Il bambino di luce

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Il bambino di luce
ENOC
Il bambino di luce
Fabio Di Stefano
Naomi Chiaramonte
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Prefazione
La natura è armonia, ordine, non caos, è divenire incessante,
non è stasi. Ogni anima è un microcosmo, una scintilla divina,
un centro d’irradiazione dell’energia e armonia dell’Universo.
Il famoso detto del filosofo greco Eraclito, “tutto scorre, nulla permane”, porta l’attenzione sul concetto di eternità, cui
l’antico pensiero greco e latino attribuiva la massima importanza. Per noi esseri umani, “ingabbiati” nella materialità e
spesso prigionieri dei cinque sensi che limitano alquanto la
nostra ottica, il concetto di eternità è a dir poco sconcertante, inconcepibile. Eppure, se rivolgiamo l’attenzione al nostro
mondo interiore, aiutati anche dagli ultimi esiti della moderna fisica quantistica, comprendiamo che, se tutto è energia,
non esiste soltanto ciò che cade sotto i nostri cinque sensi,
non esiste soltanto ciò che possiamo vedere, toccare, ascoltare, ma “pacchetti quantici” di energia pura che va ben al
di là della materialità. Siamo esseri spirituali che compiono
un cammino materiale, non viceversa. Dunque al di là di ogni
credo religioso, di ogni agnosticismo, scetticismo o ateismo,
dobbiamo riconoscere che la nostra essenza eterna, che ci
caratterizza, si trasforma facendo sì che vi sia continua trasmutazione e che quella che noi chiamiamo “morte” non sia
altro che una semplice metamorfosi in un’altra dimensione
in cui la nostra essenza continua a operare, evolversi su un
diverso piano energetico. Quanto affermato non vuole essere
consolatorio nei confronti di ciò che l’uomo teme maggiormente, ma ha semplicemente l’intento di indurre tutti, gran4
di e piccini, a cambiare prospettiva guardando la realtà da
punti di vista diversi in modo da diventare, come affermò
Gandhi, il cambiamento che noi tutti desideriamo vedere nel
mondo. Spesso è più facile accettare la mentalità trasmessaci dall’educazione che abbiamo ricevuto adattandoci in maniera acritica a schemi e modelli di comprovata utilità ma
non di altrettanta attendibilità.
Prof.ssa Susanna Picatto
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Introduzione
- Dai nonno, tira la palla... ho voglia di giocare… non stare lì
fermo … ma che fai? - Disse Eddy tutto d’un fiato.
Città del Faro quel giorno era incantevole, avvolta in un manto di luce; il sole, come dita tra i capelli di un bimbo, carezzava le foglie degli alberi che riempivano il parco. Nonno
Camillo giocava spesso con il suo nipotino lungo le rive del
lago Solleo; quel giorno avevano scelto una gita al Parco
delle Chimere.
- Para questo colpo, Eddy! - Gridò il nonno con l’entusiasmo
di un bambino.
- Accipicchia che tiro, nonno! Alla faccia degli ultracentenari… - esclamò Eddy ridendo.
Il pallone di gomma arancione rimbalzò sul prato verde del
Parco delle Chimere, assumendo una velocità massima, deviando ripetutamente la sua traiettoria, fermandosi infine ai
piedi della Statua di Enoc.
- Nonno, vieni… guarda!… Sotto la grande statua c’è una
targhetta con scritto: “Enoc il bambino che ha dato luce a
questa città”...
Eddy diceva tutto d’un fiato tra l’affanno della corsa e l’entusiasmo di una nuova scoperta. Non conosceva la storia
di Enoc ed era tanto curioso di ascoltarla dal nonno che si
accingeva a raggiungerlo.
- Vieni piccolo ..sediamoci su questa panchina... il nonno è
un po’ stanco deve riprendere fiato… - disse nonno Camillo
poggiandosi alla spalla di Eddy.
- Adesso ti racconto la storia di questo bambino eccezionale
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… un piccolo angelo… Enoc!!
- Dai nonno …non vedo l’ora di conoscere questa storia!
- Tanto tempo fa …Città del Faro era un posto cupo, inquinato, un vero e proprio squallore, - il lago Solleo aveva un
altro nome a quel tempo, lo chiamavamo lago Nervino, per
il suo color pece, ed emanava un odore acre e sgradevole
che teneva tutti lontani. Il cielo era pregno di fumi grigi che
salivano dalla città e velavano il colore cristallino di questo
cielo sotto il quale oggi giochiamo.
- E il prato, nonno? Com’era il prato? - Chiese Eddy incuriosito
- Ah… ah, Eddy - rise il nonno - non c’era nessun prato a
Città del Faro. Tutto sembrava ricoperto di cenere.
- E i bambini dove giocavano, nonno? - Chiese ancora Eddy
con una vocina sempre più triste.
- Non esisteva il gioco, nessun divertimento… anche il cuore
dell’uomo era triste- ricordò mestamente il nonno.
- Città del Faro era tutta così? - Domandò Eddy con un filo
di speranza.
- Una zona soltanto godeva di un po’ di tranquillità, di verde
e di pulizia - rispose nonno Camillo - era la villa di una coppia di ricconi plurimiliardari.
Lui, Ugo, era un imprenditore che possedeva l’80% delle case
della città ed era proprietario di diverse aziende; lei si chiamava Clara ed era una donna di mezza età, azionista di maggioranza di una delle banche più importanti del pianeta.
I due coniugi non avevano figli, pensavano solo al lavoro, a
guadagnare e accumulare soldi. La loro avidità era tale che
le mura del loro giardino erano alte e coperte da siepi, in
modo che nessuno sguardo potesse godere di così tanta
bellezza. Erano gelosi perfino dello sguardo della gente, non
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volendo che alcuno potesse anche solo immaginare di carezzare i loro averi. Si chiamavano Avìdi …il cognome non poteva
essere più adatto… - rise nonno Camillo.
