene che "L'esperienza dei recenti
avvenimenti ha convinto tutti gli italiani [... ] dell'opportunità di vedere applicata la legislazione razziale italiana. Tale legislazione non poteva che uniformarsi ai principi della legislazione razziale germanica" .
"Non ci sarà più arianizzazione per nessuno, né da comprare né da vendere", concludeva l'anonimo con una impennata di sincerità retrospettiva.
E il nuovo modo di applicare le leggi razziste, in obbedienza al dettato dei padroni nazisti, si manifesta con la circolare della Questura di Reggio del 3 dicemEmblematica di tale collaborazione la modalità del fallito arresto di Alessandro Cantoni il quale,
prima di darsi alla fuga attraverso solai del vecchio ghetto di Reggio, vide dalla finestra di casa i
quattro venuti per catturarlo: due della Feldgendarmerie germanica e due della questura reggiana,
dei quali ultimi ricorda anche i nomi, maresciallo Moritto e brigadiere Capodicasa (v. "Ricerche
storiche", n. 61. pp. 50,51).
5 Resoconto in "Il Solco fascista", 20 ottobre 1943.
4
13
bre 1943 con la quale, ripetendo l'ordinanza telegrafica del 30 novembre '43 del
ministro degli Interni Buffarini-Guidi, si intima di "procedere immediatamente al fermo di tutti gli ebrei residenti in questa provincia, compresi quelli discriminati, facendoli rinchiudere nelle locali Carceri Giudiziarie, a disposizione di
questo ufficio" .
Ma quando, il 13 dicembre successivo, il vigile urbano del comune di Reggio
Dino Guidetti compì un veloce giro per consegnare il decreto di requisizione
delle opere d'arte di proprietà ebraica alle 29 famiglie istraelite residenti nel territorio comunale, ne trovò presenti soltanto IO 6.
I Componenti di alcune erano già stati arrestati, altri, come già accennato,
prevedendo il precipitare degli eventi, si erano già allontanati dalla città fin dall'inizio dell'occupazione germanica. Sicché il Guidetti, sul retro di 19 delle notificazioni, appose la seguente annotazione:
"Il sottoscritto vigile urbano Guidetti Dino, recatosi in qualità di messo comunale, oggi 13 dicembre 1943, all'abitazione del sig ..... , in Via ..... , dichiara
di non aver potuto effettuare la consegna del presente perché da parecchi giorni
la persona di cui sopra trovasi assente dal proprio domicilio senza avere lasciato notizia del suo attuale recapito" .
5.3. Isommersi
Nel giro di pochi giorni, a partire dal 5 dicembre, i sette ebrei del comune di
Reggio presenti al proprio domicilio erano stati tratti in arresto. Vi si aggiunse,
in circostanze che illustriamo nel paragrafo dedicato agli ebrei correggesi, LuciaFinzi.
I coniugi Benedetto Melli e Lina J acchia si erano allontanati dalla propria
abitazione reggiana cercando di espatriare, ma vennero arrestati alla frontiera
con la Svizzerae trasferiti a Reggio in stato di detenzione 7 •
Benedetto Melli, benché ebreo "discriminato" e nonostante il suo passato di
fascista e l'amicizia con gerarchi locali, aveva ben presto capito, dopo 1'8 settembre '43, che era giunto il momento di allontarsi. Sfollato dapprima a Scandiano, ai primi di dicembre del' 43 risultò irreperibile al proprio domicilio.
Assieme alla moglie Lina J acchia aveva cercato di espatriare per raggiungere
il figlio Giorgio, emigrato a Losanna fin dall'autunno 1938.
Ci fu però un evento sfortunato, la frattura di una gamba aLina J acchia, che
intralciò il piano di espatrio clandestino e i due furono arrestati - pare anche
perché riconosciuti da fascisti reggiani presenti sul posto - a Porto Ceresio, in
provincia di Varese, 1'8 dicembre 1943 8 •
Si veda in appendice l'elenco delle 29 famiglie.
Per il luogo e la data dell'arresto: Centro di documentazione ebraica contemporanea, Milano
[d'ora in avanti CDEC]
8 Giorgio Melli subì un non mai superato trauma per la tragica vicenda che lo aveva colpito. Figlio
unico, dopo il rientro dalla Svizzera a Reggio, nel dopoguerra, benché fornito di una laurea in ingegneria chimica non riuscì ad inserirsi nella vita e nel lavoro . Lasciò che altri si occupasse dei propri
beni, già sequestrati durante la R.S.!. e restituiti dopo la Liberazione.
Arrivò perfino ad una forma di fobìa verso il sapone pensando che ogni pezzo poteva contenere resti dei corpi di ebrei sterminati.
6
7
14
Condotti a Reggio, poi al campo di Fossoli, diventato campo di transito pef- _.
ebrei diretti allo sterminio, dopo essere stato campo di concentramento per prigionieri di guerra, partirono per l'ultimo viaggio, senza ritorno, sul treno
piombato diretto ad Auschwitz, il 22 febbraio 1944.
Subirono tale sorte, oltre ai tre già ricordati: Ada Corinaldi con le due sorelle
Olga e Bice; Beatrice Ravà vedo Rietti con le due figlie Urna e lole e Oreste Sinigalia.
Ad arrestarli, assieme ai gendarmi germanici, c'erano andati anche solerti
funzionari della questura locale.
A Reggio furono anche arrestati dieci ebrei forestieri:
Moshek Civiak, Etta Feldmann, Israel Hirshhorn (nato nel 1898), Elia Labi
(nato nel 1906), Giacomo Giacobbe Labi (nato nel 1932), Isacco Labi (nato nel
1930), Musci Labi (nata nel 1940), Buba Reginiano (nato nel 1893), Giulia Rubin (nata nel 1908), Hanna Tempel (nata nel 1897).
Anche questi dieci furono avviati ai campi di sterminio, compresi i bambini
Giacomo Giacobbe, Isacco e Musci Labi (rispettivamente di Il, 13 e 3 anni!), i
quali ultimi, assieme alloro familiare Elia, partirono da Fossoli di Carpi col
convoglio n. Il 9.
Drammatiche e commoventi le circostanze dell'arresto di Beatrice Ravà e
delle due figlie Urna e lole Rietti, avvenuto il5 dicembre.
Quando fascisti e tedeschi andarono a prelevarle dal loro appartamento di
Via Monzermone, nel vecchio ghetto di Reggio, Urna in un primo tempo scappò da una uscita secondaria, rifugiandosi al piano superiore. Ma quando la
madre e la sorella si resero conto che stavano per essere prese la chiamarono dicendo: 'Siamo nelle mani del Signore, dobbiamo stare insieme' .. .' >10.
E insieme vennero portate via, con gli altri ebrei reggiani arrestati in quei
giorni.
Dapprima furono tutti raccolti in una casa di campagna alla periferia di Reggio; poi furono avviati al campo di Fossoli, da metà gennaio passato alla diretta gestione da parte dei tedeschi, nelle persone di una decina di SS comandate
dal tenente Karl Titho coadiuvato dal maresciallo Hans Haage.
I tedeschi avevano subito ordinato alle autorità fasciste di "concentrare a
Fossoli, per il18 febbraio, tutti gli ebrei chiusi nelle carceri italiane" 11 o in altri
luoghi di restrizione.
Quattro giorni più tardi, il 22 febbraio' 44, ebbe luogo la partenza di un convoglio di circa 650 persone che arrivarono ad Auschwitz sabato 26 febbraio, alle ore 2li 2 •
Nel 1960, non reggendo agli incubi ricorrenti, dovette essere ricoverato in ospedale psichiatrico a
Verona, dove morì nel 1977 , in età di 58 anni.
Crediamo di poter affermare che fu l'ultima vittima, tra gli ebrei reggiani, delle leggi razziali del '38
e della collaborazione del fascismo italiano col nazismo nel perseguimento della soluzione finale.
9 Per le notizie sui dieci ebrei "forestieri": CDEC, cit.
lO Testimonianza di Fausto Ravà, cugino di Iole ed Ilma Rietti. Se ne veda il testo integrale in appendice.
11 GIUSEPPE MAYDA, Ebrei sotto Salò, Feltrinelli, 1978, p. 186.
12 Uoo CAFFAZ [a cura], Discriminazione e persecuzione degli ebrei nell'Italia fascista, Consiglio
regionale della Toscana, 1988, p. 82. LUCIANO CASALI; La deportazione dall'Italia. Fossoli di Car-
15
Di tale convoglio facevano parte anche i dieci ebrei reggiani.
Prima di partire le SS avevano detto agli ebrei - come ricorda Primo Levi che
si trovava appunto a Fossoli - che sarebbero andati in un paese freddo e dunque
si portassero "abiti pesanti, pellicce, denaro ed oggetti preziosi".13
Poco dopo l'arrivo al tristemente famoso campo, diventato nome-simbolo
della Shoah, ebbe luogo la selezione delle persone valide, da sfruttare fino all'esaurimento, e di quelle malate o anziane, da mandare subito alle camere a gas.
Beatrice Ravà, all'epoca in età di 67 anni, venne separata dalle figlie e caricata su di un camion con quanti erano destinati all'eliminazione immediata. Le
figlie, mosse dallo stesso impulso a "stare insieme nelle mani del Signore", che
le aveva indotte a lasciarsi tutte e tre arrestare il 5 dicembre precedente, corsero
a loro volta verso il camion gridando disperatamente, non sopportando di essere divise dalla madre.
Furono anch'esse fatte salire ed il camion portò il suo dolente carico verso le
camere a gas.
Testimone della loro fine una giovane ebrea, laureata in medicina, di origine
austriaca, la dotto Ruth Wasser, nata a Viennail19.8.1920, matricola di deportata n. 75678. Arrestata a Brescia il 7 gennaio 1944, era stata portata a Fossoli il
18 febbraio e faceva parte dello stesso convoglio su cui avevano viaggiato le
Rietti e gli altri reggiani.
La giovinezza, la specializzazione professionale e la conoscenza del tedesco
concorsero a farla sopravvivere. Sarà liberata dal campo di Gross Rosen il 5
agosto 1945,14.
5.4. Gli ebrei di Correggio e Guastalla.
Il nucleo relativamente più consistente di ebrei, dopo quello del capoluogo di
provincia, si trovava a Correggio. Anche se non abbiamo reperito nessun elenco presso il locale archivio comunale siamo in grado di affermare che gli ebrei
presenti in quel comune della pianura reggiana, nell'autunno 1943, erano diciassette; ci basiamo sul memoriale Finzi (d'ora in avanti "mF")15 nonché sull'esame delle schede dell'anagrafe comunale.
Di quei diciassette avevano ottenuto la "discriminazione", fra il 1939 ed il
1942, in sei.
Mentre 16 ebrei correggesi riuscirono a sottrarsi all' arresto e alla deportazione, in modi di cui daremo subito conto, Lucia Finzi, nata i114 febbraio 1894, fu
pi, in Spostamenti di popolazione e deportazioni in Europa 1939-1945, Bologna, Cappelli, 1987,
p.387.
13 Citato inG. MAYDA, cit., p. 187.
14 Per le date di arresto e liberazione di R. WASSER: CDEC.
La Wasser visse poi a Milano, dove abitava in Via privata Alessandro Silva, 24. Nel 1951 si trasferì
in Svizzera.
La sua testimonianza è stata rilasciata all'ufficio provinciale assistenza post-bellica, ufficio e servizio informazioni, di Milano (piazzaE. Dux, 3) il3 maggio 1948. (A.C.RE, Tit. 17, R.32-Fz 1, fase.
1).
15 RICCARDO FINZI, Memorie relative agli ebrei di Correggio dall'8 settembre 1943, [dattiloscritto
di 6 cartelle, in Biblioteca municipale di Correggio l
16
la sola ad essere arrestata e deportata ad Auschwitz, senza più fare ritorno, con
altri 9 reggiani 16.
Nubile, viveva sola lavorando come rammendatrice. Il padre, Raffaele, era
morto il 16 agosto di quell'anno 1943. La madre, Fanny Finzi, era morta il 20
dicembre 1939; anche lei aveva fatto in tempo ad essere censita tra i correggesi
"di razza ebraica" , come testimonia il timbro apposto sulla sua scheda anagrafica come su quella di tutti i suoi familiari.
Le due sorelle di Lucia, Iolanda e Ginda, erano anch'esse decedute (rispettivamente il 28 dicembre 1938, a 47 anni e il 12 giugno' 43, a 50 anni).
Il fratello, Walter, già emigrato in Lombardia, era tornato a Correggio dopo
l' 8 settembre' 43 e viveva nascosto in campagna.
La povera Lucia, stando alla testimonianza di Riccardo Finzi (in mF), dopo
ilI dicembre '43 venne invitata da un carabiniere, recatosi al suo domicilio, a
fuggire per evitare l'arresto.
Piangente, si presentò volontariamente in caserma per spiegare le sue ragioni
e cioé che non aveva fatto nulla di male"
Volle venire ricevuta dal comandante dei CC, maresciallo Toma (che il 5
agosto 1944 verrà a sua volta deportato in Germania ... ), ed il sottufficiale si
trovò costretto, anche per la presenza di testimoni, ad arrestarla.
Vediamo ora, nome per nome, le vicissitudini dei 16 ebrei correggesi che si
sottrassero all'arresto.
Cominciamo col fratello della povera Lucia.
1 - FINZI Walter, impiegato, nato nel 1902; sposò Agnese Siragusa, in Brescia, nel 1928. Dopo 1'8 settembre 1943 era a Correggio con la moglie e i due figli, tutti e tre "ariani".
Lui stesso, nel '39 censito come ebreo, era poi stato discriminato (come risulta dall'annotazione sulla scheda anagrafica) per meriti politici, essendo stato
fascista fin dal '21.
Ma sotto la R.S.I. la "discriminazione" non valeva più e "proprio dai suoi
compagni di fede venne una volt q ricercato in casa", come leggiamo in mF. Si
rifugiò nelle campagne correggesi, mantenendosi come bracciante agricolo.
"Nelle sue peregrinazioni fu conosciuto da molti e non denunciato da nessuno" (mF).
In data 5 maggio 1954 risultava residente a Milano.
2 - FINZI Pio (non della famiglia del precedente), nato nel 1880, impiegato,
coniugato con Rita Villa, "ariana", ebbe tre figlie considerate "ariane".
Censito come ebreo nel '39; dopo 1'8 settembre '43 si rifugiò a Langhirano,
in provincia di Parma, presso la figlia maggiore, Derna, laureata in chimica.
Tornato a Correggio dopo la fine della guerra vi morì nel 1958.
3 - FINZI Dante, nato nel 1887, mediatore di formaggi, vedovo. Censito co-
16 Sulla scheda di L. Finzi, all'anagrafe di Correggio, si legge "eliminata l'anno 1943. Dispersa in
Germania. Morte presunta 30.11.43", La sentenza relativa venne emessa dal Tribunale di Reggio
"in data cinque-sette dicembre 1962" e l'atto di morte trascritto sull'apposito registro del comune
di Correggio in data 1 marzo 1963.
(Registro atti di morte, anno 1963, parte II, serie C, n. 4)
17
me ebreo; nell'autunno '43 si rifugiò a Voghera, presso la figlia Tina, considerata "ariana", sposata a Lelio Levi, ferroviere. Visse poi a Genova.
Rientrato a Correggio nel dopoguerra vi morì nel 1958.
4 - FINZI Sergio, avvocato libero professionista, possidente, nato nel 1896.
Segretario politico del fascio correggese ancora nell'estate 1938, venne destituito dall'incarico pur potendo mantenere l'iscrizione al partito. Discriminato
per meriti politici. All'arrivo dei tedeschi si allontanò da Correggio assieme al
fratello Riccardo.
Espatriarono clandestinamente in Svizzera' 'fra il 23 e il 24 settembre" 1943.
Ritornarono a Correggio il 17 . 5 .1945.
5 - FINZI Riccardo, fratello del precedente, geometra libero professionista,
nato nel 1899. Censito come ebreo nel '38, non ottenne la discriminazione nonostante il suo passato di combattente e di fascista l7 •
E' l'autore del memoriale di cui ci siamo in gran parte avvalsi nella redazione
di queste note sugli ebrei correggesi.
6 - FINZI Ester Clarice, merciaia, nubile, nata nel 1864; censita come ebrea.
Nel dicembre 1943 ebbe sequestrato il negozio ma non venne arrestata in forza
della norma (non sempre applicata) che escludeva gli ultrasettantacinquenni
dalla deportazione. Dopo la guerra riebbe il suo negozio. Morì a 95 anni il
2.10.1959 18 •
7 - FINZI Rinaldo Moisé, ingegnere, nato nel 1893 . Abitava a Milano, aveva
beni a Correggio. Sulla scheda anagrafica (al comune di Correggio) accanto al
timbro "razza ebraica" compare l'annotazione a penna "discriminato".
"Collo dicembre riuscì ad eclissarsi e a sopravvivere" (mF). Tornò a Correggio dopo la guerra. E' deceduto a Milano nel 1965 .
8 - FINZI Fausto (fratello di Rinaldo), nato a Rio Saliceto (RE), avvocato libero professionista con studio e abitazione a Bologna. Discriminato con decreto del Ministero dell'interno del'll novembre 1941, n. 2977/349 19 • Dopo 1'8
settembre visse sotto falso nome a Domodossola' 'e si trovò fra i partigiani,
nell'autunno '44, all'epoca della Repubbica ossolana" (mF). Dopo la guerra
tornò a vivere a Bologna. Mentre di Rinaldo esiste la scheda anagrafica a Cor17 "I combattenti avevano portato la propria forza nel fascio locale con RiccardoFinzi, il cui fratello Sergio, avvocato, sarebbe poi diventato segretario del PNF. Ma i Finzi garantivano anche il
consenso delle famiglie israelite" , affermano in una testimonianza collettiva Gastone Tamagnini,
Armando Pallini, Adelmo Adani e Vasco Gambarini (in SANDRO SPREAFICO, I cattolici reggiani
dallo Stato totalitario alla democrazia. l. I giorni e le opere del fascismo, Reggio Emilia, 1986, p.
272).
Nell'agosto 1939 Luigi Cottafavi scriveva da Correggio al Sindacato ingegneri fascisti di Reggio
chiedendo di togliere la direzione tecnica dei lavori edilizi riguardanti la trasformazione di un palazzo di proprietà della Banca agricola commerciale al geometra Riccardo Finzi, sia perché non era
"dottore-ingegnere", sia in quanto "ebreo non discriminato". Il quale Sindacato, nella persona
del suo segretario ing. Guido Tirelli, in data 20 settembre 1939 scriveva alla direzione della banca in
questione invitando ad esonerare il F. dall'incarico in quanto' 'colpito dalle sanzioni previste dalle
norme" razziali. (Ibidem, pp. 352,353).
18 Il 27 maggio 1944 l'Intendente di finanza di Reggio scriveva alla locale prefettura: "Il Consiglio
provinciale delle Corporazioni mi segnala l'esistenza in provincia della ditta Finzi Ester Clarice, fu
Leone, commerciante di chincaglierie in Correggio [... ] mi permetto segnalare a codesta prefettura
la indicata ditta [... ] per la emissione del relativo decreto di confisca" . (AdS RE, Ibidem)
19 AdS RE, Ibidem, Lettera di Fausto Finzi a prefettura di R.E. del 23 agosto 1945.
18
reggio, non si è invece colà reperita quella di Fausto così come quelle delle sorelle Nella, Bice ed Elvira, che iI memoriali sta elenca fra gli ebrei correggesi ma
che, dalle note stesse del memorialista, risultano avere sempre abitato a Bologna ed essersi nascoste, durante l'occupazione tedesca, in luoghi lontani da
Correggio (per esempio la zona del lago di Como).
9 - ROVIGHI Anna Armida, abitava a Bologna (la sua scheda non è stata reperita a Correggio), ma trascorreva vari mesi all'anno nella sua villa signorile
di Correggio. Possedeva poderi nei dintorni.
Presente a Correggio nel settembre '43, il giorno 21 dello stesso mese venne
arrestata dai tedeschi con altri nove correggesi tra cui l'ebreo Pio Finzi; venne
scarcerata pochi giorni dopo, con tutti gli altrpo.
Da fine novembre' 43 visse nascosta riuscendo però a dare lezioni private di
francese (aveva avuto sequestrati tutti i beni). Dopo la guerra tornò a Correggio dove morì nel 1946.
lO - SINIGAGLIAGuglielmo, nato il 14 luglio 1881 "dal Tenente Settimo"
(come si legge nella scheda anagrafica) e da Venturina Saba Sinigaglia. Medico
chirurgo, possidente.
Da Bologna, dove viveva da anni, tornò ad abitare a Correggio nel 1940, nella villa dei suoi fratelli Claudio, Lucia e Gilda.
Sulla sua scheda non compare alcuna indicazione circa la "razza" . A Correggio esercitò la libera professione medica.
Ai primi di ottobre' 43 la villa dei Sinigaglia venne requisita dai tedeschi e iI
dottor Guglielmo si trasferì a Massalombarda (RA), dove ebbe la ventura di venire fortunosamene salvato dalle macerie della casa bombardata. Nell'estate
1945 tornò a Correggio dove morì nel 1950.
11 - SINIGAGLIA Claudio, avvocato (fratello del dotto Guglielmo), nato a
San Martino Rio il 3 dicembre 1895. Abitualmente risiedeva a Bologna, dove
esercitava la libera professione. La sua scheda reca il timbro' 'razza ebraica" e
l'annotazione a penna "discriminato". Era infatti mutilato di guerra e decorato al valore.
Dopo la requisizione della villa di Correggio visse clandestinamente. Morì
nel 1944 di coma diabetico non riuscendo più a reperire le indispensabili dosi di
insulina.
"Sei militari delle SS, accompagnati da due carabinieri della locale stazione, forniti di preciso
elenco, procedettero alla ricerca ed all'arresto di un gruppo di presunti antifascisti, fra cui erano
compresi anche ebrei. Fra questi ultimi vennero arrestati Pio Finzi ed Armida Rovighi. Gli altri
ebrei compresi nell'elenco, e cioé Dante, Sergio e Riccardo Finzi, sfuggivano all'arresto essendo
riusciti ad eclissarsi in tempo [... ] Tutti gli arrestati vennero liberati. E ciò particolarmente ad opera
del Correggese Alberto Patroncini, a quel tempo Seniore della Milizia fascista" (Memoriale Finzi).
Secondo uno studioso locale i dieci furono arrestati "molto probabilmente perché si tratta[va] di
professionisti e cittadini in genere assai noti in paese e quindi ritenuti influenti sull' opinione pubblica, che non sono accorsi ad iscriversi al P.F .R. o semplicemente a mettersi a disposizione dei fascisti repubblichini" (MAURO SACCANI, Correggio 1920-1945, Correggio, Amm.ne comunale,
1988, p. 70)
Gli arrestati 'ariani" erano. dott. Pio Bosi, primario del locale ospedale; Marino Magiera, proprietario terriero; Zanolini di Mandrio; Vincenzo Schiatti, farmacista; il dotto Vittorio Salati; l'ing.
Luigi Della Valle; la levatrice Codeluppi; Mimma Corbelli. (Ibidem)
20
19
Prima di darsi alla latitanza aveva scritto quanto segue al commissario del
comune di Correggio:
"Premesso che sono comproprietario per la metà della villa posta in Correggio di circa vani 15, con annesso parco e giardino, e che nei primi giorni di ottobre la mia villa è stata occupata dalle truppe tedesche per adibirla a postribolo;
[... ] lo scrivente chiede anzitutto: che venga eliminato l'uso attuale, inquantoché il sottoscritto e la sua famiglia, per i suoi precedenti patriottici non era la
più adatta a subire un simile trattamento; anche se di razza ebraica, il sottoscritto ebbe sempre un trattamento consono al suo stato di mutilato, di decorato al valore e quindi confida su l'autorevole intervento della S. V. per la restituzione dell'immobile, o per un più decoroso impiego delle forze occupanti"21.
Il dignitoso e patetico appello dell'avvocato Claudio Sinigaglia non ebbe l'esito sperato dal suo autore.
12 - SINIGAGLIA Lucia Allegrina (sorella dei due precedenti), nata a Campagnola Emilia ilIO ottobre 1879, nubile, diplomata maestra. La sua scheda reca il timbro' 'razza ebraica" .
Emigrata a Bologna nel 1911 , con la famiglia, tornò a vivere a Correggio nel
1942. Tale ritorno, suo e dei fratelli, fu forse dovuto, da un lato, ad esigenze di
"sfollamento" da Bologna, città più esposta alle vicende belliche, dall'altro alla speranza di poter meglio sopportare la condizione imposta dalle leggi razziali
in un ambiente, come quello correggese, dove gli ebrei da fine Ottocento, e in
particolare dall'avvento del fascismo, avevano sempre fatto parte della classe
dirigente locale.
Dopo l'ottobre '43 "si occultò con la sorella Gilda nella canonica di San Michele dei Mucchietti", nei pressi di Sassuolo (Ma).
Dopo la guerra visse sempre a Correggio, nella villa di famiglia. MorÌ il6 giugno 1964 "lasciando eredi delle sue sostanze alcuni parenti e la parrocchia di S.
Quirino" (mF).
13 - SINIGAGLIA Gilda, nata a Correggio ilIo marzo 1897, nubile. Anche
la sua scheda reca il timbro' 'razza ebraica" . Le sue vicende successive all' 8 settembre '43 sono le stesse descritte per la sorella Lucia fino all'inverno '44-'45,
quando "recatasi a visitare il fratello Claudio, che viveva nascosto, per lo strapazzo e la pioggia si ammalò di polmonite. MorÌ poco dopo ... " (mF).
14 - SINIGAGLIA Guido, nato a Correggio il 6 agosto 1885, fratello dei
quattro precedenti. Sposato con una "ariana", ebbe due figli pure considerati
"ariani". La sua scheda reca il timbro "razza ebraica" e la qualifica di "dottore in legge". Secondo il mF era invece "dottore in chimica esercente a Bologna
la produzione di medicinali" .
Pur non risultando il fatto dalla scheda presente all'anagrafe di Correggio,
sappiamo che era stato discriminato nel 1940 in quanto battezzato ilIO settembre dello stesso anno nella parrocchia di San Giuliano (Bologna)22.
Durante gli eventi bellici si trasferÌ in una sua villetta a San Martino di Cor21 Citato in ANTONIO RANGONI, Correggio 1920-1946. Storia dei movimenti popolari. III. La Resistenza, la proclamazione della Repubblica. [in attesa di pubblicazione]
22 AdS RE,Ibidem, Prefettura di Bologna e prefettura di R.E., 8 ottobre 1940.
20
reggio, villetta che però gli venne sequestrata, assieme al podere annesso, nel
maggio 194423 •
Dopo di allora, e fino alla Liberazione, visse in latitanza mentre la moglie e i
due figli rimasero a Correggio. E' deceduto a Bologna nel 1965 .
15 - LEVI Guglielmo, nato a Venezia da Ferruccio e Angela Levi il 10 ottobre
1900, celibe (nel 1943). Laureato in medicina con specializzazione in malattie
polmonari, dopo la promulgazione delle leggi razziali non poté più esercitare la
professione e da Padova, dove abitava, venne a Correggio sul finire del 1938:
fu assunto dalla locale ditta farmaceutica Recordati come addetto all'ufficio
propaganda. La sua scheda reca il timbro' 'razza ebraica" .
Dopo ilIo dicembre '43, per evitare l'arresto "si allontanò da Correggio in
bicicletta, di prima mattina, dirigendosi a Modena ed indi risalendo, sempre in
bicicletta, sino a Lama Mocogno, ove si fermò in una trattoria. Ivi udì alcuni
paesani discorrere in merito alla partenza dell'ultimo medico locale. Decise allora di presentarsi candidato alla condotta medica del luogo e si presentò il
giorno appresso al podestà sotto finto nome e senza alcun documento, affermando di aver perduto tutto al di là delle linee durante un bombardamento aereo. Chiese di sottoporsi ad un esame da parte del medico provinciale. Fu assunto alla condotta richiesta e si comportò tanto lodevolmente che alla liberazione, riassunto il proprio nome, a voce di popolo gli fu chiesto di rimanere al
suo posto. Dopo la guerra si è sposato" (mF) andando poi a vivere a Rovigo
dove continuò ad esercitare la professione medica.
Nel Memoriale Finzi non compare il nome di un altro ebreo che pure era presente a Correggio durante l'occupazione germanica:
16 LEVI Raimondo, nato a Correggio da Erio e Ida Barigazzi il 29 giugno
1903, allevatore. La sua scheda reca il timbro "razza ebraica" .
Emigrato a Milano nel 1932 rientrò nel Correggese durante la guerra, abitando successivamente a Mandriolo, poi in città (Via del Carmine) e infine a San
Biagio, ne11944, come si rileva dalla scheda anagrafica.
Non sappiamo come riuscì a sottrarsi all'arresto.
Nel 1949 risulta di nuovo emigrato a Milano.
A Guastalla risultavano presenti, nell'autunno 1943, soltanto tre ebrei: Nelli
Coen Cantoni, Emilia Sforni e Cesare Sforni. Essi furono però lasciati liberi
avendo tutti e tre compiuto 75 anni, come apprendiamo da una nota della Banca agricola commerciale di Reggio alla Prefettura24 •
Era quanto rimaneva di una un tempo vivace comunità (nel 1871 gli ebrei
guastallesi erano una quarantina) cresciuta in Età rinascimentale all'ombra ed
al servizio della signoria dei Gonzaga e che vide la propria emancipazione avviarsi assai prima che in altre zone dell'attuale provincia di Reggio. Gli archi
del ghetto locale vennero abbattuti, con significato liberatorio, nel 1822, a spese del Comune, per ordine della duchessa Maria Luigia.
23
24
Ibidem
Ibidem
21
Fin dal 1820 si era aperta in loco una "Casa di educazione" ebraica per ragazzi maschi dagli 8 ai 13 anni25 •
5.5. Il "giudaismo bolscevico-plutocratico" sulla stampa reggiana.
La ricordata circolare del questore di Reggio per l'arresto degli ebrei reca la
data del 3 dicembre 1943 e, si noti, l'indicazione' 'riservata" - oltre che' 'urgente"; ma già dal giorno precedente i giornali davano notizia dei suoi contenuti.
Sotto il titolo Fino in fondo' 'Il Resto del Carlino" del 2 dicembre recava infatti il seguente sommario: "gli ebrei residenti in Italia avviati ai campi di concentramento. Confisca di tutti i beni mobili e immobili. Vigilanza di polizia per
gli arianizzati".
Nel testo dell'articolo leggiamo tra l'altro: "Da tempo urgeva ripulire l'Italia dai giudei che la insidiano anche come centro della romanità e del cattolicesimo" .
"Il Solco fascista", dal canto suo, mentre pubblica in pagina locale ripetuti
inviti ad andare a lavorare in Germania (dove anche gli internati militari - si afferma - sono liberi di scegliere tra collaborare in armi o nel lavoro ... ), in attesa
di una promessa rivoluzione sociale fascista, non dimentica ovviamente di incitare l'opinione pubblica contro gli ebrei.
Lo sforzo "culturale", come già all'indomani delle leggi razziali del '38, è teso a fondare il razzismo fascista sulla tradizione dell'anti-giudaismo cattolico.
Israele o Cristo?, titola di spalla, su due colonne, il "Solco" del 1o gennaio
1944, quando già i pochi ebrei reggiani erano internati o scomparsi; il pezzo, di
Giocondo Protti, dopo l'apodittica affermazione "il nostro nemico, unico e
solo, è il popolo ebraico" , continua snocciolando tutti i più squallidi stereòtipi
dell' antisemitismo.
Stabilito che "le origini dell'attuale conflitto risalgono alla crocifissione di
Cristo", ricapitola le consuete accuse relative alla "congiura ebraica", colpevole anche di aver attuato la rivoluzione francese a ridosso della quale "ad un
certo momento essi [gli ebrei] inventarono il Romanticismo". Dopo di che
"l'unità d'Italia (in funzione anticattolica e unificatrice dei mercati) fu voluta
dalla sinagoga ed aiutata coi suoi capitali" anche se, dal canto suo "Karl Marx
[... ] ovverossia il Talmud in atto" , faceva la sua parte contro il capitalismo.
Il6 gennaio, nella seconda puntata del "saggio" del Protti, troviamo la concisa affermazione (parafrasi di un'altra, famosa, attribuita a Garibaldi) "L'ebreo è il cancro dell'umanità".
Altrettanto, se non più impegnato sul tema il "settimanale del fascismo reggiano", cioé "Diana repubblicana"; passi scelti delle sue pagine verranno anche letti e diffusi in piazza, mediante altoparlanti.
Tra appelli alla riscossa, evocazioni di "cavalieri della morte" e "squadre
d'azione", reiterati incitamenti del tipo "Alle armi! alle armi!", il 12 dicembre
25 Per le vicende della comunità ebraica di Guastalla dalle origini al secolo XIX rimandiamo a ELENA BEGOTTI, Note sugli Ebrei nella Guastalla dei Gonzaga, In AA.VV., Il tempo dei Gonzaga,
Guastalla, 1985 eLa comunità ebraica di Guastalla, in "Quaderni guastallesi". A. III, n. 4.
22
1943 pubblica un testo di A. Corradi, assai promettente fin dal titolo, Il denaro
di Giuda; dopo aver raccontato una confusa storia relativa ad un bambino
ebreo di Imperia(?) conclude facendo sua la minaccia che Hitler aveva formulato già nel Mein Kampf' "Se gli ebrei scateneranno con le loro arti diaboliche
un nuovo conflitto, per la fine di esso di ebrei in Europa non ce ne resterà neppure più uno". (Dunque si sapeva o non si sapeva, nel '43, che gli ebrei erano
destinati allo sterminio totale?).
n2 gennaio 1944 Lia Garrone presenta (per l'ennesima volta dal 1938) I protocolli dei Savi di Sionne (titolo su 2 colonne in 1.a pagina). n famoso falso viene riassunto estendendone la "griglia interpretativa" delle vicende storiche fino alla guerra in atto.
Conclude la informatissima Lia: "Chi sono i maggiori capi degli Stati che
oggi ci vogliono annientare? Ebrei: Stalin! Churchill! Roosevelt! La piovra
malefica cerca di ghermirci coi suoi tentacoli. Dobbiamo restare inerti e lasciarci schiacciare come vermi?" .
n6 febbraio "Diana" ebbe l'onore di ospitare un articolo in l.a pagina del
nazi-cattolico prete don Tullio Calcagno, intitolato Repubblica e ripreso dal
suo giornale "Crociataitalica".
"Scenderanno giù dal cielo legioni e legioni di angeli a difendere la Patria
nostra [... ] perché il Signore, Dio degli eserciti e delle vittorie, è con noi". [Gott
mit unsI, appunto ... ].
n 5 aprile 1944, annunciando che "tutti i martedì, e venerdì e la domenica,
dalle Il a mezzogiorno, i collaboratori di "Diana" grideranno la verità in piazza!" [si trattava di giornali parlati], il settimanale reggiano, per la penna di U.
Calabrese, assicura che è "benvenuto il recente provvedimento per la confisca
di tutti i loro [degli ebrei] beni e per l'invio di essi in campi di concentramento"
poiché" gli israeliti non devono in nessun modo e per nessuna ragione od eccezione essere più tollerati [... ] Bisogna espellere la razza ebraica [... ] Necessita di
agire come la legge vuole e con una risoluzione immediata e completa" .
A quella data i dieci ebrei reggiani deportati (Beatrice Ravà vedova Rietti e le
due figlie certamente) erano probabilmente già tutti "passati per il camino" di
Auschwitz ...
n 20 aprile un anonimo spiega seriosamente Come gli ebrei uccisero Vincenzo Bellini e conclude con ùna interrogazione retorica: "Non ordina forse la legge di Israele di uccidere i migliori fra i non ebrei?".
Veniva poi ripreso (5 maggio 1944) un brano dal volume di M. PucciniEbrei
allo specchio, brano nel quale si sostiene il persistere di un legame ineliminabile
degli ebrei, per quanto assimilati, con le proprie radici, il che - nel contesto dell'epoca - voleva essere un ennesimo atto di accusa contro i figli di Israele.
Giacomo Sivori, sotto il titolo Fascismo antigiudaico (19 maggio '44), illustra' 'il connubio bolscevismo plutocrazia fino ad ieri antagonisti" ad opera
della' 'internazionale giudaica che [... ] dirige praticamene tanto il governo rosso di Mosca che i governi di Londra e di Washington"; poi giù a citare i soliti
Protocolli ed un libro di Preziosi.
A riprova di quanto sopra, il 5 luglio' 44 "Diana" rende note, sotto il titolo
23
La piovra giudaica, supposte percentuali di giudei nei' 'posti di comando" dell'URSS e degli Stati uniti d'America.
Passiamo sopra Gli ebrei giudicati da Wagner (20 luglio, 2.a pagina) e piombiamo a pie' pari ne La Babele del 2000, di A. Corradi (5 agosto' 44), dedicato
a contestare la validità dell'esperanto come lingua universale (fin qua nulla da
obiettare) per la ragione che il suo inventore Zamenhof (qua comincerebbero le
obiezioni ... ) non era che un "pidocchio so oculista giudeo".
