Elio Cerrito: Corporazioni, concorrenza, crescita. La

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Elio Cerrito: Corporazioni, concorrenza, crescita. La
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Corporazioni, concorrenza, crescita.
Riflessioni sulla fenomenologia italiana *
Elio Cerrito
Introduzione ..................................................................................................................................... 1
Dal vincolo al progresso: qualità e divisione del lavoro .................................................................. 2
Allocazione organizzativa ................................................................................................................ 5
Compensazione degli squilibri di potere e difesa del reddito ........................................................ 10
Monopolio multilaterale ................................................................................................................. 13
Rendimenti, domanda, entrate ....................................................................................................... 16
Conclusioni .................................................................................................................................... 19
*
Banca d’Italia, Servizio Struttura economica. Ringrazio sentitamente Biagio Salvemini per gli utilissimi commenti a
una prima, ampia stesura, e Christiane Klapisch-Zuber per alcune importanti indicazioni. Con Alfredo Gigliobianco
abbiamo avuto più di una occasione di discutere i nostri rispettivi lavori. Come ovvio, le tesi sostenute e ogni errore
ricadono sotto l’esclusiva responsabilità dell’autore. Il testo non impegna in nessun modo l’Istituto di appartenenza.
Ottobre 2014.
1
Introduzione
Il tema delle corporazioni può apparire superato. A un esame più attento ciò è errato e la
corporazione è al centro di concetti molto attuali.
Le linee di una indagine sul tema della concorrenza credo si debbano rapportare ad alcune idee
forti, pilastri della ideologia della concorrenza all’inizio del XXI secolo europeo: che la concorrenza
sia lo strumento essenziale per il conseguimento della crescita (la paura dell’eliminazione da parte
dei concorrenti è necessaria per evitare una naturale tendenza allo status quo, la selezione
darwiniana elimina le imprese inefficienti e crea spazio per quelle efficienti, la specializzazione
aumenta la produttività); che le organizzazioni di produttori associati non producano beni collettivi,
siano coalizioni distributive egotistiche 1, abbiano bloccato il mercato e la crescita – e vadano quindi
depotenziate o escluse dal processo decisionale -, secondo il più puro precetto olsoniano 2; che
equilibri perfettamente concorrenziali producano quantità maggiori e prezzi inferiori rispetto a
quelli del monopolio, e ottimi paretiani, e siano quindi la strada per conseguire il punto più alto
attingibile dall’allocazione delle risorse, ergo equilibri concorrenziali siano sempre superiori a
quelli di monopolio, per non considerare il disturbo a essi arrecato da gestioni collettive e politiche
pubbliche; che le radici del rallentamento della crescita – quando non del regresso – siano
logicamente reperibili dal lato dell’offerta, e che da tale lato risiedano tutti gli strumenti necessari
per lo sviluppo economico; che i vincoli alla crescita siano rappresentati dai costi, da ridurre
preventivamente onde poi impiegare pienamente le risorse; che proprio le corporazioni o “coalizioni
distributive” olsoniane impediscano tale riduzione indotta dai processi concorrenziali, onde la
necessità di riforme amare per essere competitivi e tornare poi a crescere, fino all’ossimoro del
contenere salari, mark up, spesa e welfare per divenir più ricchi. Da venti e più anni questo è il
credo largamente prevalente nonché il nesso culturale che lega corporazioni, concorrenza e crescita.
Riflettere sulle evidenze empiriche dell’economia corporativa medievale e moderna con un
approccio attento alla teoria economica riserverà non poche sorprese per la tenuta di quel
paradigma; condurrà a un suo apprezzabile ridimensionamento, invalidandone componenti,
relativizzandone altre e inserendole all’interno di quadri empirici e percorsi teorici ben più
complessi e – nella accezione di Morin – dialogici, ricchi di potenzialità precluse ai postulati
dell’assolutismo del mercato atomistico.
Tre temi almeno determinano l’interesse del sistema corporativo: storicamente si danno casistiche
importanti di crescita economica sostenuta in contesti assai lontani dalla concorrenza perfetta, dal
capitalismo organizzato prussiano al Giappone, dagli Stati Uniti delle grandi corporation ai paesi
neocorporativi, all’Italia delle grandi concentrazioni pubbliche; il tema delle corporazioni tocca
statement fondamentali della teoria economica e del paradigma della concorrenza, e su tutti
introduce elementi allotri rispetto agli assunti prevalenti, che mostrano il trinomio concorrenza
perfetta, efficienza e sviluppo come semplificazione ingenua e mettono in evidenza complessità
rilevanti per la crescita; le corporazioni sono forme di gruppi di interesse sezionali che operano in
contesto non isonomico, e se gli assunti olsoniani non reggono in quel contesto, non possono
reggere in contesti contemporanei isonomici e democratici.
Estrapolando da un saggio più ampio alcuni punti fondamentali, e tralasciandone forzatamente altri,
si danno qui necessariamente per scontati, per mere ragioni di spazio, fenomeni negativi e anche
deteriori del comportamento corporativo – analogamente a quanto accade per i comportamenti
individualistici, dal furto alla truffa -, senza la possibilità di soffermarvisi, e la letteratura critica nei
confronti del fenomeno corporativo. Tali aspetti, più dibattuti e noti, non si nega siano evenienze
possibili e rilevanti, anche se in gran parte riconducibili al contesto non isonomico e di società di
1
Il termine egotismo denota in queste pagine attività volte alla soddisfazione di interessi propri a discapito di interessi
della collettività; si distingue tanto dal self-regarding interest di Schmitter o egoismo; tanto dall’egotismo verso il
singolo, come in azioni che danneggiano il singolo o specifici gruppi, ad esempio nel caso della concorrenza.
2
M.L. Olson, The Rise and Decline of Nations. Economic Growth, Stagflation, and Social Rigidities, New Haven –
London, Yale University Press, 1982. E si veda anche M.L. Olson, La logica dell’azione collettiva: i beni pubblici e la
teoria dei gruppi, Milano, Feltrinelli, 1983 [1965].
2
ceti e privilegi 3, in particolare per il diritto di entrata, piuttosto che all’istituzione corporativa in sé.
Si danno parimenti per scontati tratti essenziali della società medievale e moderna meno noti agli
economisti, consistenti nell’elevato livello delle transazioni commerciali su media e lunga distanza,
e, per varie vie, i tassi comunque sostenuti delle entrate nelle attività economiche che sostanziano
società non autarchiche, con forme di concorrenza non perfetta e monopolistica, dai quali si
possono facilmente derivare pratiche di pricing più vicine al limit pricing, al pricing di penetrazione
e al premium pricing che al prezzo di monopolio; e si accenna appena agli aspetti solidaristici
fondati su una presa d’atto di fenomeni non Pareto-ottimali e sulla produzione di beni assicurativi
essenziali per un realistico concetto di benessere e di crescita. Una lettura anticipata delle
conclusioni fornisce uno schema della struttura del saggio e può facilitarne la fruizione.
Dal vincolo al progresso: qualità e divisione del lavoro
In tempi recenti, il dibattito storiografico ha riproposto la tesi di una funzione di sviluppo
economico alla base della diffusione e persistenza delle corporazioni, funzione incentrata su
risoluzione di asimmetrie informative, incremento del capitale sociale, tutela, diffusione e
approfondimento delle capacità tecniche 4. Tesi tuttavia non incontestata, e da valutare come non
disgiunta da elementi di surroga della funzione lì dove le corporazioni sono deboli o non esistono 5.
Un tassello al quale comunque dedicare grande attenzione è rappresentato dall’azione delle
corporazioni per la qualità, rilevante sia in sé, sia sotto il profilo del sostegno a divisione del lavoro,
mercato, produttività, innovazione. Nell’interpretazione di Bo Gustafsson, la garanzia di qualità è la
funzione genetica essenziale delle corporazioni, che si può agevolmente ipotizzare tra gli uffici
privilegiati a surroga di un potere centrale debole 6. Le corporazioni si radicano come strumento di
certificazione di qualità, attraverso tre tipi di azione: la prescrizione di un numero minimo di anni
per la formazione professionale; la prescrizione e la supervisione della qualità delle materie prime e
dei processi produttivi, rafforzati con un severo sistema di sanzioni; la imposizione di un vero e
proprio marchio; un quarto fattore, in parte derivato, è costituito dalla stabilizzazione del reddito del
produttore, condizione senza la quale l’ottenimento della qualità non sarebbe possibile 7.
L’interesse corporativo per la tutela della qualità non deriva né da dalla volontà di elevare barriere
tecniche all’entrata, né da altruismo, né perché le malversazioni siano più malviste nel medio evo.
La ragione è la diffusione e gravità delle frodi, che rendono il ricorso al mercato, in particolare
all’artigiano e al mercante, un grave rischio 8. Agli albori del risveglio dei traffici dai secoli X-XI,
3
E. Occhipinti, Quarant’anni di studi italiani sulle corporazioni medievali tra storiografia e ideologia, in “Nuova
Rivista Storica”, a. LXXIV, gennaio-aprile 1990, n. I-II, p. 141.
4
S.R. Epstein and M. Prak (eds.), Guilds, Innovation, and the European Economy, 1400-1800, Cambridge, Cambridge
University Press, 2008; S.R. Epstein, Craft guilds in the pre-modern economy: a discussion, in “Economic History
Review”, 61, 1, 2008; A. Greif, Reputation and Coalitions in Medieval Trade: Evidence on the Maghribi Traders, in
“The Journal of Economic History”, Vol. 49, No. 4, Dec. 1989.; A. Greif, x,
5
S.L. Kaplan, La fin des corporations, [Paris], Fayard, 2001, p. 26. Argomenti analoghi sviluppa S.C. Ogilvie, Can We
Rehabilitate the Guilds? A Sceptical Re-Appraisal, Cambridge Working Papers in Economics, n. 745, 2007.
6
R. Greci, Le corporazioni. Associazioni di mestiere nell’Italia del Medioevo, in “Storia e Dossier”, 99 (1995), p. 4,
http://www.itinerarimedievali.unipr.it/v2/pdf/G_greci_corporazioni_rivista.pdf.
7
B. Gustafsson, The Rise and Economic Behaviour of Medieval Craft Guilds. An Economic-Theoretical Interpretation,
in “The Scandinavian Economic History Review and Economy and History”, vol. XXXV, No. 1, 1987, pp. 13, 21-22.
8
Gustafsson, The Rise cit., pp. 15-16. Le evidenze italiane ed estere sulla rilevanza del problema delle falsitates sono
numerose: F. Vecchiato, Tensioni sociali nelle corporazioni di Venezia a fine Settecento, in “Studi storici Luigi
Simeoni”, vol. XLI, 1991, p. 297 n.; Bernardino da Siena, Le prediche volgari sul Campo di Siena. 1427,a cura di C.
Del Corno, Milano, Rusconi, 1989, II, Predica XXXVIII, riportato in F. Franceschi, Istituzioni e attività economica a
Firenze: considerazioni sul governo del settore industriale (1350-1450), in “Istituzioni e società in Toscana nell'età
moderna, Atti delle giornate di studio dedicate a Giuseppe Pansini”, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali
Ufficio
Centrale
dei
Beni
Archivistici,
1994,
I,
p.
97,
da
cui
si
cita,
http://www.archiviodistato.firenze.it/nuovosito/fileadmin/template/allegati_media/libri/istituzioni_1/Ist1_Franceschi.pd
f, consultazione del 17 ottobre 2013; L. Braghina, Alcuni aspetti dell’arte della lana di Firenze (la regolamentazione
tecnologica) nella seconda metà del XV secolo, in “Produttività e tecnologie nei secoli XII-XVII”, a cura di S. Mariotti,
Istituto Internazionale di Storia economica F. Datini – Prato, Firenze, Le Monnier, 1981, p. 305, ma v.a. p. 306; R.
3
ma anche secoli dopo, il mercato era fenomeno fragile, bisognoso di istituzioni che generassero
fiducia: “The lines of division between plunder and commerce and between exchange and fraud
were perhaps not so clearly marked” 9. Il problema ricorre in molteplici fonti normative civili ed
ecclesiastiche di età carolingia che condannano gli iniusta negotia originati da fraus e da avaricia 10.