La famiglia Avìdi aveva tutto quello che si può desiderare continuò il nonno - nonostante tutto però non erano felici…
- Com’è possibile nonno? - Chiese Eddy con una voce infantile dalla quale traspariva tutta la sua ingenuità. - Erano
occupati così tanto nell’accumulare i beni che non avevano
tempo per i sentimenti - rispose il nonno.
- Ci sono cose nella vita che passano inosservate, non le
noti, eppure sono quelle che ti danno un senso di quiete, di
pace, di serenità e appagamento - continuò nonno Camillo pensa se avessi tutto quel che vuoi, il calcio tutto il giorno,
i tuoi computer ad ogni ora, leccornie in quantità ma non
avessi i sorrisi della tua mamma e del tuo papà…
- …e le tue storie e le tue risa - continuò Eddy abbracciando
il nonno come se potesse dileguarsi via.
- Son qui piccolo mio, son qui - sorrise il nonno carezzando
il capo del bambino che nel frattempo aveva appoggiato il
suo volto nella tuta di nonno Camillo imbarazzandosi dei suoi
occhi lucidi.
- Sono felice piccolo mio che tu capisca il valore delle piccole cose, fatte con amore...!
- Nonno, continua…dimmi di Enoc - esortò Eddy.
- Tutto ha inizio nel pianeta Lux, un pianeta lontano anni luce
dal nostro. Lì la dimensione in cui vivono le entità come Enoc
è diversa dalla nostra. E’ una dimensione spirituale, dove
tutto è luce. Enoc abitava lì un tempo e, quando venne sulla
terra, parve a molti un piccolo extraterrestre, ad altri un fantasma… io credo piuttosto fosse un angelo che Dio mandò
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dal cielo per portare un po’ di luce in quella oscurità. - Perché, Enoc era così strano per la gente? - Chiese Eddy - vedi
Eddy per noi terrestri è difficile, anzi impossibile soltanto immaginare dimensioni diverse dalla nostra … - rispose nonno
Camillo - ci basiamo solo sui nostri cinque sensi e attraverso
quelli conosciamo la nostra realtà.
Il pianeta Lux è un vero paradiso in cui tutto è luce, e qui
vivono da sempre e per sempre queste entità. Questo pianeta
è governato con saggezza da un’Entita Suprema, che coordina delle missioni di pace e d’amore inviando altre entità in
universi lontani. Enoc è stato scelto per la Terra. - E cosa è
successo? - chiese sempre più curioso Eddy;
- Enoc si sarebbe materializzato in un bambino di 9 anni circa… la sua era una missione davvero difficile…
- raccontami nonno, voglio sapere tutto di Enoc…
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ENOC LASCIA
IL PIANETA LUX
Enoc, figliuolo, vai! Porta amore e luce nel cuore della gente… l’Entità Suprema ti guiderà in questo lungo viaggio…
Così ebbe inizio l’avventura di Enoc sulla terra…
Alla velocità superiore a quella della luce, Enoc si trovò sbalzato nella dimensione umana…
La luce rallentava la sua corsa man mano che attraversava
gli strati dell’atmosfera… assumendo pian piano la forma di
un bambino.
Era così faticoso prendere la forma di un bambino, far entrare tutta quella luce in una forma umana… ma doveva riuscirci… era l’inizio della sua missione…
Si fermò sulla scogliera dove sorge la città, sotto il vecchio
faro, trovò in mezzo a della roba ammucchiata degli abiti
usati da mettersi addosso… ed è da lì che comincia la sua
storia sulla Terra.
Enoc cominciò a muovere i primi passi nel corpo di quel
bambino… com’era difficile contenere la forza della luce nel
corpo di bambino dai movimenti così lentamente umani!
Affaticato, educando i suoi sensi, limitando la sua velocità,
con passo cauto Enoc si incamminò verso la casa degli Avìdi.
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LA FAMIGLIA
TERRESTRE DI ENOC
Dopo aver camminato a lungo, Enoc raggiunse finalmente la
villa dei coniugi Avìdi. Com’erano austere le mura, imponente
il cancello… il campanello poi era posto così in alto che era
davvero impossibile raggiungerlo. Ma Enoc anche sulla Terra,
in quella nuova dimensione, conservava i suoi poteri; guardò
su verso il campanello e questi cominiciò a suonare…
- Drin Driiin - tutt’intorno risuonò…
- Vuoi far saltare i vetri per aria ragazzino? - Borbottò buffamente la paffuta signora che venne ad aprigli. Era una
grossa donna, vestita da governante, con un camice nero ed
un grembiule bianco. Aveva i capelli grigi raccolti con cura
e il suo viso parve ad Enoc simpatico e amorevole. - Come
hai fatto a suonare ?… E poi che fai qui ?… Va dai tuoi genitori…!! - Continuava a borbottare Dora spingendo il piccolo
fuori dalla soglia con la sua grossa pancia. Enoc aveva voglia
di ridere ma, ricordandosi della sua missione, si fece serio e
rispose…
- Ma i miei genitori vivono qui… - Cosa dici piccolo i signori Avìdi non hanno bambini, figuriamoci - disse alzando le mani e lo sguardo al cielo in segno di
disperazione - certamente ti sarai smarrito, vieni - continuò
Dora afferrandolo per un braccio e tirandolo dentro dopo
essersi guardata intorno - a quest’ora i signori Avìdi sono
fuori, chiamerò la polizia per cercare i tuoi genitori, sta tran13
quillo piccolo - terminò Dora con un sorriso. Enoc si guardò
intorno, quella casa era molto bella, elegante, ma pareva così
triste e vuota…
Dora intanto era andata nell’altra stanza ed era ritornata
con un bicchiere di latte e dei biscotti. - Mi sembri stanco,
mangia questi biscotti e questo latte… è fresco… qui solo i
signori Avìdi hanno il latte fresco… approfittane … - disse
Dora sussurrandogli all’orecchio - ho chiamato la polizia sarà
qui a momenti…sta tranquillo troveranno la tua famiglia… Dora parlava tutto d’un fiato, sembrava allegra dell’incontro
di quella mattina ed anche Enoc era contento.