Conclude poi, col garbo consueto dei fascisti repubblichini, il Corradi:
"Quando tra non molto i pochi ebrei superstiti, riusciti a sfuggire al pogroom
più gigantesco, che dovrà registrare la storia di tutti i tempi [altroché se sapevano, i fascisti italiani!. .. ], verranno snidati dai loro nascondigli di fortuna per
essere allontanati al pari dei lebbrosi dal civile consorzio, si provvederà ad avviarli verso qualche isola sperduta negli oceani, ove potranno valersi dello yddish e dell' esperanto per accordarsi nel gettare le fondamenta di qualche nuovo
paradiso maledetto ... " .
Ancora il 5 agosto, in 2.a pagina, un anonimo ci racconta Il sogno di Marx,
di nuovo per dimostrare come da Marx a Lenin, e via bolscevizzando, sia tutta
una questione di congiura ebraica; allo scopo di dar forza al proprio ragionamento, l'anonimo cita una pretesa lettera di Marx a tale Baruch Levy il cui contenuto risulta peraltro palesemente tolto pari pari dai Protocolli dei Savi di
Sion e comprende concetti come "I governi delle nazioni [... ] passeranno tutti
[... ] nelle mani israelite [... ] Così si realizzerà la promessa del Talmud [... ] gli
ebrei terranno sotto le loro chiavi i beni di tutti i popoli del mondo" .
Sullo stesso numero di "Diana" del 5 agosto si trova anche modo, nella rubricaln coffa, di attaccare il clero cattolico in quanto "Si sa che la grande maggioranza del clero italiano ha col proprio atteggiamento sleale tradito la storia e
la nostra patria, la culla di tutta la cristianità, ora calpestata da orde di avventurieri al soldo degli ebrei" .
Giornata prolifica, quella del 5 agosto, in tema di antisemitismo congiunto
alla polemica anticattolica; sotto il titolo Attenti ai mali passi, che é poi una minaccia rivolta al clero, tale Angelo Nicola Costa scrive che "la guerra attuale,
che è soprattutto guerra della plutocrazia ebraico-massonica contro i popoli e
le nazioni povere [... ] avrebbe dovuto trovare il più universale consenso del popolo e di chi ne guida spiritualmente l'anima, fu invece avversata, travisata e,
diciamolo pure, sabotata dal clero cattolico nella sua stragrande maggioranza" .
(Nella medesima pagina, in un palchetto, si fa pubblicità per l'arruolamento
di italiani nella "Legione Volontari Italiani delle S.S." poiché "appartenere ad
esse è un onore e sarà domani il più ambito titolo di orgoglio").
Ancora contro il "comportamento del nostro clero" ispirato "in via di massima, alla malafede e alla perversità" , il pezzo Rinnovarsi o morire (n. 16, agosto 1944) del solito A. Corradi.
"Indubbiamente il clero italiano si comporta [... ] in modo così vile da far
gridare vendetta a tutti i vivi e a tutti i morti", scrive l'affermato saggista, che,
da buon nazi-fascista si sente anche di poter affermare che "oggi [... ] tanto è il
discredito di cui gode il pontefice" .
24
Rincara la dose Licio Passacantando con Nausea (5 settembre 1944): "Le
porte delle chiese, dei monasteri, dei seminari si spalancano per accogliere a decine i sicari prezzolati della Patria braccati dalla giustizia. Vescovi, frati e monache fecero a gara [... ] per ospitare e nascondere anche nei luoghi più riservati
e più sacri le più oscene personalità [... ] Fu così che comparvero le più sconce
figure di traditori, di ebrei e di terroristi mascherati da religiosi [... ] Da allora
un abisso si è scavato fra il papa, molti dei suoi vescovi e tutti gli italiani che
non tradirono la Patria [... ] La chiesa si illude di addomesticare il comunismo
[... ] appoggiandosi ai conservatori inglesi, agli ebrei e ai massoni...".
Non immaginava, il Passacantando, che la stessa chiesa, nemmeno un anno
dopo, avrebbe, se non spalancato, socchiuso le stesse porte per accogliere decine di criminali di guerra fascisti e nazisti (compresi i responsabili di stragi contro civili, uomini donne e bambini, nei campi di sterminio), come ci ha dimostrato, tra gli altri, Simon WiesenthaP6. Ma sul n. 18 di "Diana" (senza data,
ma settembre 1944) tale Mons. Prof. Prospero Barbieri (??!!) firma il pezzo
Italiani e figli degeneri rivolto ai preti che si lamentavano degli attacchi di
"Diana" stessa rivendicando (il pseudo-Barbieri) la giustezza di tali attacchi.
Nella rubrica In coffa si spaccia come citazione autentica dal Talmud degli
Ebrei (titolo) il seguente brano:
"La guerra e le rivoluzioni debbono essere sempre fatte dai cristiani. Gli
ebrei debbono riservarsi il compito di "sfruttare" a beneficio di Israele il sacrificio degli altri".
Meritano poi una citazione integrale le fino ad oggi poco note parole dell'inno Brigata nera, di Mario Leana, pubblicate sulla 1.a pagina di "Diana" del 15
ottobre 1944, e dalle quali apprendiamo - tra l'altro - che le BB.NN. "compiono prodigi di valore / perché la tetra idra / giudeo-massone bolscevica / non
prevalga sul sacrificio / del sangue e del lavoro " .
E si spiega poi, poiché Tutto si spiega (titolo) che F.D. Roosevelt era di origine ebraica e dunque' 'nessuna meraviglia per noi che Roosevelt, ovvero l'ebreo
Rosenvelt, abbia in dispregio le nazioni che hanno fermamente deciso di liberarsi dal giogo ebraico".
Seguono brani, allucinati più del solito, di un tal Guglielmo Albertini che,
sotto il titolo Lafede deiforti, scrive:
"La tabe fagedenica dell'inversione nazionale diffusa da una setta antidemocratica ed antisociale, nutrita da una cricca di criminali dell'internazionalismo supercapitalistico, ha evitato l'orgoglio italico caduto nell'ebreo"(???)
Fin qua "Diana repubblicana" era stata diretta da Guglielmo Ferri, col numero del lO novembre 1944 cambia direttore e titolo. Quest'ultimo passa da
"Diana" a "Reggio repubblicana"; quanto al direttore, c'era da aspettarselo:
Giustizia, non vendetta, Mondadori, 1989, dove leggiamo, tra l'altro "In
molti casi l'aiuto della Chiesa si spinse ben oltre il tollerare la costituzione di comitati di aiuto e prese a vero dire l'aspetto di un autentico favoreggiamento di criminali: principale via di fuga per costoro si rivelò essere il cosiddetto 'itinerario dei conventi' tra l'Austria e l'Italia [... ] L'uomo che organizzò questo ospitale asilo [... ] monsignor Alois Rudal [... ] in seguito, nelle sue memorie, si disse
fiero di aver potuto prestare il suo "aiuto umanitario" a tanti pezzi grossi del Terzo Reich" (p. 77
ma si vedano anche le pp. 85 e sgg., 102, 112, 122 e 130).
26 SIMON WIESENTHAL,
25
Amedeo Corradi, l'ormai a noi ben noto saggista, è riuscito a conquistare la
poltrona su cui siederà per cinque mesi, continuando ad indottrinare i reggiani
con i suoi articoli; così già sul numero del 10 novembre con Letargo: vi si parla
della Francia che, "dominata dall'ebraismo e dalla massoneria [... ] era matura
per il suo destino".
Passando dalla politica-politica alla letteratura, il Corradi interveniva ancora ill3 dicembre '44, in l.a pagina, con un pezzo contro Alberto Moravia dove
leggiamo:
"Che gli ebrei si siano sempre serviti di ogni mezzo per assicurarsi il dominio
del mondo è cosa ormai risaputa [... ] per riuscire meglio nell'intento si cammuffarono anche da ariani [... ] Così ha fatto il giudeo Pincherle, il quale, sotto
il pseudonimo di Alberto Moravia, anni or sono, pubblicava un mediocre volume intitolato Gli indifferenti. [... ] L'esaltazione immonda del vizio, fatta con
l'abilità propria del giudeo che nel vizio si crogiuola" , sarebbe una caratteristica della narrativa moraviana con l'aggiunta - udite, udite! - che "pari abilità bisogna riconoscere all' ebreo Thomas Mann" [sic!].
Sullo stesso numero A.N. Costa riprende la polemica contro il clero cattolico
che "continua a combattere, con le armi più tortuose [... ] contro gli italiani che
non intendono subire lo scherno, il dileggio e la schiavità che loro vorrebbero
imporre gli ebrei ed i plutocrati, i massoni ed i bolscevichi" .
L'ultimo numero di "Reggio repubblicana", privo di data, ma uscito a fine
marzo' 44, mentre ormai reparti alleati avanzanti e forze partigiane locali stavano dando gli ultimi colpi ai fascisti reggiani ed ai loro padroni nazisti, pubblica uno svagato articolo di Marco Ramperti La quinta colonna, che se la
prende col cinema ebraico-americano ed in particolare con Il grande dittatore
di Charlie Chaplin ("ebreo di razza, buffone di mestiere [... ] questo Charlot
non è che l'ultimo sportello del cavallo di Troia americano").
Come dire, anche se con qualche anticipo, la comica finale a cop.clusione dell'immane tragedia che aveva coinvolto milioni di uomini (e gli ebrei in primo e
special modo) e di cui fascisti e nazisti erano stati gli artefici.
5.6. Sequestro e confisca dei beni.
Tra i primi atti della R.S.!., in provincia di Reggio, ci fu quello del sequestro
dei beni, in attesa di confisca degli stessi (che avverrà nella primavera-estate
1944) secondo l'art. 1 dell'Ordine di polizia diramato da Buffarini-Guidi ai capi delle province il 30 novembre, lo stesso articolo che imponeva l'arresto di
"tutti gli ebrei, anche se discriminati" . Ma fin dal 9 novembre' 43 il capo della
provincia aveva nominato "consegnatario dei beni di pertinenza degli ebrei" il
rag. Emilio Vezzani, al quale veniva poi anche affidato l'incarico "di provvedere alla Direzione Amministrativa del Campo di concentramento per gli stessi
costituito' '27.
Ad amministrare tali beni venne poi nominato, in data 12 gennaio 194428 ,
27
28
Decreto del capo della provincia del 12 gennaio 1944, in AC RE, Demografia e razza.
Prefettura a commissario prefettizio del comune di R.E., 12 gennaio 1944, Ibidem.
26
l'avv. Giuseppe Scolari, che resterà in carica fino al31 ottobre 1944; tale funzione venne continuata "di fatto", da Giulio Pennisi, che verrà poi nominato
ufficialmente nell'incarico con decreto del capo della provincia in data 2 dicembre 1944.
Scolari, che era stato anche iI primo commissario federale del P .F.R. reggiano, nel frattempo era passato alla prefettura di Varese, come apprendiamo da
una sua lettera autografa del 1o novembre' 44, su carta intestata della prefettura stessa, dalla quale apprendiamo altresì che da gennaio a ottobre 1944 egli
aveva ricevuto L. 100.000 quale compenso per l'incarico di sequestratario a
Reggio dei beni ebraici. 1120 aprile 19441' Amministrazione dei beni stessi forniva un "resoconto della vendita degli articoli già esistenti nel negozio di Melli
Benedetto. Totale netto L. 69.616,30".
1127 maggio 1944 l'Intendenza di finanza di Reggio scriveva alla Prefettura
per informare che, oltre' alle già segnalate ditte Sinigaglia Oreste e Melli nei
confronti delle quali "per le ragioni indicate [quasi totale sparizione delle merci] non si è ritenuto opportuno emettere decreto di confisca", esistevano in
provincia altre ditte di proprietà ebraica, e precisamente quella di: Ester Clarice Finzi fu Leone, commercio di chincaglierie, di Correggio; Elvira Ventura fu
Isaia [congiunta di ebrei], commercio di alimentari in Codisotto di Luzzara;
eredi Portioli Giuseppe, commercio all'ingrosso di filati e confezioni, in Guastalla29 •
Da una comunicazione dello Scolari al capo della provincia del 6 giugno 1944
(n. 321 di prot.) apprendiamo che l'amministrazione dei beni ebraici "riguarda
un rilevante numero di poderi e case civili e più precisamente: n. 67 poderi e 29
case civili" .
Alla stessa data l'utile derivante dai terreni sequestrati ad ebrei in tutta la
provincia ammontava a L. 312.596,87; da appartamenti a L. 24.26930 .
Il 24 agosto 1944 il capo della provincia Savorgnan emetteva un decreto di
confisca a favore dello stato dei seguenti immobili appartenenti a Ravà Beatrice fu Cesare: "Parte di casa ad uso abitazione ... Via Monzermone 6 .. .imponibile complessivo L. 373"31.
A quella data erano già passati sei mesi da quando Beatrice Ravà e le due figlie lIma e Iole erano state avviate alla camera a gas nel campo di sterminio di
Auschwitz ...
Virginia Carmi, residente e Parma, con un suo esposto del 9.9.1948 chiedeva
il risarcimento dei danni subiti in seguito al sequestro di propri beni in Gattatico, provincia di Reggio e segnalava che "oltre ai beni confiscatile in base alla
legge 9.2.39 n. 126 come quota eccedente, le erano stati confiscati anche i rimanenti beni (quota consentita) in base al decreto della R.S.!. del 4.1.'44 n. 2 e
cioé:
a) Villa con parco e terreno dell' estensione di ha. 2,1217
b) Podere "Vescovi l'' dell'estensione di ha. Il,2216
AdS, RE, Ibidem, fascicoli singoli 1-33.
Ibidem, fase, 43. Per l'entità delle aziende agrarie censite a fini di requisizione si veda la parte finale del presente paragrafo,
31 Ibidem, Fascicoli singoli 1-33.
29
30
27
c) Podere "Vescovi II'' dell'estensione di ha. 3,5635
d) Apprezzamento Bolognesi dell' estensione di ha. 3,2896
Tra i beni sequestrati risulta anche:
Bottega in Via Emilia San Pietro, 12, di Jacchia Lina e un fabbricato sito in
Via Emilia San Pietro, 28 di Benedetto Melli (marito della Jacchia) consistente
in una casa di tre piani per un totale di vani 27.
La O.N.R., che si distinguerà soprattutto per l'azione di repressione (torture
comprese) nei confronti dei partigiani o sospetti tali, cominciò a dar prova della propria efficienza sia nell' arresto di ebrei da inviare ai campi di sterminio che
nel sequestro (o nel furto?) di beni appartenenti agli stessi, a volte andando anche oltre il dettato di leggi e decreti già di per sé iniqui. Infatti da una comunicazione (firmata "Scolari") dell' Amministrazione dei beni egli ebrei, in data
29.3.1944, al capo della provincia, si apprende che, dovendosi restituire i mobili della signora Thei "di razza ariana" , poiché tali mobili non sono del marito
Emilio Segré, di razza ebraica, "essendo stata la O.N.R. a ritirare i mobili non
è competenza di questa amministrazione provvedere alla restituzione" .
Chissà se quei mobili vennero poi ritrovati.
Non furono mai più ritrovati quelli dei fratelli Padoa la cui abitazione (d'affitto) in via Sessi, venne saccheggiata di tutto quanto conteneva.
Si tolse la pensione agli ebrei che ne godevano senza riguardo nemmeno per
le madri di caduti in guerra, come apprendiamo dalla seguente comunicazione
dell' Intendenza di Finanza de131. 3 .1944 al capo della provincia:
"In ottemperanza alla circolare Div. A.V.N. n. 180160 del 26.2.44 ... trasmettiamo elenco persone di razza ebraica beneficiarie di pensione:
1- Ottolenghi Elisa [ebrea discriminata] fu Salvatore, di Reggio Emilia, madre di Costanzo Bruno, soldato morto in guerra.
II - Padoa Dante fu Paolo ... capo ufficio principale PP. TT.
III - Cantoni Alberto di Alessandro, di Montecchio, apparecchiatore telefonico.
IV - Ravà Linda di Raimondo, vedova Calò, di Reggio Emilia
V - J ona Anita di Alfredo, di Reggio Emilia, ordinaria nei Licei.
Si assicura che il pagamento delle rate mensili di pensione ad essi spettante è
stato sospeso" .
Ad Elvira Cevidalli venne invece lasciato il vitalizio delle Assicurazioni Venezia essendo tale vitalizio "a fini alimentari"; avendo all'epoca la Cevidalli
"oltre 70 anni di età e poiché la circolare dell'I 1.3.1944 escludeva l'invio in
campo di concentramento degli ultrasettantenni, tale vitalizio andava considerato un sostituto del mantenimento nei campi di concentramento' '32.
A fine marzo 1944 la prefettura di Reggio chiedeva all' Amministrazione dei
beni degli ebrei (che aveva sede in Via San Pietro Martire, 14), un elenco delle
aziende agrarie della provincia appartenenti ad ebrei.
Il "sequestratario" avv. Scolari rispondeva in data 6 aprile con un dettagliato elenco, dopo aver precisato che non vi erano incluse le aziende di Angela
32
Ibidem.
28
Giulia Rovighi in Sangiorgi e di Amedeo Osima (di Modena) "essendo in corso
gli accertamenti da parte della questura" .
Ne abbiamo ricavato le seguenti notizie:
ALMANSI Albertina vedova Sacchi: 1 podere di Ha. 2,2321 a San Ruffino
di Scandiano, condotto da Mario e Adele Sacchi.
BLUM Maria Triossi: 3 poderi di biolche 44,16 e 14 (per un totale di 74 biolche, pari ad ha. 21,6228) condotti a mezzadria rispettivamente da Angelo Bassani, Alfredo Zaccarelli e Celso Zavaroni.
BLUM dott. Roberto fu Giulio: 2 poderi a Villa Massenzatico di biolche 87 e
32, condotti rispettivamente dai mezzadri Claudio Valli e Claudio Corradini.
(totale 119 biolche = ha. 34,7718)
CANTONI Lucia: 1 podere di 40 biolche (= ha, Il,6880) a Boretto, condotto dall'affittuario Alfredo Tosi.
CARMI Gino fu Umberto: 3 poderi a Villa Rivalta di estensione non precisata, condotti in affitto da Masino Cucchi, Eliseo Casini e Primo Mazzini; 1 podere di biolche 50 (= ha. 14,61) a Villa Gavassa, condotto dal mezzadro Francesco Melioli; la tenuta' 'Lupo" , di ben 500 biolche, sulle colline che vanno dal
territorio del comune di Vezzano (Ca' del Lupo) a quello di Viano, condotta in
affitto da Luigi Gianferrari. (Totale biolche accertate 550 = ha 160,7100).
CORINALDI (sorelle): 1 podere di biolche 50 (= ha. 14,61) a San Prospero
Strinati, condotto a mezzadria dai fratelli Bigi.
CORINALDI Mario fu Cesare: il podere di biQlche 30 (= ha. 8,7660) a Villa
Cavazzoli, condotto a mezzadria da Giuseppe Montecchi e fratelli.
CORINALDI dott. Giulio (da solo): 2 poderi a Villa Massenzatico di biolche
50 e 40, condotti a mezzadria, rispettivamente, da Antonio Viappiani e Alessio
Gianferrari; Con Olga Muggia: 1 podere a Massenzatico di biolche 50, condotto a mezzadria da Augusto Ferretti, 1 podere a villa Pieve Modolena di biolche
20 condotto a mezzadria da Ennio Ferrari; con la sorella Vittoria: 1 podere di
biolche 70 a Pratofontana, condotto dal mezzadro Luigi Simonazzi, 2 poderi a
San Michele di Bagnolo di biolche 57 e 35 condotti rispettivamente dai mezzadri Primo Vecchi e Giovanni Sberveglieri; con Vittorio Corinaldi: 1 podere a
Pratofontana di biolche 50 condotto dal mezzadro Rossi. (Totale biolche 372
= ha 108,6984)
DI CAPUA prof. Giuseppe: 1 podere di ha. 4,0911 a Cognento di Campagnola condotto in affitto da Valseno lotti.
FINZI avv. Sergio: 5 poderi in comune di Correggio (per un totale di 95 biolche) dei quali due a Fazzano (biolche 20 + 20, mezzadri Giulio Carnevali e Virginio Valli), due a San Prospero (biolche 23 e 15, mezzadri Ludovico Magnani
e Adamo Gasparini), uno a San Biagio (biolche 17, mezzadro Angelo Lotti).
(Totale biolche 150 = ha 43,83)
FINZI ing. Rinaldo: 2 poderi a Rio Saliceto di biolche 28 e 60 (mezzadro
Leone Morandi, affittuari i fratelli Garuti). (Tot. biolche 88 = ha25.7136)
FINZI (eredi): 1 podere di biolche 18 a Rio Saliceto, condotto dal mezzadro
Mansueto Caffagni.) = ha. 5,2596)
MODENA Gina vedova Perugia: 1 podere di ha. 15,2943 a Bagnolo in Piano, condotto a mezzadria da Vittorio Ferretti.
29
MODENA prof. Guido: 2 poderi a Bagnolo in Piano di ha. 14,3224 e Il,947
(mezzadri Nello Montanari e Emilio Caroli).
MODENA Lucia in Ravenna: 3 poderi di biolche, ciascuno, 69 (a Villa Roncocesi, affittuari Spadoni Vito e Giuseppe), 6 (a Villa San Pellegrino, affitt.
Carlo Bartoli) e 85 (a Villa Argine, aff. Vittorio Reggiani e f.lli). (Totale biolche 160 = ha. 46,7520)
MODENA prof. Gustavo: 2 poderi a Bagnolo in Piano di ha. Il,7929 (mezzadro Italo Lusetti) elI, 1682 (mezzadro Remigio Lodesani).
MODENA Marco fu Riccardo: 3 poderi di biolche 50,23 e 40, rispettivamente a San Maurizio (i primi due, mezzadri Adelmo Vacondio e Vito Vacondio) e
a Villa Gavas~a (mezzadro Vittorio Cavazzoli). (Totale biolche 113 = ha.
33,0186)
SANIGAGLIA dott. Guido: 1 podere di biolche 8 a San Martino Piccolo di
Correggio, in affitto ad Alessandro Caretti.
SANIGAGLIA avv. Claudio e sorelle: 1 podere di biolche 9 a S. Martino
piccolo di Correggio, in affitto ad Oreste Fontanesi; 1 podere (in comproprietà
con la sorella Gilda) di biolche 33 a Campagnola, condotto a mezzadria da Antonio Meschieri (Totale biolche 42 = ha. 12,2724)
SANIGAGLIA Lucia e Gilda: 1 podere a S. Martino Piccolo di Correggio di
biolche 6,5 in affitto a Sperindio Biagini. (ha. 1,8993).
ROVIGHI Anna Armida: 3 poderi di biolche 45, 18 e 50 rispettivamente, a
S. Prospero di Correggio (affituari f.lli Orlandini) e a Santa Maria della Fossa
(Novellara), affittuari Lugi Palmieri e f.lli Diacci (Totale biolche 113 = ha.
33,0186)
SEGRE' Lisa: 2 poderi a S. Martino in Rio di biolche 57 (mezzadro Augurio
Magnani) e 28 (affittuario Zeffirino Bussei). (Totale biolche 85 = ha. 24,8370)
TEDESCHI avv. Augusto: 1 podere a San Polo d'Enza di biolche 8 (mezzadro Francesco Aguzzoli). (= ha. 2,3376).
TEDESCHI Costanza vedo Salmon (eredi): 2 poderi di biolche 75 (a Villa
Masone, affittuario Crotti) e 45 (a villa Ospizio, mezzadro Sante Ruozzi). (Totale biolche 120 = ha. 35,0640)
TEDESCHI Bice vedo Salmon: 3 poderi a villa San Pellegrino di biolche 37
(mezzadro Guglielmo Gandolfi), 25 (mezzadro Anselmo Gandolfi) e 12 (affittuario Diego lotti). Totale biolche 74 = ha. 21,6228).
In complesso furono dunque censiti, per essere requisiti, oltre 700 ettari di
terreno agrario appartenente ad ebrei (reggiani e non) in provincia di Reggio
Emilia.
Chi aiutò gli ebrei
Se l'apparato della R.S.!., anche in sede locale, si applicò diligentemente nel
rapinare gli ebrei, nel dar loro la caccia, nel consegnare ai carnefici nazisti
quanti vennero arrestati, nel fomentare l'opinione pubblica contro la "razza
maledetta" , diversi reggiani che ne ebbero l'occasione furono disponibili a soccorrere i loro conterranei perseguitati per motivi razziali.
Ancora una volta, furono in particolare esponenti del mondo cattolico, sa-
30
cerdoti e laici, ad impegnarsi consapevolmente in tale opera. Ma non mancarono, come vedremo, anche nanifestazioni di solidarietà, a rischio della propria
vita, da parte di gente umile, di famiglie contadine, di militanti comunisti già
impegnati nella Resistenza.
Don Pasquino Borghi (il prete "partigiano" che sarà fucilato dai fascisti il
30 gennaio 1944 assieme ad altri 8 patrioti), nel periodo in cui fu cappellano a
Cànolo di Correggio (giugno 1940 - 16 ottobre 1943) manifestò con fermezza,
in più occasioni, il proprio dissenso rispetto al fascismo, su varie questioni, ivi
compresa quella delle persecuzioni antisemite.
"Ovunque egli avvertisse il bisogno, accorreva noncurante del pericolo cui si
esponeva. lo personalmente ne ho avuto parecchie dimostrazioni - scrive l'ebreo correggese Pio Finzi -. Perché, per quanto di razza ebraica, mi aveva posto fra i suoi più affezionati confidenti.
Non vi era giorno in cui egli fosse a Correggio che la sua prima visita non fosse a me dedicata, e, cammuffandosi da normale cliente quando le circostanze lo
richiedevano, diventava subito, appena soli, il loquace narratore di ciò che aveva fatto e di quanto intendeva fare a vantaggio della causa che mai dimenticava. E posso forse io dimenticare don Pasquino nel settembre 1943, il giorno
successivo a quello in cui io e i miei egregi compagni di ... galera fummo liberati
dal carcere, ove eravamo stati portati dai tedeschi? Egli venne a congratularsi e
quasi con le lagrime agli occhi mi raccomandava di andarmene da Correggio,
perché - era sempre lui che parlava - 'per quanto pochi siano i vostri nemici,
molto da questi malvagi dovete temere!'. E mi offerse con insistenza ospitalità
nella piccola parrocchia della quale da poco aveva preso possesso' '33.
Quella "piccola parrocchia" è certamente quella di Tapignola, sull' Appennino reggiano. Don Pasquino ne era stato nominato parroco nell'agosto 1943
ma ne prese possesso effettivo soltanto il18 ottobre successivo.
A Tapignola, come è noto, don Pasquino ospiterà, sul finire di ottobre del
'43, il gruppo partigiano capeggiato da Aldo Cervi.
Un'altra personalità del mondo cattolico reggiano, il prof. Pasquale Marconi, che fu anche uno dei massimi dirigenti della resistenza locale, fu protagonista di un episodio assai significativo.
Già impegnato dall'indomani dell'8 settembre '43 in una intensa e rischiosa
attività di soccorso a militari alleati fuggiti dai campi di prigionia e che venivano ospitati nel suo ospedale di Castelnovo Monti o in case private e canoniche,
il5 dicembre 1943 sfidò la G.N.R. protestando contro l'arresto di ebrei.
Nominato commissario al comune di Castelnovo Monti nell'estate '43, in
periodo' 'badogliano" , rivestiva ancora tale carica ai primi di dicembre, quan-
PIO FINZI, Don Pasquino Borghi, in "Reggio democratica", 13 luglio 1945.
"Riferisce,[. .. ] don Poppi che anche nell'ultimo periodo in cui don Pasquino fu cappellano a Cànolo, - dal luglio del '42 all'ottobre del '43 - essendo parroco don Mario Graziali, furono non meno
di una decina i casi in cui venne invitato dalla polizia o dal segretario del P.N.F. per essere richiamato all'ordine". (In SALVATORE FANGAREGGI, Un prete nella Resistenza. Don Pasquino Borghi,
Roma, La Tartaruga, 1975, p. 56).
33
31
do arrivò l'ordine di arrestare una ventina di ebrei libici che erano stati confinati in quel comuneo
"Lo seppe per casoo - scrive un anonimo testimone - Si precipitò in piazza
mentre stavano per caricarli sull'autocorriera; fece una scenata di protesta al
comandante dicendogli di vergognarsi di portare quella divisa e chiedendo perché non lo avevano avvertito, essendo lui il responsabile dell'ordine pubblico, e
quindi anche dei confinati ebreio Poi abbracciò tutti gli ebrei e li baciò o
Per qualche giorno restammo col cuore sospeso, temendo l'arrestoo Arrivò
solo la destituzione dal Commissariato"34
L'episodio ebbe una eco anche sulla stampa locale: Amici dei nemici, è il significativo titolo di un pezzo, firmato "moco", pubblicato in prima pagina sul
"Solco fascista" del 14 dicembre' 43, dove leggiamo:
"Che gli Ebrei [000] abbiano per unico scopo la totale rovina di tutte le altre
razze [000] è noto a tutti.. o", ma, continua l'articolista venendo all'episodio in
questione, "tolto di mezzo il giudio è restato il filo-giudioo E qualche esemplare
di questa triste fauna esiste evidentemente anche dalle nostre parti, se il Capo
della Provincia di Reggio, non più tardi di ieri, ha dovuto adottare un radicale
provvedimento nei confronti di un individuo che - nonostane la carica pubblica
che ricopriva e l'alta posizione sociale occupata come privato - ignorava o fingeva di ignorare che gli amici dei nostri nemici sono nostri nemici o[00 o]
Una prima misura è stata presa contro il profo dott. Marconi. Non è detto
che altre non debbano seguire' '35 o
Restando sempre sull' Appennino, vanno poi ricordati, come luoghi ospitali
per ebrei sottrattisi all'arresto e alla deportazione, le canoniche di Massa (con
l'allora giovane parroco don Nino Monari, partigiano) e di Quara, entrambe in
comune di Toano, che ebbero ad accogliere alcuni ebrei, tra cui il modenese
ingo Leone Padoa, il quale "commosso per il rifugio concessogli" ebbe ad esortare il parroco di Quara, don Enzo Bonibaldoni "ad essere cauto nell'aiutare
tanto apertamente sia israeliti che prigionieri alleati per non incorrere in guai" o
"Al che don Boni[baldoni] rispose: 'Se è desiderio del Signore che io muoia
per fare del bene a degli esseri umani, sia fatta la volontà del Signore' "36
Passando dall' Appennino alla pianura reggiana segnaliamo che a Campagola Emilia, "già nella prima fase organizzativa della Resistenza si diede anche rifugio, nelle case di latitanza, ad ebrei che rischiavano di finire nei campi di sterminio nazistio
0
34 In FRANCESCO MILAN! (a cura di,), Il dro Pasquale Marconi autobiografo (o 00 o quasi), CastelnovoMonti, 1973, po 830
35 Sul "Solco Fascista" del 14 dicembre '43, oltre al pezzo riportato compare anche, in pagina locale, il seguente comunicato: "con provvedimento odierno ho destituito dalla carica di Commissario prefettizio per Castelnovo Monti il prof. dr oPasquale Marconi per inopportuno atteggiamento
nei riguardi degli ebrei.
In sua sostituzione ho nominato il rago Salvatore Sorgi [o oo] "[firmato] Enzo Savorgnan" o
36 ILVA VACCAR!, Il tempo di decidereo Documenti e testimonianze sui rapporti tra il clero e la Resistenza, Modena, CoI.RoSoE.Co, 1968, p. 88.
Ma l'arcivescovo di Modena, mons. Cesare Boccoleri "non esitò a far pervenire a don Nino e don
Elio Monari una ufficiale diffida con minaccia di sospensione a divinis se avessero continuato nella
loro attività di aiuto agli sbandati e ai partigiani", scrive LUCIANO CASAL! (Storia della Resistenza a
Modena. I., MO, ANPI, 1980, p. 226).
32
Nel tardo autunno del '43 alcuni israeliti furono clandestinamente accompagnati a Milano, da Campagnola, ad opera di Ennio Griminelli, che li affidava
ai compaesani Frangiotto Terzi [... ] ed Ester Bruschi, colà residenti, perché venissero poi fatti espatriare in Svizzera con l'aiuto di contrabbandieri.
Verso la fine di febbraio del '4410 stesso Griminelli dovrà espatriare, utilizzando quel "canale", perché ormai troppo espc;>sto anche in ragione del suo
lungo passato di comunista perseguitato"37. Ancora relativamente a Campagnola "la maestra Teresa Ferrari, all'epoca studentessa delle Magistrali, ricorda dal canto suo come nella propria casa sia stato ospitato un ebreo triestino,
che si faceva, chiamare Stelio Marchi (nome che sembra preso da un romanzo di
Liala), ma il cui vero nome era Giorgio Finzi.
"Il suocero del Finzi - continua il racconto di Teresa Ferrari - aveva comprato la cantina di un mio zio. Sicché il 'Marchi' era venuto lì come contabile della
cantina stessa, ma in realtà per sottrarsi alle persecuzioni antisemite. lo tenevo
in consegna, e ben nascosti, i suoi documenti di identità (quella vera). Oltre a
me conosceva la sua identità la moglie del dott. Magnanini, Maria. Il Finzi era
sposato e padre di un figlio. Si incontrava periodicamente con la moglie e col figlio, in treno, chiacchierando come fossero compagni di viaggio occasionali.
A un certo punto in casa nostra mettemmo a tavola insieme Demetrios il greco [confinato in loco], l'ebreo Finzi e un soldato tedesco del presidio locale,
Kurt, di sentimenti antinazisti. Dopo cena tutti e tre insieme ascoltavano radio
Londra" 38 .
Siamo in grado di precisare che la signora Maria Magnanini, nata Sinigaglia,
era di origine ebraica, ma battezzata dalla nascita. Il padre, Giovan Battista Sinigaglia, era stato podestà di Correggio dal 18 febbraio 1927 ed era morto il 26
marzo 1929.
Ci pare significativo che soltanto a lei, oltre che alla giovane Teresa Ferrari,
fosse nota l'identità del Finzi.
.
Da ultimo, certamente non per importanza, ricorderemo l'atteggiamento
apertamente antirazzista sempre mantenuto e apertamente manifestato da don'
Angelo Cocconcelli, parroco dal 1941 (ed ancora mentre scriviamo) di San Pellegrino, alla periferia sud di Reggio, protagonista della Resistenza fin dal suo
nascere e condannato a morte in contumacia da un tribunale repubblichino.
Tale atteggiamento don Angelo lo manifestò sia prima che dopo l'occupazione
nazista, anche nella sua funzione di insegnante, appoggiandosi (come egli stesso significativamente dichiara) all'autorità del Pio XI della Mit brennender
Sorge e lo portò a sfidare i nazisti per sottrarre alla deportazione Beatrice Salmon Tedeschi, quando già le SS l'avevano arrestata. (Si veda la ricca e interessante testimonianza di don Angelo che pubblichiamo in appendice).
Sia Beatrice Salmon (che dopo la guerra si farà cristiana, ricevendo il battesimo dallo stesso don Angelo) che Gino Ravà furono alla lunga sottratti alla de-
37 ANTONIO ZAMBONELLI, Antifascismo e Resistenza in un paese della 'bassa'.
(1919-1945), Campagnola, ComuneeANPI, 1984, p. 77.
38 Ibidem, p. 78.
Campagnola Emilia
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portazione anche grazie all'impegno di medici che sostennero la necessità di
prolungati ricoveri in ospedale degli stessi onde impedirne l'arresto.
E pare che altri casi analoghi - sui quali sarebbe necessario indagare ulteriormente - si siano verificati nella nostra provincia.
Ma sull'atteggiamento della gente anche più "umile", di semplici famiglie
contadine, una testimonianza di prima mano ci viene sia dall'avv. Tedeschi che
dalla rag. Ve'ra Padoa.
L'avv. Tedeschi, che, tra settembre e fine novembre del '43, visse coi familiari ospite di due diverse famiglie contadine della collina reggiana, afferma al riguardo: "sento il bisogno di sottolineare che tutte queste persone (alcune [... ]
amiche di famiglia, ma altre, come quei contadini che ci ospitarono presso di
loro, che non avevamo, prima di allora, mai viste né conosciute) hanno certamente rischiato la vita - e ne erano perfettamente consapevoli - per salvarci.
Di tutto questo io gli sono stato e gli sarò sempre profondamente grato: e
non solo e non tanto perché il loro aiuto ci ha consentito di sottrarci alle persecuzioni naziste, ai campi di sterminio, ma soprattutto perché mi ha dato la possibilità di maturare, sin da ragazzo, la constatazione, che poi mi ha accompagnato per tutta la vita, del profondo ed innato senso di umanità e di fratellanza
della nostra gente' '39.
Vera Padoa, che fu ospite, assieme al fratello prof. Lazzaro, al padre, e ad
una zia, di una famiglia contadina dell' Appennino, in comune di Villa Minozzo, dichiara dal canto suo: "In montagna ci andammo in incognito, ma poco
dopo il nostro arrivo molti sapevano chi eravamo in realtà. Era gente che prima
non ci conosceva ma che fu assai cordiale e accogliente" .
E quando il padre dei fratelli Padoa morì, il 4 agosto del' 44 "anche in quella
circostanza - aggiunge Vera Padoa - avemmo la toccante solidarietà di quella
buona gente: chi ci portò due uova, chi un pezzetto di burro fatto in casa, chi
un chilogrammo di farina ... , tutta roba assai preziosa in quei tempi e la cui donazione ci faceva tanto più piacere in quanto in quei gesti sentivamo una affettuosa solidarietà' ,40.
"Avemmo esempi luminosi di generosità da gente umile", conferma il prof.
