Lo squaderno 2 sabato23dic
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Lo squaderno 2 sabato23dic
2 Lo s Quaderno RIVISTA DI DISCUSSIONE CULTURALE Da soli o in compagnia? Sommario Editoriale........................................................................................................3 Sull’isola deserta, da soli o in compagnia Alberto Brodesco.................................................................................................4 Elogio del camminare da soli In praise of walking alone Antonella Montedoro............................................................................................7 Soli o accompagnati: Riflessione da uno sportello pubblico (passando per Philip Dick) Nicola Messina..................................................................................................12 Solitudine e compagnia della società occidentale. Note autobiografiche sulla responsabilità socio-culturale Umberto Postal.................................................................................................15 Rapporti moderni Peter Schaefer..................................................................................................18 La scrittura: Da soli o in compagnia? Writing: Alone or in company? Andrea ‘Mubi’ Brighenti......................................................................................23 2 Editoriale Quando abbiamo lanciato il tema `da soli o in compagnia?´ ci aspettavamo che la maggior parte delle persone si sarebbero schierate risolutamente dalla parte della compagnia. D´altra parte, se non si pensasse che qualche forma di compagnia è necessaria o auspicabile, non ci si prenderebbe il disturbo di scrivere per una rivista, men che meno di editare la stessa. Ci ha stupito perciò vedere l´ago della bilancia dell´interesse pendere in qualche modo dalla parte della solitudine. Certo, il tema è molto frequentato, ad esempio nei dibattiti sull´individualizzazione della società e sulla `solitudine del cittadino globale´. Ma evidentemente c´è ancora molto da dire e il tema è piuttosto sentito. `Da soli o in compagnia´: tema, abbiamo detto; ma in effetti nient´altro che uno spunto. Si sarebbe potuto parlare di moltissime altre cose che non sono state affrontate nel giro di queste pagine: dalla migrazione delle persone, che rimescola le carte in mano agli statinazione, all´ampliamento dell´Unione europea. Sapevamo quindi sin dall´inizio che avremmo avuto un elenco incompleto, non rappresentativo di alcuna unità. Però ci abbiamo provato, ed ecco cosa è venuto fuori da questa seconda squadernata. In apertura troviamo un articolo di Alberto Brodesco, che affronta un topos cinematografico per riflettere, in filigrana, sulle rappresentazioni dei rapporti umani immaginate da diversi registi. L´isola deserta funziona in un certo senso come un esperimento di ri-fondazione della società nel suo complesso, e andare sull´isola deserta implica chiedersi quali siano gli equilibri e le forme migliori (o peggiori) della socialità. La presa di posizione più forte in favore della solitudine è quella di Antonella Montedoro. Il suo articolo ha ripercorso le tracce di illustri camminatori solitari, sostenendo che l´essere umano può appropriarsi della solitudine, non solo fronteggiandola come un ostacolo alla felicità, ma anche vivendola come un fattore positivo. Nicola Messina e Umberto Postal hanno invece fornito due testimonianze della solitudine vissuta. Ma mentre il primo ne ha fornito un´immagine su scala esperienziale individuale, il secondo l´ha proiettata su scala planetaria, guardando alla solitudine delle civiltà e dell´outsider che si trova a vivere in una società completamente diversa dalla sua. Il testo di Peter Schaefer si è concentrato sulla natura dei moderni rapporti di coppia e su come nella società di oggi gli elementi della maturità emotiva, dell´indipendenza economica e dell´attività sessuale seguano tempi e modi diversi, non coordinati tra loro a causa di una serie di fattori esterni che si impongono all´individuo. Infine Mubi si è chiesto se tutto questo sforzo della scrittura corrisponda a un´attività solitaria o se la scrittura possa legare le persone tra loro, e in che modo. La sua posizione è che la scrittura può essere vista come una forma di compagnia, come un modo per collegare più parti del mondo. Un´ultima notizia ai nostri lettori: dal prossimo numero, il sito de Lo squaderno ospiterà uno spazio per i commenti e le repliche da parte dei lettori. Lo squaderno 3 Sull’isola deserta, da soli o in compagnia Mille narrazioni letterarie e audiovisive insegnano quanto sia difficile la vita del naufrago solitario. Sulla sua isola deserta, il naufrago solitario spesso riesce a mantenersi vivo, e scopre risorse interiori che non avrebbe mai pensato di possedere. Però non vede l'ora di scappare via. Appena passa una nave, fa di tutto per segnalare la sua presenza e farsi raccogliere. Mille narrazioni letterarie e audiovisive insegnano quanto sia difficile la vita del naufrago solitario. Sulla sua isola deserta, il naufrago solitario spesso riesce a mantenersi vivo, e scopre risorse interiori che non avrebbe mai pensato di possedere. Però non vede l'ora di scappare via. Appena passa una nave, fa di tutto per segnalare la sua presenza e farsi raccogliere. Il problema non è, appunto, la sopravvivenza fisica o l'autosostentamento, ma la mancanza di compagnia. In “Cast away” (Robert Zemeckis, USA, 2000), Tom Hanks è l'unico sopravvissuto a un disastro aereo. Naufraga su un'isola. Per non suicidarsi, per farsi compagnia, elegge a miglior amico e confidente un pallone da volley, battezzato “Wilson”. Ma dopo quattro anni vissuti così, è talmente disperato da buttarsi in mare su una zattera o la va o la spacca. Sarà fortunosamente raccolto da una nave di passaggio. L'altra prospettiva è quella del naufragio collettivo. In letteratura, al cinema, nella cultura pop, il naufragio collettivo nasconde, per 4 contro, insidie ancora peggiori. Spesso non si muore di noia, ma per mano di uno dei compagni di naufragio - basta pensare alla guerra che si scatena tra i ragazzi caduti sull'isola de “Il signore delle mosche” (il romanzo di William Golding è del 1954; il film di Peter Brooks del 1963). Altre volte, si viene assorbiti in un soffocante mondo di enigmi e misteri - è il caso del serial televisivo “Lost” (2004-). Oppure, più banalmente, si finisce per strapparsi i capelli l'uno con l'altro - Antonella Elia e Aida Yespica nella seconda edizione de “L'isola dei famosi” (2004). In situazioni, come queste, di naufragi di gruppo, si ha quasi la certezza di esiti degenerativi. La questione della convivenza si complica fuor di misura. Il pessimismo narrativo sulla riduzione allo stato di natura ambisce a instillare dubbi sull'effettiva possibilità di ricreare con successo il patto sociale. Per accennare alla profondità di tali dibattiti, tre dei protagonisti di “Lost” hanno per nome John Locke, Danielle Rousseau Sull’isola deserta e Desmond David Hume. Ma indubbiamente la formazione che sull'isola deserta funziona meglio è la coppia. Un uomo e una donna. Il caso classico vero e proprio punto di riferimento dell'immaginario pop anni Ottanta è “Laguna blu” (Randal Kleiser, USA, 1980). Il film ci mostra due adolescenti Christopher Atkins e Brook