Al sopraggiungere della polizia Enoc fu condotto in Questura, subito fu accertato che Enoc non risultava tra i bambini
smarriti e ne dedussero che era solo al mondo. Fu immediatamente affidato all’orfanotrofio delle suore del chiostro.
Il primo giorno sulla Terra trascorse così per Enoc, senza
neppure aver visto la famiglia alla quale era stato mandato.
Quella sera, in casa Avìdi, Dora raccontò con il suo solito
entusiasmo l’accaduto.
- Era così carino signora, avreste dovuto vederlo! - Esclamò
Dora
- Davvero Dora?… - Chiese con tristezza Clara.
- Sarà stato un furfantello - aggiunse duro Ugo Avìdi.
- ma aveva degli occhi così belli… a me pareva un angelo! Continuò Dora.
- Basta con queste storie, Dora! Ammonì Ugo - ora servi la
cena…
- Sì signore! - Rispose Dora borbottando e andando via.
Giunse la notte e Clara, che non riusciva a prendere sonno,
sussurrò debolmente - Ugo, se fosse davvero solo, se non
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avesse nessuno al mondo - non è un problema nostro - rispose egli freddamente
- ma abbiamo sempre desiderato un figlio - continuò supplichevole Clara.
- Sconvolgerebbe le nostre carriere, ora lasciami dormire,
domani ho un importante affare - terminò secco Ugo.
Intanto Enoc era fermo alla finestra dell’orfanotrofio. Il suo
sguardo nostalgico era rivolto alle stelle tra le quali, lontano,
si trovava il pianeta Lux.
L’indomani mattina Clara si svegliò prima del solito; era agitata e pensierosa. Ugo come suo solito andava di fretta e
non si accorse di nulla, frettolosamente salutò Clara - a più
tardi, non so a che ora riuscirò a tornare… non aspettarmi e chiuse la porta dietro sé.
La casa sembrava così vuota, era così ogni giorno ma quel
giorno tutto le sembrava più triste, più silenzioso che mai. Dora, chiedi ad Arturo di preparare l’auto, devo andare all’orfanotrofio del Chiostro - disse decisa Clara.
- Certo signora, subito - rispose Dora agitata per l’emozione,
correndo a chiamare Arturo. All’arrivo in orfanotrofio, Clara
rimase subito incantata dallo sguardo di un bimbo che, seduto sul prato del chiostro, narrava di un pianeta lontano
dove tutto è luce.
- È lui Enoc, signora Avìdi - disse suor Teodora indicando
il bambino narratore. Enoc, vedendosi osservato, sospese il
suo racconto e corse incontro a Clara chiamando - mamma! Clara tremò al suono di quella voce infantile.
- Come fai a dire che sono la tua mamma? - Chiese con un
attimo di esitazione mentre la voce commossa tra un sospiro
e l’altro continuava dicendo - ho sempre desiderato essere
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mamma! - E tu lo sei, sei la mia mamma - continuò supplichevole
Enoc. - Bambino, non so perché tu credi o vuoi far credere
questo, ma so per certo che mai come oggi il mio cuore è
stato appagato nel sentimento grande dell’amore. Suor Teodora intanto, commossa, assisteva alla scena e così i piccoli
orfanelli che si erano stretti intorno a lei.
- Suor Teodora, Enoc viene con me, chi più di noi potrebbe
dargli ogni cosa? - Disse Clara.
- Sono felice per il bambino ed anche per lei, Signora Avidi,
non ho mai visto quella luce nel suo sguardo - rispose la
suora - ricordi però che più di ogni bene materiale i bambini
hanno bisogno d’amore - concluse.
- Grazie suor Teodora, che Dio la benedica, cercherò d’essere
una buona madre, speriamo che Ugo capisca… - concluse
Clara. Enoc prese la mano di Clara e, con la sua vocina che
aveva conquistato i cuori di tutti coloro che l’avevano udita,
disse semplicemente - andiamo a casa mamma! -
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FINALMENTE A CASA
In macchina Enoc guardava dai finestrini chiusi tutta la gente che fuori camminava nel grigio di una città caotica e buia.
- Mamma, perché la gente usa quelle mascherine? - Chiese
Enoc sorridendo per quegli omini ..strani e buffi… ... - piccolo, l’aria qui è inquinata, colma di gas e fumi che rendono
impossibile la sopravvivenza dell’uomo se non grazie all’uso
delle mascherine. Ma non preoccuparti, in macchina abbiamo
l’aria ionizzata, è pura e fresca come a casa nostra.
Dopo questa risposta, quello che era un sorriso… divenne
una smorfia di amarezza e tristezza… nel bambino di luce…
Una cupola di vetro fine e trasparente avvolge Villa Avìdi. Sta
tranquillo bambino - ripose Clara - non preoccuparti neppure
degli altri, quello è il loro destino - concluse. Arrivati a casa
Enoc guardò subito in alto e vide che il cielo era azzurro.
- Come è possibile che dentro la cupola di vetro il cielo sia
azzurro? - Chiese Enoc sorpreso...
- È un vetro speciale che riproduce, attraverso una combinazione molecolare, i colori del cielo - rispose Clara.
- Signora Clara, l’ha trovato! - gridò Dora euforica nel rivedere Enoc. Enoc sorrise a Dora e ringraziò Arturo che era
accorso ad aprire lo sportello prima a Clara e poi ad Enoc.
- Grazie Arturo.
- Nulla signorino - rispose Arturo toccandosi la punta del
cappello, sorpreso di ricevere per la prima volta nella sua
vita una parola di ringraziamento da un membro della famiglia Avìdi.
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- Dora, accompagna Enoc nella sua stanza - ordinò Clara - quale stanza? - Chiese Dora con il naso arricciato - quella che vuole… lascia scegliere lui. Più tardi provvederemo ad arredarla - rispose Clara indaffarata a cercare nella
sua borsa - ora è tardi ho da fare… - e si diresse veloce in
casa.