“Nella grande descrizione della corruzione della società cristiana Ruggero Bacone (1214-1294) ci
presenta indistintamente il ceto dei commercianti e degli artigiani come quelli in cui regna
l’inganno, la frode, la falsità.” 11 “El terzo modo di peccato – predicava Bernardino sul Campo di
Siena – è falsità, di falsare le mercantie, mostrando il gattivo col buono; e dice poi: egli è tutto
buono. E colui che vende il panno, mostra la testa e falla migliore di che non è il panno, e vende el
panno col barragone 12 de la testa, e non riesce il panno; e questa è falsità” 13. Nel commercio
internazionale marittimo livornese del XVII secolo, i buoni marchi si contrappongono a “i panni
falsificati, come più volte è successo” 14. In contesti di redditi bassi e fluttuanti, di bassa frequenza
dello scambio di prodotti non alimentari 15, di debolezza delle istituzioni statali di sorveglianza e
repressive, di generali autoconsumo e pluriattività 16 – come quella dei contadini “che lavorano «un
poco di lana solo per l’invernata»” 17 -, la frode costituiva un serio problema per lo sviluppo della
divisione del lavoro.
Di fatto, fu contenuto e risolto 18. “The guild organization became an instrument for creating
functioning markets for the craftsmen.” 19 Le corporazioni agiscono come marchi, che possono
tradursi in sigilli di qualità apposti sulle merci 20, come quelli del convento di San Martino per i
panni fini fiorentini 21. Già far parte di una corporazione è attributo discriminante, ad esempio per il
superamento dell’esame di ammissione imposto a Lucca 22, o per le “obbedienze” bolognesi e le
ispezioni che comportano per la tutela della qualità del prodotto 23. Sempre a Bologna, le
prescrizioni tecniche e le regole di apprendistato sono scarse o nulle, ma questo non esime da una
selezione dei maestri mediante una prova di abilità, ulteriormente soggetta a un giudizio
Greci, Le corporazioni cit., p. 24; G. Bossenga, La Révolution française et les corporations: trois exemples lillois, in
« Annales. Economies, Sociétés, Civilisations », a. 43ème, N. 2, 1988, pp. 415-417.
9
Gustafsson, The Rise cit., p. 16.
10
G. Todeschini, Linguaggi teologici e linguaggi amministrativi: le logiche sacre del discorso economico fra VIII e X
secolo, in “Quaderni storici”, a. XXXIV, n. 3, dicembre 1999, pp. 599, 600.
11
P. Prodi, Settimo non rubare. Furto e mercato nella storia dell’Occidente, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 57.
12
Si intenda paragone?
13
Bernardino da Siena, Le prediche cit., p. 97.
14
M.T. Sillano, Attività mercantili nel porto di Livorno alla metà del Seicento: l’impresa Saminiati Ambrogi, in
“Mercati e consumi, organizzazione e qualificazione del commercio in Italia dal XII al XX secolo”, Bologna, Analisi,
1986.
15
B. Caizzi, Il commercio al minuto nell’età moderna, in “Mercati e consumi, organizzazione e qualificazione del
commercio in Italia dal XII al XX secolo”, Bologna, Analisi, 1986, pp. 585-586.
16
R. Sarti, Vita di casa. Abitare, mangiare, vestire nell’Europa moderna, Roma-Bari, Laterza, 2003.
17
E. Demo, L’industria tessile nel Veneto tra XV e XVI secolo: tecnologie e innovazione dei prodotti, in “Dalla
corporazione al mutuo soccorso. Organizzazione e tutela del lavoro tra XVI e XX secolo”, a cura di P. Massa e A.
Moioli, Milano, Angeli, 2004, p. 337.
18
P. Prodi, Settimo cit., p. 57; ma si veda anche G. Todeschini, La riflessione etica sulle attività economiche, in
“Economie urbane ed etica economica nell’Italia medievale”, a cura di R. Greci, Roma-Bari, Laterza, 2005.
19
Gustafsson, The Rise cit., p. 17.
20
F. Franceschi, Oltre il «Tumulto». I lavoratori fiorentini dell’Arte della Lana fra il Tre e Quattrocento, Firenze,
Olschki, 1993, pp. 9-10.
21
L. Braghina, Alcuni aspetti dell’arte della lana di Firenze (la regolamentazione tecnologica) nella seconda metà del
XV secolo, in “Produttività e tecnologie nei secoli XII-XVII”, a cura di S. Mariotti, Istituto Internazionale di Storia
economica F. Datini – Prato, Firenze, Le Monnier, 1981, p. 304.
22
R. Sabbatini e A. Moriani, Corporazioni e vita cittadina nella “Toscana minore”: alcune considerazioni su Lucca,
Arezzo e Siena, in “Dalla corporazione” cit., p. 123.
23
L. Gheza Fabbri, Presenza e ruolo delle Società d’Arti e Mestieri in una città d’antico regime (Bologna secc. XVIXVIII), in , “Dalla corporazione” cit., pp. 143-144, 157; per regole di apprendistato e ispezioni, cfr. S.L. Kaplan, The
Luxury Guilds in Paris in the Eighteenth Century, in “Francia - Forschungen zur westeuropäischen Geschichte”, 9,
1981 (http://francia.digitale-sammlungen.de/Blatt_bsb00016284,00273.html?prozent=1).
4
discrezionale dell’Arte, arbitrio, quest’ultimo, che venne poi eliminato 24. A Siena, è vero,
riferimenti tecnici alle lavorazioni sono quasi sempre assenti negli statuti 25. Ma la diffusione di
norme corporative e di contratti privati di apprendistato è corposa 26. Le sanzioni sono severe. A
Venezia, le sete imperfette vengono bruciate in San Marco, e il tessitore colpevole in fuga è bandito
con liceità della sua uccisione 27. A Firenze, “il potere pubblico lasciava alle Arti piena libertà di
regolamentazione” e le norme sulla qualità dilatano la normazione corporativa, almeno nei settori –
come il tessile – nei quali gli acquisti impegnano una quota significativa del reddito del
consumatore; una delle preoccupazioni essenziali dell’Arte della Lana è la tutela della reputazione.
“Le deliberazioni dell’Arte della Lana nella seconda metà del XV secolo sono piene di querele consistenti nel
fatto che i lanaiuoli non marcavano i panni e recavano danno alla reputazione della produzione laniera dell’Arte,
perché spesso i panni fini venivano contraffatti; per i panni di garbo [di minore qualità], i quali erano venduti per
quelli di San Martino, i compratori perdevano la fiducia nei panni fiorentini.
La deliberazione del 1483 esigeva che i lanaiuoli scrivessero sopra i panni di garbo all’inizio e alla fine di ogni
pezza la parola «garbo», e che i marcatori non marcassero i panni senza questa iscrizione. Un’altra deliberazione
(del 1485) sottolineava che lo statuto precedente aveva portato buoni risultati e riconfermava il divieto di
28
marcare i panni di garbo col segno di botteghe di San Martino.”
Analogamente, dopo la soppressione delle corporazioni, si avverte esattamente l’esigenza di una
legge a tutela della qualità: “E così in Lombardia il Regio Visitatore delle Manifatture, con una
consulta del 10 novembre 1785, proponeva con convinzione l’individuazione di una «legislazione
che garantisca il pubblico dalle fraudi; che contenga nei loro doveri gli artigiani e che impedisca il
discredito interno ed esterno delle nostre manifatture». In fondo si trattava, né più né meno, di un
tentativo di rivisitazione di ciò che, fino a quel momento, aveva offerto la vecchia struttura
corporativa di ascendenza medievale.” 29. Situazione analoga si riscontra a Lille tra i filatori del
XVIII secolo. Poco prima delle leggi rivoluzionarie abolitive, la corporazione ha funzione
progressiva: perora presso le autorità cittadine provvedimenti a tutela della qualità del filo,
regolamenti che portano nell’arco di quattro decenni a una crescita esponenziale dell’industria
grazie al prestigio della produzione locale; l’abolizione delle corporazione lascia i filetier orfani;
devono premere presso le nuove autorità per ristabilire antichi norme e controlli che garantiscano il
vecchio standard 30. La soluzione è trovata di nuovo nella forma di una associazione, libera stavolta,
con visiteur e strutture regolamentari che ricalcano quelli dell’antica corporazione. Il rimpianto è
spiegabile. I regolamenti corporativi e municipali avevano consentito l’esplosione dell’industria
della filatura 31.
La corporazione diviene così uno strumento per superare la trappola dell’asimmetria informativa tra
produttore e consumatore, trappola il cui superamento lo Stato non sarebbe stato in grado di
garantire per secoli. Le corporazioni in re presuppongono l’aspirazione a e costruiscono la
possibilità di un mercato di prodotti qualitativamente validi e in competizione, come sfera separata
da quelle della politica e della religione 32; lo influenzano certo, lo costituiscono in forme diverse
dalla concorrenza perfetta, non ne sono la negazione.
Le implicazioni di tale funzione corporativa sono rilevanti.
24
L. Gheza Fabbri, Presenza cit., pp. 146, 151-152.
Sabbatini e Moriani, Corporazioni cit., p. 113.
26
A. Moioli, I risultati di un’indagine sulle corporazioni nelle città italiane in età moderna, in “Dalla corporazione” cit,
pp. 124-125.
27
F. Vecchiato, Tensioni sociali nelle corporazioni di Venezia a fine Settecento, in “Studi storici Luigi Simeoni”, vol.
XLI, 1991, p. 297 n.
28
L. Braghina, Alcuni aspetti dell’arte della lana di Firenze (la regolamentazione tecnologica) nella seconda metà del
XV secolo, in “Produttività e tecnologie nei secoli XII-XVII”, a cura di S. Mariotti, Istituto Internazionale di Storia
economica F. Datini – Prato, Firenze, Le Monnier, 1981, p. 305, ma v.a. p. 306.
29
Greci, Le corporazioni cit., p. 24.
30
Bossenga, La Révolution cit., pp. 415-417.
31
Bossenga, La Révolution cit., p. 415.
32
Prodi, Settimo cit.
25
5
Mercati e divisione del lavoro si svilupparono anche in assenza di un potere centrale forte. La
estensione del mercato cresce, la divisione del lavoro e la specializzazione aumentano, crescono
produttività e qualità 33. Un risultato la cui portata trasparirà più avanti (cfr. pp. 16 ss.).
Ancora, la presenza sul mercato di varie qualità e marchi corporativi genera concorrenza
monopolistica 34 e un potente incentivo al miglioramento del prodotto e alla innovazione.
L’evidenza depone per un altro fenomeno. La cooperazione dei produttori produce un bene comune
– la reputazione – essenziale per la crescita del mercato e di generale utilità. Il mercato stesso è uno
tra i beni comuni dalla cui realtà Elinor Ostrom parte per una critica a Mancur Olson 35. La
costruzione del mercato appare non come la conseguenza scontata di una molteplicità di
individualità, ma come un processo cooperativo organizzato che produce lo scambio sociale e la
costruzione di un bene collettivo. L’assunto individualista si indebolisce. Il dato rileva anche ai fini
del disegno istituzionale della comunità, con l’alternativa tra stati semisovrani corporativi, che
delegano funzioni e poteri a corpi che organizzano la società civile, versus stati centralizzati, del
disegno di ordinamenti e di un processo decisionale pubblico favorevole allo sviluppo 36.
Allocazione organizzativa
Il mito dell’allocazione del mercato è fragile; a livello stesso dell’impresa, e ancor più del gruppo,
in realtà l’allocazione richiede una funzione organizzativa, imprenditoriale, diversa dal mercato,
senza considerare le caratteristiche dell’attività innovativa 37. Anche al di sopra del livello
dell’impresa, la mano visibile chandleriana è importante almeno quanto quella invisibile, i processi
decisionali centralizzati e consapevoli sono cruciali almeno quanto quelli decentrati del mercato 38.
La corporazione, quando diretta da gruppi dirigenti adeguati, agisce come fattore strategico
organizzativo e innovativo.