Lazzaro Padoa.
Anche a Leguigno di Casina, secondo la testimonianza di un ex partigiano,
Giorgio Cucchi, c'era in una casa, ospite dei contadini che l'abitavano, un
ebreo assieme a due piloti inglesi.
Si trattava, dice Cucchi, "di un certo Ferrara, l'ho incontrato 3 o 4 volte nei
boschi lì attorno. Mi disse lui chi era e mi spiegò qualcosa dei campi di sterminio in Germania. Poi non lo vidi più" .
Il senatore Prampolini, dal canto suo, risulta avere a sua volta aiutato degli
ebrei milanesi, certi Minerbi, a salvare parte dei propri beni (si trattava di opere
d'arte) nascondendo li nella sua villa signorile nei pressi di Mancasale, alla periferia nord di Reggio. Questo almeno si ricava dalla lettera che il prefetto nominato dal C.L.N., avv. Vittorio Pellizzi, scrisse il 27 luglio 1945 al C.L.N. fra39
40
Si veda in appendice il testo integrale della testimonianza dell'avv. Franco Tedeschi.
Si veda in appendice il testo integrale della testimonianza della rag. Vera Padoa.
34
zionale di Mancasale perché permettesse al sig. Minerbi il recupero "nella villa
del Senatore Prampolini di Mancasale di sculture che vi erano state 'murate'
nel 1943 con l'autorizzazione del Senatore medesimo [... ]41. Anche dalle notizie
già riferite a suo luogo, e ricavate dal Memoriale Finzi, relative agli ebrei correggesi, si rileva la presenza di un diffuso atteggiamento di positiva "omertà"
se non di attiva solidarietà, da parte della popolazione correggese "ariana" nei
confronti della piccola minoranza ebraica durante l'occupazione germanica. E
ciò anche quando, come nel caso di Walter Finzi, si trattava di un ex squadrista
fascista: poté vivere fino alla Liberazione nelle campagne correggesi (dall'estate '44 quasi totalmente controllate da un forte movimento partigiano "sapista" a forte dominanza "rossa"), lavorando come bracciante, "conosciuto da
molti e non denunciato da nessuno", per usare le esatte parole del Memorialista.
Crediamo di ravvisare anche qui un atteggiamento contadino di accoglienza
verso il braccato dal potere, nutrito di antichi succhi cristiani, in larga misura
reinverati da una più recente tradizione di solidarismo socialista; un solidarismo che tanta parte ha avuto nel determinare il senso comune di larghe masse
popolari della nostra terra (come ho cercato di dimostrare altrove), passando
anche attraverso il fascism0 42 •.
Al di là di ogni mitologia sugli "italiani brava gente" , crediamo di poter affermare che, nonostante l'apparato propagandistico antisemita dispiegato dal
fascismo locale dal 1938 al 1944, i reggiani seppero in larga misura comportarsi
con grande civiltà nei confronti degli ebrei. Le stesse case contadine che si aprirono ad accogliere, dopo 1'8 settembre 1943, ex militari italiani sbandati, ex
prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento, seppero con pari senso
di fraternità accogliere, ogni volta che se ne presentò l'occasione, gli ebrei braccati dai nazisti e dai loro coadiuvanti repubblichini locali. Certo, è probabile
che anche a Reggio ci siano stati, come qualcuno mi dice sottovoce, dei cacciatori delle taglie che i nazisti pagavano per ogni ebreo denunciato. Se questo immondo fenomeno potrà un giorno essere documentato non ci sottrarremo al
dovere di renderlo noto. Sarà la conferma ulteriore di una ipotesi in cui già crediamo e che già abbiamo qui, in parte, documentato: il cono d'ombra dello
sterminio ha riguardato anche il fascismo italiano.
Ma l'atteggiamento "di massa" manifestato dai reggiani in quelle tragiche
circostanze fu di tutt'altro segno.
Al prezzo della taglia diversi reggiani preferirono il rischio, per essi mortale,
dell' accoglienza al braccato, militare sbandato o ebreo che fosse.
E' poi significativo che personalità del mondo cattolico (sacerdoti come don
Pasquino Borghi e don Bonibaldoni, intellettuali laici come il prof. Pasquale
Marconi) abbiano saputo andare oltre lo stereòtipo cattolico dei "perfidos
ebreos" per vedere invece - ante litteram -l'immagine woitiliana dei "fratelli
maggiori", o forse, più semplicemente, quella dei fratelli tout court.
41 AdS RE, Ibidem.
42 ANTONIO ZAMBONELLI,
Contadini ed operai di campagna: l'insorgenza antifascista nel forese
reggiano, in Contadini e antifascisti nelle ville di Reggio Emilia, R.E., 1984; ID., Cooperative e
cooperatori attraverso il fascismo, in "L'Almanacco", rivista di studi storici e di ricerche sulla societàcontemporanea, A.VI, n. 11, 1987.
APPENDICI
Testimonianze
VERA PADOA.· TRA I MONTANARI DI COSTABONA
Ho intervistato la rag. Vera Padoa per telefono, il 15 giugno 1988, prendendo appunti. Il testo scritto da me successivamente rielaborato, omettendo
le domande, è stato sottoposto all'intervistata, che non vi ha apportato correzioni di sorta, insistendo però sul fatto che né essa né il fratello prof. Lazzaro, desideravano esporsi pubblicamente con dichiarazioni relative alle loro
esperienze di ebrei perseguitati; ciò anche in ragione - sostiene la sig.na Vera
- della poca rilevanza del loro vissuto personale rispetto a quello di quanti
hanno fatto l'esperienza dei campi di sterminio.
Crediamo di non esercitare una imperdonabile violenza pubblicando comunque la testimonianza. Ci conforta in questo il messaggio estremo che
Primo Levi ci ha lasciato con il suo ultimo libro I sommersi e i salvàti, seguìto dal suicidio nel libro stesso 'annunciato' riflettendo su quello di Jean
Améry (Hans Mayer), un suicidio che fu per Primo Levi, come per Jean
Améry sconvolgente e nobile sottolineatura della volontà di essere ascoltati,
dai giovani in particolare, su ciò che è potuto accadere affinché più non accada.
(a.z.)
Sì, subimmo sequestro di beni, già dopo l'entrata in vigore delle leggi razziali.
La vera prima tragedia fu il licenziamento di mio padre, dalla sera alla
mattina, dal suo impiego di direttore della ragioneria delle poste di Reggio.
Per lui fu un colpo terribile; dopo di allora non è più stato lo stesso uomo.
Oltretutto fu un dramma anche economicamente.
Mio fratello si arrangiava dando lezioni private, aveva già cominciato da
quando era studente universitario.
36
Va però detto che, in generale, la gente non ci era contraria, non manifestava ostilità verso di noi.
Anch'io lavoravo. Diventata ragioniera nel 1937, ero impiegata presso un
imprenditore privato di Bagnolo che aveva un caseificio, dei terreni ... Ci andavo da Reggio in treno. Poi ho trovato un posto, sempre da un privato, qui
a Reggio. Così ho sempre potuto lavorare. Nel posto a Reggio ci sono rimasta per alcuni anni anche dopo la guerra [dopo l'interruzione per sottrarmi
alla cattura].
In montagna ci andammo in incognito, ma poco dopo il nostro arrivo
molti sapevano chi eravamo in realtà. Era gente che prima non ci conosceva
ma che fu assai cordiale e accogliente. Mio fratello dava lezioni anche in
montagna. Siccome le scuole non funzionavano, dava lezioni anche a bambini delle scuole elementari.
In montagna ci aveva invitati un signore che era là sfollato.
Stavamo in una casa contadina a Montecchio, in comune di Villaminozzo,
parrocchia di Costabona, sì lungo la strada di Strambiana che dal torrente
Secchiello sale a Costabona. Pagavamo l'affitto.
Eravamo senza tessera per il prelievo dei generi alimentari, ma ottenevamo
il necessario per nutrirci dai contadini del posto, ai quali io rendevo vari servigi lavorando con loro nella raccolta delle patate, dei fagioli, innaffiando
quotidianamente l'orto, ecc.
Li aiutai in qualche modo perfino in occasione del parto di una mucca
benché io, cittadina e non abituata al contatto con le bestie, ne avessi un po'
paura: fu nell'inverno '44-'45, durante una puntata tedesca; gli uomini,
compreso mio fratello, si erano tutti nascosti in un casolare isolato. Vegliai
tutta la notte la mucca con la padrona di casa.
Al mattino, c'era la neve, andai a portar da mangiare agli uomini e ad avvertire il marito; siccome non avevo scarpe adatte calzai quelle del mio defunto padre; siccome mi stavano larghe misi della carta attorno alle calze. Il
contadino mi diede le istruzioni necessarie per il parto della mucca ed io le riportai alla moglie. A sera, col buio, anche il padrone fece una scappata a casa per controllare che tutto fosse andato bene. Per quei contadini una mucca
era molto importante, date le loro condizioni, e meritava anche il rischio di
muoversi durante una puntata tedesca.
Come vede, niente di eroico nella mia esperienza, niente di paragonabile
alle sofferenze patite da chi è stato ad Auschwitz ... eppure per me fu una
esperienza drammatica, come furono drammatiche le circorstanze della morte del papà. Avvenne il 4 agosto 1944. Gliuomini erano tutti andati a nascordersi nei boschi per sottrarsi al grande rastrellamento germanico iniziato a fine luglio. Quando i tedeschi passarono di lì io gli andai incontro col sorriso
sulle labbra, ma può capire con quali sentimenti in cuore ... A noi donne lì
non accadde nulla. Papà si spense appunto il 4 agosto, ed anche in quella
circostanza avemmo la toccante solidarietà di quella buona gente: chi ci portò due uova, chi un pezzetto di burro fatto in casa, chi un Kg. di farina ...
tutta roba assai preziosa in quei tempi e la cui dOnazione ci faceva tanto più
piacere in quanto in quei gesti sentivamo una affettuosa solidarietà.
37
Lì a Montecchio eravamo noi due fratelli, il papà, la mamma e una zia.
Alloggiavamo nella casa dei Ferrari; sotto il nostro alloggio c'era uno stallino per le pecore. Per i bisogni si doveva andare nella stalla delle mucche ...
Il papà morì mentre vedevamo Villa bruciare, si sentiva anche il crepitìo
delle fiamme. Alla notte la vallata del Secchiello era colma ancora della luce
rossastra degli incendi appiccati dai tedeschi. lo ero a casa con le altre donne, mio fratello era nascosto con gli uomini nei boschi. .. Il padrone di casa
fece una cassa, durante la notte, con alcune assi. .. La caricammo su di una
treggia trainata dai buoi e la portammo al cimitero di Costabona, dove avvenne l'inumazione. Dopo la guerra i resti del papà furono traslati al cimitero israelitico di Reggio.
Quanto alla religiosità, la mamma era in particolare osservante dell'ebraismo. Il papà un po' meno, anche perché era nato da un matrimonio misto.
Suo padre era ebreo, sua madre no.
Quando ero bambina abitavamo in una nostra casa a Scandiano, proprio
a ridosso della torre della rocca, dove c'era l'antico Ghetto. Poi venimmo a
stare a Reggio nelle case dei postelegrafonici in via U. Cagni n. 4. Con le leggi e razziali e col licenziamento del babbo fummo sfrattati; trovammo un appartamento in affitto in Via Sessi.
Nell'estate '43 eravamo tornati nel nostro appartamento di Scandiano, dove io rimasi, con tutto il resto della famiglia, anche nell'ottobre-novembre
'43, mentre mio fratello si era già rifugiato in montagna, dove poi lo raggiungemmo: i vecchi non volevano partire, ho dovuto faticare per convincerli...
Andavamo alla sinagoga ogni sabato, anche a Scandiano, dove la sinagoga era privata, della famiglia Almansi, e situata proprio sopra al nostro appartamento, al 2° piano. Quelle case, compresa la sinagoga, furono poi demolite nel dopoguerra. La sinagoga era bella, aveva decorazioni in gesso: si
cercò di salvarle al momento della demolizione ma andarono in briciole. Della sinagoga di Scandiano ci rimangono soltanto le fotografie.
Di Almansi a Scandiano ce n'erano 2 o 3 famiglie.
Quando frequentavo le scuole elementari ero esonerata dalle lezioni di religione cattolica. In 4.a e in 5.a si è dato il caso che avessi come insegnante la
M.a Camerini, ebrea, la quale era a sua volta esonerata dall'insegnamento
della religione, compensando quell'ora di mancata lezione con l'insegnamento di canto; sicché mi portava con sé nella classe dove teneva lezione. Quando frequentavo l'istituto tecnico, prima metà anni trenta, se la lezione di religione era alla prima ora andavo a scuola con un'ora di ritardo, se era all'ultima uscivo un'ora prima, se era a metà mattina uscivo temporaneamente
dall'aula e stavo nello sgabuzzino delle bidelle.
L'istruzione religiosa ebraica la ricevevo in casa.
Durante l'occupazione tedesca ci presero tutto quello che c'era nell'appartamento di Via Sessi.
Salvammo invece la roba di Scandiano poiché i nostri inquilini avevano
occupato anche il nostro appartamento ed ebbero cura di ogni cosa.
38
FRANCO TEDESCHI: DALL 'OSPITALITÀ CONTADINA
ALL'ESPATRIO IN SVIZZERA
Ho intervistato l'avv. Tedeschi il 15 ottobre 1987 nel suo studio di Via
Emilia San Pietro (R.E.), prendendo appunti. Il testo da me successivamente
rielaborato, omettendo le domande, è stato poi sottoposto atrintervistato
che vi ha apportato correzioni ed aggiunte.
Sono nato a Reggio Emilia il 12.6.1925 da Augusto (avvocato) e da Alba
Coen, originaria di Venezia. Mia nonna materna era una Zuckerman.
In casa nostra si parlava in italiano, non si usavano quasi mai parole
ebraiche; il dialetto l'ho imparato fuori casa, dai contadini.
In famiglia si praticava la religione ebraica, si seguivano le tradizioni. Andavamo in Sinagoga per le varie festività.
Non ricordo di aver frequentato la scuola di ebraico di cui parla Ravà.
Comunque qualche parola la so: asino si dice "hamor".
Si, lo Shemà Istrael lo recitavo a memoria, ma effettivamente l'ebraico
della liturgia era per me quel che può essere il latino per un bambino cattolico che impara il Pater noster.
No, in casa non costruivamo la capanna per la festa di Sukkot, però andavamo nel cortiletto interno vicino alla Sinagoga, dove le capanne venivano
allestite e dove mangiavamo la torta.
Durante le scuole elementari e medie ho sempre avuto un rapporto molto
normale, tranquillo, con gli altri ragazzi. Durante l'ora "di religione", o meglio, di dottrina cattolica, io uscivo dall'aula e tutto finiva lì.
Quando sul finire del 1938 vennero promulgate le leggi razziali mio padre,
il quale peraltro era stato fascista, mi spiegò che - tra l'altro - io non avrei
più potuto continuare a frequentare la scuola pubblica.
Ricordo che mio padre, che non era certo un uomo che non fosse abituato
a controllare i propri sentimenti, aveva gli occhi lucidi: e anch'io, ovviamente, rimasi molto scosso.
lo all'epoca ero in 2.a ginnasio.
I successivi 4 anni scolastici li feci da privatista. Prendevo lezioni dal Prof.
Padoa, (latino, greco, italiano) e dalla Prof.ssa. Mortari (matematica). Ogni
anno affrontavo l'esame per il passaggio alla classe successiva, fino all'anno
scolastico 1942-'43.
Una cosa mi colpì: agli esami di matematica ebbi sempre il prof. Lindner
ed ebbi sempre 8. Ora la matematica non era proprio il mio forte, anche se
scarso del tutto non ero. Comunque un 8, da Lindner, era un voto altissimo,
ed io pensai già allora che fosse anche il frutto di un'intenzione tacitamente
solidale, ciò che mi fu poi confermato da Lindner medesimo, dopo la
guerra.
Altra conseguenza delle leggi razziali fu la mia espulsione dall'organizzazione fascista giovanile.
Quanto agli amici, non ne avevo tanti... I compagni di scuola li persi di vi-
39
sta, del resto anche prima non ci si frequentava spesso al di fuori della
scuola.
Avevamo buone relazioni con la famiglia Ravenna (quella dell'ex podestà
di Ferrara).
L'estate 1943 la passammo a San Polo, come al solito, nella nostra villa
sopra al paese, lungo la strada per Canossa.
Subito dopo 1'8 settembre arrivarono i tedeschi a Reggio, non ancora lì a
San Polo, dove però fecero una puntata qualche giorno dopo: quando li vedemmo prendere la strada di Canossa uscimmo di casa e ci nascondemmo in
un fosso, per prudenza; li sentimmo passare e rientrammo. Un amico, l'ing.
Fornaciari, direttore della S.E.E.E., ci aiutò a nasconderci presso una famiglia contadina di sua conoscenza ma che noi non conoscevamo, a Montale di
Vedriano, nel comune di Ciano. Ci restammo un mese poi ci trasferimmo da
loro parenti a Croara.
Infine il dott. Molinari, di Traversetolo (PR), che forse era inserito in una
organizzazione per l'espatrio di perseguitati vari, ci diede indicazioni per raggiungere la Svizzera e sulla base delle quali, dopo un primo tentativo non
riuscito via Meina (avremmo dovuto appoggiarci al conte Bellentani, diventato famoso nel dopoguerra per una vicenda di cronaca nera), ritornati a
Croara, ripartimmo verso 1'8 dicembre.
A questo proposito, sento il bisogno di sottolineare che tutte queste persone (alcune, come ho detto, amiche di famiglia, ma altre, come quei contadini
che ci ospitarono presso di loro, che non avevamo, prima di allora, mai viste
né conosciute) hanno certamente rischiato la vita - e ne erano perfettamente
consapevoli - per salvarci.
Di tutto questo io gli sono stato e gli sarà sempre profondamente grato: e
non solo e non tanto perché il loro aiuto ci ha consentito di sottrarci alle persecuzioni naziste e ai campi di sterminio, ma soprattutto perché mi ha dato
la possibilità di maturare, sin da ragazzo, la constatazione, che poi mi ha accompagnato per tutta la vita, del profondo ed innato senso di umanità e di
fratellanza della nostra gente.
Raggiungemmo prima Parma, da dove l'ing. Fornaciari ci condusse in auto a Milano. Traversammo la città, su uno di quei bici-taxi che usavano in
tempo di guerra, per recarci alla stazione, dove giungemmo di sera e salimmo su di un treno pieno di soldati tedeschi mentre noi eravamo completamente privi di documenti, poiché non eravamo riusciti a procurarcene di falsi e quelli autentici ci avrebbero troppo facilmente denunciati per quel che
eravamo.
D'altra parte nutrivamo il timore che i tedeschi potessero riconoscerci anche dai tratti somatici: erano in genere molto addestrati al riguardo ... Comunque raggiungemmo sani e salvi Villa di Tirano in Valtellina. Mediante
una parola d'ordine prestabilita ci mettemmo in contatto con dei contrabbandieri nella cui casa restammo nascosti per una giornata. La sera seguente
una guida, lautamente pagata da mio padre (credo avesse sborsato 5.000 lire
- di allora - per ciascuno di noi cinque!) ci accompagnò fino oltre il confine
40
italo-svizzero. Era una bella notte, con la luna: salendo trovammo il terreno
coperto di neve.
Avevamo indumenti, e soprattutto calzature, assolutamente inadatti, in
particolare tenuto conto della stagione, a quel genere di "passeggiata".
Ricordo che a metà strada mi si distaccarono le suole delle scarpe; e quindi
dovetti proseguire calpestando - praticamente - le neve con i piedi protetti (si
fa per dire ... ) dalle sole calze.
Prima del confine la guida chiese altro denaro, dopo essere andato in
avanscoperta, motivando la richiesta con la necessità di dover "ungere"
qualche guardia confinaria.
Fummo lasciati soli oltre il confine con l'indicazione di rivolger ci alla casa
dei doganieri svizzeri, un poco oltre: ma le case che incontrammo erano due
e non sapevamo quale fosse la giusta, c'era il rischio di bussare a quella della
dogana italiana ... Ci avvicinammo ad una, ascoltammo le voci che venivano
dall'interno e sentimmo parlare in tedesco maturando un ultimo dubbio: "e
se fossero soldati germanici occupanti la dogana italiana?". Invece erano
svizzeri tedeschi e fummo accolti come profughi. Raggiungemmo Campocologno dove prendemmo il treno che ci portò, attraverso il Bernina e la val di
Poschiavo, nel canton dei Grigioni, vicino a Saint Moritz.
Il primo campo in cui fummo ospitati fu Adliswill; subito dopo tutti i miei
andarono a Champery, nel Vallese; io fui mandato a Sion, dove fui impiegato, assieme agli altri, in improbabili lavori di dissodamento del terreno, un
lavoro molto duro per me che non ci ero abituato.
Dopo circa due mesi fui trasferito a Lugano, in quello che avrebbe dovuto
essere un campo-studio, ma che in realtà si rivelò assai poco rispondente alle
caratteristiche che avrebbe dovuto avere.
Dopo qualche tempo fui trasferito a Champery, dove mi ricongiunsi con i
miei e dove rimasi sino all'agosto del 1945.
No, mio padre non ha mai cercato di avere finti attestati di battesimo, non
avrebbe mai accettato di ricorrere a ciò per evitare la persecuzione.
Dello sterminio non si sapeva nulla di preciso: avevamo notizie allarmanti,
ma nulla di sicuro.
Come ebreo, proprio praticante non lo sono, ma sento in me l'eredità morale dell'ebraismo. (*)
Ogni anno non manco di partecipare, nella sinagoga di Modena, alla festa
del Kippur.
Una delicata testimonianza del sentimento di appartenenza ebraica in questi versi inéditi di
Franco Tedeschi: Radici. lo sono come un vecchio / albero, che tutti / conoscono / per quello
che ne appare. / Il tronco, / i rami nodosi / e contorti, / le foglie che l'autunno / scolora. / Ma
le radici, / le nascoste radici che m'hanno / cresciuto / e che ancora mi nutrono, / io solo / le
conosco. / E non importa / se a volte io stesso / le dimentico, / poi che mi basta / un niente / e
subito risento / le antiche voci, / risento le nenie / le cantilene, / e rivedo la lampada / a sette
braccia / e le sette candele / che bruciano lentamente / nella penombra. / E in quella penombra
/ che a poco a poco / s'aggruma / di indefinibili presenze, / riascolto la preghiera / del vecchio
Rabbi / che avvolto nell'ampio rituale / mantello, / per sette volte / -le braccia levate all'arca /
dell'alleanza - / invoca il nome del Signore.
41
FA USTO RA VÀ: DAL GHETTO DI REGGIO
AL PASSAGGIO OLTRE LE LINEE
Ho intervistato il rag. Ravà, nato a Milano il 28.1.1914, il 9 ottobre 1987,
nella sede dell'Istituto storico Resistenza di Reggio, prendendo appunti. Il
testo da me successivamente rielaborato omettendo le domande, è stato poi
riveduto e corretto dal Ravà stesso.
"Mio padre era nato a Reggio Emilia nel 1885, ma per trovare lavoro si
era trasferito a Milano dove si era sposato con Angiolina Gazzotti, cattolica,
e dove io sono nato.
Mio padre, benché cresciuto in ambiente ebraico, non era un praticante
ortodosso ed era di sentimenti laici. Fu sempre un socialista di tendenza riformista e ammiratore di Camillo Prampolini.
Per queste sue idee, nel 1936, ormai rientrato a Reggio, venne schedato
dalla Questura, perché frequentava trattorie che erano ritrovo abituale di antifascisti.
Fin quando vivemmo a Milano, non ricordo che la nostra famiglia abbia
avuto stretti legami con l'ambiente ebraico, anche se, dopo la nascita, io fui
sottoposto a circoncisione.
Verso i sei anni tornai a Reggio e, in seguito alla separazione legale dei
miei genitori, andai con mio padre a convivere nella casa del nonno paterno
Serse. Questi era custode del Tempio Israelitico e quindi praticante.
A Reggio frequentai le scuole statali elementari e medie.
Ricordo di essere stato mandato dal nonno a scuola di ebraico dal vicerabbino Sig. Ottolenghi che era 1'officiante nel Tempio, ma il numero delle
lezioni fu così ridotto che, praticamente, non imparai nulla.
Come ho detto, dopo la nascita sono stato circonciso e, a suo tempo, sono
stato sottoposto alla cerimonia con cui si celebra 1'ingresso nella maggiore
età.
Della preghiera Shemà Israel ricordo qualche vocabolo, perché, anche nel1'infanzia, non conoscendone il significato, potevo ripeterla solo a orecchio.
In casa, mentre era in vita il nonno Serse, ci celebravano le festività religiose e, soprattutto in tali ricorrenze, si consumavano i cibi della cucina casher. Ricordo il Capo d'Anno ebraico, il giorno del Perdono (Yom Kippur),
la Festa delle Capanne e del Raccolto, la Festa delle Luci (Hannuccà), La Festa delle sorti (Purim) e la Pasqua (Pesach).
Però avvenivano anche trasgressioni alla tradizione strettamente ebraica.
Nella mia famiglia si parlava poco in dialetto reggiano, mentre questo era
comunemente usato in quella di mio nonno paterno.
Nelle conversazioni venivano però intercalate parole in ebraico; mi vengono alla mente ad es. 'chamor' per dire asino, 'chaserut' per 'cattiva qualità'
e 'moshau' per 'gabinetto'.
Nel 1938, alla promulgazione delle leggi razziali antiebraiche, io ero impiegato alle Officine Reggiane, ma riuscii a farmi discriminare perché nato da
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matrimonio misto e grazie ad una compiacente dichiarazione di avvenuto
battesimo da parte della levatrice rintracciata a Milano. Fui costretto a ricorrere a questo ripiego, perché nessun sacerdote a cui mi ero rivolto si era assunto la responsabilità di rilasciare un certificato di battesimo retrodatato.
Però, con atto del 25 novembre 1942, questa mia posizione venne rivista e
dal Ministero dell'Interno fui dichiarato 'di razza ebraica'. Di fronte a questa nuova situazione, il mio impiego presso le 'Reggiane' fu, in via di favore,
tramutato in rapporto di 'consulenza'.
In seguito, a causa di pressioni di fascisti fanatici, la mia prestazione si
concluse il 15 Giugno 1943.
Facendo un passo indietro, devo precisare che, all'inizio della seconda
guerra mondiale, fui richiamato alle armi; dopo circa due mesi le 'Reggiane'
chiesero ed ottennero il mio esonero in quanto soggetto utile alla produzione
bellica.
Con l'atto del Ministero sopracitato, fui posto in congedo illimitato perché di 'razza ebraica' .
Il 25 luglio 1943 avvenne la caduta del fascismo e mi trovai in balìa degli
avvenimenti fino al 23 Settembre quando fui amichevolmente informato di
essere stato inserito in un elenco di persone da arrestare perché ritenute in
grado di svolgere attività antifascista.
Pertanto dovetti eclissarmi d'urgenza e partii per l'Italia del Sud nell'intento di raggiungere gli eserciti alleati.
In seguito seppi che a mezzanotte dello stesso giorno, come annunciatomi,
alcuni fascisti e carabinieri andarono a casa mia per prelevarmi. Trovarono
soltanto mio padre al quale, però, non capitò nulla di irreparabile durante
l'occupazione tedesca, benché israelita.
Infatti, al momento della vera e propria retata degli ebrei reggiani da parte
dei nazi-fascisti, egli si trovava sfollato in collina.
Veniva, comunque, saltuariamente in città a cercare sigarette, perché era
un accanito fumatore.
In collina, abitava presso la famiglia Ghinolfi che, a quell'epoca, gestiva,
a Reggio in via S. Rocco, la Trattoria dei Teatri.
Il Sig. Ghinolfi fu arrestato dai fascisti perché ritenuto in grado di indicare
dove si trovava mio padre. Il prolungarsi del suo fermo indusse mio padre a
costituirsi. Ebbe tuttavia la fortuna di imbattersi nell'avvocato Scolari (Segretario Federale del P .F.R.) che io avevo conosciuto frequentando il gruppo rionale Maramotti.
Questa conoscenza giovò a mio padre che poté salvarsi facendosi ricoverare prima all'ospedale, e in seguito, in un ospizio per anziani della Bassa Reggiana.
Prima di andarmene, quel 23 Settembre 1943, Don Spadoni, parroco della
Chiesa di S. Francesco, mi diede una lettera di presentazione per Don Oderisio Graziosi, Priore del Convento benedettino di Monte Cassino, che però
non ebbi modo di utilizzare.
Qualcuno mi aveva anche suggerito di andare sulle nostre montagne nel-
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l'attesa della formazione di unità partigiane, ma nell'incertezza preferii dirigermi verso il sud.
Presi quindi il treno per Cassino, ma per evitare la sorveglianza tedesca,
scesi ad una precedente stazioncina. In quella zona militare fui costretto a
lunghe deviazioni nell'intento di raggiungere la località di Torcino in comune
di Venafro.
Purtroppo, fui scoperto e preso da una pattuglia tedesca incaricata di raccogliere mano d'opera fra gli 'Italiani traditori' come allora venivamo indistintamente classificati. Fui portato in un campo di lavoro in una località che
mi sembra fosse S. Vittore.
Qui venivano concentrati gli uomini presi durante le retate nella zona i
quali, dopo il loro utilizzo nei lavori di appoggio ai militari, venivano gradualmente trasferiti in Germania.
Nel campo, fortunatamente, .la mia permanenza si prolungò solo alcune
settimane, perché, durante un trasferimento di bovini razziati nella zona, mi
fu possibile fuggire.
Ripresi quindi il mio peregrinare per raggiungere la località di Torcino.
Qui, rintracciai le persone di Reggio, che alla mia partenza, mi erano state
indicate da un amico. Quese gestivano una grande tenuta agricola, in parte
selvaggia, di proprietà dei principi Strongoli Pignatelli di Napoli.
Tutte le abitazioni della tenuta erano state però distrutte dai tedeschi perché contrassegnate dallo stemma reale.
Per timore di rastrellamenti, con gli uomini del posto, di giorno stavo nei
boschi e di notte dormivo in una grotta.
Quando le truppe tedesche, dopo aver fatto tabula rasa di ogni cosa, si ritirarono sul fronte di Cassino e gli Alleati si fecero più vicini, partii, a piedi,
e raggiunsi gli Americani. Spiegai loro la mia situazione e fui accettato come
collaboratore civile.
Questa collaborazione durò mesi nei quali vidi alternarsi al fronte le varie
nazionalità alleate.
Ad un certo momento, data la possibilità di morire senza che la mia famiglia potesse averne notizia, fui portato a Caserta presso il Comando delle
Forze Alleate in Italia dove, però, nonostante la mia disponibilità, non trovarono il modo di inquadrarmi, perché "cittadino appartenente ad uno stato
ex nemico".
Perciò fui accompagnato a Napoli presso "l'Ufficio del Lavoro" alleato
che mi assegnò un lavoro impiegatizio nel deposito di materiale bellico e vario n. 696 in S. Giovanni a Teduccio.
Qui rimasi fino alla liberazione di Roma, dove poi mi trasferii per avvicinarmi a casa.
Causa il "cordone sanitario" posto dagli Alleati, tornai a Reggio alcuni
mesi dopo la Liberazione. Trovai la mia casa danneggiata dal bombardamento della confinante sinagoga e mi ricongiunsi con mio padre che aveva
trovato alloggio nella casa di mia zia in via Morzermone.
Questa mia zia, Beatrice Ravà in Rietti, era rimasta vedova e viveva affittando stanze ammobiliate. Delle sue due figlie, nubili, che furono poi depor-
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tate con la madre, Iole era casalinga e Ilma era stata impiegata alla Timo come telefonista, ma fu licenziata in seguito alle leggi razziali.
lo venni a conoscenza della loro deportazione solo dopo il mio ritorno a
Reggio. La loro tragedia è sempre viva nella mia memoria e mi rammarica il
pensiero che non abbiano potuto seguire il mio consiglio di sfollare.
Come ebree erano credenti e praticanti; conducevano vita semplice e riservata, senza interessi politici.
Seppi poi che quando andarono a prelevarle nel loro appartamento di via
Monzermone mia cugina Ilma era scappata da una uscita secondaria, rifugiandosi al piano superiore, ma quando la madre e la sorella si resero conto
che stavano per essere veramente arrestate la chiamarono dicendo: "Siamo
nelle mani del Signore, dobbiamo stare insieme ... ". [Questo atteggiamento è
lo stesso che le figlie ebbero ad Auschwitz quando vollero seguire la madre
destinata alla camera a gas. N.D.R.]
Dal punto di vista religioso io sono contro tutti i fanatismi e contro tutte
le impostazioni dogmatiche; credo in un "Essere supremo" e mentre rispetto
tutte le religioni, non mi sento particolarmente attratto da nessuna. Certo,
nutro molta considerazione per l'ebraismo da cui provengo e tengo ben presenti le "Tavole della Legge" che cerco di applicare praticamente.
Il mio rispetto trova anche ragione nel doloroso ricordo dello sterminio
nazista che considero il maggiore orrore di tutti i tempi, nonché delle sofferenze morali e fisiche patite dagli ebrei in duemila anni di insensato antisemitismo.
MONS. ANGELO COCCONCELLI:
COME HO DIFESO GLI EBREI
Pubblichiamo la trascrizione integrale, dalla registrazione su nastro, dell'intervista effettuata dall'a. 1'8 giugno 1988 nello studio di Mons. Cocconcelli), parroco di San Pellegrino (R.E) dal 1941.
La signora Bice Tedeschi Salmon abitava nella villa, di cui era proprietaria, lungo l'attuale Via Martiri della Bettola. Essa era proprietaria di tutta
l'area Salmon, che poi ha ereditato il nipote, il quale a sua volta ha venduto
tutto al Comune, dove adesso c'é tutto il centro direzionale di San Pellegrino. Lì c'erano due grossi "fondi".
Quando sono venuto qui [nel 1941] lei era famosa, sono andato a trovarla
e mi diceva che lei, insomma, voleva avvicinarsi al cristianesimo e che voleva
battezzarsi, perché, diceva "anche mio nipote, l'Ing. Tedeschi Salmon, si è
convertito ed ha ricevuto il battesimo insomma"; insomma ...
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D. Eravamo nel? ...
R. 1941 - '42, non c'era ancora la ... ma le leggi razziali c'erano già E diceva, "non lo voglio fare per paura di essere perseguitata come ebrea ma proprio perché è un pensiero che ho sempre avuto".
E allora mi citava, diceva "lo ho sempre contribuito alla sagra di San Pellegrino anche se ero ebrea e davo la mia generosa offerta per fare la sagra
della Madonna del Rosario".
lo le dicevo "Lo faceva perché la Madonna era un'ebrea anche lei".
Diceva "no, non per quello; anzi mi attiravo tante volte le derisioni dell'opinione pubblica perché avevano detto che fra le 3 cose particolari della zona
di San Pellegrino una è questa: c'é un'ebrea che fa l'offerta per la festa della
Madonna, per la festa dei Cristiani ... " Non solo, lei aveva lasciato per testamento una discreta somma per l'asilo [parrocchiale] di San Pellegrino, che
eran 50.000 lire, d'allora, con le quali si comprava un fondo ... Gli eredi me
le diedero, ma erano svalutate ... Però mi hanno aiutato lo stesso perché il nipote, che ha ereditato, ha ceduto, a titolo quasi gratuito, tutta quell'area lì a
Buco del Signore, dove c'erano i prati sempre "sotto l'acqua"; quelli [tra i
contadini] che avevano i fondi sopra l'acqua avevano un prato sempre sotto
l'acqua ...
D. Per aver la garanzia dell'erba per le mucche ...
R. Sì. Tutti questi fondi che c'erano fin su verso Canali, avevano tutti un
prato giù di lì da Bazzarola. Loro avevano il prato anche lì a Buco del Signore, dove attualmente c'é la chiesa e, sotto, quelle altre opere che hanno fatto.
Ecco quello era il loro prato; l'hanno dato per la irrisoria somma di 1.100 lire al metro ...
D. La sig.ra Salmon, durante la R.S.I, che problemi ha avuto?
R. Ah, durante la Repubblica sociale, lei aveva preso in casa, sperando di
essere protetta, una tedesca, una insegnante di tedesco presso la famiglia
Monti, quei Monti dei tessuti, avevano una grossa villa, oggi completamente
demolita, all'incrocio tra Viale Risorgimento e Via Martiri di Cervarolo, dove adesso sono sorte quelle due grosse torri, lì al semaforo. Lui voleva insegnare ai figli il tedesco e aveva in casa questa istitutrice, Marta Lohse. E allora quando venne 1'8 settembre, il Monti, che aveva tutti questi fondi, e che
aveva paura, cercò di vendere i fondi e poi si mise in salvo e allora lei rimase
qui a Reggio, questa Marta Lohse, e andò in casa della Bice Salmon, che
sperava ... Invece la pescarono e la fecero diventare interprete del Comando
piazza qui di Reggio ... dove c'era il famoso maggiore Frase, e così si legò
anche lei ai tedeschi, ma avevamo capito subito che anche lei era come tutti i
tedeschi d'allora: connivente, insomma. Non aveva il coraggio di opporsi insomma, anche se forse poteva essere di idee contrarie. Tant'é vero che quando vennero i tedeschi a prendere la Salmon, alla quale io facevo lezione per
prepararla al battesimo, mi telefonarono dicendo: "corra, corra che portano
via la signora ... " era nel marzo aprile '44, io ero appena stato incriminato ...
avevo le mani anche legate perché ... Arrivò alla mattina prestissimo una camionetta di SS e la presero per portarla via. Fecero appena appena in tempo
a telefonarmi. .. Allora sono corso lì, in bicicletta, lì alla villa; e quando sono
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arrivato lì la stavano proprio caricando ... era là nell'atrio della villa e gridava "Don Angelo, don Angelo mi dia il battesimo, voglio morire cristiana".
lo dissi "Senz'altro, glielo diamo, non abbia paura, vediamo di chiarire
con questa gente ... "
Caro mio c'era il comandante delle SS che diceva "Was Willt dies e schwarze Tier?! Cosa vuole questa bestia nera? !"