Shields che, diventati adulti sull'atollo, quando vedono un giorno passare una nave non fanno niente per farsi notare. Scelgono di rimanere da soli sull'isola. Interverranno poi delle complicazioni, ma il film conferma la riuscita della formula esistenziale uomo + donna + isola deserta. Un caso analogo, altrettanto conosciuto, è “Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare di agosto” (Lina Wertmuller, Italia, 1974). A naufragare sull'isola sono una ricca e schizzinosa borghese e un grezzo, virile militante del PCI. Dalla convivenza forzata nasce presto un idillio amoroso. Il problema, tuttavia, è che la felicità si realizza solo fuori dalle convenzioni, in quel lasso di tempo sospeso, dopo il naufragio e prima del salvataggio. I due naufraghi, ormai innamorati, non si fanno vedere dalla prima nave che passa vicino all'isola. Si fanno però salvare dalla seconda. È una sfida: l'uomo vuole mettere alla prova la solidità del sentimento della sua donna, in apparenza totalmente conquistata. Ma al ritorno alla civiltà tutto sfiorisce: Giancarlo Giannini rimane sul molo in compagnia dell'ingombrante moglie siciliana mentre la splendida e insopportabile Mariangela Melato vola via in elicottero con suo marito, verso Nord. È meno noto il film “Cast Away, la ragazza Venerdì” (Nicholas Roeg, GBR, 1987). Un uomo di mezza età pubblica su “Time Out” un annuncio: cerca una donna con cui trascorrere un anno su di un'isola deserta. Risponde una ragazza bionda, dalla bellezza mozzafiato. La vita sull'isola li mette di fronte a grossi problemi, ma, trascorsa l'annata, quando si salutano, si capisce che di quell'esperienza resterà solo il ricordo positivo. L'esperimento, tutto sommato, riesce. Marcello Mastroianni, in “La cagna” (Marco Ferreri, Francia/Italia, 1972), è un disegnatore di fumetti che si rifugia su un'isola con il suo cane Melampo. Sembra stare benissimo così. Mastroianni non è un vero e proprio naufrago. Può raggiungere in gommone, di tanto in tanto, un villaggio in cui va a rifornirsi. Quest'isola poco isolata sembrerebbe un compromesso ideale tra il piacere della solitudine e le ristrettezze della vita da naufrago. Ma quando, dal suo yacht, sbarca sulla spiaggia Catherine Deneuve, tutto va in fumo. Come si fa a resistere a una donna così, nel fiore della sua bellezza, che scende a riva vestita di bianche trasparenze? Mastroianni si arrende. La pressione per il superamento della dimensione solitaria è decisamente troppo forte. 5 Sull’isola deserta Fly away 01 - serie di 4 - 2006 La Deneuve, in seguito, uccide Melampo e si trasforma in cagna. Un giorno il loro gommone va alla deriva, e come canticchia Mastroianni “non ci sono più pesci nel mar”. Il tentativo di fuga su di un residuato bellico, un aereo tedesco, non riesce a nascondere la probabilità di una morte per inedia. In questo caso, la formula uomo + donna + isola, dal punto di vista pratico, non funziona. Ferreri sembra suggerire che non va cercato 6 nell'isolamento il rimedio giusto alle difficoltà personali e politiche: non sta nel solipsismo la soluzione ai mali dell'uomo e del mondo. Però, a vedere sull'isola Marcello Mastroianni e Catherine Deneuve, lo schermo trasmette una tensione splendida, una risonanza invidiabile, un fascino tangibile. Una percezione di assurda felicità. Pur fallendo, il quadro mantiene un preciso contorno poetico. Una citazione da Cesare Pavese (`Il Sull’isola deserta mestiere di vivere´) ci aiuta ora a concludere il discorso: “Tutto il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri. Così si spiega la persistenza del matrimonio, della paternità, delle amicizie. Perché poi qui stia la felicità, mah! Perché si debba star meglio comunicando con un altro che non stando soli, è strano. Forse è solo un'illusione: si sta benissimo soli la maggior parte del tempo. Piace di tanto in tanto avere un otre in cui versarsi e poi bervi se stessi: dato che dagli altri chiediamo ciò che abbiamo già in noi. Mistero perché non ci basti scrutare e bere in noi e ci occorra riavere noi dagli altri”. È una spiegazione cupa ma interessante. Forse per questo, sull'isola deserta, la formula che funziona meglio, nonostante tutto, è quella a due: perché è il plurale più vicino all'uno. Perché, come scrive Harry Nilsson in una sua canzone, il due è “il numero più solitario, dopo il numero uno”. Alberto Brodesco Alberto Brodesco lavora presso il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell'Università di Trento. Si occupa di critica cinematografica, televisione e, in generale, di comunicazione visiva. E' fra i fondatori di AtoZ, collettivo culturale vicentino che, oltre a produrre spettacoli e video, organizza il festival ´Azioni inClementi´. Tiene lezioni in diversi corsi universitari, è segretario del Cineforum 'Trento', cura rassegne cinematografiche per il MART e collabora alla rivista ´Questotrentino´. Attualmente sta scrivendo una monografia sulla figura dello scienziato nel cinema. Elogio del camminare da soli Il viaggio e il camminare da soli permettono di capire l'esistenza umana e di conquistarne una visione libera e personale, di sentire ed esplorare il mondo e ricostruire la propria identità. Nella nostra società contemporanea, tecnologicamente avanzata e umanisticamente disaggregante, la grande quantità di rapporti giornalieri si accompagna alla scarsità di confidenza e familiarità a tal punto che la solitudine costituisce una condizione diffusa e in aumento di cui però la maggior parte delle persone non sa che fare. La condizione di stare da soli non è apprezzata nella maniera giusta e spesso è ritenuta e temuta come una condizione non naturale, infelice, depressiva. Al contrario, direi che la solitudine è la condizione primaria dell'uomo, infatti solo per brevi periodi della nostra vita siamo costretti ad accettare la dipendenza da un'altra persona, come durante lo svezzamento neonatale, per un naturale istinto di sopravvivenza e perché ancora non siamo autonomi e 7 Elogio del camminare da soli indipendenti. Ma dopo questo periodo di dipendenza, l'uomo potrebbe, anzi dovrebbe, imparare a stare da solo, apprezzando le caratteristiche positive dello stare da solo. La solitudine è una condizione naturale, ma che deve essere coltivata, è la condizione della natura che crea esseri singoli e totalmente indipendenti e autonomi, che bastano a se stessi e che sanno apprezzare la compagnia di se stessi, che rappresentano non mezze mele, non mezze anime, ma il cerchio completo, la mela intera. Spesso il desiderio di superare una crisi individuale e di progettare una nuova costruzione del sé si risolve nell'intraprendere un viaggio, un cammino, che si deve compiere in solitudine. Molti di noi hanno camminato in montagna da soli o sono andati a scalare o a correre in solitudine per ritrovare nella natura un nuovo equilibrio, per scaricare tensioni e dolori. Molti sono stati i solitari in cammino anche tra scrittori, filosofi e poeti, attraverso le loro citazioni, riflessioni, impressioni si possono scorgere le possibilità e la libertà della suprema condizione dello spirito di essere da soli, capaci di stare bene con se stessi, sapere apprezzare la propria solitudine come modo di vivere e di stare al mondo in armonia con se stessi, con la natura e quindi con gli altri. Il viaggio e il camminare