Un primo livello organizzativo dell’azione corporativa è quello della integrazione verticale 39, di due
specie: di segmenti diversi del processo produttivo, o di definizione di una gerarchia decisionale
all’interno di un processo produttivo omogeneo. Il processo più complesso e articolato è quello del
raggruppamento di titolari di funzioni diverse della filiera produttiva all’interno di un’unica
corporazione, dominata da un gruppo di eminenti, tipicamente i mercanti. “Non di rado si verificò
un processo di assorbimento delle corporazioni più deboli sotto l’aspetto economico e politico da
parte di quelle più forti; come esempio tipico di questo fenomeno si può considerare la corporazione
fiorentina di Por Santa Maria. Tale struttura è l’indizio di un modo di essere socialmente più
complesso delle corporazioni italiane, che non furono più organizzazioni di maestri con uguali
33
I noti nessi smithiani sono ripresi e sviluppati nel classico G. Stigler, The Division of Labor Is Limited by the Extent
of the Market, in “Journal of Political Economy”, Vol. 59, No. 3, June 1951.
34
P. Mainoni, Il mercato della lana a Milano dal XIV al XV secolo. Prime indagini, in “Mercati e consumi” cit.; P.
Racine, La distribution des tissus de coton au détail dans la plaine du Po au XIIIe siècle, in “Mercati e consumi” cit.; F.
Trivellato, Guilds, Technology, and Economic Change in Early Modern Venice, in “Guilds, Innovation” cit., pp. 207209; H. Hoshino, La compagnia commerciale de’ Pitti in Napoli nel 1341: un commento per la storia dell’arte della
lana di Firenze del Trecento, in “Studi in memoria di Federigo Melis”, a cura di L. De Rosa, vol. II, Napoli, Giannini,
1978.
35
E. Ostrom, Collective Action and the Evolution of Social Norms, in “The Journal of Economic Perspectives”, Vol. 14,
No. 3, Summer 2000.
36
Sull’importanza prospettica di tale dimensione, cfr. R. Haas, Perché nascerà un mondo di Stati semisovrani, in
“Corriere della Sera”, 6 novembre 2005, p. 30.
37
A.D. Chandler , Organizational Capabilities and the Economic History of the Industrial Enterprise, in “The Journal
of Economic Perspectives”, Vol. 6, No. 3, Summer 1992; W. Lazonick, Business organization and the myth of the
market economy, Cambridge, Cambridge University Press, 1991; M. Granovetter, Coase Revisited: Business Groups in
the Modern Economy, in “Industrial and Corporate Change”, vol. 4, n. 1, 1995.
38
H.A. Simon, New Developments in the Theory of the Firm, in “The American Economic Review”, Vol. 52, No. 2,
May 1962, Papers and Proceedings of the Seventy-Fourth Annual Meeting of the American Economic Association;
Lazonick, Business organization cit.
39
Argomenti in parte simili ho trovato sviluppati in U. Pfister, Craft Guilds, the theory of the firm, and Early Modern
Proto-industry, in “Guilds, Innovation” cit.
6
diritti” 40. Caso analogo si riscontra a Coventry41, in Inghilterra, o, sempre a Firenze, nell’Arte della
Lana che raggruppa tutta la filiera produttiva del panno, dalla lavorazione della materia prima alla
commercializzazione 42; e si registra anche altrove in Italia. Così, la corporazione napoletana della
seta è lo strumento attraverso cui i mercanti agiscono per affermare il proprio controllo sulla
produzione e sulla ripartizione del surplus 43. Così anche nella Milano moderna 44, o per l’Arte della
seta a Bologna. Al di sopra delle singole corporazioni, in alcune realtà, le Mercanzie diventano lo
strumento per la presa di potere dei gruppi più potenti 45.
Si definisce in tal modo anche una élite, che rende coeso il gruppo, pur tra tensioni.
Il portato della costituzione della élite è duplice. Il primo è l’estrazione di una rendita derivante da
un potere politico, che può accoppiarsi a quello di mercato e rafforzarlo o surrogarlo 46. Uno studio
di Fausto Sartori sull’arte dell’acquavite a Venezia fornisce importanti elementi esemplificativi 47.
Creata nel 1618 da un capitolo di 86 “acquavitai”, la corporazione lamenta lungo tutto il corso della
propria vita il numero esuberante di iscritti e di botteghe 48. Le ammissioni sono in effetti numerose,
e in alcuni periodi includono forestieri. Ma la reale politica delle immissioni è regolata attraverso lo
stabilimento delle botteghe, che devono sottostare a un limite – per la verità non enorme – di
distanza dalle altre, fissato in 100 passi, e il sistema stabilito dal Collegio delle arti dell’
“inviamento”, l’assegnazione degli spazi per tutti i mestieri 49. Molti spazi non vengono assegnati, o
vengono assegnati a prestanome, onde ampliare l’area di mercato dei favoriti. Lotte e privilegi
segnano così l’assegnazione delle aree di mercato più ambite e ampie. Ne consegue una
concorrenza giocata in base all’influenza nel gruppo dirigente 50, non a prezzi, costi, qualità.
Il secondo portato dell’azione corporativa e della élite è ben più rilevante lì dove si costituiscono
gruppi dirigenti capaci. Consiste nella costruzione di un processo organizzativo consapevole,
collettivo, al di sopra delle singole imprese, e talora a livello di filiera e anche di orientamento della
politica dello Stato; il concetto può essere sviluppato fino al punto di prevedere che, a differenza
della teoria prevalente che vede il monopolio restringere l’offerta e alzare il prezzo, l’azienda
corporata si trovi nella situazione di innovare riducendo i costi e incrementare contestualmente
output e qualità 51. Il mulino da seta bolognese studiato da Carlo Poni ridisegna i processi produttivi
tradizionali in modo da ottenere, rispetto agli altri modelli di mulino da seta esistenti in Italia, i
caratteri tipici dell’innovazione più integrale, migliore qualità con minori costi, come si legge in un
40
V.I. Rutenburg, Arti e corporazioni, in “Storia d’Italia. Volume V. I documenti (Parte I)”, Torino, Einaudi, 1973, p.
621.
41
A.B. Hibbert, La politica economica delle città, in “Storia economica di Cambridge”, vol. III, a cura di M.M. Postan,
E.E. Rich, E. Miller, Torino, Einaudi, 1977, pp. 256-257.
42
G. Renard, Guilds in the Middle Ages, Kitchener (Ontario, Canada), Batoche Books, 2000 (1a ed. London, 1918), pp.
32-33.
43
R. Ragosta Portioli, Conflicts and Norms in the Silkmakers’ Guild in Naples in the Sixteenth to Eighteenth Century, in
“Guilds, Markets and Work Regulations in Italy, 16th-19th Centuries”, ed. by A. Guenzi, P. Massa, F. Piola Caselli,
Aldershot, Ashgate, 1998.
44
L. Mocarelli, Guilds Reappraised: Italy in the Early Modern Period, in “The Return of the Guilds”, ed. by J.
Lucassen, T. De Moor and J.L. van Zanden, International review of social history, supplement 16, s.a., Cambridge,
Cambridge University Press, pp. 168-169.
45
R. Greci, Le corporazioni cit., pp. 23-24.
46
S.L. Kaplan, La fin des corporations, [Paris], Fayard, 2001, pp. 18, 41.
47
F. Sartori, L’Arte dell’acqua di vita. Nascita e fine di una corporazione di mestiere veneziana (1618-1806), Venezia,
Fondazione Scientifica Querini Stampalia, 1996.
48
Sartori, L’Arte cit., p. 32.
49
V. Sandi, Principj di storia civile della Repubblica di Venezia, vol. II, Venezia, Coletti, 1774, p. 474,
http://books.google.it/books?id=77hTAAAAcAAJ&pg=PA474&lpg=PA474&dq=inviamento+venezia+storia&source=
bl&ots=RMw9KDb8IX&sig=rQ2dQbBQxNBY1Y6tBHYQMk8JOyw&hl=it&sa=X&ei=nLKhU6PdFaLB0QW2xoC4
CA&ved=0CC4Q6AEwAw#v=onepage&q=inviamento%20venezia%20storia&f=false.
50
Sartori, L’Arte cit., pp. 44-50.
51
W. Lazonick, Business organization cit., p. 165.
7
denso passo di un anonimo bolognese 52. Un processo analogo è attivato, questa volta espressamente
dalla corporazione tessile a Lille 53; od occorre per la seta a Venezia, non senza la contrarietà della
corporazione danneggiata 54.
Il portato organizzativo può così avere ricadute positive ben maggiori del costo delle rendite
incamerate dai gruppi dirigenti della corporazione.
I piani del processo organizzativo sono diversi. I primi sono evidenti quanto cruciali:
l’amministrazione di livelli ordinari di regolazione normativa e di giustizia civile, la tutela della
qualità e l’organizzazione di un marchio. Cosa in concreto può definire la gerarchia? Ipotesi e indizi
suggeriscono contratti o loro aspetti rilevanti, prezzi e natura di beni e servizi intermedi, rapporti di
finanziamento, salari e orari di lavoro o tempi di consegna, qualità dei prodotti, privative,
l’applicazione e la interpretazione della giustizia e quindi delle norme e consuetudini. Nella lana
fiorentina, ad esempio, la corporazione stabilisce le tariffe per numerose tipologie di servizi
produttivi 55, o norma le tipologie di lana da lavorare consentite per i lanaioli di un quartiere
piuttosto che un altro 56, sancendo o ratificando gerarchie, ma anche facilitando i compiti di
riscossione e di supervisione della qualità. La corporazione definisce i prezzi dei prodotti finali? A
Firenze una enorme varietà di panni ha prezzi diversissimi 57, e non sembra che i prodotti al
consumo sottostiano a qualche forma di calmiere 58, imposto in altre realtà dalle autorità cittadine
per alcuni beni; mentre emerge come più rilevante il tariffario corporativo dei beni e servizi
intermedi 59, i cui contratti vengono così negoziati e stabilizzati su aspetti centrali. Nella fitta e
diffusissima rete dei rapporti di debito e credito tra produttori di diverso livello – magari a
domicilio, o salariati – e mercanti o titolari di bottega 60, la corporazione può intervenire regolando
querelle, garantendo i rapporti giuridici, ad esempio rendendo esecutivi i sequestri e sanzionando il
mancato rispetto del debito, o avallando una subordinazione esclusiva di un sottoposto al suo
finanziatore, anche forse contro giustizia, consolidando (ma forse, in momenti cruciali, anche
invertendo) rapporti di forza crudi 61.
Ma vi è un livello più alto. Accanto alla importante dimensione “ordinaria”, vi è una dimensione
creativa, strategica, propulsiva della integrazione, lungo una linea interpretativa che riconosce “the
growing importance of planned coordination for generating economic growth”, “for attaining and
sustaining competitive advantage” 62. La corporazione fiorentina accompagna e pianifica l’ascesa
della manifattura laniera fiorentina e la sua transizione da segmenti bassi a segmenti alto di gamma,
con eclatanti benefici di mercato e di reddito. Istruttiva è l’organizzazione e la centralizzazione di
funzioni strategiche, di realizzazione di sinergie finanziarie e di sfruttamento delle economie di
scala che la corporazione fiorentina mette in atto, senza far intervenire vincoli di proprietà tipici
della holding o della grande corporation; sopperendo a carenze cui entità atomistiche non avrebbero
52
C. Poni, All’origine del sistema di fabbrica: tecnologia e organizzazione produttiva dei mulini da seta nell’Italia
settentrionale (sec. XVII-XVIII), in “Produttività e tecnologie nei secoli XII-XVII”, a cura di S. Mariotti, Istituto
Internazionale di Storia economica F. Datini – Prato, Firenze, Le Monnier, 1981, p. 314 e passim.
53
G. Bossenga, La Révolution cit.
54
Trivellato, Guilds, Technology cit., p. 218.
55
F. Franceschi, Oltre il «Tumulto». I lavoratori fiorentini dell’Arte della Lana fra il Tre e Quattrocento, Firenze,
Olschki, 1993, pp. 63, 159.
56
Franceschi, Oltre il «Tumulto» cit., pp. 38-39
57
H. Hoshino, Industria tessile e commercio internazionale nella Firenze del tardo medioevo, Firenze, Olschki, 2001,
pp. 15-16.
58
Franceschi, Oltre il «Tumulto» cit, p. 161.
59
Franceschi, Oltre il «Tumulto» cit, pp. 159-161; v.a. nota 105.
60
Franceschi, Oltre il «Tumulto» cit., pp.187 ss.; per il finanziamento dei produttori di armi da parte dei mercanti, cfr.