- Bene, andiamo bambino - disse Dora prendendo Enoc per
mano.
- Enoc, mi chiamo Enoc - rispose lui lasciandole la mano e
correndo verso un albero secolare in fondo al parco - dopo
Dora, ora vorrei vedere qui intorno, guarda che albero… nella
città di Lux… - si interruppe Enoc, sapeva di non dover parlare del suo pianeta...
- cosa dici bambino, non ho capito - chiese Dora mettendo
la mano all’orecchio,
- mi chiamo Enoc - ribadì Enoc ridendo.
- Va bene, Enoc - rispose Dora - ma adesso andiamo, avrò un
bel da fare con te; ma sono felice che un bambino sia venuto
a riempire il vuoto di questa casa… era così tris…
- Dora, chi è quel bambino? - chiese il Signor Avìdi sopraggiunto in quel momento.
- È, è E-E-Enoc - rispose Dora che sperava di non dover essere lei a dar la notizia di quanto avvenuto quel giorno.
- È il nostro bambino, Ugo, continuò Clara che era accorsa
immediatamente dopo aver visto la macchina di Ugo varcare
il cancello. - Clara, mi sembrava di essere stato chiaro, non
voglio intralci alla nostra vita - ammonì Ugo.
- Tu non vuoi intralci al nostro lavoro ed Enoc non lo sarà
- rispose fredda Clara - ora andiamo, ne parliamo nello studio; Dora, tu porta Enoc in camera - concluse rivolgendosi a
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Dora che, senza farselo ripetere due volte, afferrò Enoc per
la mano portandolo velocemente al piano superiore, nell’ala
destra della Villa. Enoc si ritrovò da solo in una grande stanza, con un enorme letto a destra e una imponente scrivania
vicino ad un camino la cui fiamma avrebbe potuto incendiare
una foresta talmente era grande. Enoc si affacciò alla finestra dalla quale potè accedere alla terrazza che dava sul
parco. Da lì poteva vedere l’estensione della proprietà di Villa Avìdi. D’improvviso entrò Dora. - Enoc, il Signor Avìdi vuole
vederti, mi raccomando non farlo irritare… - disse Dora con
una vocina timorosa mentre sistemava e spazzolava i vestiti
addosso ad Enoc.
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ENOC E IL SUO
PAPÀ TERRESTRE
- Chi sei bambino? - Chiese Ugo Avidi seduto sulla sua poltrona nella grande biblioteca della casa.
Sono Enoc, e sono vostro figlio - rispose timido.
Menti! - Gridò battendo il pugno sulla sua scrivania - noi
non abbiamo figli né tanto meno ne vogliamo. Abbiamo altri
progetti. Quali sono questi progetti? Vivere in una cupola di
vetro osservando il mondo morire? - Enoc prese tutto il coraggio che aveva, in fondo aveva solo l’aspetto di un bambino
e quell’uomo sembrava davvero insensibile.
Taci, ragazzino - la voce di Ugo era sempre dura ma più
quieta, probabilmente fu sorpreso dalle parole di Enoc che
continuò a parlare.
Forse voi non mi volete come figlio ma è così che deve andare. Una coppia che spera in un bambino comprende la gioia
e il sacrificio, c’è pure chi sceglie di non avere un bambino,
come voi, ma l’arrivo di un bambino può cambiare…
Cosa dovrebbe cambiare? La nostra vita va bene così… - lo
interruppe Ugo Avìdi.
Questa città sta morendo, c’è bisogno di un risveglio... e tu
papà puoi aiutarmi… tu puoi aiutare questa gente… Al suono di quella parole Ugo si commosse. Lui non aveva
chiamato nessuno papà, non aveva avuto un padre, era cresciuto in orfanotrofio e nei suoi giorni di solitudine si era
rifugiato sui libri apprendendo le scienze e la tecnica che
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l’avevano portato a quel punto.
- Guarda lì fuori dalle mura della tua villa - continuò Enoc
- le persone vanno in giro con le mascherine per non intossicarsi con lo smog. E’ tutto cupo, buio, tetro. Hai addirittura
delle ventole enormi che spingono le polveri sottili lontano
dalla tua villa….
- E’ vero - annuì Ugo.
- Papà, sei davvero felice? E’ tutto effimero, papà, non rimarrà nulla, tutto ciò che ti circonda non è eterno.
Dal volto di Ugo scese qualche lacrima. Inizialmente era la
paura che tutto ciò che aveva accumulato l’avrebbe perso,
poi pensò a quei bambini che aveva lasciato nell’orfanotrofio
dove anche lui era cresciuto, pensò che adesso erano operai
al suo servizio e che le loro condizioni erano pessime.
Di quei bambini suoi amici d’infanzia, solo pochi erano diventati adulti... Ne riparleremo, adesso bisognerà pensare alla
scuola... voglio che tu sia istruito e colto… per avere un futuro… ricco di aspettative… eccellenti...
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ENOC E LA
COMPAGNA DI SCUOLA
Fu un giorno speciale per Enoc: il suo primo giorno di scuola. La famiglia Avìdi avrebbe voluto assumere qualcuno per
dare delle lezioni private in modo che Enoc non avrebbe
dovuto “mischiarsi” con i figli della gente operaia. Ma non ci
fu il tempo di trovare nessuno che rispondesse ai requisiti
richiesti. Furono costretti a iscrivere Enoc nella scuola di
città avvolta dalla stessa nube nera e fitta in cui le luci nelle
aule erano accese fin dal mattino, altrimenti sarebbe stato
impossibile leggere dai propri libri di testo. Ad accoglierlo,
per così dire, era presente il maestro Arroganti. Un maestro
d’esperienza ma altrettanto presuntuoso ed ottuso.
Non sapendo nulla di Enoc, per poterlo iscrivere alla quarta
classe fu necessario svolgere un piccolo esame d’ammissione
e fin da allora le capacità geniali di Enoc misero in uno stato
d’agitazione maestri e direttore scolastico. Era necessario
inserirlo in una classe, ma le conoscenze di Enoc superavano
di gran lunga quelle degli alunni delle classi superiori.