da soli permettono di capire l'esistenza umana e di conquistarne una visione libera e personale, di sentire ed 8 esplorare il mondo e ricostruire la propria identità. Il viaggio è metafora dell'esistenza umana, ambigua, inquieta, effimera, senza fissa dimora, sempre in cammino tra il qui e un altrove, ma proprio per questo motivo non vuota, avventurosa e degna di essere vissuta. Il viaggiatore è in continuo movimento, pronto a nuove vette e nuovi abissi, per inseguire quella linea, quella luce verde che è il desiderio di completezza, di perfezione, di miglioramento che a ogni passo avanti del viaggiatore arretra dinanzi a lui. “Volgi il tuo occhio all'interno e scoprirai migliaia di regioni, nel tuo cuore, vergini ancora. Viaggiale tutte e fatti esperto di cosmografia interiore” ci suggerisce Thoreau nel Walden spronandoci a lavorare sulla nostra interiorità. David Le Breton definisce il camminare un'attività antropologica per eccellenza, che insegna a farsi domande sul senso dell'esistere in questo mondo: “l'esperienza del camminare decentra da sé e ripristina il mondo, inscrivendo l'uomo nei limiti che lo richiamano alla sua fragilità ed alla sua forza. Stimola continuamente nell'uomo il desiderio di comprendere, di individuare il suo posto nella trama del mondo, di interrogarsi su ciò che stabilisce il legame con gli altri” (Le Breton, 2003). La solitudine è una condizione necessaria per recuperare una personalità individuale in un mondo dominato dalla cultura di massa (Nuvolati, 2006). Elogio del camminare da soli La solitudine costituisce una condizione necessaria per il viaggio, la camminata, la peregrinazione e la passeggiata, intesi nel senso di esercizi che hanno come tappa l'io stesso (Demetrio, 2005): la solitudine è compagna amichevole, guida alla conoscenza e alla contemplazione. “Non so mai molto bene dove mi porterà una strada né se mi porterà da qualche parte. In compenso, so con certezza da cosa mi distoglierà: da un assopimento che non è forma di saggezza, dalla rassegnazione, dal ripiegamento su di me; e nella solitudine che talvolta accompagna il mio andare non vi è nulla di amaro, perché mi restituisce a quanto di grave e di dolce vi è in me, e che resta la mia guida” (Sansot, 2001). Thoreau ama stare da solo, della solitudine dice che nessun compagno è mai stato così amichevole. Essa non si misura sulla distanza che c'è fra me e il mio vicino, ma è una condizione interiore di ricettività verso l'esterno ma soprattutto di grande ascolto dell'interiorità, è un viaggio dentro noi stessi: “andai nei boschi perchè desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto”. Anche Friedrich Nietzsche si dichiara dedito per diletto personale alle passeggiate solitarie. Non è da meno JeanJacques Rousseau che ne ‘Le fantasticherie del passeggiatore solitario’, meditazioni legate a passeggiate più o meno reali, lega indissolubilmente l'idea del camminare alla dimensione della solitudine (Rousseau, 1993): “mai ho pensato, ho vissuto, sono stato vivo e me stesso come in quei viaggi che ho fatto a piedi e da solo” e aggiunge ne Le confessioni “non ho mai tanto pensato, tanto vissuto, mai sono esistito e con tanta fedeltà a me stesso, se così posso dire, quanto in viaggi che ho compiuto da solo e a piedi” (Rousseau, 2000). Il regista cinematografico, Werner Herzog, nel 1974 parte solo da Berlino per andare a Parigi a trovare un'amica malata, “presi una giacca, una bussola, una sacca con dentro lo stretto necessario. (…) A parte questo, volevo essere solo con me stesso”. La maggior parte dei camminatori solitari qui citati associano il camminare a un ambiente rurale, montano, boschivo. Tuttavia vi sono numerosi camminatori solitari anche in città, da Baudelaire, a Hermann Hesse, Virginia Woolf, Paul Auster e Peter Hallberg, che raffigurano e raccontano la condizione umana. Walter Benjamin studiò la figura caratteristica di Parigi, quella del flâneur, un camminatore e osservatore solitario che vaga per le vie della grande città. Il flâneur cammina nella città come farebbe in una foresta in un atteggiamento di disponibilità verso le scoperte, ma il vagare solitario in città ha una vena di sofferenza e alienazione che non si 9 Elogio del camminare da soli riscontra nel vagare nella natura. Il viaggiatore poeta baudelariano si mette in viaggio per partire, vagabonda solo senza una meta e si perde nei meandri della metropoli, che diventa simbolo della vita caduca e fragile che ci destina a errare continuamente. Ma è così, attraverso la condizione dolorosa e privilegiata della solitudine, che il flâneur cresce, conosce se stesso e il mondo. Antonella Montedoro Antonella Montedoro è laureata in Storia dell´Arte e lavora come bibliotecaria. Ama dipingere, fotografare e leggere, soprattutto poesia. Si interessa di arte, in particolare di iconologia e delle influenze della tradizione classica sull'arte rinascimentale italiana. È autrice di alcuni articoli su queste tematiche usciti su Studi Trentini di Scienze Storiche e Venezia Arti. In praise of walking alone In our technologically advanced, but humanly poor, contemporary society, the high number of daily interactions goes hand in hand with the lack of confidence and familiarity with others, which means that solitude becomes an increasingly widespread condition. At the same time, staying alone is perceived as useless, it is not appreciated correctly and is often feared as an unnatural, unhappy and even depressive state. On the contrary, I argue that solitude is a basic human condition which has several positive aspects. Nature creates single and independent human beings. Often, the wish to overcome a personal crisis and to project 10 Bibliografia: Benjamin, Walter, ‘I passages di Parigi’, Einaudi, Torino 2000 Duccio, Demetrio, ‘Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione mediterranea’, Raffaello Cortina, Milano 2005 Le Breton, David, ‘Il mondo a piedi’. Elogio della marcia, Feltrinelli, Milano 2003 Nuvolati, Giampaolo, ‘Lo sguardo vagabondo. Il flâneur e la città da Baudelaire ai postmoderni’, Il Mulino, Bologna 2006 Rousseau, Jean-Jacques, ‘Passeggiate’, Tranchida, Bologna 1994 Rousseau, Jean-Jacques, ‘Confessioni’, Rizzoli, Milano 2000 Sansot, Pierre, ‘Passeggiate Passeggiate’, Il Saggiatore, Milano 2001 Schopenhauer, Arthur, ‘I manoscritti giovanili 1804-1818’, Adelphi, Milano 1996 Thoreau, Henry David, ‘Camminare’, SE, Milano 1999 Thoreau, Henry David, ‘Walden, ovvero vita nei boschi’, BUR, Milano 1997 Woolf, Virginia, ‘Street haunting’ in ‘The death of the moth’, 1942 a new sense to one's own existence leads to the undertaking of a journey, a walk which is necessarily a lonely one. Many of us have walked, run, or even climbed alone to find a new balance in the wildlife. Among writers, philosophers and poets are many solitary walkers who longed for freedom as a supreme spiritual condition. Travelling and walking alone enable us to better understand the human condition, as well as to reach a free and personal vision of it; in the attempt at shaping one's own identity. The journey is a metaphor of human existence, with all its ambiguity, its restlessness, its ephemerality, its placelessness. Life is always in between here and elsewhere, without for that reason being empty and unworth being lived. The traveller