E allora io l'ho affrontato ... perché coi tedeschi bisogna avere il coraggio
di buttargli in faccia ...
"Was!?!! - così, cattivo eh - "Was?! Wier sind keine Barbaren!", [Cosa?
Noi non siamo dei barbari] perché basta dar del barbaro a un tedesco perché
si ammansisce subito ... E allora lui ha cambiato tono. E allora dice "Lei si
prenda dai piedi perché noi dobbiamo eseguire degli ordini".
E allora dico "Ma, c'é una legge di umanità che è al di sopra di qualsiasi
ordine, una vecchia di 80 anni... non può essere trattata così" .
Ma non c'é stato niente da fare ...
L'han buttata dentro la camionetta come un sacco di scodelle ... poi l'han
portata via; e c'era lì 'sta tedesca che non disse una parola.
Mi sono precipitato subito dal vescovo, e poi sono andato direttamente al
comando e ho affrontato 'sto maggiore Frase che era ... che è stato uno di
quelli che ci hanno aiutati nel famoso processo dell'8 gennaio.
Gli ho detto: "Questa povera donna ... si è rotta il femore ... "
Dice: "Abbiamo già provveduto a portarla all'ospedale".
E la portarono all'ospedale di Rivalta, nelle scuole.
E poi la lasciarono lì. Ci dovevano essere le SS di guardia, ma non c'erano; però c'erano sempre i tedeschi lì che giravano, non si poteva portarla
via ... E' guarita.
E poi, non si sa come e perché, dato le insistenze da tutte le parti... se la
son dimenticata lì, o se la son voluti dimenticare.
E' morta dopo la guerra, cristiana, l'abbiam battezzata lì a Rivalta.
D. Quando ritorna dalla Germania nel settembre '41, oltre a fare il parroco fa anche l'insegnante?
R. Sì, io ero già insegnante, io insegnavo alle magistrali inferiori d'allora.
Quando venne poi la riforma Bottai, vero, che faceva le tre medie, io insegnavo alle magistrali inferiori e superiori che allora erano al Palazzo Terachini, in Via Emilia San Pietro. E lì io non mancavo di alzare la voce coi ragazzi contro questa ignobile persecuzione degli ebrei insomma. Per fortuna
gli italiani non la sentivano.
D. Lei ricorda persone che furono toccate dalla persecuzione? ... il Prof.
Padoa? ..
R. Il prof. Padoa che fu sospeso. E poi lì, quando arrivai io lì [alle Magistrali] ci fu il preside, il nostro Preside che dovette scappare via, Pardo, era
un ebreo, che riprese dopo. Fu destituito e ci misero un certo Marchesini che
era insegnante di disegno ...
D. Ma il prof. Pardo fu destituito quando?
R. lo cominciai a insegnare lì nel '36 ... ebbi appena il tempo di vederlo e
poi dopo ...
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Quando ritornai mi misero al Liceo. Nell'ottobre '41 ripresi l'insegnamento, al Liceo, dov'era stato destituito il prof. Padoa e dove invece mi trovavo,
per fortuna, vicino Ermanno Dossetti, con cui scambiavamo continuamente
parole, per opporci in qualche maniera al preside che era un fascista di quelli ... Omodeo, che fu epurato.
lo a scuola dicevo apertamente che queste leggi razziali assolutamente non
andavano. Mi appoggiavo, per far, per aver un pochino più anche le spalle
coperte, alle parole del Papa Pio XI. E dicevo ai ragazzi:
"Si parla di razze, come se fossimo delle bestie. Ci sono le razze ovine, ci
sono le razze bovine ... ma noi non abbiamo la razza come ... Una volta si
usavano altri nomi, si diceva natio, gens, populus, ... invece oggi queste parole nobili per indicare le varie stirpi sono scomparse. Si avvera quello che
diceva l'antico poeta Orazio, Vera etiam rerum perdidimus nomina. [Perdemmo anche i veri nomi delle cose]. E l'altra frase famosa che disse [Pio
XI] "Come possiamo combattere gli ebrei. lo mi sento spiritualmente semita, e la nqstra civiltà è spiritualmente semita" , ché abbiamo preso tutto dalla
Bibbia, no? La civiltà cristiana ...
Ma tra i ragazzi non c'era nessuno che facesse opposizione a queste nostre
chiare affermazioni, antirazziste.
D. Di altre vicende riguardanti altre famiglie di ebrei, lei non ha diretta
conoscenza?
R. Sì, poi dopo avevo un altro ebreo, qui in parrocchia, Modena, che stava lì dietro al cimitero, aveva una villa nell'attuale Via Selvapiana. lo l'ho
appena avvicinato quando venni, poi dopo lui scappò, nel '43. Lo trovai però su a Quara, col nome di Bianchi, cambiarono il nome, si chiamarono
Bianchi. Era ricoverato presso mio cugino, a Quara, che era Don Bonibaldoni. Li tenne in casa tanto tanto tempo. E lì poi a Quara ho incontrato anche
il prof. Padoa. Era sempre coi Dossetti lui. I Dossetti sono venuti sùnel febbraio '45, no?
D. Sì, erano lì al comando della Brigata Fiamme verdi... a Costabona.
R. E allora io mi trovavo lì sempre, parlavo con loro ... E Padoa qualche
volta mangiava lì anche lui insieme ai Bianchi.
D. Questo è un aspetto interessante, di questa nostra montagna cattolica
che accoglie gli ebrei. La cosa era molto diversa e assai più triste in Polonia,
dove il mondo contadino cattolico spesso era di atteggiamenti opposti. ..
R. Qui invece no, qui invece la gente era ...
D. In Polonia, se qualcuno riusciva a scappare dai campi è successo anche
che i contadini li riconsegnavano ai tedeschi... Era un cattolicesimo molto
diverso, una tradizione ...
R. Ma perché c'era del razzismo già, c'era un razzismo che non c'era qui,
qui non c'era insomma.
Qui al massimo c'era dell'ironia. E' nota l'ironia che mise in tutti i suoi
scritti e i suoi sonetti Ramusani verso gli ebrei. Uno più famoso dell'altro,
ma ci facevamo solo dell'ironia sopra, niente più, non eravamo certamente,
vero ...
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Lui prendeva spunto dalla Bibbia, certi fatti della Bibbia, come Davide e
Betsabea, si prestavano, oppure Giacobbe che aveva servito 7 anni per sposare Rachele e poi dopo gli avevano affibbiato quell'altra brutta, Lia, eccetera.
Aveva delle poesie bellissime sugli ebrei, soprattutto quelli del ghetto, sulle
donne che non si lavavano mai, ma insomma erano cose, direi, innocue, nel
senso che non creavano nessun ... anzi, c'era molto rispetto anche perché poi
i più ricchi erano degli ebrei. I Franchetti, i Corbelli; erano i Levi, i più ricchi della città.
Tanto che la gente diceva "Il Baron Franchetti" per dire il riccone. Quando io mi lamentavo con mia madre, che non mi dava questo e quell'altro, mi
diceva "T'èv da nàser in ca' dal baroun Francheti" [Dovevi nascere in casa
del barone Franchetti]
lo poi ho avuto degli altri ebrei che erano venuti qui a chiedermi di poter
inserire nel registro dei battesimi un loro battesimo fasullo. E io ho detto:
"se volete io ve lo faccio; lascio stare il registro, quello lì non lo posso fare:
vi dò un pezzo di carta in mano, ma ho paura che non vi serva a niente, anche perché oltretutto io sono compromesso perché ero già stato ... [preso di
mira dai fascisti] e quindi domani potrebbe servire come ulteriore elemento ...
I beni della Tedeschi Salmon li salvai io. Lei aveva in casa un'argenteria ...
erano 8 o lO casse. I contadini, certi Gandolfi, la misero in salvo e mi chiesero: "Lei ci può nascondere la roba della signora Tedeschi Salmon?" Dico:
"Si" .
E loro: "Noi la prendiamo di notte, l'hanno tutta incassata, la mettiamo
sopra un biroccio, poi sopra ci mettiamo del fieno, io vengo qui alla chiesa,
di notte, la scarichiamo qui di dietro ... ".
E infatti ho nascosto tutte queste casse, le ho messe tutte sui volti della
chiesa e son venuti a ritirarle dopo la liberazione.
D. E circa il modo di atteggiarsi del mondo cattolico, della cultura locale
cattolica, queste conferenze alla Capitolare di cui ogni tanto si parla... veniva La Pira, veniva ...
R. Venne Franceschini ...
D. Pasquale Marconi?
R. No! Lui prese il nome da Franceschini, tanto gli piacque ... Era un professore di università,lui era di Torino, fece una conferenza proprio così,
mettendo a nudo tutti gli errori e gli orrori del nazismo e del fascismo e piacque tanto a Marconi che lui poi prese il nome ...
D. Questa dell'origine del nome di battaglia di Marconi, io non la sapevo
benché siano anni che ... è una novità.
R. Come il nome di Benigno, preso da Don Dossetti, venne da una storia
della chiesa del Benigni. Lui venne qui una volta da me e vide sul tavolo che
io stavo leggendo la storia della chiesa del Benigni, che è molto bella e anche, sì, abbastanza coraggiosa nell'esporre certe deficienze del mondo cattolico nei riguardi della cultura moderna ...
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LEONE RA VENNA: EBREI ITALIANI
ALL'UNIVERSITÀ DI LOSANNA
Pubblichiamo, per gentile concessione dell'A., l'ing. Leone Ravenna, residente a Milano ma originario di Ferrara, il seguente brano tratto dall'ampia
relazione svolta a Ferrara, nell'Aula magna del Dipartimento di discipline
giuridiche, il 20 novembre 1988 in occasione del Convegno sulle legge razziali del 1938.
Leone Ravenna fu compagno di studi, a Losanna, del nostro concittadino
Giorgio Melli, emigrato nell'autunno 1938, dopo la promulgazione delle leggi antiebraiche, per poter continuare gli studi.
Con questa sua' testimonianza ci restituisce l'atmosfera particolare che gli
ebrei italiani rifugiati in Svizzera ebbero a vivere tra il 1938 e il 1945. La stessa atmosfera in cui visse Giorgio Melli, aspettando invano l'arrivo dei genitori arrestati a due passi dalla frontiera e finiti ad Auschwitz.
Fu così che, con mio faratello - che, ottenuta la maturità, chiedeva di seguire l'esempio di alcuni suoi compagni milanesi andati in Svizzera -partìi
nel novembre 1940 per Losanna, dove mi iscrissi a ingegneria. Nessuno aveva infatti ancora abrogato - continuarono fino all'inizio del 1943 -le autorizzazioni per gli studi all'estero.
In Svizzera si respirava, anche se non era la libertà assoluta, perché eravamo pur sempre stranieri e quindi fondamentalmente sospetti.
Bisogna ricordare che la Svizzera era completamente circondata dalle Potenze dell' Asse e dalla Francia occupata o collaborazionista e si preparava a
resistere ad una non del tutto ipotetica invasione tedesca, mentre certe correnti, anche fra gli uomini al governo, nutrivano simpatie più o meno nascoste per Hitler e, soprattutto in Svizzera romanda, per Pétain. Costoro pensavano già a quella che avrebbe dovuto essere la Svizzera dopo la vittoria dei
Paesi totalitari e si può capire quanto rischiassimo di divenire ingombranti,
noi e quelli come noi.
E poi, c'erano anche qui l'occhio e l'orecchio del consolato italiano. Nelle
aule universitarie, i compagni svizzeri erano in genere formalmente gentili,
ma abbastanza sulle loro. Tuttavia, a Losanna era diverso che a Grenoble,
anche per un altro motivo: non eravamo solo "quattro gatti". Fino al 1943,
fummo, ad un certo punto, in 50 o 60, formando una piccola colonia con un
minimo denominatore comune: per gli svizzeri eravamo "italiani ed ebrei",
per gi italiani "ariani" eravamo ebrei e, abbastanza fra parentesi, italiani:
C'era comunque chi non disdegnava di frequentare gli ambienti del consolato e chi cominciava ad innervosirsi un mese prima se doveva recarvisi a rinnovare il passaporto. C'erano quelli che sarebbero stati felici se avessero potuto passare per italiani "tout-court" e quelli che frequentavano la sinagoga,
chi preferiva la vita di gruppo e chi preferiva starsene per proprio conto, ma,
salvo poche eccezioni, ci ritrovavamo un po' tutti, quasi istintivamente, in
un punto preciso del centro, dove era la zona di ritrovo anche delle altre co-
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munità studentesche, su base nazionale o goliardica. Non passavamo inosservati e più di un passante mugugnava, contro il "macaroni" o contro lo
"jupin", a scelta, ma, per quanto possibile, noi cercavamo di non raccogliere le provocazioni, né da una parte né dall'altra: eravamo lì per prepararci
un futuro, anche se non era chiaro dove e di che colore sarebbe stato, le nostre famiglie erano in Italia, dalle loro lettere, aperte dalla censura, traspariva il crescere della preoccupazione per la situazione del Paese in generale e
degli ebrei in particolare.
Nell'estate del 1941, potei ancora una volta venire brevemente a vedere
mio padre che lo aveva richiesto, con il presentimento che sarebbe stata quella l'ultima volta.
Poi, nel 1942, gli avvenimenti della guerra incalzarono e quella che avrebbe dovuto essere l'immancabile vittoria dell' Asse cominciò a divenire meno
certa. Ma cominciavano anche a filtrare, fra smentite e controsmentite, le
notizie sui massacri, specialmente di ebrei, nei territori occupati all'Est, sui
lager che si riempivano di ebrei, centinaia di migliaia, milioni di esseri come
noi presi solo perché ebrei. E se l'Italia fosse a sua volta divenuta un "territorio occupato" dai nazisti?
Noi eravamo su una specie di barca ai margini della tempesta di cui sentivamo il fragore, anche fisicamente, con il sordo ronzio dei bombardieri che
sempre più frequentemente nempiva il buio delle notti, oscurate per evitare
che le luci svizzere fossero un faro per gli aerei in missione di guerra sull'Europa.
Partecipavamo con tutti i sensi senza poter partecipare materialmente. Si
riproponeva più angosciosa una domanda che già mi ero posto: perché ero
lì? Chi, che cosa eravamo? Più furbi, più saggi, più fortunati?
E arrivò la primavera del 1943: l'Italia in prima linea, i bombardamenti a
tappeto, lo sbarco in Sicilia, il 25 luglio.
Molti, tra cui mio fratello, tornarono in Italia. Ma fu, subito dopo, 1'8
settembre, e, fra quelli che cercarono di tornare in Svizzera come rifugiati,
molti non ci riuscirono: risucchiati al di quà della frontiera, scomparsi.
lo stavo per iniziare l'ultimo anno di ingegneria e restai.
Solo che bisognava tirare avanti arrangiandosi come si poteva, non essendo protetti, quelli ante 8 settembre, dallo statuto di rifugiati. Non era certo
sufficiente un piccolo contributo mensile passato da un fondo di soccorso
agli studenti, con l'impegno di restituirlo non appena se ne fosse in grado,
"a guerra finita". Nelle campagne avevano bisogno di sostituire gli uomini
sotto le armi nello stato di mobilitazione permanente in cui si trovava l'eser'cito svizzero, e non mi fu difficile passare da un "posto" all'altro: guardiano al pascolo delle mucche, garzone di stalla, bracciante per i vari lavori
agricoli.
In quel periodo, mi sono reso conto dell'estrema adattabilità dell'essere
umano alle condizioni più imprevedute, e dell'esistenza di una sorta di vitalità elementare, che cerca di vincere la nausea e il logorio dei momenti moralmente e materialmente più difficili.
Talvolta si richiedeva anche un aiuto domestico, e ricordo che appresi la
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fine di Mussolini mentre stavo ripulendo dei pavimenti in una casa di campagna presso Losanna.
Dopo 1'8 settembre, il sentimento delle tragedie che si erano comsumate e
si stavano consumando intorno a noi era divenuto ben più immanente, nelle
cose e nei pensieri di tutti i giorni.
La Svizzera si era riempita di rifugiati civili e di internati militari, non solo
italiani. Per i militari italiani, si erano creati, a Losanna e dintorni, dei corsi
universitari paralleli a quelli regolari e, fra gli studenti, "les italiens" non
fummo più solo noi ebrei. Cessammo di essere quella categoria un po' speciale che eravamo stati dal 1938.
Si costitutì addirittura una società studentesca, la "Corda fratres". che
voleva simboleggiare una ritrovata unità fra tutti gli studenti italiani, richiamandosi, anche nel nome, ad una omonima organizzazione dell'Italia pre-fascista.
E poi tutti gli altri ebrei, italiani e di ogni provenienza, che erano riusciti a
raggiungere la zattera.
Molti di noi ebbero la gioia di poter riabbracciare i genitori nei campi di
raccolta svizzeri, ma per moltissimi altri continuò l'attesa spasmodica di notizie filtrate con mezzi di fortuna attraverso la frontiera o tramite i servizi
della Croce Rossa Internazionale. I miei genitori e mia sorella non riuscirono
ad arrivare in Svizzera. Evitata miracolosamente da mio padre la cattura nella prima retata di ebrei operata dai fascisti ai primi di ottobre a Ferrara, rimasero nei dintorni, ospitati da coraggiosi "ariani", con i quali, dopo i
bombardamenti del gennaio '44 raggiunsero la Valtellina. Là morì mio padre, in casa di valligiani che li nascondevano. Giungevano intanto, talvolta
incerte, talvolta purtroppo già confermate, le notizie di parenti e amici presi
e deportati.
Erano passati in Svizzera anche molti politici, antifascisti, oltre a vari fascisti in attività di servizio fino al 25 luglio, e, nel nuovo clima creatosi con il
vento che stava volgendo a favore degli Alleati, anche gli Svizzeri allentarono i loro divieti di fare politica.
Rimasta nell'ombra per decenni, si fece sentire la Colonia italiana libera,
alle cui riunioni si trovarono i vecchi antifascisti degli anni '20 che l'avevano
fondata e i giovani cresciuti nell'Italia del ventennio, ansiosi di respirare democrazia. C'era anche un altro tipo di "rifugiati" italiani: Maria José ed altri Savoia, con molti rampolli della nobiltà e dell'alta borghesia, che frequentavano i grandi alberghi.
E poi, tutti gli altri ebrei: est-europei, francesi, belgi, olandesi. Ricordo la
cena pasquale del 1944, nei poveri locali messi a disposizione da una organizzazione protestante - l'Esercito della Salvezza - che contribuiva ad aiutare i
profughi: oltre cento partecipanti di infinite provenienze, che, superando
l'angoscia dei più per le famiglie lontane, la cui sorte era ignota o purtroppo
già nota, levò i canti della tradizione e della speranza.
Era mutato anche il rapporto con gli ebrei svizzeri: non erano mai venuti
meno ad una naturale forma di cortesia, ma noi stessi avevamo preferito non
dare l'impressione di pesare su di loro. Ora, man mano che sembrava ragio-
52
nevolmente avvicinarsi il momento in cui avremmo potuto lasciare liberamente il loro Paese, tale rapporto diveniva reciprocamente più sciolto.
La primavera del 1945 trovò quindi l'universo losannese molto cambiato
rispetto a quello dei primi anni.
Anch'io, anche noi, del resto, eravamo cambiati. Non eravamo più quelli
del 1938, su ciascuno di noi gli eventi avevano avuto una loro influenza, delle coscienze si erano formate.
Qualcuno non aveva atteso la fine della guerra per rientrare in Italia, passare le linee del fronte e battersi con gli italiani liberi, altri avevano cercato
di collaborare con le varie correnti della Resistenza operanti fra la Svizzera e
il Nord-Italia, altri ancora avevano trovato, in quella specie di crogiuolo che
era l'ambiente dei rifugiati, una sorta di anticipazione di quello che doveva
essere il futuro stato ebraico e di lì avrebbero poi preso le mosse in quella direzione. Altri infine, trovatisi di colpo, senza alcuna preparazione, capi-famiglia, si prepararono al rientro in Italia, sentendosi investiti della responsabilità di ricostruire il ricostruibile.
Così ricordo il mio 1938 con il suo seguito.
Quel mattino, all'inizio di estate del 1945, scendendo a piedi dalla Svizzera
in Valtellina, per raggiungere più tardi Ferrara con un camion di fortuna,
tutto questo passato - dalla piccola Ferrara contaminata dal razzismo in un
Paese dove molti erano divenuti più o meno distrattamente antisemiti, alla
Francia poco più che sfiorata, alla Svizzera con le sue generosità misurate e
le sue contraddizioni, al caleidoscopio di umanità cui mi ero mescolato, definitivamente vaccinato contro ogni forma di razzismo - si affollava certamente nei miei pensieri con un grande senso di speranza.
Si ricominciava praticamente da zero nell'Italia in rovina.
Ma per quel processo di ricupero di cui l'uomo è capace dopo ogni tragedia, quello era ugualmente un gran giorno, carico di speranze. Che le speranze si siano poi realizzate ... è un altro discorso!
Documenti della persecuzione 1943-1944
QUESTURA DI REGGIO EMILIA
n. 01808 Gab.
OGGETTO: Provvedimenti a carico di ebrei.
Reggio Emilia 3/12/1943 XXII
RISERVATA
URGENTE
AL COMANDO COMPAGNIA INTERNA CARABINIERI
AL COMANDO COMPAGNIA ESTERNA CARABINIERI
ALL'UFFICIO P.S. FERROVIA
AL COMANDO STAZIONE MILIZIA FERROVIARIA
ALLA SQUADRA POLITICA
- CITTA'
- CITTA'
-SEDE
- CITTA'
-SEDE
e p/c.
ECCELLENZA IL CAPO DELLA PROVINCIA
AL COMANDO 79" LEGIONE CC. NN.
-SEDE
- CITTA'
Pregasi procedere immediatamente al fermo di tutti gli ebrei residenti in questa Provincia,
compresi quelli discriminati, facendoli rinchiudere nelle locali Carceri Giudiziarie a disposizione
di questo Ufficio, cui dovrà essere trasmesso un verbale di fermo per ciascun nominativo.
Vorrete nel contempo effettuare accurata perquisizione personale e domiciliare a carico di ciascun fermato, sequestrando e trasmettendo a questo Ufficio in regolari reperti, tutti gli oggetti
di particolare valore e le somme di denaro di cui gli ebrei in parola saranno trovati in possesso.
Resto inoltre in attesa di ricevere, per ciascuna famiglia ebraica residente in questa provincia,
un dettagliato rapporto informativo sulle condizioni economiche, dal quale dovrà risultare con
precisione se e quali beni mobili ed immobili siano posseduti dalle stesse.
L'Ufficio P.S. della Ferrovia è pregato di disporre d'accordo col Comando di Stazione della
Milizia Ferroviaria, attenta e rigorosa vigilanza in questo Scalo allo scopo di evitare che individui di razza ebraica si allontanino da questa città per rendersi irreperibili. Analogo servizio dovrà essere disposto dai Comandi di Compagnia dei Carabinieri negli scali ferroviari della provincia.
Vorrete inoltre segnalare con la massima sollecitudine a questo Ufficio i nominativi di tutti gli
ebrei già resisi irreperibili, con tutte le notizie atte a facilitarne il rintraccio in questa o in altre
Provincie.
ASSICURATE A VISTA.
IL QUESTORE
(piero Pozzolini)
54
MUNICIPIO DI REGGIO EMILIA
N.17696diP.G.
OGGETTO: Requisizione delle opere d'arte di proprietà ebraica.
lì 11 Dicembre 1943 - XXII
- OTTOLENGHI SALOMONE fu Beniamino
Via Monzermone 6
CITTA'
Per Vostra opportuna norma Vi informo che con provvedimento in corso è stato disposto il
sequestro di tutte le opere d'arte appartenenti ad ebrei, anche se discriminati, o ad istituzioni
israelitiche. Per opere d'arte si intendono, non solo le opere d'arte figurativa (pittura, scultura,
incisione, ecc.) ma anche le opere d'arte applicata, quando, per il loro pregio, non possono essere considerate oggetti di uso comune.
I proprietari o i detentori dei beni sottoposti al sequestro, dovranno presentare entro le ore 12
di domenica 19 corro mese una denuncia per inscritto in duplice esemplare a questo Comune Segreteria Generale - che provvederà ad inoltrarla, tramite la locale Prefettura, al Sopraintendente alle Galleria di Modena.
Dalla denuncia dovrà risultare:
l) la qualità delle opere, ed una sommaria descrizione;
2) l'autore di esse, ove sia noto;
3) la località ove l'opera è attualmente conservata.
Una copia della denuncia dovrà essere restituita all'interessato, con il timbro dell'Ufficio ricevente; essa costituirà la prova dell'ottemperanza alla legge sul sequestro.
Le disposizioni relative al sequestro delle opere d'arte, si estendono anche alle collezioni di
oggetti d'antichità, alle raccolte numismatiche, alle raccolte di cimeli e in genere alle cose di cui
alle lettere a), b) e c) dell'art. 1 della Legge l giugno 1939, n. 1089, sulla tutela delle cose di interesse artistico e storico.
IL COMMISSARIO PREFETTIZIO
(C. Rabotti)
(Elenco dei 29 capifamiglia destinatari della notificazione di sequestro delle opere d'arte appartenenti ad ebrei. Nell'originale i nomi sono dattiloscritti, le annotazioni a fianco di ciascun nome sono manoscritte. A C RE, Demografia e Razza):
1) Almansi Giannina - assente
2) Basevi Guido - Manicomio
3) Bonaventura Prof. Paolo - notificata
4) Cantoni Alberigo - assente
5) Cantoni Alessandro - assente
6) Carmi Gino - consegnata all' Amministratore Geom. Romolo Rossi
Corso Garibaldi 38
7) Cevidalli Elvira - assente
8) Corinaldi Ada - notificata
9) Finzi Irma - notificata
lO) Foà Elvira - Manicomio R.E.
Il) Fuchs Elda - assente
12) lona Prof. Anita - assente
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13) Liuzzi Ida - assente
14) Melli Benedetto - assente
15) Modena Aldo - assente
16) Modena Arrigo - assente
17) Ottolenghi Elisa - notificata al figlio Costanzo Agente
18) Ottolenghi Salomone - assente
19) Padoa Dante - assente
20) Ravà Beatrice - notificata
21) Ravà Fausto - assente
22) Ravà Gino - assente
23) Ravà Linda - assente
24) Resignani Alberto - notificata
25) Sacerdoti Aldo - notificata
26) Sacerdoti Umberto - assente
27) Sinigaglia Elvina - notificata
28) Sinigaglia Oreste - notificata
29) Tedeschi Avv. Augusto - assente
n.cc ..
(Copia della minuta manoscritta reperita in Archivio del Comune di Reggio Emilia, Demografia e Razza)
lì 20 dicembre 1943-XXII
N. 17696 di P.G.
OGGETTO: Requisizione delle opere d'arte di proprietà ebraica
Al Capo della Provincia di Reggio Emilia
In esecuzione della circolare 7 corr. N. 5042 relativa all' oggetto ho procurato di notificare agli
interessati le disposizioni contenute indetta circolare.
I capifamiglia interessati alla prescritta denuncia sono 29, di questi però soltanto a lO è stato
possibile notificare la suddetta disposizione, gli altri 19 essendo risultati 17 irreperibili a domicilio e due ricoverati in Manicomio.
Comunque è stato pubblicato apposito avviso all'albo pretorio di questo Comune ed'a tut"
t'oggi nessuna denuncia di opere d'arte è pervenuta da parte di appartenenti a razza ebraica.
Allego come da richiesta un elenco dei cittadini di razza ebraica che risultano residenti in questo comune.
[Firma illeggibile]
[Timbro] : COMUNE m REGGIO NELL'EMILIA
20 mc 1943
SEGRETERIA
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Dell'elenco citato nell'ultimo capoverso non si è trovata alcuna copia nell'Archivio comunale. Copia dello stesso è stata invece rinvenuta dall'autore
di questa ricerca, e pubblicata nella prima parte della stessa (<<Ricerche storiche" n. 61), presso un privato. Pare che a suo tempo un funzionario comunale l'avesse sottratta onde impedire che cadesse in mano ai tedeschi o ad altri funzionari collaborazionisti.
Div. Gab. n. 5999
Il Capo della Provincia di Reggio nell'Emilia
RICHIAMATO il proprio precedente decreto pari numero in data 9 Novembe 1943-XXII, col
quale il Rag. EMILIO VEZZANI veniva nominato consegnatario dei beni di pertinenza degli
ebrei di questa provincia con !'incarico di provvedere altresì alla Direzione Amministrativa del
Campo di concentramento per gli stessi costituito;
RITENUTA la necessità di provvedere alla regolarizzazione amministrativa dei beni predetti
con la nomina di un sequestratario ai sensi dell'ordinanza di Polizia n. 5 in data l Novembre
u.s.;
VEDUTO l'art. 19 della Legge Comunale e Provinciale;
DECRETA
L'Avv. GIUSEPPE SCOLARI è nominato sequestratario con tutte le attribuzioni di legge dei
beni mobili ed immobili di pertinenza degli ebrei di questa Provincia.
Il Rag. EMILIO VEZZANI continua, alle dipendenze del predetto Avv. Scolari, nella direzione amministrativa del campo di concentramento per gli ebrei costituiti in questa Provincia.
Con successivo decreto saranno stabilite le competenze dovute ai predetti.
Reggio Emilia 121111944-XXII
IL CAPO DELLA PROVINCIA
(Enzo Savorgnan)
Il sottoscritto Messo del Comune di Reggio Emilia dichiara di avere oggi quindici Gennaio
1944-millenovecentoquarantaquattro notificato il suddetto decreto al Signor Avv. Giuseppe
Scolari consegnandolo a mani Sig. Avv. Giuseppe Scolari
IL RICEVENTE
IL MESSO COMUNALE
Scolari
Rosselli Guido
Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Comm.ne interminist.1e per gli atti di morte
presso il Min. della Dif. Esercito ROMA
Comune di Milano 14 marzo 1952
Il sottoscritto Ravà Fernando domiciliato a Milano Via Nicola Piccinni N. 3, rivolge domanda a
codesta commissione affinché gli venga rilasciato l'atto di morte della propria sorella deportata
razziale RAVA' BEATRICE fu Serse e fu Mortara Clelia, vedova Rietti Angelo, ultima resid.za
anagr.ca in Italia nel Comune di Reggio Emilia Via Monzermone n. 6 ..... .
Il sottoscritto fa presente quanto segue:
"Ravà Beatrice vedova Rietti arrestata a Reggio Emila il 9.12.1943 assieme alle due figlie 11ma e Iole conducevano vita casalinga affittando le camere di un loro appartamento che avevano
comperato col concorso di tutti i parenti e di gente buona. Il marito e il padre delle allora sue
due bambine erano tutti nati in quella casa, il padre divenne cieco.
Da Reggio Emilia, da dove furono prelevate in un primo tempo, furono portate in provincia e
alloggiate presso una villa sino al 22.2.1944 che le fecero partire per Fossoli (Modena). A questo
57
[puntol si persero le tracce, solo si seppe che dopo pochi giorni partirono da Fossoli per destinazione ignota.
Solo dopo il dopoguerra e dopo molte ricerche, nel maggio 1948, fui indirizzato di tentare le
indagini presso una Dott.ssa Sig.ra Ruth Wasser che rintracciai e da me interrogata potei sapere
che fu assieme a mia sorella e le due figlie a Fossoli, e di qui partirono assieme in vagoni chiusi,
e la destinazione Auschwitz, qui giunti ancora in vita il 28.2.1944 furono selezionati (inutili i
particolari) le giovani dalle vecchie, così furono divise la mamma dalle due figlie.
La mamma avviata su un camion e quando si mise in moto le figlie non sopportarono il dolore della separazione, con grida disperate rincorsero la madre e nulla valse a fermarle, e vollero
andare insieme alla madre pur sapendo che quella gente erano dirette ai posti di annientamento.
Da quel momento la Signora Ruth Wasser non seppe più nulla di loro, pur essendo sempre rimasta in servizio a quel campo .
..... comunicazione avuta dalla teste oculare dott.ssa Ruth Wasser come da documento già
spedito a Roma fin dal 1948 ora presso il Ministero dell'Interno.
(AC RE)
58
Nel 1948 la dotto Ruth Wasser compilò di suo pugno tre dichiarazioni relative all'avvio nelle camere a gas, in Auschwitz, di Beatrice Ravà vedo Rietti e
delle sue due figlie lima e lole. Stanno in AC RE. Ne riproduciamo una:
LA CLASSE POLITICA DIRIGENTE A REGGIO EMILIA
DAL 1926 AL '43
di Andrea Lugli
Pubblichiamo un ampio stralcio, rielaborato dall'autore, della tesi con la
quale Andrea Lugli si è laureato in Scienze politiche (indirizzo storico) presso l'Università degli studi di Bologna, relatore il prof. Paolo Pombeni, nell'anno accademico 1987-'88.
Il lavoro di Lugli costituisce una utilissima analisi "quantitativa" (condotta anche con l'ausilio del computer e la produzione di tabulati allegati alla
tesi di laurea) sui vari gruppi dirigenti succedutisi alla testa del PNF reggiano, nonché sulle varie cariche ricoperte dai singoli gerarchi dal livello federale a quello dei fasci comunali e rionali.
Un ulteriore contributo, insomma, all'analisi di quel "ventennio" rispetto
al quale, come ha sostenuto Luciano Casali, in ambito emiliano-romagnolo
ha fino ad oggi prevalso "una lettura l ... ] più attenta alle opposizioni che alla struttura del potere fascista".
Un contributo che va idealmente affiancato all'esemplare e vasto saggio di
Massimo Storchi (Un ventennio reggiano. Attività e organizzazione del PNF
a Reggio Emilia) pubblicato nell'opera collettanea Regime e società civile a
Reggio Emilia 1920-1946 (Biblioteca "Panizzi", 1986).
Già a partire dal 1923, gli organi dirigenti nazionali avevano cominciato
l'opera di ridimensionamento dell'''eccessiva democraticità sancita dallo statuto del '21"1, ma sarà con il '26 e con l'entrata in vigore del nuovo statuto,
che prenderanno corpo i progetti di totale capovolgimento della piramide organizzativa del partito.
Anche a Reggio Emilia questa operazione produsse i suoi effetti a partire
dai lavori del Congresso provinciale del PNF tenuto si alla sala Verdi il 22-23
Febbraio 19262 •
l M.S. PIRETTI, La classe politica dell'Emilia Romagna durante il periodo fascista, M. DEGL'INNOCENTI, P. POMBENI, A. ROVERI Ca cura di) Annale n. 5, 1985-1986, Istituto Regionale per la storia
della resistenza e della Guerra di Liberazione in Emilia Romagna. F. Angeli, Milano, 1987.
2 In merito al congresso ed alla sua sospensione dovuta al "caso Bigliardi", si veda il lavoro di M.
STORCHI, Un ventennio Reggiano, Attività e organizzazione del PNF a Reggio Emilia in: A. V. Regime e società civile a Reggio Emilia, 1920-1946, VoI. I, Biblioteca Municipale "A. Panizzi", 1988.
60
In questa occasione fu l'intervento di Turati ad illustrare la situazione organizzativa e politica che il PNF si trovava ad affrontare.
Turati, allora vice-segretario generale del partito, disse "ad una assemblea
tanto divisa e problematica da aver provocato la sospensione del Congresso": "il contrasto è necessario e guai ( ... ) se fossimo sempre tutti d'accordo" anche se la discussione non poteva avvenire sulle direttive del partito
perché queste "escono dalla mente di un Uomo che ha dimostrato abbastanza di saperle impartire e che è di mille cubiti superiore a tutti" 3 •
Ci vengono qui in mente le parole di Gioacchino Volpe in quell'articolo a
commento del congresso nazionale del PNF che, come ricorda Aquarone definendolo "un articolo tipicamente untuoso", si consolò scoprendo la nuova
vera natura delle grandi assemble fasciste: «Non un congresso che discute e
determina e risolve o prepara crisi di tendenza e scismi, come i congressi di
partito sogliono essere, ma un atto di presenza, rassegna di forze, monito
agli avversari (ed anche utile chiarimento all'estero!), documentazione inequivocabile di perfetta fusione spirituale»"4.
Il caso di Guastalla
A rendere ancor più significativa la situazione interna al PNF reggiano e la
"necessità di un giro di vite", può essere utile richiamare per brevi tratti i
continui interventi operati dall'esterno sulla dirigenza del fascio di Guastalla,
un fascio dalla vita travagliata fino a quando non sarà nominato a segretario
Marcello Bofondi il 14 luglio 1931, lo stesso Bofondi più tardi, dopo aver
"normalizzato" il fascio di Guastalla procederà alla "normalizzazione" della federazione diventandone segretario il 28 agosto 1932.
