News di Novembre 2003 1 di 15

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News di Novembre 2003 1 di 15
News di Novembre 2003
La guerra è iniziata nei villaggi
01 Novembre 2003
Un'analisi archeologica di una delle prime società complesse del Messico, pubblicata nella rivista americana
Proceedings of the National Academy of Science sembra aver stabilito una triste verità: la guerra inizia appena
comincia la vita nei villaggi. Utilizzando datazioni al radiocarbonio, due studiosi dell'università del Michigan
hanno scoperto alcuni dati che confermano quest'ipotesi. Finora non è stato facile stabilire perché la guerra
cominciò: una delle ipotesi è che la violenza organizzata sia molto rara in gruppi privi di divisioni sociali; quindi,
la guerra dovrebbe sorgere solo in aree dove le risorse sono ricche, e la popolazione è divisa in classi. Nei
villaggi studiati dagli archeologi, ci sono palizzate bruciate, che indicano un villaggio difeso, che risalgono a oltre
3000 anni fa.
Altre datazioni in villaggi vicini ha rivelato che la guerra si è diffusa in altri villaggi della valle nei millenni
successivi. Anche i villaggi più antichi, dicono quindi gli studiosi, hanno dovuto, praticamente appena fondati,
essere difesi dalle minacce dei villaggi vicini.
Fonte: Focus.it
del 25 settembre 2003
Scoperto a Cordova un altro colosseo
02 Novembre 2003
CORDOVA - Le rovine di un grande anfiteatro romano sono state portate alla luce a Cordova, nel sud della
Spagna. La scoperta durante i lavori per un parcheggio. L'asse maggiore del grande anfiteatro ellittico misura
178 metri, una decina in meno rispetto a quello del Colosseo. Si calcola che la struttura sia stata costruita
intorno al 50 d.C., e che potesse contenere da 30.000 a 50.000 spettatori. Cordova era il capoluogo della
provincia romana della Betica e diede i natali ai due Seneca, il retore e il filosofo. Il terzo più grande dopo
quello di Roma in Italian e di El Djem in Tunisia.
Fonte: ansa.it
del 26 settembre 2003
Dalla cantina sbuca l'altare di Ercole
03 Novembre 2003
Per decenni ha "dormito" in cantina, ottima, per peso e dimensioni, per bloccare le botti: ma davvero quel
blocco di travertino meritava diversa considerazione se si tratta sembra di un'epigrafe dedicatoria ad Ercole,
come si intuisce leggendo le parole stampigliate su pietra in eleganti caratteri romani dati fra il I e il II secolo
avanti Cristo. A scoprirlo nella cantina di casa Altobelli a Longone Sabino è stato Giovanni Rampazzi, che del
piccolo centro della valle del Turano in passato è stato anche sindaco.
"Ora non più, la mia attenzione è tutta per la storia che si intreccia profondamente con quella della mia
famiglia. Fin qui, guidato con sicura competenza dal professor Vincenzo Di Flavio, mi ero concentrato
soprattutto sulla vicina abbazia di San Salvatore Maggiore benché in loco sia rimasto ben poco delle vestigia del
passato. E' a Roma, in archivi e biblioteche che sto scavando in cerca di documenti. Ma la stele rinvenuta a
Longone ha ben altra consistenza".