is in perpetual movement, ready for new peaks and leaps, ready to follow In praise of walking alone that green light which is the longing for completeness, perfection, and selfamelioration. As Thoreau wrote in Walden, “Direct your eye right inward, and you'll find / A thousand regions in your mind / Yet undiscovered. Travel them, and be / Expert in home-cosmography”. David Le Breton (2003) defines walking as the anthropological activity par excellence. Walking raises questions about one's existence in this world, as it decentres the ego and restores the world. By doing so, it fosters the desire to find one's place in the plot of the world, to question oneself about the boundaries towards one's species companions. Solitude is a necessary condition to build an individual personality in a world dominated by mass culture (Nuvolati, 2006). Solitude is thus necessary for walking as an exercise centred upon the ego (Demetrio, 2005). Solitude is a friendly company, a guide to knowledge and contemplation. “I never quite know where a path will lead me to. But I know very well from what it will take me away from: away from an Migrazione - 2005 11 In praise of walking alone indolence which is not wisdom, from acquiescence, from self-indulgence; in the solitude that sometimes accompanies my walking there is no bitterness, as it uncovers the sweetness in me, which is my true guide” (Sansot, 2001). Both Thoreau and Nietzsche loved lonely walks. And Rousseau noted in The Rêveries of a solitary walker (1993) and repeated in the The Confessions (Rousseau, 2000) that he never felt as much alive as in the journeys he made walking alone. In 1974, the director Werner Herzog walked alone from Berlin to Paris to meet an ill friend, taking with him only what was necessary: “I wanted to be alone with myself”, he wrote. Most of these lonely walkers crossed mountains, woods, and the contryside. But there are several lonely walkers in cities, too. From Baudelaire to Hermann Hesse, from Paul Auster to Peter Hallberg, there are many examples. Walter Benjamin described the Paris flâneur, the lone walker and observer who roams in the streets of the big city. Virginia Woolf described a similar street haunting in London. The flâneur is open to discovery, but city walking breeds a different feeling from walking in the woods. Baudelaire, the poet, sets his lone journey without a final destination, he gets completely lost in the metropolis. Hence the city becomes the symbol of the fragility of life. Through the painful but privileged condition of solitude, the flâneur grows up, he gets to know himself and the world. Antonella Montedoro Antonella Montedoro has a degree in History of Art and works as a librarian. She loves to paint, to photograph and to read, especially poems. She is interested in Art, in particular iconology and the influences of the classical tradition on Italian renaissance. She has written several articles on these topics which have been published in Studi Trentini di Scienze Storiche and Venezia Arti. Soli o accompagnati: Riflessione da uno sportello pubblico (passando per Philip Dick) Nell'attimo in cui il mio cervello percepì la consistenza del viale su cui ero uscito, preso da sconforto, misi a fuoco l'idea dell'esistenza di uno spazio temporale. La conoscenza/comprensione di altre entità: questo sta alla base della differenza tra essere soli o accompagnati. Ero in fila ad uno sportello pubblico, uno “a vostra scelta”. L'impiegata chiede alla persona davanti a me di mostrarle il cartellino: “Ma lei quanti anni ha?” L'uomo risponde: “Ne ho 70, sono nato nel 1936”. Insistendo, l'impiegata replica che le 12 risulta che l'uomo si chiami “a vostra scelta”, che di anni ne abbia 36, essendo nato nel 1970. A quel punto il settantenne si affretta a declinare le proprie generalità anagrafiche. Avendo seguito la discussione, in quel momento mi faccio avanti mostrando Soli o accompagnati il mio cartellino: l'impiegata vede che mi chiamo anch'io “a vostra scelta”, che ho 36 anni, essendo nato nel '70. Un'omonimia con inversione dei dati anagrafici, una stranissima coincidenza . Un episodio insignificante. Una situazione tipica della narrativa di “Ai confini con la realtà” che tratta, tra l'altro, di casi di sdoppiamento, universi paralleli e viaggi temporali. Possiamo chiederci cosa c'entri tutto questo con il tema della solitudine. Il fatto è che sul momento pensai di trovarmi di fronte al mio alter ego futuro, un personaggio x con l'inversione numerica di età e data di nascita come unico labile indizio. Se ne sarebbe potuto scrivere un raccontino satirico sull'efficienza degli uffici. Invece mi sono chiesto quale fosse il punto di contatto per indurmi a una tale riflessione. Siamo soli o non riusciamo a vedere chi ci accompagna? Ecco, credo che questo sia il punto. La persona in fila poteva essere una proiezione della mia coscienza o un mio possibile futuro di solitudine? E come posso poi definirla una persona “sola”, conoscendola appena? Nell'attimo in cui il mio cervello percepì la consistenza del viale su cui ero uscito, preso da sconforto, misi a fuoco l'idea dell'esistenza di uno spazio temporale. La conoscenza/comprensione di altre entità: questo sta alla base della differenza tra essere soli o accompagnati. La mancanza di persone da conoscere non ci/mi preoccupa: nostro vero timore è che, incontrando altre “entità carbonio”, queste non invadano lo spazio che ci siamo costruiti. Un fenomeno all'apparenza contraddittorio, amplificato dallo stress quotidiano, come succede in fila agli sportelli. Allen Ginsberg definì questo stato di cose come una “solitudine pubblica”. Cerchiamo di raggiungere dei traguardi rapportandoci agli altri sulla base dell'apparire, rateizzando la nostra anima in una serie infinita di beni in svendita e giustificandoci alla nostra coscienza con la scusa di una quotidiana lotta per la sopravvivenza. La solitudine, di questi tempi, sta diventando una sorta di status symbol. Solo così una società basata sul consumo può sopravvivere: sostituendo la naturale predisposizione alla socializzazione con prodotti di varia natura. La difficoltà di avvicinarsi all'altro, a prescindere dalla naturale timidezza, è così accentuata che si preferisce affidare questo compito ad agenzie o filtri telematici pur di non affrontare “l'alieno dell'appartamento accanto”. Il banale episodio che ho raccontato sopra mi ha indotto a riflettere sulla mia/nostra condizione. “Vivere in una caverna visionando una serie infinita di film e dove la realtà fa capolino di tanto in tanto” è sterile. Altra questione: l'universo conosciuto è la nostra unica realtà o nel frattempo qualcuno ne ha creata un'altra con il fiocco rosa? 13 Soli o accompagnati L'opposto della solitudine è la compagnia. Ma cos'è la compagnia? Una sorta di famiglia che si divincola tra le difficoltà dell'interrelazione? Un supporto alla possibilità di sopportazione dell'altro nelle sue personali manifestazioni quotidiane di qualunque genere esse siano? Un codice d'onore in cui omertà ed integrità, onore e rispetto si amalgamano nel culto della virilità? In un universo parallelo, come ci apparirebbe la compagnia, in una sorta di fila per la “pagnotta”? Un branco di lupi potrebbe definire la cosa! Una cupola della griffe! La compagnia è fonte