In occasione del congresso del fascio di Guastalla, dalla sottoprefettura locale il sottoprefetto riferiva alla prefettura di Reggio E.: "Nel pomeriggio di
ieri ebbero luogo le elezioni del direttorio del fascio locale e furono rieletti
per acclamazione i precedenti componenti del direttorio stesso. Per l'occasione fu fatta venire la squadra portante il nome del noto lotti Egidio, i cui fascisti muniti di bastone indossavano la camicia nera con fazzoletti bianchi al
collo e percorsero varie volte le vie della città al canto di inni fascisti. Secondo dichiarazioni confidenziali di alcune persone, compreso un fascista, la
presenza in città di detta squadra con le sue evoluzioni aveva lo scopo di intimidire gli elettori per indurli a votare massimamente a favore dei componenti del precedente direttorio: evidentemente ciò fu preparato e voluto dal predetto lotti" 5 •
Da quelle elezioni risultarono eletti: Egidio lotti in qualità di segretario
3 Il blocco d'acciaio delfascismo Reggiano riafferma la sua infrangibilità, in,: "Il Giornale di Reggio", 23 febbraio 1926.
4 A. AQUARONE, L'organizzazione dello stato totalitario, cfr, pp. 64 e 65.
5 M. STORcm, Un ventenio Reggiano. Attività e organizzazione del PNF a Reggio Emilia in: A. V.
Regime e società civile a Reggio Emilia, 1920-1946, VoI. I, Biblioteca Municipale HA. Panizzi,
1988. Pago 126.
61
politico, C. Rocchi, B. Berni, N. Aldrovandi, A. Righi a membri del direttorio.
Il 15 Aprile successivo però, il fascio verrà sciolto, per essere poi ricostituito il 12 Maggio, in questa data alla sua guida saranno posti: V.E. Rossi quale segretario politico, e G. Benatti, V. Bisini, G. Passerini, A. Pecorini, E.
Rocchi come membri del direttorio; del vecchio gruppo dirigente l'unico superstite è E. Rocchi.
Questo gruppo dirigente, a sua v.olta durerà in carica fino al Giugno, infatti in data 23 giugno il Solco Fascista pubblica le nomine del nuovo direttorio con a capo Abele Negri in qualità di segretario politico.
Del vecchio direttorio questa volta rimangono: G. Passerini, A. Pecorini e
V. Bisini; di nuova nomina sono: R. Pecorini, E.V. Rossi e il vice-segretario
politico A. Ferrari.
Abele Negri, avvocato ed esponente di prim'ordine del fascismo colto, (lo
ritroveremo nel '41 a capo dell'Istituto di Cultura Fascista) già componente
del direttorio della federazione provinciale, presumibilmente viene spedito a
Guastalla per risolvere dall'esterno quei profondi contrasti che in sede locale
erano evidentemente risultati irrisolvibili, in questa logica va vista anche la
nomina a vice-segretario di Ferrari, che a normalizzazione avvenuta assumerà al posto di Negri la carica di segretario politico. Ma la situazione non doveva essere facile se per questo passaggio di consegne si dovrà attendere fino
al Febbraio dell'anno successivo.
Ed anche allora il nuovo gruppo dirigente non avrà vita facile, nel '29 infatti il fascio verrà commissariato da un altro esterno, Mariani Cerati, che ricoprirà questa carica fino al 14 Luglio 1931, data di nomina di Marcello Bofondi ed ancora una volta siamo di fronte ad un segretario mandato dall'esterno a dirigere la realtà Guastallese.
Da Pabbrici a Muzzarini
Episodi analoghi, anche se meno travagliati si ebbero in diverse realtà della provincia, a conferma del fatto che il processo di "normalizzazione" andava avanti in modo quantomeno lento e difficoltoso, nonostante le direttive
del centro e la loro formalizzazione nei nuovi statuti: a questo proposito possono essere ricordati il Fascio di Bibbiano che fu sciolto e commissariato nell'Agosto del '27, e il fascio di Levizzano che subì la stessa sorte nel giugno
1926.
Ma facendo un passo indietro tornando al clima in cui si svolse il congresso provinciale del 1926, al quale parteciparono i rappresentanti di 84 fasci
per un totale di 5318 iscritti6 , va rilevato come in questo congresso la prassi
usata sia ancora in massima parte quella sancita dallo statuto del '21 7 •
Si elesse così il nuovo direttorio provinciale nelle persone dell'ono Giovanni Fabbrici segr. provinciale, e di Artoni Getulio, Vincenzo Bertani, Muzio
6
7
Ibidem
Lo statuto del 1926 entrerà in vigore il15 novembre 1926.
62
Levoni, Leopoldo Nasi, Abele Negri, Celio Rabotti, Giovanni Robba, Vittorio Rossi, Mario Schiatti, Sante Simonini, Emilio Zunini quali membri; nonché Armando Gilli quale segretario amministrativo ed infine dell' ono Mario
Muzzarini e del console Giuseppe Rambaldi, comandante MVSN membri di
diritto.
Fu poi eletta la corte federale di disciplina nelle persone di Romolo Bellini,
Pasquale Beltrami, Giovanni Bonini, Amilcare Covezzi, Edoardo Curli, Vincenzo Ferrari, Umberto Morsiani, Ugo Podestà, Cons. Giuseppe Rambaldi,
Col. P. Emilio Zunini.
Nello stesso priodo ovverosia tra la fine dell'ottobre 1925 ed il luglio del
1926, quindi sempre prima dell'entrata in vigore del nuovo statuto, si svolsero in quasi tutto il reggiano le assemblee dei fasci della provincia e in questa
occasione furono rinnovati sia i direttori che i segretari politici.
La procedura seguita fu differente e sostanzialmente riconducibile a tre
metodi: in molti fasci (forse i più consistenti, ma non abbiamo dati per esserne certi) fu eletto il direttorio che subito dopo elesse il segretario; in altri fu
eletto il segretario (spesso in questo caso si trattava di riconferma) ed anche
il direttorio; negli ultimi casi fu "nominato"S il segretario politico con facoltà di scegliersi i cinque collaboratori formanti il direttorio.
Non si specifica da chi sia nominato ma secondo quanto si apprende da
"Il Giornale di Reggio" in data 29/6/'26, a Rubiera, alle ville Cadé, Gaida,
Cella (9/9/'26), a Cadelbosco Sopra (8/1/'26), viene preso questo provvedimento di nomina dall'alto che in un certo modo precorre ciò che con il nuovo statuto diventerà la regola.
Il gruppo dirigente formatosi dal congresso svolto si nel Febbraio '26,
quindi prima dell'entra,ta in vigore del nuovo statuto, rimane in carica fino
al 3 febbraio '27.
In questa data compare su "Il Giornale di Reggio", la nomina del nuovo
direttorio federale.
Va subito rilevato che in parte le scelte operate dal centro coincidono con
quelle fatte dal precedente Congresso, infatti all'interno del direttorio federale ritroviamo ancora al posto di segretario federale Giovanni Fabbrici,
mentre vengono riconfermati nell'incarico di membri del direttorio Mario
Muzzarini, Muzio Nasi, Celio Rabotti, Sante Simonini e Armando Gilli; parziale avvicendamento invece per i rimanenti membri del direttorio: Pasquale
Beltrami e Amilcare Covezzi passano infatti dalla corte federale di disciplina
al direttorio, mentre Getulio Artoni e Giovanni Robba escono dal direttorio
per entrare nella corte di disciplina.
Infine Mario Schiatti passa da membro del direttorio a fiduciario di zona,
carica che viene ricoperta per la prima volta anche da Celio Rabotti, Mario
Curti, A. Pagani, P. Spadoni, Franco Fontanili e A. Ferrari.
Non rientrano più in nessun ruolo Vincenzo Bertani, Muzio Levoni, Abele
Negri e Vittorio Rossi.
In ottemperanza ai dettami del nuovo statuto, i componenti il direttorio
SE' da rilevare che al momento era ancora in vigore lo statuto del 1921.
63
erano stati ridotti da 13 a 8, ma cosa più interessante, a Reggio Emilia si
procede anche alla ripartizione in zone del territorio provinciale9 , e questo
fatto merita alcune considerazioni: si costituiscono infatti sul territorio provinciale sette zone con a capo personaggi di rilievo del fascismo reggiano, ad
evidenziare il tentativo del partito di rafforzare ed "inquadrare" l'organizzazione del "movimento" su tutto il territorio provinciale; a conferma di
quanto detto basti osservare che a capo di queste zone troviamo sia componenti del direttorio in carica, come Rabotti, sia componenti del vecchio direttorio come Schiatti.
Il 18 Febbraio '27 "il Giornale di Reggio" pubblica la nomina di 50 segretari dei fasci della provincia e di 7 commissari straordinari IO.
Particolare attenzione meritano queste prime nomine perché il rinnovo
delle dirigenze dei fasci provinciali non avviene più per mano delle assemblee
dei singoli fasci, bensì per mano del segretario federale che, in forza di questo potere accordatogli dallo statuto del '26, è in grado di controllare l'intera
situazione della provincia.
Gli avvicendamenti riguardano:
Albinea, dove il sego Benevelli è sostituito da Spadoni;
Cadelbosco Sopra, dove Galingani è sostituito da Salsi;
Campagnola, dove Gaioni è sostituito da Mariani;
Casalgrande, dove Ferretti è sostituito da Pagani;
Caselnuovo Sotto, dove Bianchi è sostituito da Fontanili (Comm. str.);
Poviglio, dove Bigliardi è sostituito da Fontanili;
Reggiolo, dove Zambelli è sostituito da Nasi (Comm. str.);
Rubiera, dove Levoni Muzio, (già appartenente al direttorio federale del '26)
è sostituito dal Commissario straordinario Beltrami;
Villa S. Pellegrino, dove Armani è sostituito da Rossi;
Villa Canali, dove Montecchi è sostituito da Catellani;
Villa Masone, dove Ferrari è sostituito da Bigi (Comm. str .);
Nelle ville S. Maurizio e Ospizio, che precedentemente costituivano un unico
fascio di combattimento con a capo Casali segretario politico, si costituiscono, sempre in data 18/2/'27, due fasci distinti con segretari politici, a S.
Maurizio Fiumali e a Ospizio Ceresoli.
La situazione complessiva in questa data è la seguente: su 84 fasci della
provincia si hanno dati relativamente a 57, in 6 fasci viene nominato un nuovo segretario, in 7 viene nominato un commissario straordinario al posto del
vecchio segretario, in 20 si ha la riconferma del segretario precedente, per 24
non è possibile stabilire se si tratti di riconferma o di nuova nomina.
Alla data del 18/2/'27 rimangono fuori dall'intervento del segretario federale, 17 fasci di cui: Bibbiano, sciolto nel 1926, sarà ricostituito il 24 agosto
1927 dal comm. str. C. Lasagni;
Cadelbosco Sotto, per il quale non si avranno più dati dal 31/3/'26, data
di nomina di U. Bigliardi;
9
Come prevedeva lo statuto in vigore.
Come previsto dallo statuto alla norma 23a.
!O
64
Casina, in cui il segretario G. Giovanardi, nominato nel Gennaio '26, rimarrà in carica fino al '29 quando sarà sostituito da Pietranera;
Cavriago, di cui la prima nomina disponibile è del 29/7/'28 quando viene
nominato segretario politico Giuseppe Sirotti; Luzzara, dove la nomina di
Luppi a sego poI, risale al 25/6/'29 (e durerà in carica fino al 12/6/'38, data
di commissariamento del fascio da parte di Ezio Motta);
Montecavolo, per questo fascio non si avranno più dati dal 20/4/'26;
Santa Vittoria, anche per questo fascio non compariranno più dati dal 14/
1/'26;
S. Ilario, Viano e Toano, per i quali i primi dati risalgono solo al '29;
Scandiano, dove il comm. str. Toschi, rimarrà in carica fino al 15/6/'29,
data di nomina a sego poI. di Alboni;
Cella e Gaida, i cui dati si fermano al 9/9/'26 e tutto lascia pensare che
questi due fasci vengano accorpati a quello di Cadé, infatti in quella data è
nominato su tutti e tre i fasci, lo stesso segretario politico Gambetti;
Per il fascio del capoluogo, la carica è ricoperta dallo stesso segretario federale come prevede lo statuto, il vicesegretario politico è Odoardo Curli,
nominato l' 11 febbraio 1927.
Da questo quadro emerge che a Reggio Emilia il dettato del nuovo statuto
è "letteralmente" raccolto dal segretario federale, che lo utilizza per tentare
da un lato di normalizzare la situazione provinciale, ma dall'altro anche per
mettere persone di sua fiducia a capo di fasci in cui una elezione dal basso
avrebbe posto al sommo vertice del fascio persone non immediatamente controllabili dal federale stesso.
Ma l'inquadramento della situazione provinciale non è direttamente proporzionale alla normalizzazione della situazione federale, se appena cinque
mesi dopo questi provvedimenti viene nominato commissario straordinario
della federazione Mario Muzzarini.
Defenestrato Fabbrici dal potere politico locale, (sintomatico è che Fabbrici sarà successivamente sottoposto a provvedimenti disciplinari di sospensione da ogni attività politica in data 6/4/'29) ma non dal potere economico,
(lo ritroveremo infatti a ricoprire di nuovo la carica di presidente della Cassa
di Risparmio), inizia la lunga carriera politica di Muzzarini: (carriera che lo
porterà ad assumere incarichi di dirigenza a livello nazionale dopo un breve
"tirocinio" in sede locale), Muzzarini raggiungerà infatti l'apice della dirigenza con la nomina a membro del Gran Consiglio nel gennaio del '34, carica che manterrà fino all'ottobre del '41, (unico militante del PNF reggiano a
ricoprire tale incarico).
Ma il cambio della guardia al vertice della Federazione Provinciale non fu
indolore, l'entrata in vigore dello statuto del '26 aveva consentito a Fabbrici
un'operazione di intervento sui vertici dei fasci della Provincia ed ora i
"suoi" gerarchi tentavano una sorta di ribellione facendo quadrato intorno
alloro capo; va tuttavia rilevato che questo, fu l'ultimo tentativo della base
per influenzare la formazione del gruppo dirigente provinciale. Tuttavia se si
va a guardare in che misura l'attività del nuovo commissario straordinario,
65
interviene sulla dirigenza dei fasci, si nota che le manovre sono contenute per
tutto il corso del commissariamento.
Se si escludono infatti le nomine del nuovo direttorio federale e del fascio
capoluogo, i direttori dei fasci modificati da Muzzarini sono 5 su 83: Cavriago, Castellarano, Novellara, Campagnola ed il fascio di Bibbiano che viene
ricostruito.
Tutte e cinque queste nomine avvengono in data 29/7/'28, cioé a più di un
anno di distanza dall'avvicendamento alla segreteria provinciale.
Il permanere della "fronda" fabbriciana
La palese dimostrazione delle enormi difficoltà in cui si muove il nuovo
gruppo dirigente è dimostrata dalla venuta a Reggio dell'ispettore nazionale
ono Pierazzi: "Il Solco Fascista" pubblica in data 26/2/'29 la notizia dell'assemblea provinciale dei segretari politici dei fasci (che ad eccezione dei cinque sopra menzionati erano ancora tutti quelli nominati da Fabbrici) convocata dal Pierazzi; questo avvenimento, anche se riportato dalla stampa ufficiale privo di qualsiasi commento, è comunque indicatore di un fermento
prodottosi con la venuta del nuovo segretario provinciale, fermento che per
sedarsi necessita un diretto intervento del centro.
A questo proposito vanno ricordate le critiche mosse dall'''ala fabbriciana" a Muzzarini. Su questa vicenda, scrive G. Zaccaria: "L'avvocato Carlo
Lasagni (comm. str. del fascio di Bibbiano nominato da Fabbrici e Podestà
dello steso comune) ed altri esponenti dell'ala fabbriciana criticarono duramente Muzzarini: I fabbriciani sostennero che il fascio (delcapoluogo) era in
una situazione di crisi gravissima. L'assemblea si teneva dopo tre anni di totale silenzio, ... secondo i fabbriciani, ... intervenne l'ono Giuseppe Spallanzani, presidente della Banca Popolare di Reggio, che invitò Muzzarini a recarsi
a Roma per chiedere alla direzione del partito l'invio di un commissario, che
reggesse le sorti della federazione. Muzzarini avrebbe promesso di dimettersi" 11.
Significativo è che uno dei maggiori oppositori di Muzzarini: il commissario straordinario di Bibbiano Carlo Lasagnj12, dopo l'assemblea dei fasci tenuta dall'ispettore Pierazzi, venga espulso dal PNF per mano· dello stesso
Ispettore Pierazzi, il quale contemporaneamente riconferma Mario Muzzarini nella carica di Segretario Provinciale" 13 •
A sua volta Giovanni Fabbrici viene sospeso da ogni attività politica in data 6/4/'29.
L'epurazione del partito era proseguita in data 16/3/'29 quando vengono
espulsi Fausto Fiumali membro della commissione di vigilanza, Giovanni
Robba membro del direttorio del fascio di Reggio, Umberto Morsiani e Sante Simonini membri dell'ONB provinciale, Artuto Tarabusi membro del di11 G. ZACCARIA, Conflitti interni alfascismo reggiano dal 1927 alla metà degli anni trenta, in: "Ricerche storiche", 1980, n. 40.
12 Ibidem.
13 Cfr,. "Il Solco Fascista", 27 febbraio 1929.
66
rettorio del fascio di Reggio, ed infine Luigi Tarabusi, Mario Poli e Ulisse
Colla.
Furono inoltre sospesi a tempo indeterminato: Aurelio Baldacci, Aldo
Barchi, Gino Camozzi, Carlo Ferrari, Carlo Linci, Ugo Camellini, Alberto
Barono, Vincenzo Bertani (vice-segretario federale sotto la segreteria Bofondi), Umberto Confetti, Camillo Galli, Massimo Neri, Alfredo Silingardi,
(membro del direttorio del fascio di Reggio).
Questi provvedimenti disciplinari che di fatto decimavano il gruppo dirigente del fascio capoluogo, sono accompagnati da una nota esplicativa nella
quale si legge: "Ai provvedimenti disciplinari che sono stati presi nei confronti di alcuni fascisti appartenenti al fascio di Reggio non deve essere attribuita importanza maggiore di quella che si attribuisce agli atti di ordinaria
amministrazione.
La disciplina ferrea che il Duce del Fascismo ha imposto alle gerarchie,
perché a loro volta sappiano imporla ai gregari, non ammette né debolezze
nè sentimentalismi. ... Il fascismo non ha idoli da levare sugli altari della popolarità, ha un Duce che infallibilmente guida e dei gerarchi cui incombe la
onorifica responsabilità di eseguire e di pretendere l'esecuzione degli ordini
che dal capo promanano. Chi non comprende questo, ... non può aspirare all'onore di appartenere al Partito .... Fin che le alte Gerarchie, emanazione diretta della volontà del Duce, ci vorranno al posto di comando, da questa ...
linea non defletteremo, checché possano urlare nella vanità del loro pensiero, qualche disperso o isolato: ... voci ... inascoltate ... nel coro unanime e
plaudente del fascismo sano, del popolo che lavora".
Il capovolgimento della piramide organizzativa formalizzato nello statuto
del '26, non era solo una enunciazione, ma si era dunque consolidato, seppur lentamente anche in provincia.
Nel caso di Reggio si può affermare che gli strumenti forniti dàllo statuto
del '26 per "normalizzare il partito" furono sicuramente usati a fondo consentendo di raggiungere gli obiettivi prefissati.
L'esito dello scontro si risolve a favore dei muzzariniani con la nomina di
Franco Fontanili a Segretario della federazione in data 19/4/'29; avevano
dunque vinto coloro che, non solo avevano sostenuto il nuovo corso, ma lo
avevano applicato senza "sentimentalismi".
Franco Fontanili infatti fu il braccio destro di Muzzarini, il quale, appena
nominato commissario straordinario della federazione, lo aveva chiamato a
dirigere il fascio capoluogo in qualità di vice-segretario, essendo la carica di
segretario a norma di statuto tenuta dal federale stesso. Con la nomina di
Fontanili a segretario federale si chiude un ciclo del fascismo reggiano: Muzzarini era stato il segretario del nuovo corso fascista, il corso dell'obbedienza
alle gerarchie, il corso del fascismo post-statuto del '26, e lo era stato indubbiamente in veste di protagonista, tuttavia la sua provenienza dall'interno
del fascismo locale lo rendeva interamente partecipe delle divisioni interne al
partito, e questo porta alle permanenze dei contrasti tra i gruppi locali che
tentano di prevaricarsi per porsi alla guida del partito stesso nelle aree decentrate.
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Dalla nomina di Fontanili in poi inizia l'era dei segretari politici meri esecutori degli ordini e fedeli custodi del regime.
L'era di Fontanili o della normalizzazione.
Nel saluto che il nuovo federale scrive sotto la comunicazione dell'avvenuto "cambio della guardia" al vertice della federazione si legge: " ... A nome
dei camerati tutti rinnovo il saluto alla più alta autorità della provincia, S.E.
il Prefetto Dino Perrone Compagni, dai ranghi delle Camice Nere assunto a
rappresentante del Governo Fascista" .
E' chiara la "subordinazione totale e definitiva" del partito allo stato l 4,
ma nello stesso tempo il richiamo alla provenienza del prefetto indica che i
canali della dirigenza anche statale passano attraverso i ruoli del partito.
Ed ancora: " ... Il mio primo pensiero a voi (camerati), perché è soprattutto con .. .il concorso della vostra fede ... del vostro entusiasmo che il fascismo della nostra provincia potrà assolvere i compiti affidatigli".
Significativo è anche il saluto che egli rivolge al suo predecessore, il quale:
" ... ha già indicato le vie del dovere. Egli rimarrà tra i dirigenti provinciali, a
garanzia che da quelle vie non ci si allontanerà"; il messaggio pare rivolto
sia agli oppositori interni per dirgli che non troveranno spazio e li scoraggia
da ulteriori battaglie, sia alla direzione nazionale per assicurarla che la situazione in provincia è sotto controllo ed è stata ricondotta nel giusto alveo come imponeva il nuovo statuto.
A questo proposito è eloquente l'ultimo passaggio: "Ispirando quotidianamente la mia opera al giuramento di fedelta fascista, rigidamente disciplinato agli ordini delle Gerarchie Superiori" .
Nonostante questo la composizione del nuovo direttorio federale, conseguenza quasi logica del cambio del nuovo segretario, deve essere stata difficile, se la pubblicazione dei componenti è datata 21 maggio.
Il primo nome che compare nellla lista dei nuovi componenti non è, come
d'uso, quello del vice-segretario, ma quello dell"'on. comm. doti. Mario
Muzzarini", d'altronde la volontà di ispirarsi al suo predecessore, viene ampiamente dichiarata dal federale nel suo discorso pronunciato in occasione
dell'insediamento del nuovo direttorio, discorso riportato da "Il Solco Fascista" in data 24 maggio dove si legge: "Egli (Fontanili) esprime anzitutto
l'affetto e la devozione sua e del fascismo reggiano all'ono Muzzarini; espressioni che vogliamo dire di ammirazione delle sue doti di combattente, di Camicia Nera e di dirigente politico, la cui linea di azione, ispirata a perfetta
comprensione e fedeltà eletta. sarà ancora e sempre seguita dall'attuale Direttorio".
Il nuovo direttorio è così composto:
Cap. Franco Fontanili, segr. federale;
Mario Muzzarini;
14 Va ricordata a questo proposito la circolare inviata dallo stesso Mussolini il 5 gennaio 1927 ai
Prefetti in cui è ribadito il concetto della subordinazione del Partito allo Stato.
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Renato Bertolini, vice-segretario;
Enrico Bottazzi, segretario amministrativo;
Enzo Mariani Cerati, Mario Meulli, Celio Rabotti, Enrico Gherardini, quali
membri.
Dal vecchio direttorio rimangono in carica, oltre allo stesso Muzzarini e a
Fontanili, Renato Bertolini, Mariani Cerati, Meulli, Rabotti e Bottazzi.
Unico nuovo membro è Enrico Gherardini che viene nominato al posto
dell'ex vicesegretario Bertoldi, rimarrà comunque un personaggio marginale
del fascismo reggiano.
In sostanza quindi si ebbe la riconferma del gruppo dirigente Muzzariniano; di quello stesso gruppo dunque che, attraverso la nomina a commissario
straordinario e la riconferma a segretario federale di Muzzarini, fu imposto
dalla direzione nazionale contro la volontà dei quadri per la maggior parte
schierati intorno all'onorevole Fabbrici.
Subito dopo l'insediamento del nuovo direttorio, il nuovo segretario iniziò
l'opera di avvicendamento dei segretari dei fasci, operazione che Muzzarini
non aveva voluto o potuto fare.
Questa operazione pubblicata da "Il Solco Fascista" in varie tappe nelle
giornate del 15/6, 20/6, 7/7 e 25/8/'29, riguarda la riconferma di 35 segretari di fasci di combattimento, su un totale di 85 (ultimo fascio di cui si hanno
notizie è quello di Viano).
Un'operazione analoga, per entità, ma esattamente opposta perché i segretari in quell'occasione furono sostituiti, era stata fatta da Fabbrici all'indomani dell'entrata in vigore dello statuto del '26.
Il 30 settembre '29 il "Solco Fascista" pubbica il nuovo statuto del partito
senza alcun commento.
L'attività di nomine della federazione cessa, uniche pubblicazioni in merito riguardano la riconferma di Fontanili a capo della federazione e la sostituzione di Muzzarini con Andrea Bonomi alla direzione de "Il Solco fascita".
La contraddizione tra l'operazione di riconferma dei segretari politici dei
fasci di combattimento e il ricambio del gruppo dirigente provinciale, indicano che a Reggio Emilia la "normalizzazione" è pressoché avvenuta e che
ogni resistenza è ormai vinta.
Tale conferma di "normalizzazione" e di una situazione di "stabilità"
raggiunta in questa realtà, la si deduce anche dalla stasi che subisce l'atività
di nOJ;llina della federazione reggiana.
In pratica nell'arco di un anno e mezzo le uniche nomine riguardano: la
sostituzione di Rabotti con Napoleone Rossi e di Muzzarini con Bussi e la
sostituzione di Mariani Cerati e Meulli con Barbieri e Schiatti, all'interno del
direttorio federale in occasione della ratifica del direttorio stesso operata da
Turati il 19/3/1930, dopo l'entrata in vigore del nuovo statuto.
E' da notare come la sostituzione di Muzzarini avviene in sordina, infatti
sul comunicato non compare come al solito "il tale è sostituito dal tal altro", ma semplicemente compare la ratifica di Turati al direttorio, in cui
non è presente il nome di Muzzarini.
Il processo di normalizz~ione del partito imposto dal Duce era così com-
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pletato; logica conseguenza ne fu uno svilimento politico del partito stesso
ed una sua relegazione ai margini della vita politica, in modo tale da non poter nuocere al regime del dittatore.
Con l'inizio del '31 ricompaiono su "Il Solco Fascista" le nomine della federazione in modo particolare rivolte ad organizzare i fasci giovanili di com. battimento e i GUF.
Anche in questo caso, puntualmente l'organo periferico agisce in ottemperanza alle direttive nazionali: in questa occasione alla decisione del Gran
Consiglio dell'8 ottobre 1930, il quale cercando di allargare la sfera di influenza del partito sui giovani, aveva appunto provveduto alla costituzione
dei fasci giovanili e li aveva messi alle dirette dipendenze del partito.
Il 4/2/'31 il Solco comunica la composizione del comando provinciale dei
fasci giovanili:
Comandante Provinciale Franco Fontanili, federale;
Aiutante D. Carnevale
Propaganda Antonio Fulloni
Sport M. Vasilico'.
Ma l'attività di nomina della federazione non viene rivolta solo alle organizzazioni giovanili, nei primi sei mesi del '31 vengono pubblicati quasi tutti
i direttori dei fasci della provincia, a differenza degli anni precedenti in cui
erano pubblicate solo le nomine dei segretari politici.
Il 20 gennaio e il 14 febbraio sono pubblicati rispettivamente i direttori dei
fasci di Ciano d'Enza e di S. Polo, nel primo si ha la riconferma di Formentini nel secondo Luigi Bonacini sostituisce Pattacini che era a capo del fascio
dal febbraio '27; per quanto riguarda i membri dei direttori dei fasci, non è
possibile fare confronti inquanto mancano dati precedenti.
Il 13 marzo è pubblicata la lista dei membri del nuovo direttorio federale:
Renato Bertolini, vice-segretario;
Bottazzi, segretario amministrativo;
Barbieri, Rossi, Schiatti, Rabotti membri;
Deglincerti membro e segretario del GUF; (nominato in quella carica il 22/
12/'30).
Del vecchio direttorio rimangono in carica oltre al federale FonÙmili, Bertolini, Bottazzi e Rossi; Barbieri, Schiatti, Rabotti e Deglincerti sono "parzialmente" nuovi, in realtà Rabotti rientra dopo una breve pausa nel '30, e
riprende il suo posto che risale al '26 (un fabriciano riveduto?), Schiatti proviene da incarichi periferici: fiduciario di zona nel '27 assieme a Rabotti,
membro del direttorio federale nel '26, membro del direttorio dei fascio di
Reggio nel '30, segretario del fascio di Correggio nel '27 e nel '31 (va sottolineato che Correggio assieme a Guastalla e Castelnuovo Monti erano i tre
principali centri urbani della provincia dopo Reggio); Barbieri proviene dal
direttorio del fascio di Reggio e non si hanno notizie di incarichi precedenti;
Deglincerti era membro di diritto essendo stato nominato segretario politico
del direttorio provinciale del GUF il4 febbraio '31; di fatto solo due membri
su otto provenivano dall'esterno del vecchio gruppo dirigente e quindi le
nuove direttive politiche inaugurate dal Gran Consiglio, tendenti a focalizza-
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re maggiormente l'attenzione verso i giovani e le loro eventuali comprensibili
aspettative, furono in questa occasione ampiamente disattese.
Anche l'occasione della nomina degli ispettori di zona (avvenuta il 25/
3/'31), viene utilizzata solo parzialmente per promuovere qualche nuovo
"gregario": su otto ispettori nominati, due sono membri del direttorio federale, Barbieri e Mario Schiatti; due sono membri uscenti del direttorio suddetto, Gherardini e Bussi; Pietro Schiatti è segretario del fascio di Campagnola dal 29/7/'28; Pioli è segretario del fascio di Cavriago; Manfredi è segretario del fascio di Gattatico e vi rimarrà fino al 28/1/'40; Bofondi è al
primo incarico nel partito reggiano (in precedenza aveva ricoperto l'incarico
di commissario straordinario e segretario del fascio di Forlì, suo paese di
provenienza; a Reggio era venuto in qualità di titolare della cattedra ambulante di Agricoltura); tutti gli otto ispettori sono fascisti di vecchia data.
Sempre in data 25/3/'31 "Il Solco Fascista" pubblica sotto la voce: "variazioni segretari politici", l'elenco di 42 segretari con a fianco il fascio relativo e la composizione del nuovo direttorio del fascio di Reggio; dei 42 segretari menzionati; 23 sono riconfermati e 19 sono sostituiti, rimangono quindi
43 segretari non menzionati e di conseguenza presumibilmente riconfermati.
Dal direttorio del fascio di Reggio, escono Barbieri e Schiatti mentre entrano Manicardi e Degl'Incerti.
Sostanzialmente dalle nomine della federazione operate in questo inizio
'31 emerge una situazione di quadri consolidati a dimostrazione di un partito
in linea con le disposizioni che promanano dalla direzione nazionale; a conferma di questo basti osservare la permanenza di alcuni segretari politici nel
loro incarico:
a Cadelbosco Sopra il segretario Garavaldi rimane incarica fino al '37,
a Casalgrande il segretario Guidelli rimane in carica fino al '39,
a Casina il segretario Marchi rimane in carica fino al '36,
a Gattatico Manfredi fino al '40,
a Luzzara il segretario Conti rimane fino al '38,
a Quattrocastella il segretario Bertolini fino al '37,
a Ramiseto il segretario Dazzi rimane fino al '38, a Rolo Nasi rimane fino al
'36 e a Villaminozzo, Pedrazzoli rimane segretario politico dal '27 fino al
, 40; oltre a questi, altri segretari di lunga durata saranno quelli nominati
l'hanno successivo.
Tre mesi dopo questa operazione, "Il Solco Fascista" pubblica un'avvicendamento che parrebbe essere il colpo di coda alla definitiva situazione di
stabilità o stagnazione dei quadri del partito: in data 12 giugno '31 si registra
la destituzione da ogni incarico di Mario Schiatti, che all'epoca ricopriva le
cariche di segretario del fascio di Correggio, ispettore di zona, membro del
direttorio federale; sempre lo stesso giorno sono commissariati i fasci di: S.
Martino in Rio, Vezzano e Viano, inoltre nelle ville sono commissariati i fasci di S. Pellegrino, S. Prospero, Pieve Modolena, Sabbione, Canali, Gavassa, Mancasale e Ospizio.
Il giorno seguente gli stessi fascisti destituiti o sostituiti saranno fatti oggetto di provvedimenti disciplinari: a tutti verrà ritirata la tessera del partito
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mentre Rossoni segretario del fascio di S. Pellegrino, Bertolini segretario del
fascio di S. Prospero, Zanichelli sego del fascio di Pieve Modolena, Masini
sego del fascio di Villa Sabbione, Codeluppi segretario del fascio di Villa Canali verranno espulsi dal partito.
Dalla stampa locale non trapela nulla circa le cause a cui far risalire questi
provvedimenti che però si inquadrano perfettamente nell'attività che Giurati
stà conducendo in questo periodo: anche in sede locale come a livello nazionle, l'epurazione è condotta contro personaggi marginali al gruppo dirigente, a Reggio unica eccezione è quella di Mario Schiatti che certo un discreto rilievo lo aveva raggiunto, viste le cariche che ricopriva.
Il 14 luglio '31 al posto ricoperto da M. Schiatti quale ispettore della 5a
zona viene nominato Amos Lugli già segretario del fascio di Rio Saliceto; infine la nomina di Galli a Segretario politico del fascio di Campegine, di Artioli a segretario politico del fascio di Rubiera, Vaccari a segretario politico
del fascio di Baiso, e Bofondi a segretario politico del fascio di Guastalla,
conclude le nomine operate dalla federazione fino al gennaio dell'anno successivo.
Il 16/1/'32 mentre a Roma inizia l'era "staraciana" il Solco comunica la
composizione del nuovo direttorio alla cui guida ritroviamo costantemente
Fontanili, Bertolini, Bottazzi; seguono poi Rossi, Barbieri, Deglincerti, Bofondi e Fulloni; Anche in questa occasione su otto componenti ne vengono
cambiati due: uno è il destituito Mario Schiatti e l'altro è Rabotti Celio, ma
per quest'ultimo vedremo che si tratta di una breve pausa, infatti rientrerà
prima della fine dello stesso anno; quindi, oltre alla sostanziale riconferma
del gruppo dirigente provinciale, ci sono due novità: la fulminea cariera di
Bofondi e l'ingresso di Fulloni, per il quale si tratterà di una presenza fugace
in quanto non comparirà più in alcuna nomina.
Subito dopo la pubblicazione della composizione del direttorio, si ha la
conferma di una prassi ormai consolidata che sottolineava il verticismo dell'organizzazione gerarchica, e cioé che successivamente ai rimescolamenti o
cambiamenti del gruppo dirigente provinciale seguissero le riconferme o i
cambiamenti nei gruppi dirigenti perifierici.
"Il Solco Fascista" in data 21/1/'32 pubblica i dati relativi alle nomine
dei segretari di ben 43 fasci:
in 33 di essi si ha la riconferma del segretario politico; in 4 fasci il precedente commissario straordinario entra ufficialmente nel ruolo di segretario
politico l5 ; negli ultimi quattro i commissari straordinari mantengono ancora
la stessa carica e infine solo in due fasci si ha una nuova nomina: Rubiera e
Vetto, nel primo viene sostituito Artioli che manteneva la direzione del fascio del '29, nel secondo è sostituito Azzolini, anche lui nominato nel '29.
"Il Solco Fascista" prosegue poi le pubblicazioni dei componenti i direttori dei fasci di combattimento fino alla metà di agosto, ne pubblicherà complessivamente 56.
15 Di questi quattro commissari, uno, Bottazzi è membro del Direttorio; due, Rabotti e Meulli, sono ex membri di Direttori Federali.
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Da questo quadro emerge una sostanziale stabilità della dirigenza periferica del partito, stabilità che però è ampiamente contraddetta dalle cronache
degli avvenimenti cittadini di questo periodo.
Avvenimenti in certe occasioni addirittura tumultuosi che si concludono
con la sostituzione del segretario federale e del direttorio federale al completo.
La segreteria Bofondi. Si volta pagina
Il 20 agosto 1932 dopo quasi tre anni e mezzo tramonta la segreteria del
cap. Franco Fontanili (andrà a dirigere l'ONB a Genova); nominato il 19
aprile 1929 a succedere a Muzzarini, Fontanili si era trovato di fronte ad una
situazione di divisioni interne laceranti, tanto da aver fatto richiedere ai fabbriciani (questo poco tempo prima della sua nomina) il commissariamento
della federazione provinciale da parte di un ispettore (che effettivamente
venne, ma a riconfermare Muzzarini) nominato dalla direzione nazionale.