In tutti i sensi: pesante più di un quintale, a fatica è stata tirata fuori dalla cantina e riportata letteralmente alla
luce. Ripulita dal terriccio e dalle incrostazioni l'iscrizione che si snoda su sette righe è divenuta più leggibile:
"Poteva forse essere un'ara collocata in origine presso un'edicola dedicata a Ercole posta ai margini di uno dei
tanti diverticoli della Salaria - spiega Rampazzi - queste sono terre di transumanza e il culto di Ercole era legato
proprio ai traffici e ai mercati". Tracce di questo culto ve ne sono anche alla sezione archeologica del museo di
Rieti, dov'è conservata l'epigrafe dedicatoria al Dio padre Sanco che Lucio Munio offrì insieme ad una parte dei
suoi proventi per ringraziarlo della sua protezione insieme ad altri preziosi reperti. Ai quali ora meriterebbe di
aggiungersi la stele di Longone: "Senz'altro si tratta di un tassello importantissimo che aggiunge qualcosa alle
nostre conoscenze sull'Italia pre-romana - dice al telefono l'assessore provinciale Tersilio Leggio, commentando
il ritrovamento di Rampazzi e condividendone l'analisi - Longone è zona di grande interesse archeologico e il
culto di Ercole è senz'altro legato alla pastorizia e alla transumanza. Il problema semmai è capire da dove
arriva: io dico sempre che, pur avendo le gambe, le pietre non vanno mai molto lontano". O se ci vanno è
perché sono molto preziose, come quelle del tesoretto di Turania esposte al museo di Berlino. Cosa fare,
dunque, della stele di Longone? "Delle due l'una - continua Leggio - o lasciarla in paese, anche se non mi
sembra vi siano spazi espositivi adatti; oppure tenerla in deposito al museo di Rieti. Una soluzione va trovata,
per evitare a quella pietra la sorte di molti altri nostri preziosi reperti, sparsi qua e là fino ad essere
dimenticati". E sì perché se così dev'essere allora va benone anche la cantina di casa Altobelli.
Fonte: ilmessaggero.caltanet.it
del 26 settembre 2003
A Procida nuovi eccezionali ritrovamenti
04 Novembre 2003
Durante i recenti scavi, condotti l'equipe diretta dal Prof. Claudio Mocchegiani Carpano del Ministero per i Beni e
le Attività Culturali presso l'isola di Procida, ha rinvenuto eccezionali documetanzioni storiche sommerse che
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riguardano alcune grotte e alcuni approdi potevano servire come antichi laboratori-magazzino e lavorati i tonni
pescati dalle locali tonnare.
Il professore Claudio Moccheggiani Carpano, da anni conduce una sistematica ricerca sui fondali di Procida e
Vivara,alla ricerca di approdi sommersi, usati dai mercanti Micenei nel corso dei secoli XVII e XVI a.C.per
l'approvvigionamento del bronzo. Gli approdi individuati si trovano a una profondità tra i sei e i nove metri; oggi
sommersi a causa di fenomeni di natura geologica, il bradisismo, collegati al più esteso fenomeno vulcanologico
dell'areaflegrea.
Il professore Moccheggiani Carpano afferma che esiste la necessità di effettuare indagini presso i fondali
vivaresi con il supporto un'èquipe altamente specializzati di tecnici subacquei, archeologi e geologi per
programmare una sistematica ricerca lungo le coste sommerse. Quest'anno la ricerca è stata estesa a tutta la
costa dell'isola di Procida proprio per i notevoli rinvenimenti che venivano alla luce. La campagna 2003 è stata
condotta con l'indispensabile supporto logistico dei subacquei del Nucleo carabinieri di Napoli e dellla
Capitaneria di Procida.
Alcuni dei siti individuati nella campagna di scavo Procida 2003, sono stati individuati lungo le coste della Sicilia
e della Calabria, a Zambrone, Vendicari e Portopalo.
Fonte: culturalweb.it
del 29 settembre 2003
Verso gli archivi perduti di Ramses II?
05 Novembre 2003
La scoperta di una tavoletta di pietra elencante dettagliati vincoli diplomatici tra gli antichi Egizi e gli Ittiti nel
XIII sec. a.C., potrebbe essere, secondo gli archeologi, la chiave per gli archivi perduti di Ramses II. Scoperta a
Qantir, 120 chilometri a nord-est del Cairo, la tavoletta risale al tempo del faraone egiziano, Ramses II (12981235 a.C.) e conferma che la capitale, Pi-Ramses, era nel Delta del Nilo. "E' la prima volta che un tale
documento viene trovato nella capitale di Ramses II, il che conferma la posizione di Pi-Ramses", ha comunicato
all'agenzia francese AFP, Mohammad Abdul Aksud, direttore delle antichità nella regione del delta. Sebbene
piccola e male conservata, la tavoletta possiede la forma di una lettera di 11 righe, spedita dalla corte Ittita
dell'Anatolia centrale a quella di Ramses II, ha detto Aksud, che "potrebbe condurci agli archivi perduti di
Ramses II".