di maturazione attraverso il confronto quotidiano con l'altro: questo confronto può essere un rimedio alla solitudine pubblica solo se lo spazio pubblico non viene visto come un centro di 14 smistamento del consumismo, fatto di loghi e suonerie senza senso. Credere che possano esistere altri luoghi e che questi ci possano aiutare a migliorare la percezione sociale della differenza tra l'essere soli o meno, può essere di conforto alla consapevolezza che non esista solo l'oggetto. L'uomo non deve essere relegato in un frigorifero e dal quale venga tolto solo per lavorare e consumare secondo un'immagine che ci viene da un romanzo di Philip Dick. Nicola Messina. Nicola Messina vive e lavora a Trento. Organizza concerti di musica d´autore con artisti internazionali di genere Americana e roots, e si interessa di letteratura fantastica e fantascienza. www.focusonmusic.org City - serie - 2005 Solitudine e compagnia della società occidentale. Note autobiografiche sulla responsabilità socio-culturale Solamente in questi ultimi anni ho potuto comprendere che, se sono venuto in America centrale, è stato perché qui più che in altri paesi tutto questo continuava, rafforzandosi in centinaia di rivoli alla ricerca di risposte sociali che permettano alle comunità di proseguire il proprio cammino. Quando nel '95 mi spinsi fino alle isole Bocas del Toro di Panama, in un primo momento, come una per una specie di istinto fugace, ebbi paura di aver sbagliato destinazione, poiché il mio destino ideale, quello che avevo in mente, erano le isole Samoa, nell'arcipelago del Pacifico. Esse furono tra l'altro uno dei primi luoghi di ricerca degli antropologi europei: elementi come il totem, il tabù e il canibalismo appartenevano agli antenati culturali di quelle comunità isolane. Per la verità, non ricordo come fu, ma tenevo attaccata sopra la testa del letto una mappa delle isole Bocas del Toro, come appunto di qualcosa da scoprire, che portai per anni e anni con me e che nel momento culminante risultò determinante, quando me ne fuoriuscivo come un esiliato da un paese dell'Italia del nord, completamente malato e depresso, verso l'inizio di un viaggio interamente sconosciuto e senza meta apparente. Le ragioni per le quali feci tutto ciò mi sarebbero occorse più tardi come quelle di un programma computazionale metaconoscitivo, che tenevo come un microchip nella testa; ma ciò lo potei scoprire e realizzare solo quasi dieci anni più tardi, precisamente ora, mentre lo sto annotando. Comprendo ora le motivazioni per le quali negli anni '80 artisti e intellettuali tedeschi, austriaci e inglesi abbandonarono la vecchia Europa per l'estremo oriente e il continente africano, alla ricerca di nuove conoscenze, di patrimoni originali dell'umanità, per rinnovare di stimoli e concimi la neonascente società europea. Nei primi anni '90 alcune menti brillanti avevano già compreso che lo sviluppo mitologico e scientifico della scuola greco-latina non era abbastanza ampio per far fronte e contestare con efficacia tutte le questioni legate alle necessità che le nuove scienze stavano sviluppando. Lo stesso feci io, ma senza nessuna strategia, né gruppo di sostegno, con cuore infantile, che tanto mi costò proteggere dalle intemperie degli 15 Solitudine e compagnia della società occidentale uragani emotivi che mi raggiunsero, sicché in più di una occasione credetti che la mia ultima ora fosse giunta. I predecessori di quelli che oggi si riconoscono e si possono identificare come Esseri Umani Contemporanei, erano uomini e donne che a livello subliminale manifestavano una particolare attenzione tanto verso gli elementi della responsabilità socioculturale quanto verso il benessere psicofisico ed esistenziale delle persone. Insieme di tutti quegli aspetti che in ultima analisi concorrono a giustificare l'esistenza degli esseri umani, buona o cattiva, giusta o ingiusta che essa possa essere, l'elemento della responsabilità socioculturale potremmo intenderlo come una elaborazione di ordine sociologico degli archetipi ancestrali primari, formati senza dubbio da secoli e secoli, che è venuta a prefigurare la società dei consumi di massa, oggi diacronico-informatica. Una mescolanza di fattori originali e derivati si trasmette nelle esperienze di tipo accademico e nelle soggettività empiriche che giungono a stabilire la scala delle norme socioculturali di pertinenza soggettiva, o alla formazione della coscienza critica. Quando una persona, come accadde a me, si rende conto del cammino che ha iniziato a compiere, già si trova molto fuori dalla propria Europa; perché infatti là vive con un senso socio-culturale molto profondo ma 16 non percepisce la distanza, il contesto spazio-temporale nel quale si trova inserito, la totalità del mondo stesso all'interno della propria responsabilità sociale. Allora una persona si incontra nel “Tornare ad essere il mondo” e il “Mondo torna ad essere se stesso”. A questa condizione molto particolare concorsero, nel mio caso, elementi di diversa origine, come una impressionante sequenza di trappole che, riconsiderandole meglio ora, potevano essere una corsa ad ostacoli per un cieco - con il solo aiuto del terzo occhio interiore. Le prove che mi si pararono di fronte, e che non vado a spiegare in tutti i particolari, di fatto rafforzarono sempre più, non la persona che sta scrivendo queste note, ma il senso particolare delle motivazioni per le quali sto scrivendo. Questa ricerca potrebbe essere interpretata come una ricerca decostruttiva di derivazione francese. E nel momento di raccoglierne i frutti, mi rendo però conto che tutto questo non sarebbe stato possibile senza la sopra ricordata responsabilità socio-culturale. Come società occidentali abbiamo vissuto quotidianamente per secoli la storia del re nudo, a tal punto che una ostinata e centenaria miopia sociale ha potuto consegnare le società del pianeta all'era dell'elementarismo diacronico, secondo la definizione di Roland Barthes: la necrofilia delle culture europee e di derivazione occidentale. Solitudine e compagnia della società occidentale Millenium - 2005 All'inizio del testo mi chiedevo le ragioni per cui, invece di andarmene alle Samoa, finii qui, invischiato alle radici sotterranee dell'America centrale, e perché l'asse della storia evoluzionistica dell'umanità si fosse spostato per così dire dalle isole Samoa all'America centrale, portando con sé tutte le problematiche dell'antropologia culturale impostate da Boas, Malinowski e Lévi-Strauss, generando degli psicodrammi di ordine socio-culturale, etico e religioso che le società future saranno presto obbligate ad affrontare in qualche modo solitario. La causa risiede nel declino delle istituzioni basate sugli impianti di paura del tabù e del totem, a vantaggio delle diverse forme di cannibalismo riprese nelle società di cosumo di massa. Si tratta di una necrofilia socio-culturale, imposta in tutti i suoi prinicipi dogmatici a oltranza di fronte alla più pura, più vera e umile compassione universale. Solamente in questi ultimi anni ho potuto comprendere che, se sono venuto in America centrale, è stato perché qui più che in altri paesi tutto questo continuava, rafforzandosi in centinaia di rivoli alla ricerca di risposte sociali che permettano alle comunità di proseguire il loro cammino. Questo