C.M. Belfanti, A Chain of Skills: The Production Cycle of Firearms Manufacture in the Brescia Area from the Sixteenth
to the Eighteenth Centuries, in “Guilds, Markets” cit., p. 274.
61
Franceschi, Oltre il «Tumulto» cit., pp. 190-193, 228; casistica analoga in A. Caracausi, I giusti salari nelle
manifatture della lana di Padova e Firenze (secoli XVI-XVII), in «Quaderni storici», n. 3, 2010 e Id., Procedure di
giustizia in età moderna: I tribunali corporativi, in “Quaderni storici”, n. 2, 2008.
62
Lazonick, Business organization cit., p. 9.
8
saputo supplire. L’Arte della Lana organizza così cruciali segmenti integrativi della catena
produttiva: possiede (o promuove il possesso di) navi cruciali per la stabilità dei rifornimenti di
materia prima e la commercializzazione del prodotto finito, possiede tintorie, lavatoi, tiratoi (tutti
quelli esistenti a fine ‘400), magazzini, botteghe proprie, e agisce da mediatore all’ingrosso per
l’acquisto delle materie prime 63, il cui approvvigionamento regolare è questione tra le più
complesse e vitali 64; strumenti di competizione e di acquisizione di economie di scala che solo la
cooperazione poteva assicurare. Al livello più elevato, colpisce la proprietà corporativa di “galee
grosse di mercato” 65. Analogamente, le corporazioni possono acquistare materie prime e ripartirle
tra i propri membri a Bologna 66 o a Verona 67, secondo uno schema che sembra ricorrente in molte
realtà, italiane ed estere, che evidentemente risolve problemi contrattuali, di minimizzazione dei
costi e di prevenzione di fenomeni di accaparramento, di raggiungimento di soglie, di stabilità dei
flussi in contesti instabili per ostilità politiche e belliche. A Lille, un frammento documenta
l’utilizzo della corporazione per introdurre una nuova funzione industriale ed economie di scopo 68,
e la necessità di pensare a una associazione di produttori quando l’abolizione della corporazione
abbatte le tutele della qualità. E’ ben documentata la grande e continua attenzione dell’Arte della
Lana fiorentina per la disponibilità del prodotto grezzo e di altri prodotti essenziali per lo
svolgimento del ciclo produttivo, anche intervenendo a promuovere la nascita di attività necessarie
per la catena del valore 69. Così, ad esempio, l’Arte della Lana procurava di mantenere ben rifornito
il proprio fondaco per il guado, indispensabile nella tintura, concedendo essa stessa credito ai
mercanti 70, rappresentava le esigenze dei lanaioli presso il Comune, dava vita a segmenti essenziali
della filiera quali la produzione di filo di ferro 71.
Il dato conduce a due rilevanti conseguenze teoriche.
In primo luogo, gruppi dirigenti adeguati della corporazione erogano un servizio ideativo,
innovativo e di orientamento strategico a livello sovraziendale, che provvede a segmenti di
allocazione delle risorse e di definizione dei loro percorsi e processi di trasformazione
dell’ambiente. Produce inoltre economie di scala e di scopo superiori a quelle prodotte da più lente
dinamiche di mercato. Tale funzione allocativa si svolge lungo canali del tutto diversi, assai più
stabili e, di norma, creativi, di quelli cui può provvedere il meccanismo concorrenziale e di mercato
– al limite, aste continue – attraverso la risposta delle quantità a meri segnali di prezzo.
Organizzazione versus mercato. Una delle debolezze dell’impostazione microeconomica consiste
nel guardare all’impresa singola (e spesso solo a un numero desolatamente povero di aspetti),
quando una economia è un sistema, che determina opportunità, risorse, informazioni, rischi,
capacità elaborative. Non solo la gestione di un’azienda di successo richiede assai più della capacità
di definire un prezzo competitivo, ma condizioni critiche o favorevoli al suo sviluppo si
63
G. Renard, Guilds in the Middle Ages, Kitchener (Ontario, Canada), Batoche Books, 2000 (1a ed. London, 1918), p.
44; L. Braghina, Alcuni aspetti cit., p. 304; Franceschi, Oltre il «Tumulto» cit, pp. 59 ss. Ma per una flotta piuttosto
pubblica che strettamente corporativa, il cui allestimento si inserisce in una ben dispiegata politica delle infrastrutture e
commerciale, cfr. Franceschi, Istituzioni e attività economica cit., p. 85 e pp. 106-108. Per l’influenza mercantile sulla
costruzione di una flotta cittadina, cfr. anche R.A. Goldthwaite, The Economy of Renaissance Florence, Baltimore, The
Johns Hopkins University Press, 2009, pp. 113, 490, e inoltre pp. 96, 131, 150-152.
64
Cfr. Franceschi, Oltre il «Tumulto» cit., pp. 22-23, 26-28, 30. Per le direttrici del traffico della lana, si veda R. Greci,
Itinerari commerciali e geografia della produzione, in “La storia. I grandi problemi dal Medioevo all’Età
Contemporanea. Volume Primo. Il Medioevo. 1. I quadri generali”, a cura di N. Tranfaglia e M. Firpo, Milano,
Garzanti, 1993, pp. 200-201.
65
Braghina, Alcuni aspetti cit., p. 304.
66
Gheza Fabbri, Presenza cit., p. 152.
67
M. Costantini, Arti e stato in area veneta nel tardomedioevo: spunti di analisi comparativa, in “Dalla corporazione”
cit., p. 93.
68
Bossenga, La Révolution cit., p. 414.
69
Franceschi, Istituzioni cit., pp. 86-93.
70
Franceschi, Istituzioni cit., p. 92.
71
Franceschi, Istituzioni cit., pp. 92-93.
9
determinano attraverso l’organizzazione dell’ambiente in cui l’impresa opera 72. Vi è qui una attività
di ideazione e pianificazione di sistema che tiene certo conto dei prezzi, ma configura loro
variazioni potenziali, percorsi produttivi e mercati nuovi, stabilizzazione di beni instabili, riduce i
rischi, stringe accordi di lungo periodo, definisce strutture relazionali, agisce pur senza conoscere le
curve di costo e di domanda per prodotti ancora non materializzati.
In secondo luogo, ritorna un tema accennato. L’associazione sopraindividuale produce beni e
servizi collettivi, scarsamente esclusivi ma spesso sottraibili 73, e al tempo stesso facilmente
(ri)producibili nelle quantità necessarie – espandendole, anche -, garantendo sinergie finanziarie e
strutture di costo efficienti che singoli produttori – anche per carenza di capitali e di volume di
affari – non sarebbero in grado di assicurare. Nel paragrafo sulla garanzia della qualità, vi sono
molti elementi che configurano il mercato e la concorrenza come beni collettivi. Ma è evidente che
si va ben oltre, e si agisce sul contesto in cui il mercato del singolo prodotto si colloca. La
transizione teorica è drastica: da Mancur Olson, secondo cui l'azione collettiva è pressoché
impossibile senza incentivi speciali e comunque finalizzata al monopolio e al conseguimento di fini
egotistici, al suo opposto, Elinor Ostrom, che riconosce e tenta di spiegare la realtà evidente della
capacità e del beneficio erga omnes di produrre beni collettivi 74. E’ parimenti evidente,
conformemente a quanto accade nei gruppi di interesse contemporanei 75, che la corporazione
favorisce la definizione di accordi cooperativi all’interno della élite che la dirige, dando a essi
generalità, aiutando nella raccolta e centralizzazione di risorse finanziarie, facilitando il formarsi di
joint venture tra i membri, determinando il consenso sulla normazione occorrente e sulle risorse o le
fasi integrative che possono concorrere a un migliore sviluppo del processo produttivo. Tale sistema
tiene insieme economie di scala e una distribuzione del reddito relativamente perequata.
Cinquant’anni fa almeno, Herbert Simon aveva già visto e sistemato ricerche che relativizzavano
l’importanza dei meccanismi allocativi di mercato, a favore di meccanismi di influenza, di
centralizzazione delle decisioni, organizzativi, almeno altrettanto decisivi.
Clearly, we are viewing a resource allocating process here that is decidedly different from the price mechanism.
One of its significant characteristics is that it is capable of operating in situations, like this one, where the
relevant marginal quantities are not thought to be computable. […] Two centuries ago, economic theory
discovered, in the price mechanism, an allocative procedure possessing quite remarkable properties. These
properties and their application to the regulation of an economy have been pretty thoroughly explored by
successive generations of economists. We are now becoming increasingly aware that the price mechanism is just
one – although an exceedingly important one – of the means that humans can and do use to make rational
decisions in the face of uncertainty and complexity. We are beginning to understand what some of the other
mechanisms are and how they are used. […] These facts are already calling into question beliefs that allocation
76
through markets simplifies information processing as compared with centralized allocative processes.”
Si giunge così a una visione equilibrata dei processi allocativi e decisionali, collocando la
concorrenza al suo giusto posto e dando il dovuto risalto a meccanismi diversi, organizzativi e
pianificatori collettivi. Il processo di riforma rilevante, qui condotto dalla corporazione, è una
pianificazione strategica a livello sovraziendale di cui tutti beneficiano. La funzione integrativa
assicura ambiente favorevole, continuità di flussi, procedure di centralizzazione, organizzazione
della filiera; da un altro lato, la produzione può svilupparsi con ridotte concentrazioni di redditi e
potere senza compromettere i benefici della centralizzazione. Sarebbe un abbaglio confondere il
successo di un capillare e consapevole processo organizzativo centralizzato e cooperativo con il
72
Lazonick, Business organization cit.
N. Carestiato, Beni comuni e proprietà collettiva come attori territoriali per lo sviluppo locale, Università degli Studi
di Padova, Scuola di Dottorato di ricerca in Territorio Ambiente Risorse Salute, XX ciclo, 31 gennaio 2008, pp. 16-17,
http://paduaresearch.cab.unipd.it/903/1/Tesi_Carestiato.pdf, consultazione dell’agosto 2014.
74
Ostrom, Collective Action cit.
75
B. Unger and F. van Waarden, Interest Associations and Economic Growth. A Critique of Mancur Olson’s ‘Rise and
Decline of Nations’, CEPR Discussion Paper Series, No. 894, April 1994, p. 22; M.F.L. Rademakers, Agents of trust:
business associations in agri-food supply systems, in “International Food and Agribusiness Management Review”, No.
3, 2000.
76
Simon, New Developments cit., pp. 12, 14.
73
10
calcolo di un costo marginale e la costatazione di un prezzo 77. Il fallimento nell’organizzazione di
uno solo dei segmenti produttivi nella catena del valore basta a far deragliare un intero sistema
produttivo. Ben oltre le insostituibili capacità della impresa, si raffigurano facoltà alte di
pianificazione strategica a livello di sistema.
Compensazione degli squilibri di potere e difesa del reddito
Un ulteriore fenomeno ha segno opposto all’integrazione: la formazione di una nuova corporazione
(eventualmente per scissione di un sottogruppo da una in cui era inglobato) in funzione difensiva e
di compensazione di squilibri di potere, ad esempio contro lo strapotere dei mercanti per
concentrazione, forza finanziaria e controllo degli sbocchi. Tale processo è fattore di evoluzione e
di contributo dei gruppi all’organizzazione del processo produttivo, al consolidamento democratico,
alla equa ripartizione del surplus. L’impegno delle corporazioni mercantili di Coventry e dell’Arte
della lana a Firenze di impedire la formazione di altre corporazioni rivela come un calco le tensioni
che sottendono il processo e gli effetti di limitazione di un cartello che il pluralismo indotto
dall’organizzazione di nuovi interessi avrebbero. Quando sottogruppi coesi presenti all’interno di
corporazioni piramidali si mobilitano o, ancor più, quando si autonomizzano, essi interagiscono con
gli altri gruppi contrattando su questioni che prima li vedevano soggetti passivi e subordinati;
rivelano anche un loro rafforzamento numerico e finanziario, derivante dall’approfondimento della
divisione del lavoro e dal consolidarsi dei rami discendenti della gerarchia 78.
Il prototipo del processo di scissione, contrattazione e autonomizzazione cooperativa è
esemplificato dalla autonomia che a metà Trecento acquisiscono le corporazioni subalterne a
Lucca 79; o dalla imposizione con la forza della creazione di tre nuove corporazioni a Firenze da
parte dei Ciompi in tumulto 80, prima normativamente impediti.