E' stata trovata da un team di archeologi tedeschi, guidato dall'Egittologo Edgar Pusch, segretario generale del
Consiglio Supremo per le Antichità dell'Egitto detto Zahi Hawass a AFP. Risale a poco dopo che Egizi ed Hittiti
siglarono la pace nel 1278, dopo anni di guerra, ha aggiunto Hawass. La tavoletta è in scrittura cuneiforme,
usata in tutto il Medio Oriente fino al primo secolo d.C. Citando Pusch, Hawass ha detto alla AFP tale documento
è paragonabile ad un'altra tavoletta cuneiforme trovata in Turchia e ad altre trovate a Tell Al-Amarna,
nell'Egitto meridionale. La tavoletta di Qantir potrebbe essere seguita dalla scoperta di un tempio nella stessa
regione, dove Ramses II costruì la sua capitale. Ramses II sposò una principessa Ittita per consolidare la pace
con l'impero dell'Anatolia centrale, così da potersi concentrare sulla minaccia mesopotamica, dove l'impero
Assiro era intenzionato a conquistare l'Egitto.
Fonte: Heramagazine.net
del 29 settembre 2003
Scoperto l’antico porto sul Paglia
06 Novembre 2003
ORVIETO - La Roma imperiale, potente militarmente e forte economicamente, per trecento anni, dall'età
augustea a quella costantiniana, fece di Pagliano il punto di snodo dei traffici commerciali tra il nord e la
capitale. Quell'ansa del Tevere che formava un naturale approdo alla confluenza con il Paglia, era il punto di
passaggio sicuro di tutti gli spostamenti che si sviluppavano sulla via d'acqua.
Man mano che le campagne di scavo si susseguono - è terminata la seconda della Scuola di Etruscologia e
Archeologia dell'Italia Antica, inizia in questi giorni la quarta campagna di scavo organizzata dalla
Soprintendenza Archeologica per l'Umbria - vengono alla luce edifici sempre più grandi e sempre più
interessanti. " Ormai - dice Paolo Bruschetti della Soprintendenza - si può parlare con certezza di un porto
fluviale". Abbandonando le varie teorie che lo volevano " edificio termale o villa patrizia -dice Giuseppe Della
Fina, direttore del Museo Claudio Faina - finalmente "il fantasma" si rivela". Per anni del porto se ne parlava
senza che potesse essere visto. Poi, qualche anno fa, per una di quella "congiunture astrali" che si verificano
raramente nella storia, per volontà della famiglia Patrizi, nuova proprietaria dei terreni sui quali insiste l'area
archeologica, si è riusciti a mettere insieme una serie di enti e si è potuto dare inizio agli scavi. Sinergie positive
tra comune di Orvieto, Comunità Montana, Enel, Fondazione Cassa di Risparmio, Centro Studi, Museo Faina,
Parco del Tevere, Provincia di Terni, Regione dell'Umbria e, naturalmente, la Soprintendenza, motore
dell'operazione, hanno dato il via alle successive campagne. Portando alla luce, man mano, un tesoro
archeologico immenso. Con la novità di oggi del ritrovamento di 23 monete di bronzo e una d'argento che
permettono di datare con assoluta precisione il periodo storico nel quale erano in uso e durante il quale erano
oggetto di scambio all'interno del porto. Ieri, alla presentazione dei risultati, che hanno permesso di portare alla
luce anche un quinto molo di attracco e un' ulteriore canaletta per lo scolo dell'acqua lunga una trentina di
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metri, è stata festa per tutti. Per la soprintendente Ponzi Bonomi, per l'assessore Enrico Petrangeli, per il
direttore del centro studi Stefano Telamoni, soprattutto per un'emozionatissima Patrizia Patrizi, padrona di casa
e "affascinata da quanto sta accadendo sui suoi terreni". Ed ora, si va alla ricerca dell'edificio sacro di cui parla
l'archeologo orvietano Riccardo Mancini che nel luogo scavò sul finire del 1889 fino al 1990.