Arrivato alla segreteria provinciale evidentemente spalleggiato dalla direzione nazionale, Fontanili operò la riconferma del blocco Muzzariniano alla
guida del partito reggiano (lo stesso Muzzarini era presente come si ricorderà
all'interno del primo direttorio del Fontanili) e tre degli otto membri permarranno all'interno del direttorio fino alla successione del federale, a sostegno
di una riconferma sostanziale del gruppo dirigente Muzzariniano.
Del resto il giorno del suo insediamento Fontanili aveva ben detto: "Il camerata che mi ha preceduto, ... ha già indicato le vie del dovere,,16, e ancora: "Egli (Fontanili) esprime anzitutto l'affetto e la devozione sua e del fascismo reggiano all'ono Muzzarini, ... la cui linea d'azione ... sarà ancora e
sempre seguita dall'attuale direttorio".
Al dilà dei contenuti di circostanza, trapelava in modo esplicito l'intenzione di proseguire nella linea di condotta del suo predecessore; ma i suoi tre
anni e mezzo di permanenza al vertice del partito non furono sufficenti a ricomporre o superare quelle profonde lacerazioni interne che avevano accompagnato la vita del partito fin dalla sua nascita e per merito delle quali era
divenuto segretario.
A questo proposito sono significative le parole che furono rivolte allo stesso Fontanili dal suo successore il giorno dell'insediamento: "Per apprezzare
la sua opera (di Fontanili) bisogna aver conosciuto le ansie del comando in
periodo di difficoltà, bisogna sapere quanta fede sia necessaria per reggere al
logorio sordo delle situazioni pesanti" 17.
Il compito quindi di ricomporre i dissidi interni e di rilanciare l'attività del
partito fu ereditato dal successore di Fontanili Marcello Bofondi, nominato
in data 20 agosto 1932; questi chiamò a far parte del direttorio provinciale:
Odoardo Curli in qualità di vice-segretario politico, Ezio Bigi segretario am16 Cfr,
Circolare di Fontanili a tutti i segretari politici dei Fasci, "Il Solco Fascista", 19 marzo
1929.
17 Cfr, Il rito solenne delle consegne alla presenza del Prefetto e delle gerarchie provinciali, "Il Solco Fascista", 23 agosto 1932.
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ministrativo, Renato Poli quale segretario del GUF, Manfredo Manfredi,
Celio Rabotti, Dino Salati e Pietro Schiatti come membri del direttorio.
Come si può notare dal confronto con il direttorio precedente, il gruppo
dirigente provinciale non solo è sostituito in blocco, ma ad esclusione di Rabotti (membro quasi ininterrottamente del gruppo dirigente provinciale dal
'26) e dello stesso Bofondi che però era entrato a far parte di questo organismo solo il 16/1/'32, tutti gli altri sono alloro primo incarico in questo organismo, infatti: Ezio Bigi proveniva dal comando del FGC di Reggio Emilia
in cui era stato nominato il 25 marzo 1931 e dalla stessa data era entrato a
far parte del direttorio dell'omonimo fascio; Edoardo Curli era stato membro della corte federale di disciplina nel '26 e del consiglio di disciplina nel
'27; Manfredo Manfredi era stato ispettore di zona nel '31; Dino Salati proveniva dal fascio di Scandiano (dove probabilmente era già segretario, anche
se dai dati sembra fosse stato chiamato solo più tardi a ricoprire questo incarico); Renato Poli era stato nominato segretario del GUF e ispettore di zona
nel '31; Pietro Schiatti era stato segretario politico del fascio di Campagnola
ininterrottamente dal '28 al '34, e nel '31 era stato nominato anche ispettore
di zona.
Quindi solo due componenti su otto rappresentavano un elemento di continuità rispetto al vecchio gruppo dirigente provinciale.
Se unitamente ai componenti del nuovo direttorio federale, analizziamo i
dati relativi ai componenti del direttorio del fascio di Reggio Emilia nominato 1'8/11/'32, che, in quanto fascio capoluogo ha un gruppo dirigente che è
assimilabile per certi aspetti a quello provinciale, il quadro complessivo del
radicale rinnovamento è evidente.
I nuovi componenti del direttorio del fascio cittadino nominato 1'8/11/'32
sono: Ezio Bigi, che anche a questo livello ricopriva l'incarico di segretario
amministrativo; G. Battista Taddei vice-segretrio politico al suo primo incarico nel partito; Ottorino Leggeri proveniente dal FGC del fascio omonimo;
Antonio Barchi al suo primo incarico nel partito assieme a Costante Cardinali, Otello Masini e Alberto Grandi; per tutti questi non risultano incarichi
di alcun genere né a livello federale né a livello del fascio di Reggio, né in alcun fascio periferico per tutte le cariche prese in esame.
Cinque componentiil direttorio su sette (l'ottavo come prevedeva lo statuto era lo stesso segretario federale), sono alloro primo incarico e i restanti
provengono entrambi dal fascio giovanile della città.
L'operazione condotta dal nuovo federale Bofondi fu evidentemente quella di "voltare pagina" rispetto al passato; Costituire un nuovo gruppo dirigente provinciale composto interamente da persone che (Almeno in qualità
di responsabili politici) non erano state coinvolte nelle estenuanti e logoranti
lotte intestine per l'appropriazione della guida del partito.
E se, come abbiamo visto, all'interno del direttorio federale qualche elemento di continuità (Schiatti P., Rabotti) permane, (probabilmente, come la
stessa carriera alterna di Rabotti starebbe a dimostrare, perché questi erano
riusciti a rimanere all'interno del gruppo dirigente senza schierarsi apertamente con le correnti in lizza) all'interno del direttorio del fascio cittadino il
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rinnovamento è totale: non c'é un componente che abbia avuto incarichi di
partito prima del '3J18.
Questo rinnovamento totale all'interno del fascio risponde a una duplice
esigenza: sgombrare il campo da tutti coloro che si erano schierati negli
scontri precedenti e tentare di rigenerare un nuovo gruppo dirigente provinciale promuovendo giovani provenienti dal fascio giovanile di combattimento. All'interno del direttorio federale un'operazione analoga è però diluita,
evidentemente per non essere traumatica, trattandosi del massimo organo dirigente della provincia.
Ricomincia così, alla fine del '32, con un gruppo dirigente completamente
rinnovato, l'attività del PNF nella provincia di Reggio Emilia, cercando di
lasciare alle spalle quelle divisioni, quelle spaccature ricomposte dall'alto che
avevano portato il partito ad occuparsi più dei problemi interni che della direzione politica della provincia e delle iniziative politiche, (che forse, più
apropriatamente, dovremmo definire: esecuzioni degli ordini ricevuti) per la
fascistizzazione degli italiani e il consolidamento del regime.
L'operazione immediatamente conseguente al rinnovamento del gruppo
dirigente provinciale condotta da Bofondi, fu di rimettere ordine e disciplina
tra le file degli iscritti, che nel frattempo alla riapertura delle iscrizioni erano
passate da 8.467 a 16.894 19 •
Per avere un'idea dell'attività di Bofondi in questa direzione basti pensare
che dal giorno della sua nomina, il 20/8/'32, fino alla fine del '33 sono stati
contati 139 comunicati ufficiali, di questi 72 erano nomine di vario genere
(compresi i FGC che ebbero in questo periodo uno sviluppo notevole) e 67
erano comunicati di provvedimenti disciplinari.
Ma un'interessante riassunto dell'attività svolta e una fotografia della situazione reggiana del PNF a poco più di un anno dalla sua nomina, la fornisce lo stesso Bofondi nella relazione che tiene al teatro municipale in occasione della visita a Reggio Emilia del segretario generale del PNF Achille Star ace: " ... Vi attesto e Vi assicuro, Eccellenza, che da quando voi mi affidaste il
compito, - in nome del capo - di essere l'interprete e l'esecutore dei vostri ordini in questa provincia, non mi concessi mai, ed i miei camerati reggiani con
me, un attimo di sosta e di riposo, operando costantemente secondo lo
splendido esempio del DUCE.
Vi attesto e Vi assicuro, senza vano ottimismo, che l'organizzazione interna del partito in questa provincia si può considerare raggiunta" .
Dopo gli elogi al prefetto e alle autorità in genere, prosegue: " ... Desidero
poi sfatare decisamente, una volta per sempre, una vecchia leggenda con cui
qualche deluso racconta che a Reggio non vi sia accordo tra milizia e Partito. Se questioni vi furono in passato, esse sono definitivamente sepolte"20.
Passando poi ad analizzare la situazione dei fasci di combattimento Bo18
19
20
Cfr, Dettagliata relazione del segretario federale, "Il Solco Fascista", 12 marzo 1934.
Ibidem.
Cfr, Il Fascista Eugenio Rolondi nuovo federale di Reggio, "Il Solco Fascista", 23 maggio 1937.
75
fondi dice: « ... noi consideriamo il fascio di combattimento come quello che
da il "tono" a tutta la vita di ogni comune ... Nel lavoro continuo di ogni
giorno qualche camerata ha dimostrato di "perdere colpi". E' stato subito
sostituito! Così pure sono stati sostituiti quei segretari di fasci che ricoprivano anche l'incarico di podestà. Complessivamente, 44 camerati hanno ceduto il posto ad elementi giovani ed esuberanti di fresche energie .... Alle sedi
dei fasci, sempre aperte, nessuno ha ricorso senza avere almeno una parola
di conforto morale. Di ciò mi sono assicurato in occasione dei 121 rapporti
tenuti in provincia e delle 158 ispezioni eseguite senza preavviso ... Per avere
poi un maggiore controllo e sviluppare una più intensa attività, ho costituito
nella città quattro gruppi rionali e nella provincia 37 sottosezioni. I gruppi
rionali e i fasci di combattimento possono così svolgere opera di continua
penetrazione negli strati più umili del popolo che deve ricorrere a noi quando
ne ha bisogno senza far anticamera, con confidenza e soprattutto con fiducia. A tale scopo ho anche costituito nella "casa del fascio" restaurata in
tutti i suoi locali, una sala di ritrovo con biblioteca ove i fascisti possono libera~ente convergere e dove, nell'elevamento culturale, nessuna distinzione
divide operai e intellettuali, giovani ed anziani, tutti si ritrovano lì ... poiché
nessun antagonismo, divide più gli animi, frena le iniziative ed annulla l'azione. Il fascismo reggiano un tempo frazionato in correnti e in dissidi che si
sopivano e si riacutizzavano ... , è oggi compatto e serrato come non mai,
stretto con armonia».
A poco più di un anno dalla sua nomina, Bofondi poteva quindi presentare al segretario nazionale un carnet di tutto rispetto; egli si poteva permettere
di assicurare Starace che le divisioni interne facevano già parte di una storia
passata e che ora, forte di una organizzazione cresciuta sia in numero che in
efficienza, poteva riprendere l'iniziativa "politica" .
Ma mentre la relazione è effettivamente "dettagliata" nel descrivere la situazione organizzativa, (sono contemplati i rendiconto di tutte le organizzazioni del PNF: fasci di combattimento, situazione amministrativa, organizzazioni giovanili, fasci femminili, associazioni combattentistiche, dopolavoro ecc.) la ricerca di analisi politiche della situazione provinciale e l'indicazione di prospettive ed iniziative (ad esclusione degli impegni profusi nella
beneficenza: befana fascista, cesto natalizio ecc.) è comunque vana.
Tutta la funzione organizzativa si risolve nell'inquadramento delle masse
all'interno delle strutture del PNF, come operazione fine a se stessa; o al
massimo con (unica prospettiva presente nella relazione) l'intento di obbedire "senza discutere ai comandamenti del DUCE, agli ordini Vostri (di Starace), con fervore, con virile volontà, con intelligente ed entusiastica disciplina" .
Bofondi era si riuscito a superare i contrasti interni al partito, ma muovendosi in perfetta sincronia con le disposizioni dei vertici nazionali.
Bofondi non aveva superato i contrasti (strumentali finché si vuole, ma
che comunque fino ad allora avevano mantenuto aperto un minimo di possibilità di discussione all'interno del partito) elaborando una linea politica che
sapesse far convergere le diverse posizioni, magari indicando prospettive e li-
76
nee d'azione innovative, ma alla finfine li aveva ignorati semplicemente eliminando dal gruppo dirigente tutti coloro che in qualche modo si erano
schierati da una parte o dall'altra.
Ed inoltre, dagli sviluppi che andremo a vedere, si nota come il nuovo
gruppo dirigente non nacque in quanto espressione di diversi o nuovi schieramenti politici, magari terzaforzisti sostenuti dalla base stancatasi delle lotte
fra le correnti, come bene o male era stato fino ad allora, ma semplicemente
il gruppo dirigente fu di uomini che in perfetta linea con il fascismo degli anni '30 eseguivano e agivano cercando di eseguire e agire "bene", facendo del
loro ruolo di buoni esecutori un fine politico se non anche l'unico fine.
Subito dopo la visita di Starace, forte degli incoraggiamenti che evidentemente quest'ultimo doveva avergli dato, Bofondi continua imperterrito nella
sua opera di rafforzamento delle strutture del partito, stabilizzando l'apparato periferico a colpi di nomine, sostituzioni, provvedimenti disciplinari (in
perfetto stile staraciano: "ho nominato, ... ho sostituito ... ho creato ... ") e
badando a far si che tutte le cariche e i nuovi organismi previsti dai nuovi
statuti vengano ricoperti.
Sotto Bofondi il partito fascista reggiano conosce dunque un periodo di
autentica stabilità; rimasto in carica fino alla metà del '37 (unico segretario
federale a permanere così a lungo), Bofondi fu una vera "macchina burocratico-organizzativa", nominò: 65 ispettori di zona, 25 ispettori amministrativi, 123 segretari di fasci di combattimento, 24 fiduciari di gruppi rionali, 90
comandanti di fasci giovanili (questi ultimi tutti negli anni 33/34), 25 commissari straordinari, 3 fiduciari di zona e tre capinucleo.
Da come si può notare però, un così grande lavoro di nomine riguarda soprattutto il gruppo dirigente periferico del partito, infatti per quanto concerne gli sviluppi del gruppo dirigente provinciale, dalle nomine si evince per
quegli anni, dall'agosto 1932 al maggio 1937, una notevole stabilità: i fascisti
che ricoprono la carica di membri del direttorio federale sono appena 17 e i
membri del direttorio del fascio cittadino sono ancora meno, solo 13.
Questi dati assumono maggiore importanza politica se consideriamo che
l'ultima nomina del direttorio federale, in cui vengono sostituiti 3 componenti, risale al 5/3/'37; e l'ultima nomina del direttorio del fascio di Reggio,
in cui furono sostituiti 5 componenti, risale al 14/3/'37, cioé sostanzialmente
due mesi prima della scadenza della segreteria Bofondi, di conseguenza l'effettivo numero di componenti il direttorio provinciale nel periodo dal 1932 al
1937, si riduce a 14, mentre per il direttorio del fascio di Reggio le presenze
effettive per lo stesso periodo, scendono a 8.
Sempre a proposito dell'ultimo direttorio federale di Bofondi, va tenuto in
considerazione che questo arriva a quasi 5 anni di distanza dalla sua nomina
a segretario federale, quindi ci si aspetterebbe che questo raccogliesse i frutti
del lavoro di Bofondi, ma i dati parlano diversamente:
Robba Giovanni vice-segretario federale, ragioniere iscritto al PNF dall' Il
novembre 1920 Marcia su Roma ecc.;
Egidio lotti geometra, Marcia su Roma iscritto al PNF dal 10 gennaio
1921, seniore MVSN;
77
Mariani Franco, "segr. GUF", avvocato, iscritto al PNF dal 15 ottobre
1921;
Siliprandi Gino "segretario federale amministrativo", ragioniere, iscritto
al PNF dal 7 aprile 1921;
Motta Ezio, insegnante elementare, iscritto al PNF dalI o aprile 1922;
Menada Massimiliano, dottore in "Scienze economiche e commerciali",
iscritto al PNF dalI o settembre 1922;
Bolondi Luigi, dottore in legge, iscritto al PNF dal 10 gennaio 1926,
"combattente e ferito della grande guerra".
Come si può notare gli unici componenti che si sono iscritti dopo il '21 sono due e se prendiamo come discriminante la data di nascita del Gran Consiglio, i componenti scendono ad uno.
Possiamo quindi affermare che nonostane la crescita notevole di iscritti al
partito, l'allargamento delle sfere di influenza di quest'ultimo verso i giovani
con la creazione e l'organizzazione di nuove associazioni, l'aumento delle cariche introdotte (e quindi pur sempre una maggiore possibilità di mettersi in
evidenza), non vi fu in questo periodo una crescita di quadri dirigenti che
dalle organizzazioni periferiche riuscì ad entrare nel gruppo dirigente provinciale; non vi fu cioé una verticalizzazione della carriera dei dirigenti periferici, in sostanza ancora una volta il gruppo dirigente rimaneva formato dai fascisti della prima ora.
Semmai il fenomeno fu inverso, nel senso che spesso i dirigenti provinciali
assumevano (seppure temporaneamente, vedi ad esempio come commissari
straordinari, ma anche come segretari politici) cariche periferiche.
E' il turno di Bolondi. Largo ai giovani?
Il 23 maggio 1937 si apre un nuovo capitolo della storia della federazione
reggiana.
Il Solco Fascista pubblica la nomina di Eugenio Bolondi a segretario della
federazione reggiana21 ; si trattava di un giovanissimo, iscritto al partito solo
due anni prima, aveva percorso una carriera fulminea e tutta all'interno delle
organizzazioni fasciste della provincia.
Per capire come questa scelta rispondesse ad una esigenza, diventata ormai improcrastinabile, di manifestare concretamente la perpetuazione del fascismo nel tempo attraverso il coinvolgimento di giovanissimi a posti di notevole responsabilità, è sufficiente leggere il commento del giornale alla comunicazione della nomina di Bolondi: " ... Il partito affida a un giovane la gloriosa bandiera del Fascismo Reggiano, perché la marcia continui sulla strada
maestra della Rivoluzione con immutato ritmo e con inalterabile fede"22.
Significativo è anche il commento al curriculum vitae del nuovo federale,
in cui, evidentemente perché si trattava di un personaggio quasi sconosciuto
alla maggior parte del popolo fascista, si sprecano gli aggettivi a favore delle
21 Ibidem
22
Ibidem
78
sue capacità23 : "Capo della segreteria federale di Reggio e segretario del Fascio di S. Polo prima, e capo quindi della Segreteria della Confederazione
degli Agricoltori, il Bolondi à dimostrato sempre un'acuta sensibilità politica
ed un equilibrio di giudizio che confermano appieno la sua maturità... Il
nuovo federale, nonostante la sua giovane età, à allenato la sua naturale intelligenza con severi studi e con non meno severe applicazioni politiche" .
Non bisogna dimenticare però che il giovanissimo federale subentrava dopo che in cinque anni di attività Bofondi era riucito nell'impresa di normalizzazione della federazione, dando al PNF quell'assetto tanto sollecitato e cercato a Roma, cioé un apparato burocratico apolitico, ma perfettamente efficiente.
In queste condizioni ci si poteva ben permettere anche di giocare un giovanissimo federale quale simbolo della perpetuazione della rivoluzione fascista
e, stando alle parole del prefetto nella presentazione di Bolondi, senza correre molti rischi, infatti: " ... il nuovo giovane Federale assomma in un modo
tipico il comandamento del Duce "Credere, Obbedire, Combattere"24.
Il Compito che si presentava al nuovo federale Bolondi era quindi relativamente semplice: mantenere inalterato il funzionamento di quella macchina
burocratica messa a punto dal predecessore Bofondi; e su questa linea si
esplicherà l'attività del nuovo federale.
Il 16 giugno 1937 viene pubblicata sul Solco la composizione del nuovo direttorio Federale:
alla vice-segreteria troviamo Giovanni Robba, presidente della commissione federale di disciplina; Giovanni Battaglini ed Ezio Motta vengono nominati con funzioni ispettive; Egidio lotti come rappresentante delle Associazioni Combattentistiche e responsabile dell'assistenza ai reduci A.O.I.; Massimiliano Menada rappresentante delle Associazioni fasciste, responsabile
per la propaganda e l'assistenza demografica; Franco Mariani viene nominato in quanto segretario del GUF; Gino Siliprandi quale Segretario federale
amministrativo.
L'unico cambiamento rispetto all'ultimo direttorio nominato da Bofondi
riguarda la sostituzione di Luigi Bolondi con Giovanni Battaglini, già ispettore di zona nel '33.
In questa prima tornata si ha quindi la riconferma complessiva del gruppo
dirigente provinciale così come il 28 dello stesso mese è riconfermato in tQto
il direttorio del fascio cittadino.
Un primo rimpasto del direttorio del fascio di Reggio lo si fa però nell'agosto successivo, quando Giovanni Baiocchi è promosso "aiutante in prima
dei fasci giovanili di combattimento e la camicia nera Pozzi raggiungerà
quanto prima la capitale dell'lmpero"25.
Baiocchi e Pozzi sono sostituiti da Ernesto Vercalli e Angelo Meazzini;
quanto al Carlo Pozzi il giornale non riporta altre notizie per cui non è pos23 Cfr, Il cambio della guardia alla federazione, Il Solco Fascista, 26 maggio 1937.
24 Cfr, Atti Federali, "Il Solco Fascista", 18 agosto 1937.
25 Cfr, Conversazioni di cultura Fascista, "Il Solco Fascista" , 24 febbraio 1939.
79
sibile sapere se sia stato trasferito per assumere incarichi di partito o per motivi personali, si è tuttavia portati ad escludere che vi siano state promozioni
perché se così fosse sarebbe stato sicuramente pubblicizzato nello stesso comunicato.
Anche il direttorio federale verrà comunque ben presto ricomposto: sempre il 31 agosto, infatti, "Il Solco Fascista" comunica la composizione del
nuovo direttorio federale da cui si evince come il rimpasto sia molto più incisivo di quanto non sia avvenuto nel direttorio del fascio della città: alla vice
segreteria viene nominato Sante Simonini, ispettore di zona nel '33 nel '34 e
nel '37; nel '35, fiduciario di un gruppo rionale da lui stesso organizzato, nel
'37 membro della commissione federale di disciplina, vice-segretario del fascio cittadino dal '36 fino all'agosto del '38 quando sarà sostituito da Otello
Masini, un camerata dal curriculum tutto bofondiano, e quindi presumibilmente precursore degli stessi principi del suo capo.
Come segretario Federale amministrativo resiste Gino Siliprandi, così come permàngono Giovanni Robba e Franco Mariani; di nuova nomina sono
invece:
Paolo Colò, Trento Ferrari, Azio Gatti, Guido Vecchi, Alcide Spaggiari e
Vincenzo Preparata; degli altri componenti del vecchio direttorio oltre al federale ne rimangono tre, ma l'operazione di 'rinnovamento" è ancora più significativa in virtù del fatto che il nuovo direttorio è composto da 12 membri.
Ma se la giovane "anzianità politica" del nuovo federale e la sua ampia
possibilità di scelta tra i giovani chiamati da Bofonfi a Ricoprire ruoli dirigenti nelle organizzazioni giovanili, avrebbero consentito un reale ringiovanimento del gruppo dirigente provinciale, anche in questa occasione vediamo
invece che la stragrande maggioranza dei "nuovi" entrati nel direttorio federale è di "vecchia e provata fede fascista" .
Ad esclusione di Alcide Spaggiari, iscritto al PNF nel '32 e Bruno Foresti
iscritto al PNF nel '36, per tutti gli altri si tratta di iscritti al partito tra il
1919 (il più anziano Vincenzo Preparata) e il 1922.
Ma a spiegare il fatto che, nonostante la loro anzianità politica e la durata
in carica per il considerevole lasso di tempo di quasi tre anni, (il prossimo direttorio federale sarà nominato solo il lO gennaio del 1940), questo gruppo
dirigente si integrò perfettamente nella linea politica staraciana, è la loro carriera politica: infatti Paolo Colò segretario del fascio di San Maurizio dalluglio 1936 al giugno 1937, segretario del fascio di Ospizio dal giugno 1937 al
novembre 1939, commissario straordinario di questo stesso fascio dal giugno
1940 al febbraio 1941, ispettore di zona nel marzo 1937, commissario straordinario del fasciQ di Campagnola nel settembre del 1938, commissario
straordinario del fascio di Puianello dall'ottobre 1935 al luglio 1936;
Trento Ferrari segretario del fascio di S. Ilario tra il settembre 1934 e il
novembre 1939, commissario straordinario del fascio di Scandiano dal gennaio 1940 al maggio 1940
Azio Gatti al suo primo incarico;
Guido Vecchi al suo primo incarico
80
Vincenzo Preparata al suo primo incarico.
Come si può vedere tutta la carrira politica di questi personaggi si sviluppa
a cominciare dal 1934, cioé per merito del normalizzatore Bofondi.
Il primo incarico in organismi dirigenti del PNF di Azio Gatti, Vincenzo
Preparata e Guido Vecchi dimostra inoltre come l'accesso ai massimi ruoli
dirigenti del PNF provinciale sia appannaggio quasi esclusivo dei fascisti della prima ora, e non solo, ma dimostra anche che non era necessario alcun
curriculum di attività politica a livello direzionale.
Tutti gli apparati creati dal partito in realtà non servivano assolutamente
per creare giovani dirigenti, e quindi, stando a questi dati, l'avvento del giovane federale fu, come del resto le premesse lasciavano intendere, una operazione propagandistica e non un reale ricambio generazionale alla guida del
partito.
Del resto con le premesse create da Bofondi e con il reale controllo politico della situazione esercitato dal Prefetto, il PNF reggiano si poteva ben permettere un'operazione di questo tipo.
Al Bolondi non rimaneva altro se non mantenere efficiente la struttura burocratica creata dal suo predecessore e dalla mole di nomine e di sostituzioni
da lui operate si deduce che effettivamente si attenne a questa linea.
Dalla data del suo insediamento 23 maggio 1937 alla data della sua sostituzione 6 aprile 1940, Bolondi costituì due nuovi fasci di combattimento: di
Lentigione e di Barco; nominò 68 segretari politici, 20 commissari straordinari, 22 ispettori di zona, 10 fiduciari di Gruppi Rionali, 15 componenti il
direttorio provinciale dei GUF, 4 aiutanti federali in prima per i fasci giovanili di combattimento, 19 settori e 13 nuclei di lavoro.
Anche in questo caso, come per l'attività già rilevata di Bofondi, tutta la
mole di attività di nomina e di sostituzioni è rivolta alla periferia del partito,
infatti il gruppo dirigente provinciale rimase sostanzialmente inalterato fino
alla fine del mandato di Bolondi, gli scambi quindi di dirigenti tra la periferia e il centro furono totalmente assenti, mentre tra il centro e la periferia
unici scambi rilevanti, furono quelli di commissariamento dei fasci di combattimento, come testimoniano i 20 commissari straordinari nominati da Bolondi.
Una novità rilevante introdotta dal nuovo federale nell'attività del PNF
reggiano furono poi le conversazioni di cultura fascista26 : introdotte dal febbraio 1939 proseguirono per 5 mesi di seguito interessando 80 località della
provincia.
L'iniziativa era espressamente rivolta ai "giovani fascisti e avanguardisti",
il tema dominante fu "la politica sociale" .
L'aspetto forse più interessante, di questa iniziativa esplicitamente rivolta
ai giovani già fascistizzati, fu per "chi" tenne tali conversazioni: "verranno
tenute ... a cura dei seguenti camerati, tratti dal gruppo e dai nuclei dei fasci-
26
Ibidem.
81
sti universitari, dalle sezioni e sottosezioni dell'associazione della scuola e
dell'Istituto di cultura fascista"27.
Questa operazione coinvolse complessivamente una ottantina di conferenzieri.
Il lO febbraio 1940, due mesi prima della sua sostituzione, Bolondi nomina il nuovo direttorio federale così composto:
Sante Simonint vice-segretario federale;
Massimiliano Menada vice-segretario federale;
Alcide Spaggiari segretario del GUF;
Alberto Patroncini vice-comandante federale GIL;
Celio Rabotti, Pietro Recchi, Giovanni Robba, Antonio Spaggiari e Giuseppe Taffa componenti.
Dal confronto con il direttorio nominato dallo stesso Bolondi il 31 agosto
1937 e rimasto da allora invariato, si vede che il federale tiene vicino a se nell'ora del tramonto pochi fedelissimi: Sante Simonini, Alcide Spaggiari e Giovanni Robba.
Anche in questa occasione le nuove nomine sono tutti fascisti di vecchia
data e di provata fede: Massimiliano Menada iscritto al PNF nel settembre
1922;
Alberto Patroncini iscritto al PNF il 12 febbraio 1921;
Costante Cardinali, pluri commissario straordinario, iscritto al partito 1'11
novembre 1920, membro del direttorio del fascio di Reggio nel '32 e della
corte federale di disciplina nel '33;
Pietro Recchi iscritto al PNF nell'agosto 1922;
Giuseppe Taffa iscritto al PNF dal 16 ottobre 1922;
Antonio Spaggiari iscritto al PNF dalI gennaio 1923;
Già questo direttorio denota il fallimento di quell'opera di rinnovamento
tanto pubblicizzata dal regime con la nomina dello stesso Bolondi infatti,
Sante Simonini, Giovanni Robba, e Celio Rabotti erano già presenti nel direttorio federale del 1926.
La breve segreteria Fantozzi
Il 6 aprile 1940 Eugenio Bolondi viene sostituito dal nuovo Federale Dino
FantozzF8; nel darne comunicazione sul giornale ufficiale della federazione,
l'anonimo corsivista dedica la metà dello spazio ad elencare chi dovrà prtecipare alla cerimonia del cambio della guardia, ed emblematico è il bilancio
che egli traccia in omaggio al tramontato Bolondi: " ... in seguito al disposto
avvicendamento, il camerata Bolondi, dopo tre anni di fervida ed appassionata fatica passa la consegna al camerata Fantozzi. In questo rito di militare
austerità, è il segno della continuità rivoluzionaria. L'azione di questo triennio, rivolta al potenziamento dei ranghi è contraddistinta anche da importanti realizzazioni, tra cui la costruzione delle Case Littorie in ogni zona del-
27 Cfr. "Il cambio della guardia alla casa del Fascio", Il Solco Fascista" , 6 aprile 1940.
28 Ibidem.
82
la provincia, la Casa e le Colonie della GIL, il villaggio montano 'Rosa Maltoni Mussolini'. Oggi, cedendo le consegne, il camerata Bolondi ha giusto
motivo per farlo con la fierezza che gli deriva dall'aver compiuto un'opera
feconda" .
Nell'elenco di successi del federale, troviamo ulteriore conferma degli obbiettivi dell'attività del PNF, tutti rivolti al mantenimento e potenziamento
dell'organizzazione con la massima aspirazione di costruire per l'organizzazione una dimora fisica, come a dimostrazione di una solidità inattaccabile,
oltre naturalmente al luogo dove si consumavano i numerosi riti che Starace
aveva," con parsimonia e ricchezza coreografica, inventat0 29 .
Dunque lo stile staraciano sopravviveva al suo fondatore sostituito il 31
ottobre 1939 con Ettore Muti, "un personaggio meno sciocco di Starace, ma
anche più incolore e più impolitico di lui"30.
Con 1'insediameno del nuovo federale Dino Fantozzi si apre una fase nuova per il PNF caratterizzata soprattutto dagli eventi bellici con 1'entrata in
guerra dell'Italia ilIO giugno 1940.
Dino Fantozzi iscritto al PNF il 1 novembre 1920 proveniva dalla federazione di Catania della quale era stato commissario straordinario dal 23 novembre 1939 fino al4 aprile 1940 quando venne a Reggio Emilia31 .
Di origine toscana32 Fantozzi aveva iniziato la sua carriera "animando
quella squadra d'azione 'Dante Rossi' " che vide a Firenze in quegli anni fra
i suoi più attivi partecipanti anche Alessandro Pavolini, Ministro della Cultura Popolare e futuro segretario del PFR33.
Eugenio Bolondi venia quindi sostituito da un fascista di 'vecchia e provata fede', facendo svanire così l'ipotesi di rinnovamento della classe dirigente
del partito che in realtà non andò mai, almeno nel caso reggiano, al di là dell'operazione progapandistica di Bolondi.
In quanto all'attività di nomina del nuovo federale e di tutti quelli che si
succederanno, sono sempre più presenti in tutti gli incarichi i vecchi fascisti e
squadristi della prima ora, a palese dimostrazione del fallimento del partito
fascista di rinnovare la propria classe dirigente.
Il 31 maggio 1940 "Il solco fascista" pubblicava la composizione dei nuovi direttori, sia di quello federale che del fascio di Reggio, ambedue nominati
da Fantozzi.
Furono nominati da Fantozzi a componenti del direttorio federale i seguenti camerati:
Costante Cardinali vice segretario federale, squadrista, marcia su Roma,
legionario in Spagna; Giovanni Robba vice segretario federale, già membro
del direttorio federale nel '26, squadrista, marcia su Roma; Alberto Patroncini vice comandante fedeale della GIL, squadrista, marcia su Roma; Pietro
Recchi, squadrista, marcia su Roma; Antonio Barchi, squadrista, marcia su
29 P. POMBENI, Demagogia e tirannide, cit., Bologna, Il Mulino, pago 318.
30 Cfr, M. MISSORI, Gerarchie e statuti del PNF, cit., pago 318.
31 Ibidem, era nato a Pescia il 20 aprile 1889.
32 M. STORem, Un Ventennio reggiano, cit., pago 231.
33 Cfr, Federazione reggiana deifasci di combattimento, "Il Solco Fascista", 4 giugno 1940.
83
Roma, proveniente dal direttorio del fascio cittadino nominato da Bolondi;
G. Battista Taddei, iscritto al PNF nel '21, squadrista e marcia su Roma.
Franco Tedeschi iscritto al PNF nel '20 squadrista, marcia su Roma; Silvio Margini iscritto al PNF nel 1920, squadrista, marcia su Roma; Mario
Schiatti, già membro del direttorio federale nel '26, espulso dal partito da
Fontanili nel '31 quando ancora ricopriva la carica di membro del direttorio
federale, squadrista, marcia su Roma. Dei componenti il direttorio precedente rimangono fuori Sante Simonini, che però andrà a capo del direttorio del
fascio cittadino in qualità di vice segretario, Massimiliano Menada che sarà
però nominato il 1 giugno seguente assieme a Giuseppe Taffa e Antonio
Spaggiari ispettore federale; unico ad essere completamente escluso da ogni
carica rimane, quindi, solo Celio Rabotti.
Per quanto riguarda il direttorio del fascio cittadino il nuovo federale,
stando alle nomine, non rinuncia ad un estremo tentativo di ringiovanimento, infatti su otto componenti il direttorio stesso, due componenti sono
iscritti al PNF dal 1920: Sante Simonini e Sergio Pampari; tre componenti
sono iscritti al PNF dal 1921; Vittorio Bergomi, Leone Pietranera e Ulisse
Colla; un componente è iscritto dal 1925: Corrado Cremaschi; uno è iscritto
al PNF dal 1929: Paride Ferrari e Pietro Antonio Coppola è iscritto al PNF
dal 24 maggio 1935.
Il 4 giugno 1940 il federale Fantozzi nomina vice segretario federale a disposizione: "il fascista Carlo Barbieri iscritto al PNF dal 3/3/1925 ... il quale
mi sostituirà in caso di mia assenza per chiamata alle armi"34.
Vengono nominati, in questo periodo, molti "fascisti a disposizione" del
federale per sostituire i gerarchi con incarichi provinciali che verranno chiamati alle armi; nel caso, invece, della sostituzione dei segretari politici dei fasci di combattimento che verranno richiamati alle armi la nomina dei sostituti è immediatamente successiva alla chiamata stessa.
L'attività di nomina della federazione provinciale di Reggio Emilia, avvicinandoci al periodo bellico, risponde più ad uno stato di necessità che ad un
qualunque indirizzo politico.
Guido Pianigiani e la costruzione del "fronte interno"
Il 10 gennaio 1941 il sansepolcrista Guido Pianigiani sostituiva Dino Fantozzi alla guida della federazione Reggiana e il 2 marzo seguente Pianigiani
faceva pubblicare su "Il Solco Fascista" il quadro riassuntivo dei dirigenti il
PNF per tutta la provincia dal quale traspare ancora, nonostante i problemi
connessi alla situazione bellica, una ragguardevole organizzazione del partito
e un seppur vano tentativo di ripresa dell'attività35 .
Tale quadro è così riassunto: tre vice-federali, Celio Rabotti, Costante Ordinali e Carlo Barbieri, tutti e tre fascisti della prima ora di "vecchia e pro34 Cfr, "Il Solco Fascista", 10 gennaio 1941.
35 Cfr, Rapporto del Federale agli ispettori e ai segretari politici a disposizione,
sta", 6 marzo 1941.
"Il Solco Fasci-
84
vata fede"; otto componenti il direttorio federale: Alberto Patroncini, Vittorio Casotti, Calogero Spatazza, Vittorio Casaccio, Amedeo Curti, Paolo Colò, Vittorio Rossi, Riccardo Bertano; dodici ispettori di zona, due ispettori a
disposizione del federale, tre ispettori amministrativi, sette fiduciari dei
gruppi rionali cittadini, dodici segretari politici comandati a disposizione dei
federali per incarichi vari, un segretario della segreteria politica della federazione e un segretario particolare del federale.