La famiglia Avìdi, di comune accordo con le autorità scolastiche, decise di sacrificare per qualche mese l’intelligenza
di Enoc a beneficio della sua socializzazione con i bambini
della sua età. In realtà Ugo Avìdi non era contento di questa opzione, ma Clara insistette che per il bene del bambino
avrebbero per una volta dovuto mettere da parte le manie
grandiose di raggiungere il primo posto sul podio per amore
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di Enoc. In realtà Enoc aveva già dimostrato, con il risultato
del suo esame d’ammissione che gli attribuiva un quoziente
intellettivo superiore alla norma, che era davvero un bimbo
speciale ma alla fine fu stabilito che avrebbe frequentato la
quarta elementare come tutti i bambini della sua età.
Il primo giorno di scuola fu per Enoc emozionante. Era con
i suoi coetanei e poteva leggere nel cuore allegro di quei
bambini quella gioia e quella solarità che dimostravano nonostante tutt’intorno fosse grigio e scuro.
Anche Elisa, la sua compagna di banco, che più di tutti avrebbe dovuto essere triste e mesta, manifestava voglia di vivere
e continua attenzione per gli altri.
Elisa era una bimba non vedente.
Raccontò che un giorno la sua mamma stava cucendo, davanti alla finestra, una camicetta per quella bambina che
doveva venire al mondo e disse “se nascessi di nuovo non
vorrei vedere questa città… è così nera e sporca. E’ impossibile viverci”.
Alla nascita di Elisa sembrò che quel triste destino fosse
toccato a lei.
Non potendo vedere nulla, cercò di immaginare le forme e i
colori. In realtà riesco a vedere in modo offuscato ma l’unica
cosa che riconosco è la luce. Per me, ai miei occhi, tutto è
luce.
Dovrei essere triste per te - disse Enoc - ma sono certo che
un giorno i tuoi occhi vedranno chiaramente e allora quello
che ora ti appare come una nebulosa luminosa sarà luce
vera. Sono certo che questa città avrà presto lo splendore
che non ha mai avuto e quel che tu vedrai sarà quel che
avresti dovuto vedere quando sei nata. Sarà come nascere di
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nuovo e sarà meraviglioso.
Sì Enoc, lo credo anch’io - disse entusiasta Elisa.
Ma sarebbe davvero giunto quel momento?
Questo si chiese Ugo che, incuriosito dal primo giorno di
scuola di Enoc, corse a sbirciare dietro la finestra della sua
aula e sentì la conversazione di Enoc ed Elisa.
Ugo Avìdi non aveva mai avuto un primo giorno di scuola.
Aveva vissuto in modo austero tra un insegnante e l’altro.
Aveva passato la sua vita sui libri e non ricordava neppure
dove avesse conosciuto Clara e come se ne fosse innamorato. Tutto appariva vago nella sua mente e nella sua memoria.
Ma ora sentiva quei bambini parlare di un mondo nuovo, di
una nascita nuova e, in fondo, anche lui avrebbe desiderato
nascere nuovamente e poter vivere quelle emozioni che aveva perduto. Ma come fare?
La città lo odiava, la sua gente lo odiava. Da quando aveva
fondato la sua azienda, non aveva pensato ad altro che ad
arricchire e a rendere puro solo il suo ambiente circostante,
lasciando il caos agli altri.
Eppure doveva esserci qualcosa!
Corse via quasi fuggendo, mentre le risa dei bambini gli rimbombavano nella mente e nel cuore e il disagio di Elisa gli
affliggeva l’anima.
Corse via Ugo Avidi, via da una realtà misera che lui stesso
aveva provocato.
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IL BULLETTO
Sei solo un piccolo stupido - rise uno dei bulli della scuola
mentre spingeva a terra Ernest non sono uno stupido - replicò il bambino dalla gamba corta
che si lanciava sul bulletto Robby.
Molti lo chiamavano così, Ernest gamba corta, ma lui non ci
faceva caso. La sua passione non era né la corsa, né il calcio.
Ernest amava l’informatica e per quello non gli servivano le
gambe ma una buona testa, è per questo che stupido no, stupido non lo era e non accettava che qualcuno lo chiamasse
così.
Perché te la prendi tanto con Ernest? - chiese Enoc.
Che vuoi tu, nanetto? - rispose Robby arrogante io non voglio proprio nulla credo solo che non c’è nessun
motivo perché tu te la prenda tanto con Ernest - rispose Enoc.
Non ti preoccupare, Enoc, non ho bisogno che qualcuno mi
difenda. So cavarmela da solo - disse Ernest spolverandosi
la giacchetta - e poi sono stato io a colpirlo per primo, mi ha
dato dello stupido e non lo sono, dovevo fargliela vedere Cosa? - Robby reagì come se volesse colpire Ernest ma in
quel momento le sue gambe vacillarono e cadde.
Non riesco ad alzarmi! - Gridò Robby.
Forse capirai che ciò che ti rende sciocco è prendere in giro
un compagno solo perché ha una gamba più corta dell’altra
- disse Enoc.
Ma perché non riesco a muovermi ora? - continuò a gridare
Robby.
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Forse se riflettessi per un istante che ciò che è avvenuto ad
Ernest poteva capitare a te, proveresti vergogna, così potresti capire come ci si sente - continuava Enoc.
Ma sei tu che fai questo? - chiese Ernest - non è scientifico! Ernest, scusami se ti ho chiamato stupido, in realtà è che
non sopportavo che tu avessi preso un bel voto nel compito
di matematica e a me fosse toccata l’insufficienza - implorò
Robby. Bè te la meritavi non hai studiato! - Rispose Ernest
E magari tu non l’hai fatto copiare - rise Enoc.
Scusami, scusami Ernest - implorò ancora Robby tra le lacrime. In quel momento Ernest gli allungò la mano e, benché
non fosse campione di sollevamento pesi, aiutò Robby a rialzarsi. In quel momento le gambe fragili di Robby tornarono
stabili e robuste.