Fonte: ilmessaggero.caltanet.it
del 2 ottobre 2003
Prato. Dagli scavi affiora la città medioevale
07 Novembre 2003
Prato - Torna alla luce la Prato medievale accanto a Palazzo Banci-Buonamici, sede della Provincia dove sono in
corso restauri. Durante gli scavi, condotti nelle ultime tre settimane dalla sezione di archeologia medievale del
dipartimento di studi storici e geografici dell' Università di Firenze, sono affiorati il basamento in malta e sassi di
una torre del XIII secolo e un altro edificio che conserva tracce di decorazioni, risalente alla seconda metà del
'300. Si tratta delle strutture di piu' elevata qualità edilizia scoperte finora della Prato medievale e, vantaggio
per gli storici, i resti sono in perfetto stato di conservazione. I ritrovamenti sono stati fatti nell' attuale giardino
di palazzo Banci-Buonamici. La torre, rettangolare e poderosa, sottolineava con la sua altezza il potere della
famiglia che vi abitava, i Guazzaloti, e insieme all' altro edificio di cui ci sono tracce, forse un castello,
costituisce il nucleo originario di Borgo al Cornio e di tutta la Prato medievale. Gli scavi hanno messo in luce
anche successive costruzioni, con ripetute fasi di demolizione, che si alternano fino al '500, epoca in cui fu
realizzato il giardino. Visibile e' infatti anche il basamento allora costruito della vasca che decorava lo spazio
verde del palazzo.
Fonte: Kataweb.it
del 2 ottobre 2003
Nuovo strumento in laguna, l'ecosonda
08 Novembre 2003
Oggetti sepolti non identificati affondano nel sottosuolo della laguna. A pochi metri di profondità, "ufo" sotterrati
lanciano segnali, si lasciano intravedere, compaiono in forme enigmatiche sugli schermi di scienziati che li
inseguono e li osservano a bordo di speciali imbarcazioni. Il particolare strumento per captare la presenza e la
forma di ciò che la laguna attuale ha cancellato e sprofondato entro il proprio grembo secoli e millenni fa, non è
nient'altro che un'ecosonda, una macchina che calata in acqua invia onde acustiche, ultrasuoni che si
propagano per qualche metro nel sottosuolo, ritornando poi riflessi come un'eco allo stesso strumento quando
incontrano qualcosa di diverso, di più duro della sostanza melmosa nella quale i frammenti del passato
riposano.
Le anomalie tracciate dal pennino sui rotoli che registrano le onde acustiche riflesse e i diversi colori sullo
schermo del computer hanno forme banali e misteriose, paiono segni incompiuti, graffi lasciati dal caso. Sono
profili emanati dalla superficie della struttura o dell'oggetto sepolto colpito dagli ultrasuoni. Al Cnr di Venezia, in
collaborazione con l'Istituto di acustica del Cnr di Roma, si decifrano e si interpretano le immagini acustiche che
ritornano dallo strato più superficiale del fondale, dai primi cinque-sette metri di melma e sedimento, il più
interessante, quello che conserva ancora l'antica morfologia lagunare, e che nasconde verosimilmente ancora
chissà quanti tesori archeologici. «Ecco - mostra la ricercatrice Silvia Cavazzoni, pioniera di questa nuova
frontiera acustica applicata al sondaggio dei fondali della laguna - questa linea convessa, per esempio, potrebbe
essere la chiglia capovolta di un'imbarcazione. Queste linee a "u", invece, sono certamente residuo di
paleoalvei, gli antichi canali che numerosi istoriavano una laguna che non conosceva i fondali appiattiti d'oggi».
«Solo da pochi anni - dice Silvia Cavazzoni - ci siamo resi conto che molte strutture archeologiche sommerse al
di sotto dei bassi fondali, e in parte già localizzate dallo studioso di archeologia lagunare Ernesto Canal,
potevano essere rilevate con uno strumento del Cnr mai utilizzato per questo scopo». La laguna di Venezia da
allora comincia a parlare un linguaggio nuovo, quello dei profili acustici e delle prospezioni sonore. E trovare la
grammatica sonora adatta, l'onda acustica in grado di farsi rispondere e di interrogare ciò che solo difficoltosi
scavi subacquei potrebbero rivelare, è stato semplice quanto l'uovo di Colombo: «Si riteneva che l'ecosonda continua la studiosa del Cnr - si potesse utilizzare con profitto solo per le grandi profondità o, al contrario, per
la lettura superficiale dei fondali. Lo strato di sottosuolo più ricco di testimonianze archeologiche e di antichi
alvei dei canali presso cui giacevano gli scomparsi insediamenti sembrava insondabile. Ma è bastato
semplicemente trovare la lunghezza e la frequenza d'onda adatta (30 Khz) perché anche quel primo strato,
muto fino a ieri, rispondesse puntualmente ai segnali».