testo è un primo passo nel cammino verso la ricerca della verità, quel cammino con cui Paul Feyerabend concluse la sua ultima 17 Solitudine e compagnia della società occidentale intervista: “Mi piacerebbe essere ricordato come una persona che cercò di amare”. Umberto Postal Umberto Postal è un artista che negli anni Ottanta e Novanta è stato legato alla corrente dei neofuturisti. Ha esposto ed è stato recensito a livello internazionale. Dopo un periodo trascorso in America centrale, si occupa oggi di analisi della società contemporanea e di design. Rapporti moderni Viviamo in un´epoca in cui il benessere fa maturare i ragazzi sempre più presto. Il risultato è che tanti giovani hanno rapporti emotivi importanti in un momento della vita nel quale di norma non ci sono le condizioni per portarlo avanti con lo scopo di formare una famiglia. Si fa sesso, ma si è immaturi.e spesso si soffre in modo sproporzionato. Tutto dipende da tutto. E non solo dipende, ma si potrebbe dire che in un dato momento storico i modi di pensare e di comportarsi si influenzano a vicenda e creano delle circostanze tipiche. Questo vale anche per i rapporti di coppia, che sono condizionati dalle mode e dai problemi specifici di ogni epoca. E qui bisogna fare un'osservazione piuttosto importante. L'uomo, infatti, è un essere particolare perché il suo comportamento viene influenzato da natura e cultura, le quali possono essere in conflitto tra di loro. Per i rapporti di coppia, questo dualismo ha conseguenze interessanti. La psicologia evolutiva ci insegna che siamo una specie ultra-sociale, il che è anche dovuto al fatto che i bambini umani dipendono per molto tempo dai genitori. È per questo, si ipotizza, che l'attaccamento emotivo duri circa quattro anni (il tempo minimo prima che il piccolo possa inserirsi nel gruppo). In termini simili viene 18 anche spiegato il momento della menopausa della donna, la quale dopo di essa normalmente vive ancora parecchi anni e può quindi dedicarsi a crescere anche l'ultimo figlio (la leonessa, al contrario, dopo la menopausa vive ancora uno, due anni). Un altro dettaglio biologico interessante consiste nel fatto che l'attività sessuale maschile è più concentrata di quella femminile. Maschi ritenuti belli hanno più rapporti sessuali che donne ugualmente belle, ma è meno probabile per un uomo brutto (o meno forte) intraprendere attività sessuali che per una donna dello stesso tipo. Queste tendenze naturali vengono poi alterate dalle regole culturali con le quali l'uomo riesce ad adattarsi a circostanze, che a sua volta contribuisce a formare. Una questione interessantissima, che qui però non può essere approfondita è se e in che modo la cultura, cioè gli usi Rapporti moderni e costumi, cambino la biologia e con questo la psicologia umana. A questo punto è utile individuare alcune tendenze culturali che sono importanti per capire come stanno cambiando i rapporti. È tuttavia necessario mettere in rilievo che queste tendenze possono anche essere in conflitto tra di loro, il che alimenta delle dinamiche particolari. Guardiamo prima le tendenze. La prima tendenza importante è il crescente tasso di istruzione che si è accompagnato alla secolarizzazione. L'uomo si sente in modo crescente padrone di se stesso e del suo destino e tende a dare meno peso agli insegnamenti e alle tradizioni religiose. Questo significa che anche i matrimoni forse non vengono più presi così sul serio come una volta. Connessa all'educazione è la democratizzazione, che ha portato al venir meno di rapporti gerarchici in generale, inclusi quelli famigliari. Il risultato è anche qui una maggiore libertà di scelta, trasformando il rapporto romantico nel rapporto più normale. L'influenza delle famiglie è ancora un fattore forte per quanto riguarda la scelta del partner, ma sicuramente l'influenza diretta è diminuita. Infatti, al giorno d'oggi è raro che i rapporti vengano combinati per motivi politici o economici, come era di norma tra i romani e tra i nobili. Tra le tendenze più importanti è il cambiamento dei ruoli, un risultato del progresso tecnologico che ha cambiato il mondo economico. Sempre più lavori non richiedono sforzi fisici eccezionali e sempre più ragazze decidono di intraprendere una carriera lavorativa. Una delle conseguenze non volute di questo processo è che in una fase nella quale il lavoro è scarso, l'affluenza delle donne sul mercato del lavoro diminuisce lo stipendio medio dei lavoratori. In questo modo anche chi non voleva lavorare è costretto a farlo per arrivare a fine mese, il che significa che i processi economici amplificano il cambiamento culturale. Ovviamente l'importanza di queste tendenze varia da generazione a generazione, il che porta a delle dinamiche particolari e crea non pochi problemi. Per capire questi problemi bisogna lasciarsi alle spalle una visione troppo razionale dell'uomo che lo ipotizza cosciente di se stesso e capace di prevedere completamente i risultati delle sue scelte. Una visione alternativa al razionalismo moderno di tipo occidentale è un complesso di conoscenze sull'uomo che ci vengono trasmesse in modo più o meno esplicito dalle religioni. Un sistema interessante è ad esempio la classificazione indiana dei chakra che, a differenza della filosofia occidentale che ipotizza un corpo comandato da una mente, cerca di unire corpo e mente. In particolare viene ipotizzato che l'uomo sviluppi certi tipi di coscienza i chakra in modo sia sequenziale sia parallelo, il 19 Rapporti moderni che porta a due concetti fondamentali la lenta presa di coscienza e l'equilibrio personale. Per i rapporti di coppia entrambi i concetti sono importanti e ignorarli porta spesso a vivere esperienze dolorose. Viviamo in un'epoca in cui il benessere fa maturare i ragazzi sempre prima. Il risultato è che tanti giovani hanno rapporti emotivi importanti in un momento della vita nel quale di norma non ci sono le condizioni per portarlo avanti con lo contraddizione tra di loro i maschi diventano più femminili e le ragazze più maschili. Essendo immaturi, non di rado si agisce sull'orlo di un femminismo oppure maschilismo esagerati. Un tale comportamento conflittuale ovviamente non giova al rapporto che, per essere felice, avrebbe invece bisogno di reciproco rispetto. Tutto sommato si può dire che i rapporti moderni sono complicati perché non ci sono regole condivise Autoritratto con corna - serie di 4 - 2005 scopo di formare una famiglia. Si fa sesso, ma si è troppo immaturi e spesso si soffre in modo sproporzionato. Tante volte il partner è il primo che pone dei limiti all'adolescente viziato, il quale scarica la sua aggressività giovanile sull'altro, non conoscendo ancora abbastanza se stesso e le conseguenze delle sue azioni. Si aggiunge la confusione dei ruoli che porta all'instabilità personale. I modelli di riferimento sono in 20 da tutti su come vanno vissuti. Spesso si bruciano le tappe, i rapporti sono troppo basati sull'attrazione fisica e tanti fanno fatica a fidarsi di nuovo dopo una delusione. Si vivono rapporti superficiali che non reggono di fronte a problemi importanti. I vecchi, d'altro canto, ci trasmettono un tipo di rapporto basato su ruoli abbastanza precisi sia per l'uomo che la donna. In più, per loro il rapporto era una specie di punto di arrivo. Rapporti