Il processo si osserva bene nel percorso del settore delle armi in area bresciana, ricostruito da
Belfanti. Il conflitto degli artigiani dalle diverse specializzazioni coi mercanti porta alla diffusione
del sistema corporativo in funzione di riequilibrio dei gruppi mercantili, con la costituzione
dell’autonomo Corpo delle maestranze di canne di Gardone (le cui principali funzioni sono la
contrattazione dei prezzi coi mercanti e la ripartizione degli ordini tra i produttori, secondo uno
schema che sarà tipico anche dei cartelli ottocenteschi e novecenteschi) 81, di una gilda degli
archibugieri e di altre gilde relative a diverse fasi della produzione 82. Alla fine, i produttori vengono
sconfitti; i mercanti si confermano il gruppo preminente, riescono ad ottenere il controllo degli
sbocchi, grazie anche alla fondamentale alleanza del potere centrale, e praticano una strategia di
disintermediazione degli artigiani mediante il ricorso al sistema a domicilio (sembrerebbe), con
l’impiego di lavoratori stagionali poco qualificati. Si giunge per questa via al deterioramento della
qualità delle armi bresciane, conseguente all’abbassamento delle competenze per la maggiore
incidenza di lavoratori a basso costo rispetto ai maestri d’arte, alla perdita di mercati 83, al ritorno a
un processo di integrazione cartellistica verticale. Anche la ripresa di potere mercantile passa
attraverso la costituzione di una associazione, la Società de padroni de fuoghi della terra di
Gardone, che in varie forme sottomette nuovamente gli artigiani, ora però autonomamente
77
Per le infinite diverse fasi della produzione e per indizi importanti di una strategia di marchio, volta ad esempio a
coordinare e garantire la qualità della materia prima, cfr. Franceschi, Oltre il «Tumulto» cit., pp. 22-23, 33-38, 45-46,
88-92; per evidenze di una complessa organizzazione geografica dell’espletamento di fasi diverse del lavoro in una
ampia area intorno a Firenze, cfr. ivi, pp. 70-71.
78
In tal senso, ad esempio, H. Hoshino, Industria tessile e commercio internazionale nella Firenze del tardo medioevo,
Firenze, Olschki, 2001, p. 17.
79
Rutenburg, Arti cit., p. 621.
80
Rutenburg, Arti cit., p. 622.
81
C.M. Belfanti, A Chain of Skills: The Production Cycle of Firearms Manufacture in the Brescia Area from the
Sixteenth to the Eighteenth Centuries, in “Guilds, Markets” cit., pp. 276-277.
82
Belfanti, A Chain cit., p. 278-281.
83
Belfanti, A Chain cit., p. 281.
11
associati 84. Ma, nonostante la sconfitta finale dei ceti subordinati, le forze opposte si sono
esplicitate, organizzate autonomamente, hanno formulato le loro istanze, si sono confrontate. I
gruppi subordinati hanno trovato nello strumento associativo il mezzo per tentare di riequilibrare i
rapporti e partecipare di una ripartizione del surplus più favorevole di quella consentita dalla
posizione di potere dei mercanti. Lo sforzo è di passare da rapporti di dominio verticali a rapporti di
contrattazione tra gruppi, con l’utilizzo del polifunzionale strumento associativo.
Elementi analoghi si colgono nei tintori della Napoli seicentesca descritti da Ragosta Portioli. E
numerosi elementi di estremo interesse si colgono nella colorita vicenda degli scorticatori del
macello a Venezia: il portato di riequilibrio nella genesi di nuove corporazioni; l’esigenza, allora, di
forme costruttive di dialettica, di comportamenti che limitino il conflitto, riconoscano esigenze
altrui e limiti alla libertà dei propri comportamenti; l’esistenza di una cultura sociale non integrata,
di ceto, ispirata alla segmentazione e ostilità di status, che si esprime in vari modi, tra i quali ricorre
in vari casi lo scandalo che desta l’organizzazione associativa degli operai e dei ceti inferiori; la
realtà di complesse relazioni di network, anche gerarchiche e violente o di dominio, all’interno
della corporazione, che non necessariamente si configura come una repubblica democratica; la forte
carica potenziale di violenza che il conflitto sociale non ben gestito contiene, in questo caso
apparentemente per il particolare lavoro di alcuni protagonisti, ma anche in altri casi se si ricordano
ad esempio i Ciompi; l’importanza di rivendicazioni “per la sussistenza” di malati e anziani.
“Una memoria [dell’archivio degli Inquisitori di Stato] riassume le vicissitudini degli scorticatori e la loro
secolare opposizione a vedersi privati di quelle garanzie corporative senza le quali si trovano alla mercé dei
«Partitanti» cioè di coloro che hanno in appalto il rifornimento della carne di manzo alla città di Venezia. […]
«Li Scorticatori de’ Bovi, un tempo semplici operarj disuniti … nell’anno 1696 ebbero la maliziosa industria di
farsi eriggere in Arte per obbligare li Partitanti a valersi dell’opera di essi soli, e non di altri Mercenari, come
potevano prima dell’errezione dell’Arte; maggiormente insolentirono, per lo che dopo replicate rimostranze dei
Partitanti … divenne l’Ecc.mo Senato con decreto 24 Giugno 1733 al taglio di detta Arte, rimettendo in libertà li
Partitanti di valersi di quelle Persone, e con quelle condizioni che più potessero valere al loro interesse e
servizio». Di lì una lunga battaglia giudiziaria, ma anche di scioperi quando le vie legali falliscono. «Torbidi mai
sempre, né restando più alcun ripiego forense, né rifugio, a sostenersi in unione, passarono alla cospirazione …,
e ammutinatisi, tutti ricusarono di servire il Macello, quando che pria dalli Partitanti con formale scrittura non le
fosse accordata l’unione, e le solite Mercedi, e Regalie, con la stessa indisciplina, come in passato». A
«reprimere una tracotanza così avanzata di odiosa setta composta di persone violente, ardite, e facilmente dediti
al sangue», interviene lo stato, ma senza grandi risultati. Gli appaltatori della carne tentano anche di
ammorbidire la resistenza con concessioni sul salario e sui livelli occupazionali. Promettono, infatti, che
avrebbero «trattenuti al servizio anco li poco abili, e superflui, e che poteano anco star quieti che non li
abbandonerebbero nella loro condotta, qualor anco fossero resi incapaci, purché avessero con fedeltà supplito al
85
loro dovere».”
La documentazione dà conto di altre notizie rilevanti 86: che gli scorticatori hanno una forte coesione
di gruppo, rinsaldata dalla leadership – e dalla prevaricazione – di un certo Scarabelin; che gli
scorticatori sono accusati di scarsa disciplina; che mettono in atto minacce di grave violenza; che
essi sono soggetti a licenziamento in tronco e si organizzano contro tale eventualità e che difendono
una condizione di vita rischiosa, se sono effettivamente presi contatti con altri operai per sostituirli
definitivamente. E si inferisce che i margini di profitto degli appaltatori sono alti, se questi possono
impiegare manodopera inabile fornendo una assicurazione previdenziale, cosicché non si può
pensare che il problema di fondo fosse di produttività o di salari troppo alti; i problemi devono
essere altri, e tra questi emergono la citata cultura di ceto, le condizioni di totale subordinazione del
lavoro dipendente che non introietta le ragioni dell’impresa.
Non si può non scorgere un altro essenziale processo: l’organizzazione del gruppo costruisce una
funzione di rappresentanza delle aspirazioni, costruisce un nucleo di progettualità di categoria. In
sistemi necessariamente simbiotici, la strategia di gruppo deve maturare sino al punto di tener conto
84
Belfanti, A Chain cit., pp. 280-281.
F. Vecchiato, Tensioni sociali nelle corporazioni di Venezia a fine Settecento, in “Studi storici Luigi Simeoni”, vol.
XLI, 1991, p. 307 n.; i corsivi sono del testo di Vecchiato.
86
Vecchiato, Tensioni cit., pp. 306-307.
85
12
delle esigenze della controparte, in un equilibrio di “caro nemico” non distruttivo. La
rappresentanza conferisce intelligenza e coordinamento ad azioni altrimenti discordi; dà forza a
istanze altrimenti condannate. Una scarsa integrazione culturale della comunità può generare
contrapposizioni pregiudiziali e impedire un processo cooperativo e di contrattazione nel mutuo
riconoscimento 87. Il regresso secolare del potere delle corporazioni nei confronti del potere dello
Stato centrale in ascesa segna anche il fallimento della realizzazione di uno stato “semisovrano” e
“cooperativo”, decentrato, con poche funzioni centralizzate e molte funzioni – soprattutto tecniche –
delegate a forme di rappresentazione dal basso e di autogoverno; ma il processo si è poi
nuovamente invertito dal XIX secolo. La “volontà di potenza” dei signori e dei monarchi in ascesa è
certo un fattore di quell’arretramento; ma contano anche le teorie economiche e politiche 88, le
incapacità negoziali e progettuali dei gruppi, e le condizioni materiali e culturali che rendono
possibili compromessi progressivi.
Due altre dimensioni vanno tenute presenti. La prima, già accennata, riconduce alla possibilità che
la rottura di una pregressa integrazione verticale affondi le radici anche in un dinamismo economico
e in una autonomizzazione di funzioni produttive in ascesa, prima subordinate 89, lungo un percorso
di rafforzamento della divisione del lavoro.
La seconda, più complessa e che meriterebbe autonoma ed estesa trattazione, si deve citare qui en
passant. I processi darwiniani della concorrenza sono percepiti come radicale contraddizione con la
Pareto ottimalità degli equilibri concorrenziali ipotizzata dall’economia del benessere. Una
dimensione equilibrativa essenziale in direzione latamente Pareto-ottimale si produce con la difesa
del gruppo (da altri gruppi, dalle tendenze concentrative interne al mestiere, dai nuovi entranti, ecc.)
contro l’estensione delle dinamiche concorrenziali e l’apertura a gruppi esterni che ne sarebbero
favoriti e contro le perdite che ne deriverebbero. L’associazione procura un potere per evitare o
ridurre le perdite. Un conflitto rivela a Bologna le ragioni economiche della “solidarietà” interna al
gruppo. Si svolge tra calzolai e ciabattini, per l’esclusività/generalità dei rispettivi diritti di
confezionare scarpe nuove/riparare scarpe vecchie, limitando/estendendo le economie di scopo e
costruendo/abolendo barriere all’entrata (simile quello tra sarti e “strazzaroli” per il diritto di
riparazione degli abiti) 90. La chiusura non può esser vista solo come la risultante di egoismi
primitivi; sicuramente partecipa anche dell’eco di radici culturali che risolvono l’ambiguità etica del
mercanteggiare solo se “il sistema di transazioni di cui il mercante è promotore appare eticamente
corretto, non contraddice cioè il progetto di comunità solidaristica dei fedeli” rielaborato dai secoli
XII e XIII 91, interpretando fermenti del sentire comunitario e tomistico che vedono, ad esempio,
nella garanzia della “sussistenza” il limite della liceità dell’arricchimento. La limitazione del diritto
altrui di confezionare scarpe nuove – ma, in altri casi, di eccedere una certa dimensione d’impresa –
si basa esattamente sulla “difesa del reddito per la sussistenza delle famiglie”. Concetto analogo
esprimono i panettieri di Lille: sono già troppi e dovrebbero piuttosto diminuire, perché è già
difficile per un boulanger “d’élever honnêtement sa famille” 92. La domanda è qui vista come il
vincolo; tema su cui si ritornerà. Ma soprattutto la concorrenza è assodata come non Paretoottimale, e si limita con misure assicurative.
Sei concetti sono così emersi: la compensazione degli squilibri di potere; la sua capacità di genesi di
qualcosa simile a una competizione pluralistica tra gruppi, che limita il monopolio; un equilibrio
contrattato e progettuale attraverso il pluralismo delle organizzazioni sezionali, temperato dal
riconoscimento delle esigenze del competitore, dunque l’inidoneità di una cultura di “ceti” e ordini
scarsamente integrata a conseguire equilibri contrattuali progressivi, e la necessità di apprendere
87
Kaplan, La fin cit., p. 41.
Epstein and Prak, Guilds, Innovation cit.