L'intento di rivitalizzare l'attività del partito è esplicito nel rapporto che il
federale tenne ai quadri sopra elencati il 6 marzo seguente36 : "Il federale insiste poi sulla necessità di intensificare ogni attività, in ogni settore, perché il
fronte interno perfezioni sempre più la propria coesione e potenzi sempre
maggiormente la propria funzione ... per il conseguimento della vittoria. Occorre seguire da vicino la vita del popolo, sovvenire ai suoi bisogni, assisterlo
nelle ore tristi accompagnarlo in quelle grandi. .. della vittoria. Segretari politici comandati e ispettori hanno in questo imponente quadro d'attività compiti di fondamentale importanza, specie per quel che riguarda le zone della
periferia e i fasci lontani: collaborando ... essi sapranno certo realizzare quella pienezza e quella totalitarietà di azione e di vita che il regime vuole" .
Ancora solo un anno prima del suo tracollo, traspare un partito che non
sa fare altro che ubbidire agli ordini delle gerarchie, nelle ultime parole della
relazione non si accenna minimamente ad iniziative tese a rispondere alle esigenze reali, a discussioni sui problemi generali e tanto meno ad elaborare
proposte politiche rinnovatrici, ma viene semplicemente ribadita la volontà
di applicare le direttive che "il regime vuole" .
Franco Mariani. l'ultimo federale.
Il 25 giugno 1943 il sansepolcrista Pianigiani veniva sostituito dal reggiano
Franco Mariani, ultimo federale di Reggio al quale spetterà l'ingrato compito di concludere l'attività del PNF reggiano.
Franco Mariani era "nato a Novellara 1'8 agosto 1907 ... dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza, ed essersi distinto quale avvocato ... svolgeva parallelamente la sua attività nelle istituzioni del partito dove si distingueva per lo spirito acuto e realizzatore.
Già nel 1923 (a sedici anni) egli dava prova di queste sue qualità fondando
l'Avanguardia Giovanile Fascista, di cui diventava segretario,,3?
Il nuovo federale era stato membro del direttorio del fascio di Novellara
dal 1925 al 1927; fu segretario dello stesso fascio dal '32 al '37; nel '34 fu
chiamato da Bofondi a capo del GUF e componente del direttorio federale,
"e quale Commissario governativo del consorzio agrario di Ravenna, nel
1939 fu nominato consigliere nazionale in rappresentanza dell'Ente Nazionale fascista della cooperazione' '38.
36
Cfr, Lo stato di servizio del Cons. Naz. Franco Mariani, "Il Solco Fascista", 25 giugno 1943.
3? Ibidem.
38 Cfr, M. MISSORI, Gerarchie e statuti deIPNF, cit., pago 81.
85
La sua attività di nomina come federale fu ridotta quanto la sua permanenza, una destituzione: Vasco Cigarini, destituito da ispettore amministrativo e una nomina: Goffredo Tosi, nominato a capo della segreteria politica
della federazione. Dal segretario federale Dino Fantozzi fino all'ultimo federale Franco Mariani, la presenza dei vecchi fascisti e squadristi della "prima
ora" all'interno delle strutture del PNF reggiano, andò costantemente aumentato.
Segno, questo, che nessun progetto di formazione di una nuova classe dirigente andò in porto.
Daltronde nessun tentativo concreto fu mai fatto in questa direzione, anzi
le intenzioni di Mussolini e, dei suoi fiancheggiatori erano al riguardo ben
diverse, in quanto una classe dirigente alternativa al potere del DUCE avrebbe finito con il mettere in discussione il DUCE stesso ed anche coloro che
con lui spartivano qualche briciola di potere.
Rimane comunque il dato che a Reggio Emilia, praticamente fino al 25 luglio 1943, il PNF. riuscì a mantenere in qualche modo in vita tutta la sua
struttura organizzativa.
Conclusioni: il PNF reggiano mero apparato burocratico-organizzativo.
L'attività di nomina della Federazione provinciale di Reggio Emilia e dei
Fasci di combattimento dei comuni e delle ville della provincia ha evidenziato il sostanziale fallimento di uno dei principali obiettivi del PNF: la formazione di una nuova classe politica.
Si ha, anche a Reggio Emilia, la riconferma di quanto avvenne a livello
nazionale, e cioé il partito formatosi attorno alla vecchia guardia del fascismo, pur esercitando il potere per oltre un ventennio, fu incapace di formare
una nuova classe dirigente.
Quello che manca in tutta la normativa statutaria del regime è la capacità
di creare dei "quadri" che garantiscano la continuità del regime stesso.
Non è casuale che estremamente contenuto sia il passaggio dai livelli di dirigenza periferica a quelli centrali.
Il massimo livello, ed era già effettivamente un ruolo di potere, a cui si poteva aspirare entrando nella vita politica era quello di federale; ma di fatto
nella stessa realtà reggiana su otto federali solo cinque arrivano alla segreteria politica della federazione dopo una "carriera" all'interno delle strutture
locali del partito, e di questi cinque solo Muzzarini riuscirà a varcare le soglie del Gran Consiglio del Fascismo.
Mentre solo altri due, Fabbrici e Mariani, ottengono incarichi anche se
marginali nell'organizzazione centrale del partito.
La stessa labile possibilità di accesso ai ruoli superiori la verifichiamo anche nel nucleo minore delle strutture del partito: il fascio.
Su un totale di 291 componenti i direttori dei fasci comunali nominati nel
1932 solo 22 di essi, al 25 agosto 1943, erano divenuti segretari politici.
Mentre il flusso dei dirigenti provinciali impegnati nei vari fasci comunali
86
in qualità di commissari straordinari è molto più rilevante, furono nel periodo preso in esame, ben 108 e questo ribadisce la costante necessità di personale "normalizzatore" che il fascismo manifestò senza soluzione di continuità sia al centro che alla periferia.
Tutto questo non impedì al PNF di riuscire a diventare, nella realtà locale,
una imponente macchina organizzativa in grado di organizzare le masse in
quella ritualità che costituiva la legittimazione corale al regime.
Un lato che deve invece essere messo in rilievo è la sostanziale supplenza
della burocrazia locale che il partito si trova ad adempiere in quel complesso
gioco di interdipendenze che andava progressivamente legando il partito allo
Stato.
In questo senso va allora evidenziata l'opera di fiancheggiamento, quando
non di sostituzione, degli apparati dello stato.
In modo particolare nel periodo di maggiore stabilità, e cioé tra il 1932 ed
il 1938, quando il problema del consenso al regime non era così pressante,
l'attività del PNF reggiano fu massimamente rivolta al campo dell'assistenza, al controllo dei prezzi e al mondo giovanile.
Nel campo dell'assistenza, per mezzo degli strumenti istituiti dal coreografo Starace: la "befana fascista", i "comitati dei cesti natalizi" e delle mense
della carità, nonché della costruzione del villaggio montano "Rosa Maltoni
Mussolini" e nell'invio dei giovani alle colonie elioterapiche e marine, il partito sostituì, di fatto, le istituzioni pubbliche.
In materia di controllo dei prezzi vi fu un impegno diretto del federale, anche in virtù dei poteri che gli furono accordati su questa materia.
Mentre sul versante giovanile si andavano progressivamente rafforzano,
oltre alle organizzazioni classiche degli avanguardisti, della gioventù del littorio, i gruppi universitari fascisti e gli istituti di cultura fascita.
Anche a Reggio Emilia quindi il PNF si strutturò costantemente in base
agli orientamenti che provenivano dalla direzione centrale, ed anche se nel
'26 vi furono alcuni rigurgiti al capovolgimento della piramide organizzativa, resta il fatto che nel '32, all'operazione normalizzatrice fatta in grande
stile dal federale Bofondi, non vi fu più nessuna seria opposizione.
Al termine dell'epoca staraciana il PNF reggiano era oramai diventato
quell" 'apparato burocratico-organizzativo", tanto ricercato da Mussolini e
così pazientemente costruito dal suo "sacerdote" Starace.
Tuttavia il crollo del fascismo del luglo ' 43 mise palesemente in evidenza
che quella grossa macchina organizzativa di cui si decantava la stabilizzazione non era altro che un colosso dai piedi d'argilla: se il partito era riuscito
nell'opera di allargare il consenso al regime, non era altresì riuscito nell'opera di trasformazione in senso fascista dei reggiani, per la maggior parte dei
quali si trattava ancora di essere fascisti nella misura in cui non si era antifascisti e quindi sostanzialmente "afascisti".
Il fallimento dell'opera di fascistizzazione dei reggiani non può però essere
considerato solo un limite dell'azione del PNF e dei valori che quest'azione
sosteneva.
87
A questo fallimento contribuirono certamente le radici culturali impregnate di socialismo prampoliniano.
Questi valori socialisti non rimasero solo indelebili all'azione del PNF, ma
consentirono, soprattutto ad opera dei comunisti, una opposizione attiva per
tutto il periodo del ventenni0 39 •
39 Della vasta bibliografia esistente sull'argomento, ci limiteremo qui a segnalare:
A. ZAMBONELLI in, Contadini e antifascisti nelle ville di Reggio Emilia, R.E. 1984 Istituto Cervi;
M. DEL BUE, Il Partito Socialista a Reggio Emilia, Bologna, Marsilio 1981, alle pp. 43-64.
88
BIBLIOGRAFIA
A. AQUARONE, L'organizzazione dello stato totalitario, Torino, Einaudi,
1965.
R. CAVANDOLI, Le origini del fascismo a Reggio Emilia, 1919-1923, Roma,
Ed. Riuniti, 1972.
R. DE FELICE, Mussolini il Duce, I e Lo Stato totalitario,
Torino, Einaudi, 1974. 1981,
R. DE FELICE, Antologia del Fascismo, Bergamo, Minerva italica, 1978.
M. DEL BUE, Il Partito Socialista a Reggio Emilia, Bologna, Marsilio
1981.
E. GENTILE, Il problema del partito nel fascismo italiano, in "Storia contemporanea", (XV) 1984 n. 3, pp.347-370.
M. LASAGNI, Contadini a Reggio Emilia, Reggio Emilia, Tecnostampa,
1988.
R. LAZZERO, Il partito Nazionale fascista, Milano, Rizzoli, 1985.
A. LYTTLETON, La conquista del potere, Bari, Laterza, 1974.
M. MISSORI, Statuti e gerarchie del PNF, Roma, Bonacci, 1987.
P. POMBENI, Demagogia e tirannide, Bologna, Il Mulino, 1984.
M.S. PIRETTI, La classe politica dezrEmilia Romagna durante il ventennio
fascista, in: Annale N. 5 dell'Istituto regionale per la storia della resistenza e
della guerra di liberazione in Emilia-Romagna, Milano, F. Angeli, 1988.
M. STORCHI, Un ventennio Reggiano, Attività e organizzazione del PNF a
Reggio Emilia in: A.V. Regime e società civile a Reggio Emilia, 1920-1946,
VoI. I, Biblioteca Municipale "A. Panizzi", 1988. Pago 117-285.
A. TASCA, L'avvento delfascismo, Bari, Laterza, 1974.
G. ZACCARIA, Conflitti interni al fascismo reggiano dal 1927 alla metà degli anni trenta, in: "Ricerche storiche", 1980, n. 40, Reggio Emilia.
A. ZAMBONELLI, Poviglio Storia di lotte, Reggio Emilia, Tecnostampa,
1978.
A. ZAMBONELLI, Contadini e Antifascisti nelle ville di Reggio Emilia, R.E.
Istituto "A. Cervi". 1984.
n
Atti e attività dell'Istituto
ASSEMBLEA SOCIALE DEL 18 MARZO 1989
L'assemblea ordinaria dei soci dell'Istituto si è tenuta nella mattinata del 18
marzo 1989 con i seguenti punti all' ordine del giorno:
- Bilancio consuntivo 1988
- Bilancio preventivo 1989
- Relazione morale del Comitato direttivo.
Aprendo i lavori il presidente Vittorio Parenti ricordava innanzitutto i soci
scomparsi dopo l'assemblea del 1988: mons. Prospero Simonelli, prof. Rolando Cavandoli e gen. Augusto Berti, già comandante generale delle formazioni
partigiane reggiane.
Dopo un minuto di raccoglimento dell'assemblea, Parenti dava la parola alla
rag. Olga Baccarani, che leggeva e commentava il bilancio consuntivo 1988: entrate complessive L. 38.500.981; uscite L. 26.983.950; avanzo di cassa L.
11.517.031, dovuto all'accumularsi di contributi ordinari 1988 nel mese di dicembre, sicché alla data dell'assemblea la contabilità dell'istituto era già in rosso. Segnalava inoltre la partita di giro di L. 15.000.000 relativa alla ricerca per
una storia documentaria dell'UDI di Reggio.
Il dott. Pino Ferrari, a nome del Collegio dei revisori, dava atto della corretta
tenuta del carteggio amministrativo.
Olga Baccarini leggeva il bilancio preventivo 1989, redatto in modo diverso
dal solito, registrando anche le "entrate figurative" corrispondenti agli stipendi che lo Stato e l'LB.C. regionale pagano, rispettivamente, al "comandato"
Antonio Zambonelli e alla distaccata Anna Appari nonché alle somme ipotizzabili quale compenso (in realtà da nessuno erogato né ricevuto dagli interessati)
al personale volontario: rag. Olga Baccarani, Egidio Baraldi e Paola Davoli.
In sintesi si indicano in preventivo entrate figurative per L. 108.000.000 e reali per L. 64.317.031; uscite figurative per L. 108.000.000 e reali per L.
64.317.031.
Parenti prendeva la parola per leggere la relazione morale del C.D., che qui
riportiamo in sintesi:
"Cominceremo, come è ormai consuetudine, con una verifica di ciò che durante il 1988 abbiamo fatto rispetto a ciò che avevamo progettato.
90
- Ricerca su prigionieri di guerra e deportati civili. Attendiamo ancora di
potere avere i finanziamenti che ci permettano di condurla a termine e di
giungere poi alla pubblicazione.
Fino ad oggi abbiamo ottenuto soltanto un milione dalla Azienda coop.va
macellazione.
- Ricerca per una storia documentaria dell'DDI di RE dall'immediato post
Liberazione ai primi anni ottanta. Si sono ottenuti finanziamenti dalla Regione e altri se ne stanno ottenendo da aziende reggiane coop.ve.
- Il n. 59/60 di 'Ricerche storiche" è andato in distribuzione nella primavera '88. Era interamente dedicato alla pubblicazione dei verbali del CLNP
post-Liberazione, in collaborazione con l'Archivio di Stato, collaborazione
che è stata molto positiva e che auspichiamo possa continuare, come del resto ha già dimostrato la ricerca sulle leggi razziali.
- Le conferenze sulla Costituzione, organizzate in collaborazione col
C.I.D.I. e con l'Istituto Gramsci (col sostegno del Comune), si sono svolte
con la partecipazione di centinaia di studenti degli istituti superiori cittadini,
tra marzo e aprile, nella sala convegni della Camera di commercio.
Successo anche per le presentazioni di libri, con dibattito, nella sede del
nostro Istituto: 24.5.88, libro su Carmen Zanti; 28.5, libro di Giuseppe Armani sulla Costituzione.
- Non abbiamo realizzato invece il fascicolo della rivista dedicato ai processi del Tribunale speciale contro antifascisti reggiani. Rimane comunque
una cosa da fare, magari affidando l'incarico ad un curatore che abbia anche competenza giuridica oltre che storica" .
Dopo alcune notizie sulla frequentazione della nostra biblioteca e del nostro archivio da parte di ricercatori e studiosi, Parenti forniva dati e informazioni sull'incremento del patrimonio bibliografico (da 4.600 a 5.320 volumi) e archivistico (donazioni Bertolini, Baccarani, Malaguti, già segnalate sul
precedente fascicolo della rivista).
Parenti illustrava poi il progetto (ora già realizzato) di un Seminario-bilancio storiografico sul fascismo reggiano e accennava - collegando progettualità e possibilità finanziarie - alla nuova legge in gestazione da parte della Regione per il finanziamento delle attività degli II.SS. resistenza dell'EmiliaRomagna: spiegava, fra l'altro, che si tratta di una "legge quadro" nella
quale "verranno indicate con chiarezza le altre leggi regionali (sulle biblioteche, sugli archivi) alle quali poter ricorrere per ottenere finanziamenti a sostegno di progetti di riordino, potenziamento, ecc. dei nostri patrimoni archivistici e bibliografici.
Fino ad oggi tale chiarezza non c'era, come ci hanno dimostrato alcune
esperienze concrete che abbiamo vissuto in quanto Istituto reggiano. Per i finanziamenti ordinari, mirati a garantire la funzionalità "normale" di ciascun istituto, emerge l'orientamento a puntare di più su fonti locali - provincia per provincia - come si è fatto a Modena, come si sta facendo a Parma, e
come abbiamo cercato di fare anche noi attraverso la campagna per l'associazione al nostro Istituto di tutti i comuni della provincia.
A questo riguardo informiamo che i comuni che si sono fin qua associati
91
sono 22. Hanno quasi tutti seguìto la nostra indicazione orientativa minima
delle 50 lire per abitante. In altre province (come a Modena) si viaggia invece
sulle 200 lire pro capite" .
Parenti riprendeva poi l'illustrazione dei programmi di lavoro futuro: fascicoli della rivista "Ricerche storiche", rinnovamento grafico della stessa,
progetto poliennale di seminari in collaborazione con l'Istituto "Cervi" e
con l'Assessorato cultura del Comune di Reggio (il quale ultimo intende anche finanziare un nostro progetto di informatizzazione di un settore dell'archivio), mostra di manifesti di epoca napoleonica, presentazione di libri e
commemorazione di personalità della resistenza reggiana (iniziative in parte
già realizzate mentre andiamo in stampa).
"Non siamo una associazione, pur nobile, di reduci - afferma Parenti avviandosi a concludere -, ma una istituzione culturale che rende un servizio essenziale agli Enti locali, agli studiosi, alla scuola in generale.
Di istituzioni come la nostra crediamo che l'Italia abbia ancora bisogno.
Ce lo dicono i dibattiti e le polemiche di cui ci occupammo anche lo scorso
anno in tema di revisionismi storiografici, dibattiti e polemiche che hanno un
impatto immediato con l'attualità politica e con gli assetti istituzionali della
nostra Repubblica. Ce lo dicono i grandi e crescenti problemi, a cui sempre
più ci troveremo davanti, di rapporto tra diverse razze, tra diverse culture e
credenze religiose.
Le grandi innovazioni prodotte nella storia nazionale e nella coscienza diffusa delle donne e degli uomini, da eventi quali la Rivoluzione francese, la
nascita e lo sviluppo del movimento operaio organizzato, l'antifascismo,
l'acquisizione di un moderno concetto di democrazia come portato della Resistenza, sono altrettanti temi attorno ai quali il dibattito è più che mai vivo
ai nostri giorni, dibattito che talvolta sconfina nella politica-spettacolo. E'
compito di istituzioni come la nostra sapere sempre meglio operare affinché
quei dibattiti si fondino su di un serio terreno scientifico.
La convivenza fra gli uomini ed i popoli, la crescita della libertà e della solidarietà per tutti gli uomini e le donne, sono temi che non si affrontano correttamente senza lucida memoria del passato.
A tener viva questa memoria, per metterla al servizio del nostro presente e
del nostro futuro, noi cercheremo sempre meglio di operare sperando che i
nostri intenti e i nostri sforzi abbiamo il dovuto riconoscimento" .
Nel dibattito interveniva per prima
Anna Appari che riferiva sui buoni risultati già raggiunti nella ricerca per
una storia documentaria dell'DDI di Reggio.
S. Fangareggi, auspicato che l'Istituto voglia ricordare la figura di Don Simonelli con una iniziativa adeguata, illustrava i propri intenti, in qualità di
neo-direttore, rispetto ad un potenziamento complessivo della rivista "Ricerche storiche". Accennava altresì all'ipotesi, emersa in sede di C.D., di modificare il sottotitolo della rivista in "di storia contemporanea e della Resistenza reggiana" o "di storia della Resistenza reggiana e della società contemporanea" .
Parenti interveniva per ribadire che la nuova legge regionale che ci riguar-
92
da è insufficiente, quanto a previsione di finanziamenti, per ciò che concerne
l'attività ordinaria. Dunque occorre riaprire il discorso con gli EE.LL. reggiani: venga riconosciuto il servizio pubblico che noi rendiamo.
Baraldi proponeva la nomina di una commissione ristretta per affrontare .
le questioni dei finanziamenti.
Fucili avanzava la proposta di chiedere alle associazioni partigiane locali
di inserire nella quota di iscrizione dei rispettivi soci una parte da devolvere
all'Istituto.
Sereno Folloni interveniva anche per ricordare che nel 1991 cadrà il 100°
anniversario della Rerum novarum e per auspicare che il nostro Istituto
prenda iniziative in merito.
Marco Paterlini, a nome dell'assessore alla cultura del Comune di Reggio,
faceva presente che l'Amm.ne comunale difficilmente potrà superare, coi
propri contributi, un 12 - 13070 del nostro preventivo. Si tratta comunque di
contributi tesi a favorire la progettualità, ma anche la gestione ordinaria. E'
favorevole all'associazione all'Istituto di imprese economiche. Caldeggia il
ricorso ai contributi previsti dalle leggi regionali formalizzando gli obblighi
previsti e necessari.
Se è positivo che a Reggio ci siano molti Istituti culturali e di ricerca, ciò
crea anche una vasta richiesta di finanziamenti pubblici: dunque ricercare
una collaborazione tra i vari istituti, come già avviene tra ISR e "Cervi" .
Salvarani si poneva il problema se con la ricerca sulla storia dell'UDI non
facciamo cose che toccherebbero ad altri.
Parenti, raccogliendo la proposta di Baraldi circa una commissione per le
questioni dei finanziamenti, proponeva di portarla al prossimo Direttivo.
Auspicava l'estensione della base sociale non tanto - o non solo - come questione di "più soldi", ma come più vasto radicamento nella società.
Si passava poi alla votazione distinta sul bilancio consuntivo, su quello
preventivo e sulla relazione morale.
In tutti e tre i casi si registrava voto favorevole all'unanimità.
Nelle varie il gen. Gioacchino Fresta illustrava una sua proposta di documento contro una legge di parificazione tra ufficiali nella RSI e ufficiali che
hanno combattuto nella Resistenza.
Tale documento, approvato con voti unanimi e con la raccomandazione di
inviarlo a varie autorità dello Stato, a partire dal Presidente della Repubblica, viene pubblicato qui di seguito.
Reggio Emilia Marzo, 1989
AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
AL PRESIDENTE DEL SENATO
AL PRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
AL PRESIDENTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
ROMA
ROMA
ROMA
ROMA
93
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
ROMA
AI SEGRETARI NAZIONALI DEI PARTITI:
D.C. - P .C.I. - P .S.I. - P .R.I. - P .S.D.I. - P .L.I. - P.R.
-P. VERDE-D.P.
ROMA
AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DIFESA
DEL SENATO
ROMA
AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DIFESA DELLA
CAMERA DEI DEPUTATI
ROMA
AI PRESIDENTI DELLE ASSOCIAZIONI:
A.N.P.I. -F.I.V.L. -F.I.A.P
ROMA
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE
DELL'EMILIA ROMAGNA
BOLOGNA
ALL'ISTITUTO NAZIONALE PER LA STORIA DEL
MOVIMENTO DI LIBERAZIONE IN ITALIA
MILANO
"L'assemblea dei soci dell'Istituto per la Storia della resistenza e della Guerra di Liberazione di Reggio Emilia, riunita in sessione ordinaria nella giornata
del 18 marzo 1989, presa notizia dell'iniziativa del Ministro della Difesa che, accogliendo la richiesta avanzata dal Comitato di Coordinamento fra le Associazioni d'Arma, si è fatto promotore dell'apposito disegno di legge, già approvato dal Consiglio dei Ministri ed attualmente al Senato per iniziare l'iter Parlamentare, per estendere (in analogia al beneficio accordato dalla legge 8.8.1980,
n. 434, ai partigiani ed ai militari del Corpo Italiano di Liberazione) la promozione a T. O. anche ai militari combattenti del secondo conflitto mondiale";
CONSIDERATO
che la promozione ai partigiani ed ai militari appartenenti al C.I.L. di cui alla
predetta legge 8.8.1980, n. 434, è stata concessa quale tangibile riconoscimento
di carattere morale per la particolare volontaria attività bellica e, quindi, per il
conseguente contributo dato alla liberazione della patria in un periodo veramente buio della storia italiana;
TENUTO CONTO
che, facendo astrazione per i militari già internati in Germania per i quali (per
la loro esplicita resistenza volontaria di fronte alle proposte di collaborazione o
di semplice adesione) è stata approvata od è in corso di approvazione la legge
che estende ai militari già internati il beneficio concesso ai partigiani ed ai militari del C.I.L., la quasi totalità di coloro che, eventualmente, dovrebbero beneficiare del predetto disegno di legge d'iniziativa del Ministro della Difesa è costituita dai seguenti militari che:
- prestarono giuramento alla repubblica di Salò;
- prestarono giuramento e servizio nell'Esercito della repubblica di Salò;
- non giurarono e non prestarono servizio nell'Esercito di Salò e rimasero nascosti in attesa degli eventi;
94
DICHIARA
che il Ministro della Difesa con la sua iniziativa:
- svuota di ogni contenuto lo spirito della legge e stravolge l'ottica per cui
venne promulgata la legge 8.8.1980, n. 434;
- reca offesa ed umiliazione ai combattenti della guerra di liberazione;
- non ha tenuto conto del fatto che i combattenti della guerra di liberazione (C.V.L. e C.I.L.) parteciparono anch'essi al secondo conflitto mondiale e
non esiste, pertanto, la discriminazione (tra combattenti pre e post 8 settembre 1943) lamentata dai combattenti del secondo conflitto mondiale per la
quale è stata avanzata la richiesta di estensione della predetta legge 8.8.1980,
n.434;
- può alimentare sorpassate ideologie;
RIFIUTA
come inaccettabile, per i motivi già esposti, l'iniziativa del Ministro della
Difesa di estendere ai combattenti del secondo conflitto mondiale la legge
8.8.1980, n. 434;
AUSPICA
che qualora si reputi indispensabile concedere una ricompensa ai combattenti della seconda guerra mondiale, il Ministro della Difesa tenga presente,
nella stesura dell'apposito d.d.l., che l'eventuale legge non deve discriminare
i combattenti della guerra di liberazione che, come già detto, hanno partecipato al secondo conflitto mondiale;
INVITA
le competenti autorità dello Stato a sollecitare la soluzione del problema di
giustizia relativo ai militari ed ai civili che dagli organi della Difesa, per la loro provenienza dalle formazioni partigiane, hanno subito la più umiliante discriminazione, come risulta da apposito d.d.l. giacente presso la Camera dei
Deputati.
IL PRESIDENTE
(Vittorio Parenti)
95
RIUNIONI DI ORGANI DELL 'ISTITUTO
26.1.1989. Riunione di Comitato direttivo nel corso della quale si è, fra
l'altro, nominato il nuovo direttore della nostra rivista nella persona di Salvatore Fangareggi.
23.2.1989. Comitato direttivo preparatorio dell'Assemblea sociale ordinaria.
16.3.1989. Altra riunione di Comitato direttivo in preparazione dell'Assemblea.
18.3.1989. Assemblea sociale (se ne veda il resoconto in apertura di questa
rubrica).
4.4.1989. Si è riunito il Comitato scientifico.
24.5.1989. Il Comitato direttivo ha deliberato, tra l'altro, sul 2° seminario
storiografico (La guerra-Le guerre)
7.6.1989. Riunione di Comitato scientifico sul ciclo di seminari fino al
1993.
22.6.1989. Altra riunione di Comitato scientifico: ipotesi sul centenario di
fondazione del P.S.I. e della "Rerum novarum".
CONFERENZE
50° LEGGI RAZZIALI - CONFERENZA LUZZATTO
Il 15 aprile 1989, nella sede dell'Istituto ed in collaborazione con l'Assessorato cultura del comune di Reggio, si è commemorato il 50° delle leggi razziali fasciste nel contesto della pubblicazione della prima parte dello studio
di Antonio Zambonelli ("Ricerche storiche". n. 61) sulle conseguenze che
tali leggi ebbero nella nostra provincia fra il 1938 e il 1943.
Dopo una introduzione del presidente Parenti, l'assessore Giordano Gasparini richiamava l'impegno delle Istituzioni regionali sui temi della cultura
ebraica e quello particolare del Comune di Reggio che, fra l'altro, intende
recuperare la ex sinagoga di Via dell' Aquila ad un uso culturale che la tolga
dall'attuale stato di degrado. Il prof. Ettore Borghi illustrava la ricerca di
Zambonelli sostenendo che essa è condotta con una trama di racconto che,
in certi momenti, tocca "livelli di qualità letteraria notevoli, come nella parte
dedicata alla tragedia personale del cav. Carlo Segré, dove si raggiunge una
partecipazione al tema che diviene adesione simpatetica fino all'appropriazione di termini di uso liturgico"; auspicava infine che tale ricerca, una volta
completata anche nella seconda parte, venga pubblicata in volume e diffusa
nelle scuole.
96
Il clou della manifestazione si raggiungeva con la conferenza del prof.
Amos Luzzatto (consigliere dell'Unione delle comunità ebraiche d'Italia) sul
tema Identità ebraica in Italia a 50 anni dalle leggi razziali.
Luzzatto sviluppava il tema della ebraicità oggi come "identità" e senso di
appartenenza che va al di là della dimensione puramente religiosa o di quella
linguistica e su cui grande influsso esercita l'esistenza - con tutte le contraddizioni che ne derivano - dello stato di Israele.
"Una tradizione antica e perdurante, sottile e diffusa - ha fra l'altro affermato l'oratore - ha determinato anche da noi uno stereòtipo disgustoso dell'ebreo, stereòtipo che ha continuato ad agire anche dopo la fine della Resistenza" .
L'interrogazione sull'identità ebraica rinvia all'accettazione positiva di
ogni "diversità", tanto più necessaria oggi in Italia dove diverse etnie dovranno sempre più essere aiutate, non solo a convivere, ma a conservare e sviluppare le proprie catatteristiche culturali, anche laddove non sono bene inquadrabili da parte della maggioranza.
PEDRAZZI SU DOSSETTI
Il 22 maggio è avvenuta la presentazione, nella sede dell'Istituto, del volume di Giuseppe Dossetti Ho imparato a guardare lontano, curato da Salvatore Fangareggi ed édito a cura del Comune di Cavriàgo, nella cui sala consiliare, il 13 febbraio 1988, Dossetti tenne il discorso riportato nel volume stesso.
Dopo le introduzioni di Vittorio Parenti e di Fantini (Assessore alla cultura
del Comune di Cavriàgo), un attento pubblico seguiva dapprima le brevi testimonianze dell'on . Dino Felisetti, dell'ono Otello Montanari, di Salvatore
Fangareggi e, infine, una penetrante conferenza del prof. Luigi Pedrazzi.
Dopo aver sottolineato il grande contributo che il giurista ed ex partigiano
Dossetti ha dato all'elaborazione della Costituzione, rendendosi protagonista, soprattutto in sede di Commissione dei 75, della integrazione fra i tre filoni politico culturali (cattolico-marxista-liberaldemocratico) prima inconciliabili, Pedrazzi metteva in risalto il contributo dato da Dossetti in sede di Vaticano II; rilevava poi come "la radicalità della sua visione sempre subisca
battute d'arresto nel contatto con la prassi", facendo di Dossetti uno "sconfitto" sia come costituente sia come padre conciliare.
Dopo i brevi, "ma di grande e determinante intensità", cinque anni di azione pubblica (partigiano, costituente, parlamentare D.C.) il "ritiro" e la scelta
religiosa radicale di un Dossetti che è "sereno nella fede ma sente drammaticamente il rapporto con la storia". Pedrazzi ha concluso affermando che il
discorso di Cavriago ci aiuta, ancor meglio del discorso dell' Archiginnasio, a
comprendere le ragioni dell'agire di questa straordinaria figura di politico
"interrotto", di giurista, di religioso; talché il volume curato da Fangareggi
può essere forse definito come "il primo vero contributo per la storia di Dossetti" .
CICLO DI SEMINARI ANNUALI 1989-1991.
lO BILANCIO STORIOGRAFICO SUL FASCISMO REGGIANO
Promosso dal nostro Istituto in collaborazione con l'Istituto "Cervi" e
con l'Assessorato cultura del Comune di Reggio nonché col patrocinio della
Amministrazione provinciale, il 28 aprile 1989, presso il Museo Cervi di Gattatico, si sono svolti i lavori della giornata di studio mirata ad una analisi di
quanto si è pubblicato in questi 40 anni sul fascismo reggiano.
Si è trattato del primo di un ciclo di seminari che, con cadenza annuale,
sotto il titolo generale Fascismo guerra ricostruzione. 1989-1993, intendono
preparare il terreno alle iniziative culturali che verranno organizzate in occasione del 50° della lotta di Liberazione.
Dopo una relazione introduttiva di Dianella Gagliani, che ha fatto il punto
sul livello attuale del dibattito nazionale in relazione alle problematiche del
fascismo e dei fascismi locali, sono seguiti gli interventi settoriali: Massimo
Storchi (II Regime), Marco Paterlini (Agricoltura e contadini) Marco Mietto
(La memoria del ventennio), Cesare Grazioli (La Chiesa ed i cattolici militanti), Antonio Zambonelli (Fascismo e antifascismo nelle pagine di "Ricerche storiche").
Alla giornata seminariale hanno partecipato, per l'intera giornata, circa
ottanta persone. Gli atti verranno pubblicati in un apposito quaderno.
Il prossimo appuntamento è per la prima quindicina (data esatta da fissare) di aprile 1990, sul tema La guerra le guerre (Propaganda, mobilitazione,
interventismo/astensionismo, deportazione e internamento).
DON SIMONELLI RICORDATO DA BERTI ARNOALDI VELI
1117 aprile 1989, nella sede dell'Istituto, si è commemorato mons. Prospero Simonelli, con testimonianze di Vittorio Parenti, Salvatore Fangareggi,
Luigi Ferrari e Giovanni Fucili seguite da una conferenza di Francesco Berti
Arnoaldi Veli (Presidente dell'Istituto emiliano romagnolo per la storia della
Resistenza), che ebbe al suo fianco per anni don Prospero in seno al Comitato direttivo regionale.
Berti ha tratteggiato la figura complessiva del nostro compianto direttore
come quella di un uomo ascrivibile a quella élite morale dell'antifascismo alla quale appartengono i don Sturzo, i Gobetti, i Gramsci, i don Primo Mazzolari; un uomo il cui antifascismo diventò, fin dagli albori della resistenza,
"valore unificante fra voci diverse, attorno al dovere di partecipare" alla ricostruzione di una società libera.
LIBRI ENTRATI NELLA BIBLIOTECA DELL 'ISTITUTO
DA GENNAIO 1988 A SETTEMBRE 1989
STORIA E PROBLEMATICHE NAZIONALI E INTERNAZIONALI O LOCALI
(EMILIA ESCLUSA)
LI. ADABACHEV, Come l'uomo trasforma
il pianeta, Milano, Ediz. Giorni Vie nuove,
1971,318 pp., iII.
N. AGOSTINETTI, Le associazioni goriziane
alla vigilia della prima gerra mondiale, Padova, Civiltà Mitteleuropea, s.i.d., 29 pp.,
iII.
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giana di Lucinico Farra e Capriva 18961983, Conselve (PD), [cassa medesima],
1984, 173 pp., ilI.
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Madrid, 1986, 95 pp., iII.
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A. AMBROSI, Màs Allà de los Paralelos
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G. AMENDOLA, Anselmo Marabini e Imola Rossa, Imola, Galeati, 1969, 159 pp.
J. AMERY, Rivolta e rassegnazione. Sul/'invecchiare, Torino, Boringhieri, 1988,
149 pp.
A.N.F.I.M., 24 Marzo 1961 [Discorsi
commem. Martiri Ardeatine], Roma, Ind.
Tipog. Imperia, 1961, 54 pp. + 8 fotografie
ANPI CUNEO, Boves 1943-1945 Impressioni di Adriana Filippi, Cuneo, ANPI, 1980,
150, pp., iII.
Antifascismo e Resistenza alla Spezia
(1922-1945). La spezia, Istituto Storico della
Resistenza "P .M. Beghi", 1987, 207 pp, iII.
Antifascisti nel casellario politico centrale
Roma, Quaderni dell'ANPPIA, 1988,
1989
I Volume 351 pp.
II Volume 351 pp.
ASSOCIAZIONE FASCISTA DELLA SCUOLA,
Bollettino della scuola, Roma, 1st. Polig.
dello Stato, 1931,64 + VIII pp.
Le autonomie etniche e speciali in Italia e
nell'Europa mediterranea. Processi storici e
Istituzioni. Cagliari, Consiglio Regionale,
1988, 574 pp.
Autotreno del grano, Roma, Stabilim. Tipo-rotoc. Arte della stampa, [1930]
Avanti! Edizioni clandestine [reprint],
Amici dell'Avanti, s.Ld.
J. BARROMI, L'antisemitismo moderno,
Genova, Marietti, 1988, 136 pp.
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Poletaev, Mosca, Agenzia di Stampa Novosti, 1975,318 pp., iII.
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109
GIOVANNI PAOLO II SULLA RESISTENZA ITALIANA
Ricevendo una delegazione dell'Associazione Partigiani Cristiani, Giovanni Paolo II ha pronunciato un breve ma intenso discorso.