Con questo nuovo metodo d'indagine si potranno mappare estese superfici di laguna, riservando l'intervento del
geologo e dell'archeologo a una fase successiva. Il carotaggio, con prelievo del terreno in profondità, o lo scavo
subacqueo vero e proprio a quel punto forniranno la reale entità della scoperta. Fino a oggi strumentazione e
metodo sono stati testati e messi a punto in zone della laguna che già si conoscono particolarmente ricche di
strutture sepolte. Alle operazioni preliminari hanno diversamente partecipato anche il Magistrato alle acque, il
Consorzio Venezia nuova, l'Università di Venezia e la Soprintendenza archeologica.
Fonte: gazzettino.it
del 5 ottobre 2003
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News di Novembre 2003
Il Long Man è una realizzazione del XVI secolo?
09 Novembre 2003
Le origini del geoglifo antropomorfo posto su una collina inglese a Wilmington, chiamato "Long Man", ha stupito
storici e archeologi per generazioni.
Realizzata su un erto pendio del South Downs, nel Sussex, l'imponente figura è stata sempre considerata come
l'immagine di un guerriero anglosassone, una follia romana oppure un simbolo della fertilità dell'Età del Ferro.
Questa visione potrebbe cambiare radicalmente. Secondo un team di ricercatori guidati dal prof. Martin Bell, un
archeologo ambientale dell'Università di Reading., il Long Man potrebbe essere un'opera relativamente recente.
Test eseguiti la scorsa estate hanno prodotto prove convincenti che la figura risale alla metà del XVI sec.
Risultati che hanno sorpreso gli esperti e gettano dubbi sull'età di altre supposte sculture preistoriche,
compreso il gigante di Cerne Abbas nel Dorset. Alto 226 piedi, il Long Man di Wilmington è uno dei geoglifi più
grandi del mondo. Domina le colline erbose del villaggio di Wilmington vicino a Eastbourne, e pare sostenere
dei bastoni in entrambe le mani.
Sebbene la più antica documentazione su questa figura fosse del 1710, molti studiosi hanno ipotizzato essere
già presente quando i Romani invasero l'Inghilterra. "Non mi aspettavo affatto questo risultato", ha detto il
prof. Bell al Daily Telegraph ieri. "Pensavo che il Long Man fosse davvero più antico".
Le conclusioni del Prof Bell giungono dall'analisi dei frammenti di creta scivolati dal pendio durante le ultime
centinaia d'anni. Bell sostiene che questi frammenti possano provenire dal Long Man appena scolpito.
Fonte: Heramagazine.net
del 7 ottobre 2003
Importante ritrovamento per la storia romana dell’Umbria Sud
10 Novembre 2003
Frecce potenziate con veleno di serpente, bombe di scorpioni, fuochi accesi per intossicare i civili, impestati
mandati a bussare alle porte di città nemiche: sono questi i primordi delle tanto famigerate armi chimiche,
secondo la studiosa americana Adrienne Mayor. Lo spiega nel suo nuovo libro "Greek Fire, Poison Arrows and
Scorpion Bombs: Biological and Chemical Warfare in the Ancient World", dove traccia le origini e la storia della
guerra e, in particolare, dell'uso di armi chimiche e biologiche.
Tra storia e mito. La ricostruzione storica si incrocia con il mito e in particolare con una delle sette fatiche di
Ercole, quella che consisteva nell'uccidere Idra di Lerna, terribile serpente a nove teste, di cui una immortale.
Una volta ucciso il mostro, Ercole avrebbe intinto le punte delle sue frecce nel veleno contenuto nella testa
immortale di Idra: in questo modo dal suo arco partivano armi in grado di infliggere ferite inguaribili. Ad
avvalorare ulteriormente la tesi della Mayor sarebbe l'etimologia della parola "tossico" che non deriverebbe dal
termine greco toxicòn (veleno), ma da toxon (freccia), a memoria delle inesorabili frecce erculee. Lotta senza
frontiere. Sull'opportunità di usare questo genere di armi così poco ortodosse anche gli antichi avevano qualche
remora e relegavano questi mezzi a "ultima spiaggia" prima della capitolazione.