89
G. Stigler, The Division of Labor is Limited by the Extent of the Market, in “Journal of Political Economy”, Vol. 59,
No. 3, June 1951, p. 189; v.a. supra nota 78.
90
Poni xxx?; L. Gheza Fabbri, Presenza cit., p. 147
91
G. Todeschini, La riflessione etica sulle attività economiche, in “Economie urbane ed etica economica nell’Italia
medievale”, a cura di R. Greci, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. 189.
92
G. Bossenga, La Révolution cit., pp. 407-408.
88
13
comportamenti contrattuali positivi per praticare equilibri di caro nemico; l’interazione con il potere
centrale, che presto assume forza preponderante e istanze proprie; l’ipotesi concreta che la
creazione di nuove corporazioni sia indotta da un approfondimento della divisione del lavoro; la
non Pareto-ottimalità dei processi concorrenziali, e la necessità di costruire strumenti assicurativi
che la garantiscano, essenziali per la definizione stessa del benessere.
Monopolio multilaterale
La critica alle corporazioni vede uno dei suoi pilastri nell’accusa di fissare i prezzi dei prodotti
come cartelli (“enlarged monopolies”) 93, con prezzi alti e restrizione delle quantità.
L’orientamento prevalente, per il non molto che si sa, esclude una diffusa pratica di fissazione dei
prezzi finali da parte nelle corporazioni; così, ad esempio, in paesi come la Gran Bretagna e la
Germania 94.
“Even in Italy municipal statutes usually restrained the guilds from making any secret agreements to keep prices
up or down. The best example is perhaps Florence; although it was a stronghold of the guild system, the
ordinances of justice of 1293 and later statutes contained provisions outlawing all “conspiracies”, monopolies,
leagues, or pacts for the purpose of manipulating prices. Delinquents incurred a heavy fine of L. 1000 di piccioli,
95
although I know of no instance in which this penalty was ever imposed.”
Tale affermazione troverebbe supporto nel lascito antimonopolistico e a favore della libertà
commerciale che il diritto romano lascerebbe ai diversi sistemi giuridici postimperiali 96.
Ciò non toglie che le corporazioni potessero di fatto condizionare i prezzi con accordi taciti o
segreti, con la restrizione delle entrate e dell’offerta 97. In economie locali ristrette, si può
realisticamente ipotizzare collusioni fossero la norma. Occorre affinare l’analisi. Di una realtà
comunque di concorrenza, pur non perfetta, di pricing logicamente diverso da quello di monopolio
si è fatto cenno. Ma c’è molto di più.
Le corporazioni coprono realtà nel complesso minoritarie; sembrano dileguarsi fino all’irrilevanza
al diminuire delle dimensioni demografiche dei centri abitati 98. Il fenomeno è incomparabilmente
più diffuso nel Settentrione che nel Mezzogiorno 99, in quanto nell’Italia meridionale il fenomeno
corporativo non concorre al movimento urbano, ed è come questo schiacciato dal potere della
monarchia 100. Ma lì dove le corporazioni sono importanti, diciamo nei principali centri urbani e sedi
del secondario e dei servizi, esse organizzano una grande quantità di rami di attività, ciascuno
inevitabilmente utilizzatore e fornitore degli altri. Nella Arezzo del 1580, una città non tra le
maggiori, sedici corporazioni interessano tutti i settori fondamentali dedicati alla soddisfazione dei
bisogni primari, dall’alimentare all’abbigliamento, alle costruzioni 101. Nella Genova di inizio ‘400,
ve ne sono almeno 74 102; nel solo settore alimentare se ne registrano 13, dai cuochi, ai venditori di
farine e pane, ai fruttivendoli, ai macellai, pescatori, pollivendoli 103: cosicché persino le principali
93
Smith, The Wealth of Nations, ed. by A. Skinner, Harmondsworth, Penguin Books, 1970 (1st ed. 1776), book I,
chapter VII, pp. 164-165. Il volume è una versione rititolata e con introduzione della Indagine sulla natura e le cause
della ricchezza delle nazioni; Olson, The Rise cit., p. 148.
94
R. de Roover, The Concept of the Just Price: Theory and Economic Policy, in “The Journal of Economic History”,
Vol. 18, No. 4, Dec. 1958, p. 432.
95
de Roover, The Concept cit., p. 433.
96
A. Giuliani, Le radici romanistiche della dottrina italiana della concorrenza, in “Rivista di storia economica”, a.
XIII, n. 1, aprile 1997, passim.
97
Per un complesso accordo segreto di cartello, operante al di fuori dello schema corporativo ma con esso non
necessariamente incompatibile, si veda A. Guenzi, Un cartello industriale a Bologna nel secondo Settecento: la Società
dei mercanti da velo, in “Quaderni storici”, a. XXXII, n. 3, dicembre 1997.
98
Moioli, I risultati cit., p. 20.
99
Moioli, I risultati cit., pp. 20, 27.
100
Rutenburg, Arti cit., pp. 621, 624-626.
101
Sabbatini e Moriani, Corporazioni cit., p. 109.
102
P. Massa, The Genoese Guilds in the Sixteenth and Seventeenth Centuries. The Food Administration Offices and the
Food Sector Guilds in Genoa: Organization and Conflict, in “Guilds, Markets” cit., p. 248.
103
Massa, The Genoese Guilds cit., pp. 255-256.
14
rivendite al consumo sono corporate. A Perugia si arriva a 47 corporazioni diverse, numero che, in
una città non gigantesca, testimonia – come osserva Viktor Rutenberg – l’elevato livello di
divisione del lavoro cui si giunge nell’economia corporativa 104, e dunque di ascesa del mercato. Se,
in ipotesi, le corporazioni si comportano come cartelli che fissano prezzi di monopolio, allora il
sistema economico nel suo complesso si caratterizza come un sistema di monopoli, dunque di
monopoli bilaterali o, meglio, uno schema di cartello multilaterale.
Ora, le funzioni di comportamento del monopolio bilaterale sono radicalmente diverse da quelle del
monopolio. Così, ad esempio, nel caso in cui, per ipotesi, i prezzi corrisposti dai mercanti ai
produttori, vengano addirittura fissati negli statuti, come dimostrato per la Lucca di inizio ‘700 105; e
nel caso dei tintori di Napoli, dove invece si assiste a una forma di contrattazione.
Uno schema di monopolio multilaterale non solo ha equilibri contrattuali indeterminati. Ma inficia
in re l’accusa di determinare prezzi alti.
L’Adam Smith dell’Indagine non conosce chiaramente gli equilibri monopolistici – di un secolo
successivi –, e tantomeno le incertezze del monopolio bilaterale, ma si rende conto del problema e,
senza avvedersene, erode dalle fondamenta la sua critica agli alti prezzi delle corporazioni: nelle
città corporate tutti i settori di attività comprano e vendono ad “alto” prezzo, con un risultato neutro
all’interno delle città – ogni produttore è anche acquirente e viceversa – e un saldo positivo nei
confronti della campagna non corporata 106.
“In consequence of such [corporate] regulations, indeed, each class was obliged to buy the goods they had
occasion for from every other within the town, somewhat dearer than they otherwise might have done. But in
recompense, they were enabled to sell their own just as much dearer; so that so far it was as broad as long, as
they say; and in the dealings of different classes within the town with one another, none of them were losers by
107
these regulations.”
Il principio è approfondito da Marshall, che esplicita la differenza tra un prezzo di monopolio e uno
di monopolio bilaterale.
“So far it has been assumed that the monopolist can buy and sell freely. But in fact monopolistic combinations in
one branch of industry foster the growth of monopolistic combinations in those which have occasion to buy from
or sell to it: and the conflicts and alliances between such associations play a rôle of ever increasing importance in
modern economics. Abstract reasoning of a general character has little to say on the subject. If two absolute
monopolies are complementary, so that neither can turn its products to any good account, without the other's aid,
108
there is no means of determining where the price of the ultimate product will be fixed.”
Si arriva così all’invalidazione della critica alla corporazione sulle fondamenta neoclassiche delle
curve di ricavo marginale e di costo marginale; non solo perché il prezzo è probabilmente più vicino
a un limit price piuttosto che a un prezzo di monopolio, come già detto; ma anche perché – Marshall
stesso lo ricorda – la somma di tanti monopoli non fa un monopolio. E, si potrebbe aggiungere
sempre seguendo Marshall, in contesti di cartello o di monopolio, grazie ai benefici che tale
contesto di mercato può produrre ad esempio sfruttando le economie di scala, si possono avere
prezzi inferiori a quelli di concorrenza perfetta 109. Nella città, ogni consumatore è anche produttore,
e al tempo stesso è avvantaggiato e penalizzato dal livello dei prezzi che si è determinato. I prezzi
non sono i prezzi del monopolio neoclassico, le quantità si aggiustano multilateralmente. Sicché,
l’elevazione dei prezzi è da verificare, può determinarsi al limite nella città rispetto al contado, e per
104
Rutenburg, Arti cit., p. 622.
R. Sabbatini, Between Corporative Conflicts and “Social Ecology”: the Silk Industry in Lucca in the Early
Eighteenth Century, in “Guilds, Markets” cit., p. 233.
106
Smith, The Wealth of Nations cit, book I, chapter X, part II, p. 228.
107
Smith, The Wealth of Nations cit., book I, chapter X, part II, p. 228.
108
A. Marshall, Principles of Economics, London, MacMillan, 1920 (1st ed. 1890), § V.XIV.33, consultabile nella
edizione del 1920 all’indirizzo http://www.econlib.org/library/Marshall/marP41.html#Bk.V,Ch.XIV.
109
Marshall, Principles cit., §§ V.XIV.16-18. V.a. J.S. Bain, A Note on Pricing in Monopoly and Oligopoly, in “The
American Economic Review”, vol. 39, no. 2, March 1949, saggio che si propone una spiegazione del puzzle per cui
prezzi inferiori a quelli di monopolio sono applicati in situazioni di monopolio.
105
15
cause ben differenti 110; e se vi fosse elevazione dei prezzi, non sarebbe altro che una partita di giro
all’interno delle città, un meccanismo di trasferimento di surplus dalle campagne all’industria e ai
servizi (trasferimento già prodotto dalla naturale concentrazione dei mercanti di prodotti agrari 111),
e un problema di distribuzione del reddito tra settori forti e settori deboli.
Il monopolio o l’oligopolio multilaterale, inoltre, sostituiscono alle dinamiche del mercato basate
sul mero prezzo, dinamiche organizzative che passano attraverso rapporti e contratti di lungo
periodo: i partecipanti allo scambio si relazionano non solo sulla base di una contesa sulla
estrazione di surplus l’uno contro l’altro, ma sono tutti interessati alla vitalità, stabilità e redditività
delle controparti, con legami di simbiosi che superano i giochi a somma zero dello scambio
competitivo. Si possono ridurre i rischi con accordi di lungo periodo su prezzi, qualità, quantità,
partecipazione allo scambio. Si torna, di nuovo, a equilibri assonanti con quelli di “caro nemico” o
di simbiosi. Il che costituisce un altro fattore di depotenziamento del pricing di monopolio e di
interesse reciproco allo sviluppo delle altrui produzioni. Non è un passo azzardato aggiungere che
anche per tale via, e non solo sul mercato atomistico, il prezzo può formarsi sulla base di una
communis aestimatio che incorpora non solo le ragioni del valore del bene, ma quelle dello sviluppo
dell’attività e del benessere dei contraenti.
Anche la restrizione delle quantità è questione del tutto dubbia. Smith parla di città understocked,
nel solco di una tradizione economica che si incentrava sulla discontinuità dei canali distributivi e
sulla facilità dell’accaparramento, non della produzione monopolistica 112, traslando impropriamente
un concetto; ma non vi è significativa evidenza di restrizione dell’offerta. Smith scriveva inoltre in
un periodo particolare, di domanda e prezzi crescenti. Egli è sicuramente influenzato dal contesto. Il
contenimento volontario delle quantità da parte del cartello presuppone altresì una coesione di
cartello che le fonti – quando esplicite – dimostrano assai difficile per i prezzi, figurarsi sulle
quantità. E altri fattori importanti che sorreggono l’assenza di significative evidenze di restrizione
dell’offerta sono presentati nel paragrafo successivo. Senza contare che le ragioni per cui i prezzi
nelle città sono più alti che nel contado, sono diverse, non dipendono dalle corporazioni.