Ne riportiamo - dal testo pubblicato su «l'Osservatore romano" del 28/29
agosto 1989 - il passo più significativo per la convinta e lucida analisi del valore della lotta resistenziale.
In un drammatico periodo della storia d'Italia, d'Europa e del
mondo quest'impegno vi ha portato ad opporvi con tutte le vostre forze a progetti di società incompatibili con la dignità dell'uomo. Sceglieste allora di resistere non per opporre violenza a
violenza, ma per affermare il diritto e la libertà per voi, per i
vostri cari e per tutti gli altri cittadini, non esclusi gli stessi figli
degli oppressori. Per questa giusta causa, in ogni Paese, uomini
e donne mossi dai vostri stessi ideali, sacrificarono la propria vita, affrontando talvolta la morte da vittime inermi, offerte in
olocausto, o difendendo in armi la propria libera esistenza, come singoli e come popoli.
Tesi di laurea e di dottorato
LUCA FANTINI, Dalla parte di Franco. Opinione pubblica e "volontari" reggiani nella guerra civile spagnola, Tesi di laurea presentata nell' A.A.
1988-1989 all'Università degli studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Relatore prof. Luciano Casali.
Vero e proprio "scoop" storiografico - ci si passi l'espressione - questa tesi con cui il concittadino Luca Fantini si è laureato in storia contemporanea,
essendo stata l'occasione per ottenere, e pubblicare, ben 12 ampie interviste
ad altrettanti reggiani ex combattenti nelle file franchiste. Interviste in ciascuna delle quali - salvo un caso di "resistenza" ad oltranza - l'intervistatore
è riuscito, al di là di ogni teorizzazione sulle condizioni ottimali per fare
"storia orale", a stabilire un'atmosfera di cordiale confidenza con gli interlocutori; a quasi 50 anni di distanza dagli eventi spagnoli, ciascuno degli intervistati rende pubblici - per la prima volta - un groviglio di ricordi talvolta
rivendicati - à la Albertazzi - come ripetendi se se ne desse il caso, più spesso
collocati in un passato di miseria che costrinse alcuni di loro (di origine proletaria o lumpen) a farsi volontari col miraggio delle alte paghe e della facile
fuoriuscita da una condizione di marginalità.
In altri casi ancora il "volontariato" risulta essere stato in realtà del tutto
inesistente: "ero militare di leva ... della Spagna non se ne è mai parlato - dichiara un contadino di Carpineti -, si doveva andare in Africa ... già vestiti in
tela kaki. .. Era d'inverno".
Poi, invece dell' Africa, lo sbarco a Cadice dove "ci hanno inquadrato,
formato una divisione di volontari del Littorio" .
Dichiarazione questa, come quelle di altri, che rendono ragione delle virgolette messe nel titolo della tesi alla parola volontari.
Dei 12 intervistati 3 erano giovanissimi ufficiali subalterni giunti poi al
grado di generale nell'Italia repubbicana. Soltanto questi, afferma Fantini,
"possono essere definiti 'volontari autentici', attratti dal 'momento eroico' e
dal clima di 'continuo entusiasmo' che seguì la guerra d'Africa".
Siamo partiti dalle interviste (270 pp.) perché ci paiono la parte che più
colpisce del lavoro del Fantini il quale rivelà, con il suo placido ma insistente
snocciolar domande, (quasi come il Lanzmann di Shoah), spiccate e naturali
doti di "confessore".
La parte saggistica della tesi - 108 pagine - costituisce comunque un'utile
@
112
messa a punto di un argomento che, nella dimensione locale, non era mai
stato studiato, e rispetto al quale è stato anche assai difficile reperire fonti
documentarie soddisfacenti; i fondi cartacei utilizzati sono: Schedario gerarchi fascisti reggiani, conservato nel nostro Istituto, e alcuni fondi del locale
Archivio di Stato; ma l'A. dichiara che gli "è stato impedito di trascrivere i
nomi contenuti negli elenchi compilati nel 1937", nonché in elenchi successivi, relativi ai reggiani legionari di Spagna e conservati appunto in AdS RE.
Terza fonte cartacea, la collezione del quotidiano reggiano "Il Solco fascista" esaminato - anche a fini di individuazione di nomi o di parziali elenchi dal luglio 1936 al 1940.
Lo spoglio dello stesso giornale, assieme all'esame di alcune carte A.C.S.
conservate in fotocopia nel nostro Archivio, ha permesso a Fantini di sviluppare anche un'interessante analisi sull'opinione pubblica a Reggio negli anni
della guerra civile spagnola.
Quanto all' entità della partecipazione di reggiani alla guerra civile dalla
parte di Franco, Fantini ha potuto accertare 292 nominativi per ciascuno dei
quali pubblica una più o meno lunga (a seconda del materiale reperito) scheda biografica, tendente a ricostruire il "prima" e (per i sopravvissuti) il "dopo" evento spagnolo: in 8 casi si è accertata la partecipazione alla guerra di
liberazione nelle file partigiane, in altri "continuismo" fino alla Repubblica
di Salò e ad un successivo simpatizzare di estrema destra, in altri ancora un
ricavarsi nicchie di sopravvivenza e di sostanziale neutralità/disincanto.
Concludono il lavoro altre due interviste mirate ad approfondire il tema
dello "spirito pubblico" esistente a Reggio negli anni della guerra di Spagna,
visto da destra e visto da sinistra: uno degli intervistati, il prof. Alcide Spaggiari, nel 1938 era responsabile del lavoro culturale della federazione reggiana del PNF; l'altro, Franco lotti, all'epoca giovane operaio metalmeccanico,
diventerà segretario della CdL in questo dopoguerra.
Per quanto riguarda le fonti bibliografiche, segnaliamo come, sia dalla note a pie' di pagina, sia dall'elenco in appendice, si rilevi l'esclusiva presenza
di opere (generali e locali) prettamente storiografiche mancando qualsiasi accenno alla recente e folta produzione di carattere metodologico concernente
la "storia orale".
Ciononostante, pur trattandosi in sostanza di una tesi che andrebbe senz'altro collocata nel settore "storia orale", il lavoro di Fantini risulta persuasivo in ragione delle già segnalate capacità "naturali" dell'A. come intervistatore-confessore, pronto a stanare con garbo la preda quasi ogni volta
che si nasconda dietro gli arbusti delle reticenze, i cespugli dello stereòtipo,
gli avvallamenti di un ricordar selettivo.
Antonio Zambonelli
113
LORIS CASTELLANI, L'émigration communiste italienne en France,
1921-1928. Organisation et politique, [Tesi di dottorato presso] l'Institut d'études politiques de Paris. Histoire du XXème Siècle. Cycle supérieur d'Histoire, session de 1988, sous la direction de Pierre Milza, 772 pp.
L'autore è figlio di un ex partigiano reggiano emigrato in Francia negli anni cinquanta e che tuttora risiede a Parigi, dove Loris è cresciuto ed ha studiato mantenendo sempre un vivo contatto con la cultura di provenienza anche attraverso la 'militanza' - se così si può dire - in quel singolare e ancora
vitale sodalizio che è la Fratellanza reggiana di Parigi, fondata nel 1934 da
fuorusciti comunisti come Camillo Montanari, Paolo Davoli e Cesare Campioli. Un sodalizio che continua a raccogliere reggiani diversi dei quali, anche già avanti negli anni, sono talvolta figli o nipoti di emigrati all'inizio di
questo secolo.
Non è per captare la benevolenza del lettore locale che siamo partiti da
questa breve premessa, ma soltanto per "storicizzare lo storico", Loris Castellani appunto, il cui lavoro ha di per sé la capacità immediata di conquistare il lettore fin dalle prime pagine, dove la complessa problematica successivamente sviluppata viene enunciata con chiarezza che non è luogo comune
definire cartesiana.
"L'argomento è sato solamente sfiorato - osserva Castellani, il cui limpido
francese cerchiamo qui di tradurre - nelle opere italiane, a partire dalle numerose storie del Partito comunista italiano. E nelle opere francesi consacrate alla storia del P .c.f., il ruolo giocato dagli emigrati italiani è stato, fino ad
oggi, completamente dimenticato".
E ciò perché, secondo l'A., da un lato, la storia dell'emigrazione comunista è stata oggetto di interesse per gli storici del movimento comunista italiano, compreso Spriano, soltanto a partire dal momento in cui la direzione del
P.c.i. dovette rifugiarsi essa stessa all'estero, in Francia appunto; dall'altro
per un riflesso di quell'atteggiamento "assimilazionista" (o sciovinista?) che
la cultura comunista francese ha sovente manifestato.
Partendo da una incursione nel periodo precedente il terminus a quo
(1921), per render conto dell'eredità delle sezioni socialiste italiane nell'emigrazione, l'A. allarga poi il discorso alla immigrazione in Francia in generale, giungendo, per tappe successive lungo le quali l'andamento cronologico si
intreccia con quello tematico, ad una compiuta analisi del tema specifico.
Lavorando con grande scrupolo su di una mole impressionante di fonti bibliografiche, (compreso opuscolame italiano "locale" che spesso sfugge anche allo specialista) ma soprattutto archivistiche (italiane e francesi) l'argomento viene sviluppato secondo una periodizzazione interna così articolata:
1921-'22: creazione della Federazione comunista legata al P .c.d'I., poi al
P.c.f., pur conservando una certa autonomia. Arrivo dei primi emigrati comunisti.
1923-'24: concentrazione in Francia dell'emigrazione comunista dispersa
in Europa. Afflusso di rifugiati comunisti. Dissoluzione della Federazione
comunista italiana; fusione col P .c.f.; creazione dei "gruppi di lingua".
114
1924-'25: anni di speranza. Creazione delle "milizie operaie" nell'emigrazione in seguito alla crisi Matteotti.
1925-26: prime lotte di opposizione interna. Eliminazione della tendenza
bordighiana. Bolscevizzazione dei gruppi di lingua.
1927-'28 il P.c.i. nell'illegalità totale. L'emigrazione diventa una base di
ripiegamento strategico mentre il fascismo si consolida al potere in Italia.
In sostanza l'emigrazione comunista italiana in Francia viene descritta come un fenomeno di grande rilievo sia dal punto di vista quantitativo che
qualitativo: ad un certo punto i comunisti italiani costituiranno il 10070 del
totale degli iscritti al P .c.f.; inoltre "il militante comunista italiano in esilio
corrispondeva assai più del militante comunista francese al tipo del rivoluzionario di professione della 3.a Internazionale", non avendo altro legame
importante oltre a quello della sua appartenenza all'Internazionale medesima.
In ciò il comunista italiano emigrato sarebbe accostabile a quello ebreo
polacco. (E non sarà un caso, aggiungiamo noi, che le organizzazioni di Resistenza antinazista dell'M.O.I. avranno proprio in quella italiana ed ebreopolacca le due componenti fondamentali). Ma il rilievo assunto dai comunisti italiani emigrati fra le due guerre non sarà senza problemi all'interno del
movimento comunista francese: Castellani osserva che per il P .c.f. i gruppi
di lingua dovevano essere la prima tappa verso l'integrazione e che tale concezione determinò, a più riprese, momenti di tensione col P.c.i. nel corso degli anni (tensione riemersa proprio recentemente - in una situazione pur tanto mutata! - con la ricostituzione, in Francia, della Federazione comunista
italiana). Comunque negli anni venti gli esuli politici, in particolare quelli venuti dall'Italia, ed i comunisti fra loro, furono incontestabilmente - secondo
Castellani - i vettori dell'antifascismo in Europa.
E ancora: in molte zone della Francia le idee comuniste esistettero soltanto
con l'arrivo degli emigrati comunisti, italiani o d'altra provenienza.
Ma vale anche il reciproco: il fatto che gli emigrati comunisti italiani abbiano potuto trovare in Francia un quadro organizzativo e politico per accoglierli e permetter loro di continuare a militare, fu inestimabile per il P.c.i.
E abbiamo così evidenziato soltanto alcuni degli elementi di analisi di
un'opera assai più complessa e che meriterebbe davvero di essere pubblicata,
come proposto dalla Commissione di esame composta da Pierre Milza e Serge Berstein (dell'Istituto di studi politici) e Madeleine Reberioux e Bruno
Groppo ( dell'''Ecole de hautes études en sciences sociales") e di fronte alla
quale Loris Castellani si è guadagnato il dottorato con "mention très honorable" .
Mentre ci felicitiamo con Loris per il successo ottenuto, formuliamo l'auspicio di poterlo avere tra i collaboratori della nostra rivista, magari con
qualche anticipazione della ricerca - a cui sta lavorando - sull'emigrazione
reggiana nella Regione parigina.
Antonio Zambonelli
Recensioni
SANDRO SPREAFICO, Storia e Vangelo
nelle esperienze postconciliari dei missionari
reggiani, Bologna, Cappelli, 1988, 946 pp.,
+ 570 fotografie f.t.
Il libro non vuole essere una storia delle
Missioni, in cui sono stati, e sono impegnati
missionari della nostra terra reggiana, E'
una raccolta di "testimonianze" (inèdite o
già apparse su periodici di centri missionari,
bollettini parrocchiali, ecc.) delle situazioni
trovate ed affrontate dai missionari in presenza di culture, economie, sviluppi sociali,
maturazioni democratiche o no, molto diverse di quelle della loro terra di provenienza. L'autore stesso dice: "L'obiettivo che si
propone il curatore ... consiste ... nel suggerire una prospettiva internazionale di riflessione ... ad una comunità (quella reggiana)
sui propri modelli".
Le testimonianze conservano infatti tutta
la carica di spontaneità di "brani di storia"
personale, di problemi, di incontri, di condivisioni, di scontri, di incomprensioni, di
lotte esteriori ed interiori per predicare il
Vangelo di Cristo Salvatore.
E' quindi una raccolta di documenti di vita per una storia: quella della Chiesa reggiana, che pur nelle sue difficoltà di fede, di vita cristiana, di dialogo, di impegno, non si è
chiusa in se stessa, ma invia suoi figli e figlie
in altre terre, perché la comunione e la fraternità in Cristo sia reale e non solo retorica
o romantica.
Le osservazioni che l'autore fa ogni tanto
- che possono anche non essere pienamente
condivise - lasciano libero il lettore di "vedere" , interpretare, condividere, essere
coinvolti nel profondo. Perché risalta che
non si tratta di essere inviati, o andare, ad
essere maestri o professori, esperti o consiglieri, ma di predicare il Vangelo, agli uomini di tutta la terra "perché si convertano e
vivano". Il resto è mezzo, modo, forma,
espressione, linguaggio: linguaggio non
sempre necessario, come diceva S. Paolo che se ne intendeva di missione, lui giudeo
diventato apostolo dei gentili, - "lo so una
.
cosa sola: Cristo Gesù crocifisso, morto e
risorto" .
E per predicare questo non valgono le
teologie e le filosofie sociali e pseudo sociali
ed economiche, ma la autentica Parola di
Dio.
Interessante quindi la lettura dei brani riportati. L'accoglienza o no delle esperienze
che uno intendeva portare generosamente ed
amorevolmente, la passività e la pigrizia
umana spesso riscontrate a metodi, a proposte anche culturali e sociali, per un europeo
logiche e ritenute risolventi, (che non sono
maturate in popolazioni così diverse di civiltà e cultura sull'uomo, la sua vita in questa
terra, le sue aspirazioni), escono vive e qualche volta sanguinanti.
Il salmo 125 dice: "nell'andare si va piangendo, gettando il seme ... "
E allora, fatiche, impegni, dedizioni...
possono anche essere, in momenti di pesantezza e di sconforto, visti come fallimento,
come inutilità e anche come errore. Certo i
due piani su cui lavora l'apostolo sono chiaramente diversi: la fede è il motivo della
missione; quello civile, economico e sociale
sono il piano inferiore. La prima è di valore
divino ed eterno, il secondo di valore umano e transeunte nelle varie epoche. Ma illettore, anche non cattolico, se ne accorgerà
subito. Don Cabrioni e altri che chiude la
sua esperienza missionaria come eremita
nella foresta brasiliana non è conferma di
inutilità della azione missionaria, ma invece
perfezione. La preghiera e la meditazione
sono evangelizzazione. Lo sapevano anche
gli eremiti e i monaci del primo medioevo,
che avevano davanti un mondo imbarbarito
è violento e ... lo fecero cristiano. Ma ci volle fede, preghiera, poi pazienza, costanza,
serenità lavoro anche nelle incomprensioni,
nelle persecuzioni, nella testimonianza del
martirio.
Nulla quindi di nuovo sotto il sole.
Di nuovo c'é solo la continuazione dell'impegno verso chi non ha ancora la fede,
verso chi l'ha perduta, verso chi soffre per
le ingiustizie del mondo, verso chi usa della
116
potenza, della forza, della ingiusta legge,
della ricchezza ... per opprimere e sfruttare il
povero Lazzaro, affinché a tutti giunga la
Parola: andate e predicate il vangelo ad
ogni uomo.
Questa è e deve rimanere la storia missionaria della Chiesa reggiana.
Mi sembra di interpretare così il pensiero
del prof. Spreafico in questa sua ponderosa
fatica. Siamo avvezzi omai ai suoi studi e
pubblicazioni in cui il documento è storia
della salvezza, è la continuazione o la deviazione di una civiltà, è un avanzamento o un
regresso, è una speranza o una temporanea
illusione. Gesù già disse: altri semina, altri
raccoglie.
Mi scriveva un amico missionario in Messico, governato da una oligarchia massonica
ricca ed egoista: "Qui la gente è in gran parte povera e paziente, con una religiosità non
sempre coscientizzata e responsabile; però il
60070 praticante. Talvolta esprimo le mie
preoccupazioni per gli innumerevoli problemi incontrati. Risposta: padre, non stia male e neanche cerchi delle soluzioni, perché
qui si vive alla giornata: non si fanno piani
pastorali ritenuti inutili per la impossibilità
a risolvere anche solo le difficoltà quotidiane". Gli scrissi: "Questa tua preoccupazione viene dal fatto che il nostro paese ha affrontato, anche come cattolici, tali problemi
da oltre un secolo. Lì si è ancora all'inizio.
Siamo ... al primo tentativo di aggregazione
dei cattolici ... nella Associazione della Gioventù Cattolica di Acquaderni e Fani
(1865): poi ne seguirà l'Opera dei Congressi... l'Azione Cattolica e le opere sociali ...
Lì manca una cultura, non di alto livello
fatta per pochi, ma quella popolare, quella
che i nostri nonni e noi imparammo lentamente e nacquero le casse rurali, lo Soc.
Mutuo Soccorso, le Cooperative... cattoliche ... , per avviare un discorso che permetta
di essere vivi anche nella società civile. Altrimenti sarà la presa estremista della rivoluzione - destra o sinistra non interessa - a
prendere il sopravvento". Le rivoluzioni
fatte dall'uomo sono sempre odio, guerra,
spraffazione e morte.
E allora è chiaro che la teologia della liberazione non è Vangelo, ma sola sociologia.
Unica rivoluzione valida è quella dentro di
noi quando ci convertiamo a Cristo e all'amore ai nostri fratelli nella buona e nella
cattiva sorte ... perché beati coloro che hanno fame e sete della giustizia, che sono perseguitati, ignudi ecc.
La speranza anche per la vita degli uomini su questa terra è ancora una volta nel salmo 125: ... ma nel tornare viene con giubilo,
portando i suoi covoni.
SERENO FOLLONI
ANTONIO CANOVI, Il popolo è giusto.
Un mito di città, Reggio Emilia, "Il Cantastorie", suppl. al n. 32 [1988], con il contributo dell'Amm.ne comunale, 118 pp ..
Con questo libro di Canovi si apre una
"fase" della produzione storiografica locale
che sarà caratterizzata con contributi diversi
tra loro per metodo ed intenzioni, ma tutti
ugualmente indirizzati ad analizzare la storia della città contemporanea.
Nel passato già alcuni autori si sono impegnati su questo tema (ricordiamo il contributo di Walter Baricchi sul periodo fascista ed il volume collettivo sulle case rurali),
ma è solo attraverso il lavoro di Canovi che
si comincia a parlare non solo delle case e
delle piazze, ma anche della cultura del popolo che abita la città. Giusta, quindi, la
scelta di partire dai "presuntuosi" santacrocini che si sono da sempre eletti a ceppo originario di Reggio.
A chi si aspetti di trovare un volume di
anedotti e fatterelli raccolti sull' onda del ricordo nostalgico dobbiamo premettere che
dalla lettura non potrà che ricavare una certa delusione: pur in una forma piana e divulgativa l'opera di Canovi è essenzialmente
scientifica, anzi piena di una difficile
scienza.
Troppo spesso nel passato i confini tra
storia orale e anedottica si sono confusi,
troppo spesso anche in questi giorni qualcuno confonde la storia del padre con quella
del paese intero. Canovi lavora sulla storia
orale con grande rigore scientifico, con tanto rigore che può, poi, permettersi di scrivere un libro che sembra facile e che certamente si legge "bene". Dietro alle apparenze, però, il volume ci racconta delle modificazioni culturali di un intero rione della città: del modificarsi dei rapporti tra i cittadini
di Borgo Emilio e Francotetto ed il potere (è
il "governo" ad abbattere il rione, non il
Comune) un modificarsi che va di pari passo alla scomparsa delle vecchie, ma amate,
abitazioni. Il risultato è la scelta di rendere
una sola testimonianza a più voci. Le tante
interviste diventano nel testo una sola voce
che racconta, ma cosa racconta?
Racconta l'amore per le proprie vecchie
case, la nostalgia della propria giovinezza, il
sollievo con cui si guarda ad un passato oggettivamente peggiore, il calore di una solidarietà fortemente vissuta e caparbiamente
conservata.
E' dunque quantomai corretto quel sottotitolo che parla di "mito": tutto di Borgo
Emilio e Francotetto pare riportare alla mitologia, tutto di Borgo Emilio sembra, ma
non è. Intanto dal libro emerge che questo
rione non era fatiscente: le vecchie case avevano bisogno di restauri, ma non crollava-
117
no. Poi Borgo Emilio non era un ricettacolo
di delinquenza minore, certo era una zona
ricca soprattutto di poveri (come tante altre), ma non per questo era una corte dei
miracoli. Il quartiere era variamente stratificato dal punto di vista sociale e, anzi, si sviluppava attorno all'arteria commerciale forse più importante dopo la via Emilia.
Ecco allora le leggende, le "caccagne" rubate per i poveri, l'osteria della Schicchimeri abitata da tutti i ladri di galline e di biciclette, ecco la leggenda dell' antifascismo
sottoproletario, ecc ..
Dobbiamo però anche dire che non tutto
ci viene chiarito ed un dubbio resta a chi
legge: come mai un così importante patrimonio culturale ed architettonico (si pensi
alla struttura medievale del rione) è stato
spianato? Non è certo sufficiente accusare il
fascismo di avere iniziato la demolizione,
bisogna anche ricordare l'errore irreparabile
di chi, a liberazione avvenuta, non fu in
grado di cogliere il peso della razionalizzazione delle condizioni di vita del popolo giusto, che nei "villaggi" della periferia trovava certamente appartamenti più sani, ma
perdeva la propria identità culturale.
MARCO PATERLINI
GIANNI GIANNOCCOLO, Gli internati
militari italiani nei campi tedeschi 19431945, Reggio E., Tecnostampa edizioni,
1989, Pagg. 226, L. 35.000.
"Sono sano e sto bene. Scriverò più tardi.
Saluti a tutti". Questo il messaggio di un internato italiano scritto venti giorni dopo il
fatidico otto settembre del' 43.
L'espressione è rassicurante, ma va letta
specificamente: si tratta di frasi prestampate
su una cartolina.
Al prigioniero internato non restava che
firmare, vero o ipocrita che fosse il suo contenuto.
Si tratta di un esempio della copiosa documentazione di cui è corredato il saggio
dell'autore, che da molti anni, peregrinando
per l'Europa, insegue documenti e testimonianze circa la vita, le condizioni giuridiche,
materiali e morali dei nostri internati nei
campi nazisti.
Uno studio che ha il carattere della completezza della informazione ma anche quello
dell' originalità, poiché se in quarantacinque
anni è apparsa una voluminosa pubblicistica
sia a livello scientifico e letterario che documentale, circa i campi di sterminio, non altrettanto può dirsi dell'odissea delle centinaia di migliaia di militari italiani, che portavano su di sè, quasi colpa originale, le
conseguene dell'armistizio di Badoglio e rifiutavano di collaborare con la R.S.!.
Appare con estrema evidenza da questo
libro l'abilità germanica nel colpire i militari
italiani catturati attraverso la fittizia imposizione dello status di internati, che consentiva di sfuggire alla convenzione di Ginevra
sul trattamento dei prigionieri di guerra.
Ne derivavano condizioni a volte terribili,
a volte per/omeno umilianti.
Il vitto, il lavoro, la censura, le condizioni
igieniche, i maltrattamenti, le punizioni, la
propaganda, i ricatti, le minaccie, gli ipocriti allettamenti: tutto questo appare chiarissimo perché comprovato da una ferrea documentazione fatta di atti ufficiali, corrispondenze, cifre, tabelle, avvisi, circolari, in
gran parte riprodotte in fotocopia, talché il
lettore può quasi toccare con mano la nefandezza di questa pagina di storia europea.
Il libro elenca poi, con certosina precisione e oculatezza, i vari campi di internamento, con i numeri delle presenze, gli innumerevoli timbri, le date di apertura, e quanti
altri elementi di conoscenza consentano, nel
loro complesso, di formulare una organica
rappresentazione del colossale fenomeno
dell'internamento.
Campi e strutture che oggi non esistono
più materialmente, perché qualcuno pensò
appena possibile di smantellare, ma che perdurano nella memoria storica grazie alle fatiche di studiosi e ricercatori.
SALVATORE FANGAREGGI
LETTERA AL DIRETTORE
Pubblichiamo la seguente lettera, datata 2 ottobre 1989, relativa ad una recensione
pubblicata sul n. 59/60 (dicembre 1987) della nostra rivista. Benché da mesi verbalmente preannunciata da uno degli estensori, la lettera è dunque giunta a maturazione
a circa due anni di distanza dalla pubblicazione della recensione.
Seguono le risposte del direttore della nostra rivista e dell'autrice della recensione
stessa.
Spett.le sign. direttore
della rivista "Ricerche Storiche"
Via Dante, 11
42100 Reggio Emilia
Reggio E., 2 ottobre 1989
Egregio sign. direttore,
siamo gli autori del libro sull' ACM del quale si è occupato il suo periodico nel n. 59/60. Ci rivolgiamo a lei perché lo scritto che ci riguarda, firmato da certa Anna Appari, ci ha destato non
poche perplessità. Esso è comparso nella rubrica delle recensioni ma, con tutta la buona volontà, non vi abbiamo rinvenuto quei caratteri di lettura critica d'un testo, al fine di coglierne
obiettivi, metodologie e risultati, che costituiscono, appunto, una recensione. Né, d'altra parte,
c'é sembrato trattarsi d'un resoconto, semplice e senza pretese, che pure avrebbe potuto giustificare l'ospitalità in quella rubrica. Ad escludere tale seconda eventualità sta il fatto che il sedicente recensore (ma esiste davvero? E, in tal caso, ha proprio scritto a titolo personale?) si è
trattenuto a lungo su minuti particolari riguardanti qualche settimana di storia politica mentre
ha del tutto trascurato quei diciotto anni di vita dell'azienda che costituiscono l'argomento centrale del nostro lavoro.
In poche parole, quelle pagine ci sono parse fuori luogo e, peraltro, essendo stato impossibile
ignorare l'astio che ne percorre ogni rigo, abbiamo anche avuto l'impressione che l'ultimo scopo dell'estensore fosse quello del civile confronto scientifico. Ci ha convinto in tal senso soprattutto il tono di scherno con il quale l'Appari s'é sentita in dovere d'irridere indiscriminatamente
- e non si sa a quale titolo o da quale pulpito - al presidente dell' ACM, agli autori del volume, ai
dirigenti e ai soci, vivi e defunti, dell'impresa cooperativa. Per una semplice riflessione critica
sul nostro lavoro sarebbe stato sufficiente occuparsi del libro.
In buona sostanza, per riassumere i toni delle invettive, il presidente Galeotti si sarebbe reso
responsabile d'aver mostrato esagerata fierezza per i decennali successi della propria azienda; gli
autori avrebbero, nell'ordine, usato metodi espositivi troppo elementari, ricostruito erroneamente gli eventi, approfittato furbescamente delle altrui fatiche di ricerca, goduto di compensi
immeritatamente elevati e, infine, proposto un'immagine stucchevole, edificante ed improbabile
di dirigenti e soci della cooperativa; i soci e i dirigenti, a loro volta, se ne deve inferire, apparirebbero colpevoli d'essere assai poco credibili nella veste di corretti servitori della causa cooperativistica.
Ora, sull' opportunità e il buon gusto di prendersi irresponsabilmente gioco - come ha fatto
l'Appari - di uomini, valori e sentimenti che hanno segnato, onorevolmente, vent'anni di storia,
non è neppure il caso di trattenersi perché il lettore. sicuramente, s'é già fatto una propria opinione al riguardo. Poiché, invece, il pubblico della sua rivista non può sapere che noi autori siamo stati denigrati ricorrendo a menzogne diffamanti, abbiamo l'obbligo di chiarire i fatti. E lei,
signor direttore, da parte sua, si sentirà in dovere, ci auguriamo, di dare idonea pubblicità alle
nostre parole.
In breve, il volume Dal solidarismo al mercato. I primi anni del!'ACM (1945-1962) è il risultato finale d'un incarico affidato a sei persone - fra cui gli estensori materiali del volume - il quale
prevedeva: l) l'inventariazione del materiale archivistico relativo agli anni 1946-62 conservato
presso l'ACM; 2) l'individuazione, l'inventariazione ed il recupero in copia dei materiali archivistici, degli stessi anni, riguardanti l'ACM e conservati presso altri enti o istituzioni; 3) la dichiarazione di notevole interesse storico dell'archivio stesso ai sensi della legge 17/12/1962 n. 1863,
capo II, artt. 36-43; 4) la realizzazione di un volume commemorativo, in occasione del 40 anniversario della fondazione dell'impresa, con forme espositive adeguate ad un pubblico non specializzato, in particolar modo i soci dell'azienda e le più giovani generazioni.
L'incarico, portato a compimento in stretta collaborazione fra i sei specialisti coinvolti, nel
120
periodo compreso fra il 30 settembre 1985 ed il 9 ottobre 1987, è stato compensato con una cifra
la cui congruità è facilmente valutabile. Le verifiche del caso si possono senza fatica effettuare
sulla base dei bilanci dell'azienda, delle dichiarazioni dei redditi degli studiosi coinvolti nonché
dalla lettura della stampa locale e nazionale la quale ha puntualmente registrato le varie tappe
dell'iniziativa.
Quanto ali' esposizione degli eventi fornita nel volume in questione essa ha tratto principale
fondamento dai documenti d'archivio dell'ACM - che gli autori stessi hanno collaborato a riordinare e che non ci risulta l'Appari abbia mai visitato pur essendo esso disponibile agli studiosi nonché ricorrendo ad una serie d'interviste ai protragonisti stessi di quelle vicende.
Errori e imperfezioni non sono ovviamente da escludere così come non lo sono in qualunque
tentativo di ricostruzione di eventi passati. E' tuttavia ovvio che gli autori, nella loro qualità di
storici, si sono primariamente preoccupati d'interpretare i fatti e non già d'elencarli minuziosamente. L'operazione, è ben noto, implica sempre un apporto personale, beninteso, nel rispetto
d~ile fonti. E, a questo proposito, visti gli appunti sollevati dall' Appari, noi, sulla base della nostra esperienza e dei materiali analizzati, rimaniamo convinti che: l) la Resistenza abbia avuto
ben diverso peso, ruolo e significato nel Nord rispetto al Sud; 2) nel Nord il clima politico sia
stato, in generale, nettamente favorevole al cooperativismo; 3) i partiti del CLN di Reggio Emilia abbiano gestito unitariamente, fin dalla notte tra il 24 ed il 25 aprile 1945, l'immediata opera
di ricostruzione. Di conseguenza, 4) non si poneva, in quei giorni, il problema della presenza fisica di questo o quell' esponente per esprimere unitarie istanze d'interesse generale né, ci pare
che, in quelle settimane, l'agone scadesse allivello d'interessata lotta tra bande; 5) la pesante tutela da parte del Governo Militare Alleato sia al punto risaputa da rappresentare un ovvio luogo
comune; 6) e, ciò che più importa, lo spoglio accurato dei documenti riguardanti i primi anni di
vita dell' ACM attesti, al di là d'ogni ombra di dubbio, l'elevata tensione morale ed il quotidiano, anonimo eroismo di soci e dirigenti la cui abnegazione, ancor più che i risultati di bilancio,
rappresentarono la vera garanzia di successo per la neonata impresa.
Se poi il nostro recensore ritiene che non si dia buon libro di storia se, come appare di dover
capire da quanto scrive, non si rimesta nel fango, rispondiamo che non sempre, come nel nostro
caso, vi ci s'imbatte e che, comunque, non necessariamente i lati meno nobili dell'uomo sono i
più meritevoli d'essere immortalati. E' anzi nostro parere, soprattutto quando la pagina dello
storico tocca uomini ancora viventi o passioni non sopite sia più che mai doveroso un pacato,
attento e profondo rispetto per le altrui esperienze.
Detto questo, gentile direttore, ci permetterà di declinare l'invito, non tanto sottile né garbato, che ci viene rivolto dalle pagine della sua rivista, a "coordinamenti con gli istituti storici specializzati" di questa città, onde evitare, alla prossima occasione, il rischio di vederci oggetto di
attenzioni ingiuriose.
Noi personalmente e, evidentemente, anche l'ACM, affrontiamo volentieri questo pericolo
nel darci appuntamento ai prossimi anni quando sarà terminato il secondo volume della storia
dell'impresa.
Distinti saluti
Marco Bianchini
Marco Cattini
Massimo Mussini
La recensione cui fa riferimento la lettera è apparsa sul numero 59-60 di Ricerche Storiche nel
dicembre 1987, quindi sotto la Direzione del compianto mons. Prospero Simonelli.
All'autrice della recensione compete quindi la replica.
Quale attuale direttore, mi limito ad una precisazione di mia competenza.
Non essendo in grado di collaborare con i fantasmi, la rivista pubblica solo scritti di personaggi conosciuti e responsabili.
La Dott.ssa Anna Appari, - recensore non "sedicente" - è attualmente membro della redazione di Ricerche Storiche.
Autrice di numerose pubblicazioni, collabora tra l'altro alla monumentale opera Il Parlamento Italiano in ventidue volumi, in corso di pubblicazione sotto il patronato di Francesco Cossiga.
Salvatore Fangareggi
Recensire un libro è sicuramente tra le operazioni meno raccomandabili. Gli autori
risultano, di massima, di una incredibile suscettibilità (come traspare sul supplemento
121
di lettere, arti e scienza di "Repubblica", il "Mercurio" di sabato 14 ottobre 1989, a
pag, 24) e pare, il più delle volte, a fronte di una "recensione negativa", protestino
con reazioni "molto scomposte e violente" (come scrive, per l'appunto, il critico musicale M. Zurletti). "Qualche volta la reazione prende la strada della diffida giudiziaria, molto più spesso della lettera incivile, piena di insulti e con la solita accusa di imcompetenza e di disinformazione". Il critico teatrale Franco Cordelli ricorda di essere stato persino sfidato a duello da Carmelo Bene. E' sicuramente di molti l'idea che
la recensione di uno spettacolo o di un libro debba tradursi in un elogio. Perché scriverla, dunque? Per rendere merito in ogni caso, veder gli errori e far finta di niente,
lasciar perdere con le approssimazioni. La lettera, dunque, è arrivata, con l'insolenza
di mettere in dubbio addirittura la firma di chi ha redatto la recensione, in quanto
persona ignota (cosa più che probabile, ma accertabile con una sola telefonata): un
espediente francamente da due soldi. In cambio, vi si parla a lungo di critiche "fuori
luogo" (l' "incompetenza" citata sul "Mercurio" da Zurletti) senza contestarne una
sola di quelle individuate nella recensione, al di là del rischio della committenza (di
vertice e di base) di vedersi maltrattata (inferendo un colpo al mecenatismo "popolare"). In cambio si denunciano insinuazioni meschine sull'azienda e sugli autori, completamente inesistenti nel testo della recensione, e che non vale la pena controbattere,
bastando l'invito a rileggerla. L'accusa di "rimestare nel fango" non è escluso che gli
autori l'abbiano tratta da una delle livide reazioni di Carmelo Bene, ma questa sì, per
una riadattazione completamente "fuori luogo". Cercare poi una giustificazione affermando che il libro non era rivolto a un "pubblico specializzato" ma ai soci di
un'azienda, non sembra far onore al rilievo, a mio giudizio invece del tutto considerevole, della "committenza". Le recensioni assumono spesso il taglio di una lettura
critica, ma senza fare, come credo di aver fatto, di ogni erba un fascio. Se gli autori
si sono sentiti così pesantemente colpiti nel vivo, me ne dispiace, poiché, non conoscendoli di persona (ma avendo letto di loro altre cose, che mi pare di avere richiamato a loro merito), non c'erano vendette o malumori cui dar corso nel mio prendere la
penna e parlare del loro libro. Sono rischi del mestiere, sia di chi scrive sia di chi recensisce. Li abbiamo corsi da entrambe le parti, ma mi pare proprio che la questione
dovrebbe finire lì.
(Anna Appari)