Fonte: Focus.it
del 9 ottobre 2003
Armi chimiche? Niente di nuovo
10 Novembre 2003
FOLIGNO - Furono ritrovate tutte insieme durante la campagna di scavo effettuata a Piazza Risorgimento dalla
primavera all’autunno del 1998. Un vero e proprio tesoretto composto di ben 3.039 monete romane in lega
d’argento di epoca repubblicana. Erano ammucchiate ai bordi di una strada che taglia diagonalmente la piazza
moderna, nascosti probabilmente dentro un sacchetto andato perduto. Circostanza che fece pensare alla
direttrice dei lavori Maria Romana Picuti che il tesoretto fosse stato abbandonato in quel posto da una persona
in fuga. Ma al di là della sua importanza archeologica - fa notare Matelda Albanesi una delle archeologhe che
parteciparono agli scavi - il ritrovamento ha anche una grande valenza a conforto degli storici. La strada posta
ai lati di una necropoli con tombe di epoca più tarda rispetto alle monete (come quelle della vicina S. Maria in
Campis) si rivela per ipotesi essere un diverticolo della Flaminia che passava più ad est e che la zona fosse già
frequentata in età repubblicana.
Fonte: ilmessaggero.caltanet.it
del 6 ottobre 2003
Scoperta in Iran civiltà di 5000 anni
11 Novembre 2003
In una valle perduta nel sud-est dell'Iran, vicino a Kerman, e' emersa quasi per caso una civilta' brillante e
originale, vecchia di oltre cinquemila anni, che rivoluziona le origini della civilta' medio-orientale finora attribuita
dagli archeologi alla mesopotamia.
Culla di questa finora sconosciuta civilta' che esisteva gia' quando la storia appena cominciava a Sumer, e' la
regione di Jiroft, una conca circondata da tre lati da montagne culminanti a oltre quattromila metri che si apre a
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sud-ovest verso lo stretto di Hormutz, sul Golfo Persico. Una regione semidesertica, zona agricola dove si
produce in abbondanza frutti, legumi, datteri, che si pensava fosse abitata nell'antichita' solo da nomadi.
Nessun testo conosciuto menziona l'esistenza di questa regione, sulla cosiddetta ''strada dei lapislazzuli'' che
dall'Afghanistan arrivavano in Egitto, ne' i suoi abitanti, quasi certamente originari dell'Asia centrale. La storia
del ritrovamento ha del sensazionale, come hanno spiegato a Parigi l'archeologo franco-iraniano Youssef
Madjidzadeh e Jean Perrot, specialista dell'Iran antico, che scopri' la statua di Dario. ''Quando nel 2002, nel
cortile della prigione di Kerman, mi mostrarono centinaia di oggetti provenienti da scavi selvaggi e sequestrati
dalle dogane, poco ci manco' che mi sentissi male'', racconta l'archeologo. I reperti di eccezionale importanza
erano venuti alla luce a Jiroft, durante una gigantesca operazione di scavi clandestini alla quale hanno
partecipato migliaia di persone. Fu uno degli abitanti, nel 2001, a scoprire dopo un'inondazione dovuta allo
straripamento del fiume Halil Roud, in una tomba sventrata dal passaggio dell'acqua, alcuni vasi in clorite.