Nelle formulazioni di uno storicista e istituzionalista precursore del pensiero corporativo
contemporaneo, il concetto di equilibri contrattati prevalenti rispetto alle ipotesi della concorrenza
perfetta diviene esplicito. Per Gustav Schmoller, “markets are ‘merely’ a set of institutionalized
rules and have no logic of their own.” 113 La concorrenza perfetta atomistica sarebbe un sottoinsieme
minoritario delle fenomenologie reali. “It is common in conventional economics to assume full
competition as the standard case; for Schmoller it was the bilateral monopoly.” 114
Parallelamente, la corrente di pensiero liberista e marginalista – a partire, se si vuole, dalla stessa
legge Le Chapelier del 1791 che sopprimeva le coalition – si trasformerebbe in corrente
istituzionale non perché capace di spiegare i fenomeni economici, ma perché col suo potere si
costituisce in strumento di affermazione e di istituzionalizzazione di una ideologia di mercato e di
concorrenza perfetta altrimenti minoritaria, che elide concorrenti segmenti del pensiero economico.
“The definition of competition was gradually accomodated to the requirements of a model
110
I panettieri di Lille devono far fronte a una struttura dei costi apparentemente meno competitiva del contado, ma che
serve in realtà a finanziare non solo un superiore tenore di vita, ma un ordinamento sociale capace di espletare funzioni
superiori, di organizzazione produttiva collettiva, infrastrutturazione e solidarietà sociale (Bossenga, La Révolution cit.,
pp. 406-407).
111
Si veda, a mero titolo di esempio di una casistica generale, per un mercato locale, M.A. Visceglia, Commercio e
mercato in Terra d’Otranto nella seconda metà del XVIII secolo, in “Quaderni storici”, n. 28, gennaio-aprile 1975, p.
194.
112
R. de Roover, Monopoly Theory Prior to Adam Smith: A Revision, in “The Quarterly Journal of Economics”, Vol.
65, No. 4, Nov. 1951. V.a. G. Richardson, A Tale of Two Theories: Monopoly and Craft Guilds in Medieval England
and Modern Imagination, in “Journal of the History of Economic Thought”, vol. 23, No. 2, 2001.
113
H. Peukert, The Schmoller Renaissance, in “History of Political Economy”, vol. 33, No. 1, Spring 2001, p. 91. La
citazione a sua volta riportata dall’autrice è tratta da J.R. Commons, Institutional Economics, New York, MacMillan,
1934, p. 713.
114
Peukert, The Schmoller cit., p. 92.
16
economic society […] the preoccupation ceased to be with interpreting reality and came to be with
building a model economic society.” 115
Proprio i prezzi contrattati e la centralizzazione parziale dei processi decisionali rispetto al
decentramento della concorrenza perfetta aprono a un tema essenziale e in grado di spiegare perché
capitalismo organizzato e società neocorporative possano avere – benché sottratte alla concorrenza
perfetta – ottime performance di crescita. I meccanismi allocativi razionali sono in realtà molteplici,
e si possono conseguire ottimi risultati se i meccanismi allocativi alternativi al mercato sono
perfezionati, meccanismi anche centralizzati invece che decentrati. Dunque, allocazioni di risorse
largamente soddisfacenti – à la Simon -, se non “ottime”, si possono conseguire con procedure
diverse, non necessariamente col principio dell’intersezione di domanda e costo marginale. Se
storicamente e logicamente emergono forme alternative di allocazione centralizzate derivanti da
processi consapevoli ed eventualmente programmatori, rispondenti ad istanze diverse dei vari
segmenti della società, organizzazioni che rappresentano in forma continua le preferenze delle
popolazioni sono meccanismi essenziali dello stesso processo allocativo e della definizione delle
norme che vi presiedono.
Affinare l’analisi del monopolio corporativo conduce dunque all’emergere di una realtà
drasticamente diversa dall’apparente, allo schema di cartello multilaterale, allo schema di
contrattazione; e si ritorna per altre strade alla centralizzazione pianificatoria e di lungo periodo dei
processi decisionali. Ma c’è di più.
Rendimenti, domanda, entrate
Il caso già visto della corporazione dell’acquavite di Venezia introduce un altro tema cruciale.
Lo stereotipo della ottimalità della concorrenza perfetta emerge nella teoria neoclassica da un
confronto tra gli equilibri statici della impresa competitiva e di quella monopolistica fondato su due
assunti privi di base empirica adeguata.
La possibilità e diffusione di situazioni che approssimino quella di concorrenza perfetta è assunto
notoriamente non realistico. Persino la realtà addotta come più vicina a uno schema di concorrenza
perfetta secondo molto autori, quella agricola, si rivela a un esame appena più attento quanto meno
assai più vicina all’oligopsonio 116. Gli acquavitai di Venezia dei quali si è già parlato operano una
concorrenza di influenza basata sulla dimensione strettamente locale del loro mercato 117, in cui la
localizzazione assicura un quasi-monopolio. E in economie “localizzate” caratterizzate da piccoli
numeri (si pensi ai 23 artigiani e ai 40 lavoranti in tutto per i cappelli per i diversi rioni di
Bologna 118, o agli 11 fornai nella Parma del secondo Settecento 119) ben difficilmente si realizzano
condizioni di irrilevanza delle entrate per quantità e prezzi. Nei piccoli numeri, nessuno è irrilevante
e si moltiplicano i monopoli locali.
Ma, più importante, un altro assunto plasma il confronto tra mercato competitivo e monopolio da
cui l’ideologia della concorrenza fa emergere la superiorità dell’equilibrio di concorrenza perfetta: i
rendimenti marginali decrescenti all’espansione delle quantità.
A partire dalle costatazioni smithiane che la divisione del lavoro accresce la produttività, e che essa
è legata all’estensione del mercato, cui la corporazione come visto concorre, l’aumento delle
quantità si associa a rendimenti crescenti, non decrescenti 120. Anche altri importanti meccanismi
115
J.K. Galbraith, American Capitalism. The Concept of Countervailing Power, New Brunswick and London,
Transaction Publishers, 1997 (1st ed. 1952), p. 16. Sono grato ad Alfredo Gigliobianco per la segnalazione di questa
opera.
116
Macry, davis xx
117
Si veda supra la nota 50.
118
A. Guenzi, The Hatmakers’ Guild in Bologna in the Early Modern Era, in “Guilds, Markets” cit., p. 291
119
F. Miani Uluhogian, La distribuzione delle “botteghe” a Parma: un tentativo di interpretazione geografica della
struttura commerciale, in “Mercati e consumi” cit., p. 719.
120
Stigler, The Division cit.; N. Kaldor, The Irrelevance of Equilibrium Economics, in “The Economic Journal”, Vol.
82, No. 328, Dec. 1972.
17
giocano nella stessa direzione 121, persino in una mera dimensione congiunturale, come l’aumento
della capacità utilizzata e delle ore lavorate per dato capitale 122. La stigmatizzazione stessa del
monopolio è in re logicamente incoerente: la formazione del monopolio riposa in larga misura su
economie crescenti di scala; è incoerente descrivere il suo processo di determinazione di prezzi e
quantità sulla base di una curva con rendimenti decrescenti.
Sulla scorta di elementi già presenti in Marshall (che enuncia la possibilità di guadagni di efficienza
del monopolio trasferiti al consumatore; cfr. p. 14), Piero Sraffa scolpisce con riferimento alla
generalità delle imprese la fragilità di uno dei pilastri fondanti l’economia neoclassica.
“Everyday experience shows that a very large number of undertakings – and the majority of those which produce
manufactured consumers' goods – work under conditions of individual diminishing costs. Almost any producer
of such goods, if he could rely upon the market in which he sells his products being prepared to take any quantity
of them from him at the current price, without any trouble on his part except that of producing them, would
extend his business enormously. […] Business men, who regard themselves as being subject to competitive
conditions, would consider absurd the assertion that the limit to their production is to be found in the internal
conditions of production in their firm, which do not permit of the production of a greater quantity without an
increase in cost. The chief obstacle against which they have to contend when they want gradually to increase their
production does not lie in the cost of production-which, indeed, generally favours them in that direction-but in the difficulty
of selling the larger quantity of goods without reducing the price, or without having to face increased marketing
123
expenses.”
Il limite all’espansione economica qui risiede nella domanda, non nei costi crescenti 124.
Nella bella ricostruzione di Sartori sugli acquavitai 125, rendimenti crescenti e vincolo di domanda
sono chiari. I venditori di acquavite di Venezia tentano di aggiudicarsi le localizzazioni migliori con
domanda più elevata e di estendere l’area di mercato e le vendite mantenendo distanti le botteghe
dei concorrenti. In un contesto in cui maggiorazioni significative di prezzo sono impedite dalla
diffusa presenza di rivenditori ambulanti – prossimi sostituti – fin sull’uscio delle botteghe 126,
dimostrano di trovarsi in una posizione di rendimenti crescenti, ampliando la produzione e lo
smercio con economie di scala; produrre più acquavite non è un problema, ampliare l’offerta per la
clientela della bottega non è un problema, il nodo è assicurarsi la domanda maggiore possibile.
La notazione di un riformatore settecentesco esplicita oltre ogni ragionevole dubbio il concetto del
vincolo di domanda alla radice delle politiche corporative veneziane delle entrate, che il problema
dell’entrata è quello di incidere su una domanda data e ristretta, il danno che ne deriva per gli
incombenti: a suo dire è possibile mantenere il sistema delle Corporazioni, necessario, ma anche
liberalizzare le entrate nel “Campo delle industria […] senza escludere, e spogliar quelli, che già lo
coltivano” 127. Dicendo di conoscere il metodo per la quadratura del cerchio, rivela il problema.
Ritorna il vincolo già individuato per i boulanger di Lille o per i calzolai bolognesi.
Argomenti analoghi, in direzione della necessità di un fine tuning di offerta e domanda, esplicita il
luterano Johann Joachim Becher nel XVII secolo. Becher illustra il problema di situazioni di offerta
ridondante rispetto alla domanda e la funzione assegnata alla corporazione di regolare gli ingressi
per evitarlo. “Polypolium, the opposite of monopolium, is equally bad: when a trade is
overcrowded, it ceases to afford a decent livelihood. The guilds had been originally created to
prevent this evil, but they abused their power and became monopolistic organizations. Still, Becher
does not suggest that they be abolished, but they should be placed under strict government
121
Kaldor, The Irrelevance cit., pp. 1242-1243.
A. Collard-Wexler and J. De Loecker, Reallocation and Technology: Evidence from the U.S. Steel Industry,
December 19, 2013, http://www.princeton.edu/~jdeloeck/DL_Steel.pdf; G. Cette, R. Lecat and A. Ould Ahmed Jiddou,
How do firms adjust production factors to the cycle?, Banque de France, Working Paper n. 484, April 2014,
https://www.banque-france.fr/en/economics-statistics/research/working-paper-series/document/484-1.html.
123
P. Sraffa, The Laws of Returns under Competitive Conditions, in “The Economic Journal”, vol. XXXVI, No. 144,
December 1926, p. 543.
124
V.a. Kaldor, The Irrelevance cit.
125
Sartori, L’Arte cit.
126
Sartori, L’Arte cit., pp. 66-68.
127
Vecchiato, Tensioni cit., pp. 277-278 n.
122
18
supervision.” 128 Nella medesima dimensione si colloca la legittimazione del monopolio sin dall’età
antica in due circostanze. La prima quando è un monopolio pubblico, come quello del sale. La
seconda, quella qui di interesse, ricorre quando il monopolio serve per assicurare le dimensioni
della domanda minime per consentire l’effettuazione di un investimento 129. Le opinioni non sono
però certo concordi, e a metà ‘700, precorrendo Jean Baptiste Say, le correnti di pensiero liberali
contestano il principio: quanto maggiori sono le entrate, tanto maggiore sarà il benessere di tutti 130.