Robby rimase stupefatto e poi tese la mano ad Ernest in segno di riappacificazione.
Perdonami Ernest, sono stato uno stupido e soprattutto un
insensibile bullo. Non ho mai pensato a quanto fosse difficile
essere costretti a camminare con una stampella per mantenere l’equilibrio. Ti ho sempre visto sorridente, preparato e
altruista mentre io che posso correre non faccio che lamentarmi, fare a pugni e portare brutti voti a casa.
Stai tranquillo, io sto bene. Sorrido perché ho tanto di cui
sorridere. Ho una famiglia che mi vuole bene e per ciò che
mi piace fare non mi serve avere due gambe uguali. Mi serve
solo un buon cervello - rispose Ernest.
Bè di sicuro ce l’hai - rispose Robby.
Risero.
Puoi perdonarmi? - chiese Robby - bè posso anche darti delle lezioni per recuperare l’insufficienza di matematica!
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Risero ancora e a quel punto Enoc si allontanò. Non era neppure convinto di avere usato la sua magia. Pensò “gli esseri
umani sono così strani. Usano la magia senza saperlo, cancellano una lacrima con un sorriso, curano una ferita con un
bacio, perpetuano la vita con l’amore”.
Festa a Villa Avidi
E’ sera: Enoc si rivolge al padre con la solita frase: questa
città sta morendo, c’è bisogno di un risveglio... e tu papà puoi
aiutarmi… tu puoi aiutare questa gente…
- figliolo sono stanco di questa storia, ogni persona ha ciò
che si merita e quindi - argomento chiuso - non parliamone
più. Gioisci del fatto che sei fortunato ad avere una bella
famiglia e una bella casa - disse Ugo Avìdi.
Non posso essere felice! Se solo avessi visto come è cambiato Robby quando le sue gambe sono diventate deboli… ti
renderesti conto che le persone possono cambiare e allora ti
adopereresti per aiutarle a cambiare - replicò Enoc. Vorresti
quindi che io provassi a vivere come quelli fuori dalla bolla
di protezione? - Chiese adirato Ugo Avìdi. No, non voglio questo, - rispose triste Enoc.
Forse allora vorresti che altri provassero per un giorno la
bellezza di una vita di successo in questa Villa, così da riuscire a cambiare la loro vita nel provare ad imitare la nostra?
- Disse euforico Ugo.
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Non era questo quello che voleva dire Enoc, non era proprio
quella nota narcisistica che era passata per la sua mente,
ma se quel pensiero poteva dare inizio ad un cambiamento
andava bene.
Bene, figliolo. Hai ragione. Apriremo Villa Avìdi a tutti i bambini della città, daremo alla nuova generazione l’opportunità
di vedere che una vita di successo può cambiare la loro
esistenza. Vedendo Villa Avidi capiranno che con lavoro, progettualità e studio si possono raggiungere degli obiettivi che
vanno al di là di essere un operaio ... in una fabbrica fuligginosa. Apriremo Villa Avidi per un giorno - Enoc era entusiasta
di poter invitare i suoi compagni di scuola e tutti i figli degli
operai. Fece una lista e incluse i nipotini di Dora, i figli del
panettiere, l’ex bulletto Robby, Ernest, Elisa e tanti altri ancora. Suo padre fece realizzare un grande parco giochi, furono
invitati i clown e i giocolieri. Furono munte le mucche di Villa
Avìdi e fu servito latte fresco.
La cioccolata di Dora fu una vera delizia e pareva che i bambini non volessero più andarsene. In fondo era così, le loro
giornate trascorrevano grigie e solitarie. Usciti da scuola i
bambini trascorrevano poco tempo fuori casa. Non esistevano parchi, nessun cortile, nessun prato verde. L’aria era
sempre irrespirabile e il cielo sempre grigio. Sembrava che
non ci fosse nulla che desse l’opportunità ai bambini di stare
insieme e divertirsi.
Villa Avìdi si trasformò, quel giorno, in un luogo di allegria.
Non c’erano mai state tante risa in quella casa. I bambini si
rincorrevano, si nascondevano dietro gli alberi, osservavano
stupiti il cielo azzurro. I compagni di Enoc si divertivano a
guardare le mucche pascolare...
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Io credevo che nel mondo non ci fossero odori - esclamò
Elisa annusando un fiore.
Enoc era felice; mentre da un angolo Ugo osservava quei
bambini rotolarsi sul prato, i più vispi facevano dei salti da
professionista nell’enorme piscina. Il campo da golf era pieno di bambine che saltavano dietro le farfalle!
Che belle creature, non ne avevo mai vista una prima d’ora!
- disse Lisette.
Io non avevo mai visto dei colori così belli - continuò Sara.
E Ugo Avìdi notò che effettivamente i bambini non avevano
abiti colorati. I loro vestitini erano grigi e blu e incuriosito
chiese a Sara:
- ti piacciono i colori? - Sì signore - rispose Sara intimorita. Sapeva che Ugo Avìdi
era il capo della fabbrica in cui lavorava il babbo e i suoi genitori le avevano detto di comportarsi in modo da non irritare
il padrone di casa.
- Come mai indossi quel vestitino blu? - La curiosità di Ugo
era tanta da non accorgersi che il volto di Sara si rabbuiò
- vede signor Avìdi, i colori sono molto belli ma i miei genitori
sono poveri e non possono permettersi di acquistarmi degli
abiti - rispose la bimba;
- bè ma perché scegliere un abito così scuro e non uno colorato allo stesso prezzo? - Ugo Avidi proprio non capiva ed
Enoc intervenne:
- babbo, quello che Sara vuole dire è che un vestito colorato
potrebbe averlo allo stesso prezzo del suo vestito blu, ma
con la fuliggine che c’è fuori il vestito si macchierebbe e
sarebbe costretta presto a comprarne uno nuovo.