moderni Ricordo una conversazione con un signore che mi diceva che sposarsi significava poter disporre liberamente dei propri soldi e avere una relazione con l'altro sesso accettata dalla società. Un matrimonio in chiesa significava dunque che un rapporto completo, premeditato, era condizione necessaria per stare insieme. È ovvio che tornare indietro è impossibile, anche perché in passato spesso erano la necessità economica maturità emotiva e libertà individuale. Insomma, direi che abbiamo bisogno di una nuova cultura dello stare insieme che si allontana sia da vecchi schemi che si orientano troppo al dovere, sia da un individualismo esagerato che, impedendo lo sviluppo di rapporti profondi, è fonte di non poche sofferenze. Forse la filosofia orientale può darci spunti importanti per rapportarsi in modo migliore all'altro. Investire tempo nella ed il peso della tradizione piuttosto che la libera scelta o la vera attrazione che facevano stare assieme le persone. Tuttavia la solitudine forzata dei nostri giorni, dovuta a paure e delusioni, decisamente non è una situazione sostenibile. Sarà difficile imparare che i rapporti non devono essere né solo piacevoli e superficiali, né solo un obbligo noioso, ma forse un qualcosa di più grande che dobbiamo ancora individuare, qualcosa che permette il giusto compromesso fra conoscenza di se stessi è sempre utile: può quindi essere sano alternare periodi di compagnia con periodi di solitudine. In questo senso, sono importanti entrambi: stare da soli e stare in compagnia. Peter Schaefer Peter Schaefer studia economia e si interessa di questioni di politica e società contemporanea. Fa parte del gruppo di discussione `Salone politico´. È inoltre cantautore e si esibisce spesso come solista. Informazioni sulla sua musica potete trovare sul sito: www.peterschaefer.info 21 Artist’s corner Test Card - serie di Federico Lanaro, 2006 Prendendo spunto dalla realtà quotidiana, Federico Lanaro estrapola soggetti, li manipola al computer e li inserisce in nuove situazioni, in ambienti azzerati, destabilizzandone il significato originario. Alci che migrano come stormi di uccelli, elicotteri in formazione che si dipanano su superfici bianche infinite. Ma l'inatteso entra in scena e dà ai lavori di Lanaro uno scarto in più. Le rigidità, le perfezioni, le simmetrie che ben si adattavano a un non-spazio bianco e infinito, vengono spazzate via, entrando prepotente il fattore tempo e quindi l'ineluttabile, che tramuta quello spazio in qualcosa di possibile, in cui tutte le certezze sono pronte a diventare incertezze. Marco Tommasini, 2006 www.federicolanaro.com 22 La scrittura. Da soli o in compagnia? Né privato come l'ego filosofico, né pubblico come il professore o l'esperto, lo scrittore deve trovare ogni volta la sua leva per far saltare la contrapposizione tra solitudine della scrittura e compagnia della vita; e questa leva, si potrebbe anche dire, non è altro che la sua firma. La scrittura si presenta, a un primo sguardo, come un'attività essenzialmente solitaria, forse persino come l'attività solitaria per eccellenza. Se guardiamo a una biografia come quella di Proust, troviamo due fasi nettamente distinte, la fase della vita e la fase della scrittura. La fase della scrittura ha, rispetto a quella della vita, una nascita tarda ma un destino totalizzante: la scrittura fagocita la vita - essenzialmente una vita che non è più (tempo perduto) - per trasformarla in qualcos'altro, forse qualcosa di superiore (la verità?), in ogni caso qualcosa di diverso (tempo ritrovato). Parrebbe, insomma, che lo scrittore debba compiere una scelta fondamentale tra la solitudine della scrittura e la compagnia della vita. Indubbiamente, la scrittura ha un ritmo che è diverso dal ritmo della vita. Persino nei casi in cui il tempo della scrittura si sovrappone e si interseca fittamente al tempo della vita (Kerouac chiuso in bagno a scrivere delle cose che stanno accadendo ai suoi amici fuori), i ritmi delle due attività paiono destinati a rimanere distinti, secondo una linea indelebile che separa lo scrittore dagli uomini (è sufficiente anche una separazione umile, come la porta di un cesso). Se le cose stessero davvero così, come spiegare però la straordinaria affermazione di Flaubert, che all'origine della scrittura vi sarebbe il 'desiderio di vivere tutte le vite'? Kafka, forse lo scrittore più puro che sia mai esistito, dice a Felice di poter scrivere solo di notte, quando la casa è silenziosa e la solitudine pare estendersi all'infinito. Ma non bisognerebbe lasciarsi ingannare credendo che l'accento vada posto unicamente sui due elementi del silenzio e della solitudine. In realtà, mi sembra, c'è un terzo elemento che ha non minore priorità degli altri: la distensione, l'aprirsi a dismisura, l'ampliamento all'infinito. Diversi sono i momenti in cui Kafka attribuisce la qualifica di 'infinito', non solo alla scrittura, ma anche al `compito´ e alla `condanna´. In ciascun caso, si tratta di aperture. Kafka tiene sempre aperta la finestra della camera, anche in pieno inverno. In questo senso si potrebbero distinguere i destini incrociati di due specie diverse di solitari, Descartes e Kafka: il filosofo della stanza riscaldata, lo scrittore della finestra aperta. Descartes è l'ego filosofico solitario che può trovare una verità incontrovertibile (io penso) restando 23 La scrittura. Da soli o in compagnia? uguale-diverso - 2005 dov'è; ma Kafka è la schiera letteraria estrema che insegue la necessità di protendersi, di estendersi all'infinito, transitando, per così dire, attraverso tutte le storie del mondo (basta sfogliare i frammenti dei quaderni in ottavo per vederlo). `Schiera letteraria´ può non essere che una cattiva approssimazione del processo in gioco, ma fornisce, se non altro, una prima espressione della posizione di colui che scrive rispetto agli altri. Né privato come l'ego filosofico, né pubblico come il professore o l'esperto, lo scrittore deve trovare ogni volta la sua leva 24 per far saltare la contrapposizione tra solitudine della scrittura e compagnia della vita; e questa leva, si potrebbe anche dire, non è altro che la sua firma. La scrittura non implica solo un ritirarsi separato (forse anzi lo richiede, di certo non lo esclude), ma implica - e qui le cose si fanno più interessanti - soprattutto e allo stesso tempo un'apertura e una distensione immensa verso altri. Se la scrittura fa qualcosa, è mostrare ogni volta l'altrimenti del pensiero. Per questo tutti i grandi scrittori sono stati degli uomini senza territorio. Ciò non significa persone La scrittura. Da soli o in compagnia? prive di relazioni sociali, ma piuttosto persone prive di relazioni nella forma territoriale, laddove si dovrebbe dire che il potere produce relazioni territoriali per eccellenza, mentre la scrittura si espleta sempre come pratica di sottrazione al e dal potere. Eppure, la sottrazione è solo una parte dell'esercizio della scrittura, poiché tale sottrazione non ha senso se non diventa una protensione. La dimensione di protensione entro cui la scrittura esiste è colta perfettamente da Canetti quando dice che lo scrittore è il 'custode delle metamorfosi'. Scrittore è colui che si pone all'inseguimento delle trasformazioni umane nel loro succedersi incessante. Se si racconta qualcosa, si