Altri esempi illustrano la condizione di rendimenti crescenti quando si riesce a entrare in un
mercato ampio. Un caso economicamente rilevante è quello dei lanaioli fiorentini 131. Quando
difficoltà dei concorrenti e una felice politica di posizionamento qualitativo aprono una estesa
nicchia di mercato, la produzione laniera fiorentina esplode. All’espandersi vorticoso della
domanda, la città entra in fermento, la produzione, la qualità e il prezzo dei panni fiorentini
crescono esponenzialmente nel giro di pochi decenni. Una complessa strategia permette di
espandere la scala: divisione del lavoro in 25-30 fasi che si svolgono, secondo le operazioni, nella
bottega del lanaiolo o a domicilio in città o nel contado 132, organizzazione della filiera produttiva,
selezione della materia prima, passaggio da prodotti di fascia bassa alla fascia premium. Persino con
le gravissime crisi demografiche determinate dalle pestilenze, in particolare quella del 1348, un
numero di imprese e di lavoratori drasticamente ridotto riesce a mantenere quasi inalterata la
quantità prodotta ed elevare la qualità 133, dimostrando che in presenza di domanda sostenuta
l’espansione dell’offerta non incontra vincoli nei costi.
Il caso dei lanaioli trova infiniti indizi corrispondenti: nella crescita esponenziale della produzione
di seta grezza – e dunque di filati – nell’Italia settentrionale tra XIV e XVIII secolo, con contestuali
incrementi di qualità e produttività 134; nel rapido ampliamento della filatura del lino a Lille
attraverso il controllo e l’innalzamento di qualità che schiude una nicchia feconda e l’introduzione
di nuove fasi del processo produttivo 135; nell’ampliamento della produzione della seta di Lione 136;
nella introduzione del sistema di fabbrica labor saving, ad esempio col mulino da seta bolognese 137.
L’azione delle corporazioni si svolge così in contesto di rendimenti crescenti. Sono numerose le
determinanti dell’aumento della produttività al crescere del prodotto: divisione e specializzazione
del lavoro, organizzazione della filiera, concentrazione della produzione – con benefici ad esempio
delle funzioni dirigenziali e di controllo, nonché di trasferimento tra fasi produttive – e aumento
della capacità utilizzata, miglioramento della qualità, innovazione tecnica di processo 138,
128
R. De Roover, Monopoly Theory cit., pp. 519-520.
Prodi, Settimo cit., pp. 329-330; Lazonick, Business organization cit., pp. 93, 95..
130
Kaplan, la fin cit., p. 29.
131
Franceschi, Oltre il «Tumulto» cit.
132
Franceschi, Oltre il «Tumulto» cit, pp. 33 ss. A fine ‘300, per esempio, l’azienda Datini disloca le proprie attività
presso lavoranti di oltre 120 località (F. Melis, Gli opifici lanieri toscani dei secoli XIII-XVI, in “Produzione,
commercio e consumo dei panni di lana (nei secoli XII-XVIII)”, a cura di M. Spallanzani, Istituto Internazionale di
Storia Economica “F. Datini”, Firenze, Olschki, 1976, p. 241).
133
Franceschi,
Oltre
il
«Tumulto»
cit,
pp.
8-12.
Sulla
peste
fiorentina,
cfr.
http://www.storiadifirenze.org/?temadelmese=la-peste-nera-a-firenze.
134
C. Poni, Standard, fiducia e conversazione civile: misurare lo spessore e la qualità del filo di seta, in “Quaderni
storici”, a. XXXII, n. 3, dicembre 1997, p. 718 e passim.
135
Bossenga, La Révolution cit., pp. 415-417.
136
C. Poni, Moda e innovazione: le strategie dei mercanti di seta di Lione nel XVIII secolo, in C. Poni, La seta in Italia.
Una grande industria prima della rivoluzione industriale, Bologna, Il Mulino, 2009 (ed. digit.: 2009,
www.darwinbooks.it, doi: 10.978.8815/143242); C. Poni, Capitolo quattordicesimo: Confrontare due distretti
industriali urbani: Bologna e Lione nell’età moderna , ibidem (ed. digit.: www.darwinbooks.it, 2009, doi:
10.978.8815/143242, doi capitolo: 10.1401/9788815143242/c14); Perez in epstein x.
137
C. Poni, All’origine del sistema di fabbrica: tecnologia e organizzazione produttiva dei mulini da seta nell’Italia
settentrionale (sec. XVII-XVIII), in “Produttività e tecnologie nei secoli XII-XVII”, a cura di S. Mariotti, Istituto
Internazionale di Storia economica F. Datini – Prato, Firenze, Le Monnier, 1981.
138
Si veda, ad esempio, la molteplicità di innovazioni che interviene in età medievale e moderna a innalzare
radicalmente la produttività delle diverse operazioni dell’industria tessile (W. Endrei, Changements dans la
productivité de l’industrie lanière au Moyen Age, in “Produzione, commercio e consumo” cit.).
129
19
sfruttamento di fonti di energia naturale 139, delocalizzazione; fino a una miriade di “minuzie”
apparentemente irrilevanti ma con forte impatto produttivo, come, ad esempio, il passaggio dal
pagamento a cottimo al pagamento a giornata 140 o la normativa sui prezzi 141, per citarne alcuni.
Le implicazioni dei rendimenti crescenti sono radicali:
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l’offerta è limitata non dai costi marginali, bensì dalla domanda monetaria 142 (o da vincoli
ad altri fattori, quali la capacità di coordinamento dell’imprenditore 143); non si fissa l’offerta
sotto l’effectual demand, come asserisce Smith 144, ma l’offerta è limitata dalla domanda
effettiva del singolo bene;
a dispetto dell’assunto olsoniano, le associazioni di mestiere non sono un ostacolo per la
crescita delle quantità e della produttività, per la qualità, per l’innovazione di prodotto e di
processo; i produttori non hanno interesse a restringere l’offerta (diverso può essere il caso
dell’accaparramento contingente, su cui effettivamente si concentrano le norme) se vi è
domanda;
l’assunto di scarsità delle risorse e di ottima allocazione di risorse scarse svanisce 145;
mark up superiori sono correlati a efficienza, non solo a restrizione dell’offerta e riduzione
del benessere del consumatore, caratterizzandosi come misura eminentemente ambigua;
la concentrazione non necessariamente deprime la crescita economica, ma la accompagna, e
può richiedere correttivi potenti per ragioni distributive inerenti a redditi e potere;
se la domanda è il vincolo, si spiega la regolazione delle entrate delegata alla corporazione,
ma non senza gravi abusi di un giudizio sugli ingressi rimesso agli incombenti; ma, anche,
oltre un certo livello di concentrazione, il vantaggio degli incombenti è tale da costituire
rilevanti barriere all’entrata di per sé;
se i rendimenti sono crescenti, si capisce come siano possibili fenomeni di crescita sostenuta
in contesti scarsamente concorrenziali;
se la domanda è un vincolo, e se esistono economie di scala, si capiscono i vincoli
dimensionali all’impresa imposti dalle corporazioni in funzione di tutela assicurativa;
l’innovazione e l’espansione dell’offerta sono praticate per i benefici che comportano –
anche di espansione del mercato -, non solo per timore dello spiazzamento concorrenziale;
l’impresa efficiente o l’associazione di imprese non hanno interessi di base restrittivi,
divergenti da quelli della collettività riguardo alle quantità e ai prezzi.
Un’ultima implicazione merita menzione separata: le curve di offerta dell’impresa cambiano, curve
di costo decrescenti si sostituiscono ai costi crescenti, il prezzo competitivo di intersezione tra
domanda o ricavo marginale e costo marginale diviene impossibile; il confronto tra equilibri di
monopolio e di concorrenza perfetta è interamente alterato, e le conclusioni neoclassiche si
sgretolano. Cade o si relativizza drasticamente il pilastro centrale della ideologia della concorrenza.
Conclusioni
Si riassumono didascalicamente gli item presentati nei cinque paragrafi centrali di questo saggio.
Le corporazioni non sono l’opposto del mercato. Si caratterizzano in re come istituzioni garanti
della divisione del lavoro e dello scambio, operanti in sistemi di concorrenza regolata e non
perfetta, comunque tali da precludere in genere il pricing di monopolio, l’arresto dell’innovazione,
la irrilevanza della qualità. La corporazione agisce come marchio in sistemi che conoscono una
139
Come per la follatura, fin dall’XI secolo (H. Hoshino, Industria tessile e commercio internazionale nella Firenze del
tardo medioevo, Firenze, Olschki, 2001, p. 41).
140
C. Poni, Misura contro misura: come il filo di seta divenne sottile e rotondo, in C. Poni, La seta in Italia cit.
141
C. Poni, Standard, fiducia e conversazione civile: misurare lo spessore e la qualità del filo di seta, in “Quaderni
storici”, a. XXXII, n. 3, dicembre 1997, p. 720.
142
Kaldor, The Irrelevance cit.
143
N. Kaldor, The Equilibrium of the Firm, in “The Economic Journal”, Vol. 44, No. 173, March 1934, pp. 67-69.
144
Smith, The Wealth of Nations cit., book I, chapter VII, pp. 164-165.
145
Kaldor, The Irrelevance cit.
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rilevante concorrenza monopolistica. Favorisce l’incremento della produttività connesso alla
divisione del lavoro.
Mercato e organizzazione non si escludono a vicenda, ma si integrano. Allocazioni attraverso il
mercato sono integrate da strategiche attività e allocazioni organizzative, centralizzate e
pianificatorie, capaci di plasmare l’ambiente in cui l’impresa opera agendo a livello sovraziendale.
Attraverso l’azione di una élite, la corporazione presiede a essenziali funzioni normative, di
progettazione della filiera e del sistema economico, innovative. Tali processi centralizzati e
consapevoli si configurano come non egotistici e come costruzione di beni comuni, si discostano
dallo stereotipo delle coalizioni distributive olsoniane, costruiscono capacità competitive almeno
altrettanto importanti di quelle prodotte dalle aziende atomistiche.
La genesi di corporazioni specializzate multiple genera un processo antimonopolistico di
compensazione degli squilibri di potere, di rappresentanza “democratica” delle istanze dei diversi
gruppi della società, di contrattazione sistemica che può definire quadri di medio-lungo periodo e
ridurre l’incertezza, affiancare e integrare altre forme di rappresentanza, e dà luogo a strutture di
governo corporative e “Stati semisovrani”. La dimensione corporativa esprime anche istanze
perequative e assicurative che rivelano la non Pareto-ottimalità dei processi concorrenziali e
disegnano una nozione esaustiva e realistica di crescita che include importanti beni assicurativi.
L’azione delle corporazioni non si configura come monopolio, ma, lì dove le corporazioni sono
effettivamente importanti, al più come schema di cartello multilaterale, con accordi contrattati,
consapevoli, tendenti a equilibri simbiotici e di caro nemico, con meccanismi indeterminati di
fissazione di prezzi e quantità diversi tanto da quelli di concorrenza perfetta che di monopolio. Ciò
allontana da uno schema di compressione dello sviluppo per prezzi alti e riduzione delle quantità.
Rendimenti crescenti, sostenuti anche dalle virtù organizzative della corporazione, dimostrano che
il diverso assetto economico non è inefficiente, e scardinano come assunti errati o da relativizzare
drasticamente le curve di offerta neoclassiche da cui si ricaverebbe la superiorità della concorrenza
perfetta rispetto al monopolio. In ricorrenti contesti, persino in età preindustriale et pour cause, il
vincolo dominante non è rappresentato da costi crescenti, ma da altre barriere, tra le quali spicca un
vincolo di domanda pagante, sotteso alle politiche corporative di regolazione delle entrate e di
segmentazione del mercato.
Il mondo corporativo e dei processi collettivi, in sintesi, presenta sicuramente aspetti deteriori, in
particolare connessi al contesto non isonomico in cui si sviluppa, ma rivela anche contenuti assai
più articolati e fecondi delle imputazioni olsoniane di egotismo, e potenzialità maggiori, latamente
riconducibili a diversi meccanismi organizzativi, centralizzati, pianificatori, che forniscono
indicazioni su perché un intervento “collettivo” integratore delle dinamiche di mercato che ne
incrini la “perfezione” possa produrre rimarchevoli risultati di crescita. Il mondo corporativo
introduce a un concetto di bene economico e di utilità, e dunque di crescita, che ingloba
fondamentali princìpi assicurativi, distributivi e morali in netta opposizione alla non Paretoottimalità dei processi concorrenziali che contraddice il primo teorema dell’economia del benessere.
E rivela la lunga durata di funzioni di produzione in contrasto con gli assunti base della ideologia
della concorrenza.

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