Ugo Avidi trattenne una lacrima. Dunque tutto quel cielo gri43
gio, quelle nubi gassose non solo impedivano una vita sana
ed equilibrata per i bambini, ma rendevano impossibile perfino l’allegria e la felicità, una vita senza colori.
Ugo Avìdi si ritirò nel suo studio e lì rimase fino alla fine della festa; disse fra sé “non ho il coraggio di incontrare ancora lo sguardo triste di questi bambini” volle però osservarli
dalla finestra per poterli vedere ridere di quella giornata
meravigliosa.
ENOC E L’ENERGIA
ILLUMINANTE
Mentre Ugo era immerso nei pensieri, Enoc bussò - entra
pure, gli disse Ugo.
Voglio raccontarti una storia.
Dì pure siediti.
Enoc, allora, raccontò…
- tanto tempo fa, questo pianeta era diverso. Un insieme di
luce e colori. Gli uomini erano dei corpi sottili in un regno
di pace senza le coordinate spazio - tempo, un regno di luce
in cui il sentimento che animava gli esseri era l’amore. Ma
un giorno alcuni vollero provare nuove esperienze e furono
accontentati dallo Spirito Supremo... Fu creato un pianeta
materiale, bello per i “sensi” di ogni essere umano. I corpi
sottili che si erano ribellati divennero dei corpi grezzi, le loro
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forme di luce divennero materiali e concrete. Tutti si sforzarono di rendere bello il proprio corpo e dimenticarono quel
che erano stati in passato. Divennero desiderosi di successo,
potere e fama. Cominciarono a far guerra a sé stessi pur di
stabilire chi fosse il più forte...
Ugo Avìdi rimase sbalordito, nessuno gli aveva mai narrato
quella storia… era frastornato…
Enoc continuò e disse:
l’uomo deve fare queste esperienze per riconquistare ciò che
ha perso...
Che devo fare? - Chiese Ugo - che posso fare? - L’amore è
quel che serve per raggiungere la luce.
Già l’amore, la luce...
Non è un progetto semplice … - disse tra sé, Ugo.
Ma tu puoi farcela, papà - sorrise Enoc.
Sì Ugo, puoi farcela - continuò sorridente Clara.
Erano passate solo poche settimane ma tutto sembrava essere diverso dentro casa Avìdi.
Clara sorrideva mentre Ugo dava forma ai progetti di Enoc.
Avevano riconosciuto in quel bambino la prima forma di vita
di Città del Faro che da un tempo diverso era stato catapultato in quella dimensione per portare una speranza a una
città che stava morendo.
Dì un po’ Enoc, lassù l’Entità Suprema non poteva darti un disegno da consegnarmi perché le mie conoscenze, per quanto
all’avanguardia, sono davvero limitate e il progetto non è
semplice - disse Ugo grattandosi la testa mentre navigava da
un computer all’altro.
Ma tu puoi farlo, le misure sono queste che ti dico, non puoi
sbagliare, e l’aspetto è simile alle vecchie eliche.
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L’energia scenderà dal sole e si propagherà attraverso i fulmini, si diffonderà con il vento e fluirà nelle acque - disse
entusiasta Enoc.
Ci proverò, figliolo. Ci proverò - e si rituffò nel suo lavoro.
Alla fine del mese successivo il progetto era pronto e il lavoro era già in cantiere. Gli operai non avevano ben accolto
l’idea di un nuovo lavoro fintanto che Ugo Avìdi non annunciò
che il progetto avrebbe sostituito il loro lavoro quotidiano e
migliorato le condizioni di Città del Faro. Parve impossibile.
Ormai in Città non si parlava d’altro, tutti avevano in volto
la speranza e nel cuore la gioia resa ancora più profonda,
nell’attesa, dal pic-nic organizzato dentro Villa Avìdi a cui furono invitati a partecipare tutti gli abitanti di Città del Faro.
Villa Avìdi era, infatti, una città nella città e non c’erano problemi di spazio. Le mucche del ranch produssero buon latte
per i bambini, fu meraviglioso vedere il cielo azzurro come
solo i tris-nonni avevano raccontato un tempo.
Mamma guarda, le mucche!.. Gridavano i bambini, e guarda
che meraviglia l’altalena sugli alberi - dicevano le nonne desiderose di tornare a giocare con i loro nipotini.
Ci sono gli uccellini - gridavano i bambini dell’orfanotrofio
mentre le sorelle del Chiostro preparavano i formaggi e le
mamme impastavano il pane. Sembrava tutto perduto - disse
Dora a Clara. Sì, ma con la luce tutto rinasce - rispose lei
guardando Enoc.
- Intanto il progetto andava avanti fino al giorno…
È pronto! - Gridò la voce del capo ingegnere Bartolomius.
È pronto - fecero coro gli operai.
Finalmente è pronto - sorrisero le madri mentre i bambini
correvano sulla cima della collina.
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Il faro era pronto. Un’enorme elica girava vorticosa catturata
dal vento, il sole sorgeva a est mentre il moto dell’elica per
la corrente del mare smuoveva energia sul fronte opposto. Le
correnti calde e fredde mischiarono insieme energie che nel
vortice produssero dei fulmini simili ai fuochi pirotecnici e,
ruotando, spazzavano via le oscure nubi dei gas nervini!
Il vento sollevava le acque e risucchiava le polveri trasformandole in piccoli granuli luminosi con la consistenza di
minuscole, impercettibili gocce di acqua marina. Nella prima
ondata l’energia si scatenò violenta e, su consiglio di Avìdi,
tutte le donne e i bambini furono fatti entrare nella cupola di
vetro di Villa Avìdi. Il motore del faro e la sua elica rimasero
accese per settimane e... e venne la notte e seguì il giorno
e la notte e infine il giorno in cui aprendo gli occhi… oltre
la cupola di vetro… la nuova Città del Faro. Una luce, pregna della brezza fresca di un mattino nuovo, splendeva sulle
colline della città. Il faro con la sua cupola dorata brillava
ai primi raggi del giorno. Le nuvole come pecorelle bianche
esaltavano la bellezza di un arcobaleno variopinto. La tempesta era cessata, e adesso all’orizzonte gli uomini mostravano
il loro sorriso. Le mascherine erano state lanciate per aria,
le braccia si erano aperte per accogliere i bambini in corsa
verso i loro papà. Le donne uscirono fuori... e stesero le coperte sull’erba. Si preparava una festa e gli occhi di Ugo Avìdi
videro tutto questo e si illuminarono della luce che, fino ad
allora, aveva visto in Enoc. Sei felice, papà? - Chiese Enoc
prendendo la sua mano. Sì, piccolo mio, sono molto felicerispose lui asciugandosi le lacrime - finalmente tutt’intorno
è gioia. Avevo dimenticato l’importanza dell’amore e il ricordo
della felicità era stato cancellato dalla mia memoria.