raccontano trasformazioni, e per raccontare le trasformazioni occorre aprire la finestra, trasformarsi in tutte le storie del mondo - in cui ogni successiva trasformazione racconta di una ulteriore sottrazione al potere. Nel saggio su Broch, Canetti aggiunge che lo scrittore è come il 'segugio del suo tempo': qui Writing. Alone or in company? At first sight, writing looks like an essentially lonely activity, maybe even the most lonesome of all. If we consider a biography such as Proust's, we find two phases, quite clearly separated from one another: the phase of life and the phase of writing. Compared to life, writing arrives later but is destined to be more l'immagine del segugio - immagine dotata di forza straordinaria e per nulla ridicola, al contrario di quanto temeva Canetti - indica un rapporto di inseguimento. Lo scrittore è sempre all'inseguimento del proprio tempo, della propria epoca, non le dà tregua. Ecco perché la scrittura, come ricordava Deleuze, non è mai un 'piccolo affare privato', ma ha sempre una portata sociale, mondiale, cosmica. Per realizzarsi, essa deve superare tanto l'essere da soli quanto l'essere in compagnia, per diventare essa stessa la 'compagnia', diventare schiera letteraria, inseguimento delle trasformazioni, al cui centro non è più un soggetto, ma un andirivieni di territori, tane e fughe. La scrittura è la compagnia del cosmo. Andrea Mubi Andrea 'mubi' Brighenti è ricercatore free-lance nei territori della sociologia, dell'etnografia, della letteratura. Ha pubblicato articoli accademici in Thesis Eleven, Law and Critique, Current Sociology, Canadian Journal of Law and Society, Rassegna Italiana di Sociologia, e Sociologia del Diritto. Scrive racconti brevi, i più recenti tra i quali sono raccolti nella serie Civitates. Contatti: www.bung.it. encompassing: writing embraces life essentially, life gone (temps perdu) in order to transform it into something else, possibly something superior (truth?), but by all means different (temps retrouvé). Thus, it may look as if the writer had to make a fundamental choice between the solitude of writing and the company of life. There is no doubt, writing's rhythm is different from life's. For even when writing interweaves with life's time (Kerouac sitting 25 Writing. Alone or in company? in the bathroom and writing about what is going on with his friends outside), the two activities do not mix together: an indelible line separates the writer from the human beings (a humble divider, such as a toilet's door, will suffice). But if it were like this, how could we account for Flaubert's extraordinary statement that at the outset of writing is the 'desire to live all lives'? Kafka, probably the purest writer ever, says to Felice he can write only by night, when the house is silent and solitude spans endlessly. But we should not be misled to believe that silence and solitude are all that matters. Actually, I think, there is a third crucial element: extending oneself, opening wide, enlarging to the infinite. There are several points where Kafka attributes the characteristic of the 'infinite' to writing, as well as to the Task and to the Sentence. It is always a matter of openings. Kafka keeps his room's window open even in the middle of winter. From this point of view, we may distinguish two different types of solitaries, Descartes and Kafka: the philosopher of the heated room, the writer of the open window. Descartes is the philosophical ego that is able to find an irrefutable truth ('I think') remaining where he is; but Kafka is the extreme literary pack that by necessity extend itself to the infinite, flowing - so to speak - through all the stories of the world. 'Literary pack' may turn out to be just a bad approximation of the phenomenon at stake, but at least it gives us a starting point to describe the standing of the writer vis à vis the others. Neither private, as the philosophical ego, nor public, as the professor or the expert, the writer has to create each time a way to bypass the opposition of the solitude of writing and the company of life. This 'way' is but his signature. Although writing may ask for loneliness - or, at any rate, it does not prevent it it also implies an opening and an immense extension toward others. Writing shows the 'otherwise' of thought, and that is why all great writers have been persons without a territory. 'Person without a territory' does not mean a person without 26 social relations, but rather a person without territorial relations, i.e. relations imbued with power. Indeed, writing is a practice of subtraction from power. Yet, subtraction is only the first part of writing's endeavour, because subtraction does not mean anything if it does not become pro-tension, or tension-towards. The tension-towards that is inherent to writing is perfectly expressed by Canetti when he says that the writer is the 'keeper of transformations'. The writer is constantly hunting for ongoing human transformations. The object of narration are transformations, and in order to tell them one needs to open the window, to transform oneself into all the stories of the world where each successive transformation tells about a further subtraction from power. In the essay on Broch, Canetti adds that the writer is like the 'hound of his time'. The image of the hound with all its extraordinary vividness, notwithstanding that Canetti expressed the fear that the image could sound ridiculous indicates a hunting relationship. The writer hunts restlessly the present, the time being, her historical age. As Deleuze reminded us, writing is never 'one's own small business'; on the contrary, it always has a social scale, a world scale, a cosmic scale. It must overpass both being alone and being in company, in order to become the 'company' in itself, to become the literary pack, haunting of transformations at whose centre is no longer one subject, but a coming and going of territories, dens and flights. Writing is the company of the cosmos. Andrea Mubi Andrea 'mubi' Brighenti is a free-lance researcher in the realms of sociology, ethnography and literature. He has published academic articles in Thesis Eleven, Law and Critique, Current Sociology, Canadian Journal of Law and Society, Rassegna Italiana di Sociologia, and Sociologia del Diritto. He, also, writes short stories. The most recent ones are collected in the series Civitates. Contact: www.bung.it. Impressum Lo squaderno è Andrea ‘Mubi’ Brighenti Alberto Brodesco Nicola Messina Antonella Montedoro Stefano Picchetti Umberto Postal Peter Schaefer *** Immagini di Federico Lanaro [email protected] *** Grafica di Sara Degasperi [email protected] *** www.losquaderno.net [email protected] Anno 1, Numero 2 Dicembre 2006 Nel prossimo numero ‘Spazi, nomi, territori’. 27 Lo sQuaderno RIVISTA DI DISCUSSIONE CULTURALE Non risparmia né me né te Tesoro Mio e rimbalza in questi carapaci fragili e molli il Nome di ogni parola. In un attimo lucido come sulla neve morta tutto è uguale per dimensione tutto è a fuoco e un ferino --ar accerchia ruggente e rapace da ogni direzione e lì lasciata e io lasciato. Come me, credo, ordisci ogni riparo che speri sia comune agli altri a te stessa. E insieme ordiniamo di Nuovo le dita delle mani l´una nell'altra differenti e perfette fra loro.