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Ma ora sono felice. Da ora in poi tutto sarà diverso.
Ho una promessa che devo mantenere - Enoc si riferiva a
Elisa, la bambina non vedente.
Il paese era in festa, anche i genitori della piccola Elisa che
però non assistette al cambiamento - Elisa vieni sono Enoc
- il bambino di luce accompagnò Elisa sul lungomare - le
disse - piccola amica mia è il momento che tu riacquisti la
vista - le avvicinò il palmo delle mani sugli occhi.
Questa città è cambiata - anche il mondo cambierà - è bellissimo - esclamò la tenera fanciulla - era la città che sognavo,
che immaginavo...!!
Un’esplosione di euforica gioia costrinse tutti a ballare al
suono del vento e delle onde del mare, inebriati dal profumo
di piccoli boccioli intorno ai quali danzavano le farfalle.
E così trascorse il tempo tra le danze e le canzoni di una
gente che vide svanire la cupola di vetro intorno a Villa Avìdi
… Ugo Avidi decise di togliere la targa dinanzi casa Avìdi che
dal quel momento in poi fu chiamata Villa di Città del Faro.
È qui, nonno! - esclamò Eddy... La fabbrica infestante della famiglia Avidi fu chiusa per volere di Ugo che si trasferì in una
fattoria insieme alla famiglia e a Dora che non volle lasciarli.
Prima di andare via donarono la villa al sindaco di Città del
Faro che, in onore della famiglia, fece erigere la statua di
Enoc. Nonno... ma l’energia??... Da dove arrivava..?
- Semplice nipotino… dal grande faro… dal grande altissimo
faro... soprannominato il faro di Enoc..
Questa torre fu concepita per lanciare dei raggi laser che
catturassero i fulmini. Enoc sapeva che, in un punto del cielo, vi era una grandissima quantità di energia… fulmini che
non vediamo… energia elettrica... a noi umani non è visibile…
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ma non era così per il bambino di luce. Questi fulmini venivano catturati e, come accade ancora oggi, vengono veicolati
in grandi vasche di acqua da cui si ricavano enormi quantità
di idrogeno... - Cosa accadde ad Enoc, nonno? Lui dopo un
po’ scomparve e tutti capirono che era ritornato lì da dove
era venuto. Quella statua ricorda l’eroe di questa città, perché nessuno di noi dimentichi quanto necessario sia l’amore
perchè ci sia la vita.
Cari bambini, sapete di cosa siamo fatti?
Gli scienziati ci spiegano che noi siamo fatti di atomi…
un’infinità incredibile di atomi. Sapete di cosa è fatto un
atomo? Bè, da elettroni che ruotano intorno ad un nucleo di
protoni e neutroni…. E se andiamo ancora più a fondo cosa
troviamo? Nulla che abbia a che fare con la materia.
C’è il vuoto, o meglio… l’energia… energia che vibra… Proprio così! Noi siamo fatti di energia che vibra… ciò che noi
vediamo… e ci sembra solido… è energia che vibra a velocità
incredibili… Ed è in base a queste vibrazioni che il nostro
corpo subisce variazioni, che possono farci stare bene… o
male… Uno dei segreti per vivere in armonia e in pace con
l’universo è vivere colmi di amore e pensare sempre in modo
positivo. Se invece proviamo sentimenti di odio queste vibrazioni cambiano il loro ritmo e il nostro corpo ne risente e si ammala!!!! È dunque molto semplice: basta provare
sentimenti di amore, di compassione, di altruismo e di gioia,
ringraziando tutti i giorni il nostro Buon Dio per ciò che abbiamo, così potremmo vivere in modo felice e sereno il nostro
percorso terreno!!!
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© ILLUSTRAZIONI DI JESSICA PITTAVINO
Ringraziamenti
La Professoressa Picatto, senza il suo prezioso aiuto tutto
ciò non sarebbe stato possibile,
mia figlia Martina, i suoi consigli sono stati fondamentali
per la realizzazione di ENOC,
mio figlio Edoardo, fonte di infinita ispirazione
e infine i miei genitori che mi hanno sempre motivato
e soprattutto attraverso i loro insegnamenti,
ho imparato che l’amore vince su tutto.
Fabio Di Stefano
Dedica
Sento nel mio cuore di dedicare questo libro ad
un ragazzo che ha lasciato questa dimensione
che non è più materialmente tra noi...
Solo cambiando ognuno di noi i nostri cuori...
POSSIAMO CAMBIARE IL MONDO
LE PUBBLICAZIONI SONO
SCARICABILI GRATUITAMENTE DAL SITO
www.fabiodistefano.com
o
Fabio Di Stefan
Naomi Chiaramonte
GLI AUTORI HANNO GIÀ PUBBLICATO:
■ LE AVVENTURE DI DODO BRAUN
■ LASCIATI ACCAREZZARE L’ANIMA
■ ELIA IL PARLANIMALI
■ IL BAMBINO INTERIORE - CLASSE 1961
■ IL PICCOLO GRANDE ALPINO
■ JAMES IL LEPROTTO NERO
Con le favole precedentemente pubblicate
sono stati raccolti e devoluti circa 20.000 Euro
Finito di stampare nel mese di novembre 2009
presso TIPOLITOEUROPA - CUNEO

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