''Migliaia di persone saccheggiarono per mesi il sito, dall'alba al tramonto'', dice l'archeologo, ''ogni famiglia
aveva a disposizione un quadrato di sei metri per sei, anche le vedove. Furono riportati alla luce migliaia di
oggetti, soprattutto dalle tombe dei cimiteri, e in quel periodo le sale d'asta dei paesi europei, americani e
asiatici furono invase da un'improvviso afflusso di antichita' medio-orientali senza che se ne capisse la
provenienza''. Solo all'inizio del 2002 le autorita' iraniane reagirono, arrestando i contrabbandieri e i funzionari
locali complici, sequestrando oltre duemila straordinari reperti. Secondo un primo inventario pubblicato nel
numero di ottobre della rivista 'Dossiers d'archeologie', si tratta di oggetti in lapislazzuli, statuette in rame, vasi
a tronco conico e bordo svasato, coppe, tazze in clorite con decorazioni in rilievo, incrostati a volte di turchesi e
altre pietre semipreziose, raffiguranti zebu', capre, citta' fortificate, strane teste di donna, serpenti in lotta con
aquile, ibridi di uomini e leoni, tori e scorpioni. Di che tracciare un quadro piuttosto preciso della situazione
ambientale di allora- simile per clima, flora e fauna a quella di oggi- e dell'immaginario di questa civilta' del
terzo millennio a.C. La prima campagna ufficiale di scavi si e' svolta all'inizio di quest'anno- mentre in Iraq la
Mesopotamia veniva saccheggiata- e ha permesso all'archeologo franco-iraniano e ai suoi collaboratori di
scoprire centinaia di siti a sud di Jiroft, su un settore di 400 km su 300. Tra i piu' interessanti, i resti di una
citta' che si estende su oltre cento ettari, circondata da mura in terra secca di nove e 14 metri di spessore. Ma
per portare alla luce tutto quello che la zona ancora racchiude, ci vorranno decine di anni, secondo gli esperti.
Fonte: Culturalweb.it
del 6 ottobre 2003
Ritrovato busto di un'atleta di 2000 anni fa
12 Novembre 2003
Il reperto, in marmo, di ottima fattura, secondo le prime ipotesi sarebbe la copia di un originale del IV secolo
a.C: e appartiene a una delle statue che arricchivano le nicchie latarali del portico della Villa d'Augusto.
L'eccezionale scoperta, a pochi giorni dal ritrovamento della "peplofora" è stata fatta a Somma Vesuviana dalla
missione archeologica giapponese.
Manca della testa e delle braccia e ha le gambe spezzate poco sopra le ginocchia, il busto di quella che potrebbe
essere la raffigurazione in marmo di un atleta di duemila e passa anni fa. Il frammento è stato intercettato dagli
archeologi della missione scientifica giapponese, che coordinata dal professor Masanori Aoyagi (è docente
Ordinario di Archeologia, Preside della facoltà di Lettere, ex Rettore dell'Ateneo tokiota e capo del Comitato
Culturale dell'Unesco per il Giappone) dell'Università di Tokio e su concessione della Soprintendenza
Archeologica di Napoli, da circa un mese ha affrontato la seconda campagna di scavi per riportare alla luce una
grandiosa villa del I secolo a.C.. La fabbrica, che secondo le prospezioni effettuate con i georadar si estende su
una superficie di migliaia di metri quadrati, fu stimata da Matteo Della Corte, inventore dell'Epigrafia
pompeiana, come la villa dove morì l'imperatore Augusto nel 14 d.C.. La statua era nascosta sotto un cumulo di
terreno e quasi al centro dell'area che si estende all'interno del maestoso portico. Quasi certamente, secondo gli
specialisti, il marmo sarebbe stato sbalzato dalla nicchia che l'ospitava, a cinque metri d'altezza, dalle violenti
scosse di un terremoto d'origine vulcanica. Il sisma, precursore dell'eruzione di Pollena, datata alla seconda
metà del IV secolo d.C., avrebbe sconvolto l'intera struttura, sotterrata, poi, dalle ceneri espulse dal Vesuvio
durante quell'evento eruttivo. La villa, difatti, pur rimanendo colpita e semisepolta da lapili, ceneri e pomici
dell'eruzione del 79 d.C., a detta degli scienziati, era stata prontamente ripulita e recuperata dai crolli.
Venendo, poi, coperta, parzialmente, durante l'eruzione di Pollena e, interamente - come suggerisce Aoyagi nel corso di quelle medioevali. Lo scavo è frutto di una cooperazione interdisciplinare tra scienziati nipponici
super specialisti e che utilizzano strumentazioni scientifiche all'avanguardia per lo studio di discipline quali
Biologia antica, Archeologia, Sismologia, Vulcanologia, Architetura antica. Le ulteriori indagini delle prossime
settimane, secondo gli addetti ai lavori, potrebbero permettere il recupero delle parti mancanti della statua, che
in tal modo sarebbe ricostruita e fornirenne preziose indicazioni sulla sua provenienza e sulla maestria della
bottega artigiana che la produsse.
Fonte: Culturalweb.it
del 10 ottobre 2003
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News di Novembre 2003
Alla luce terrecotte di 2.300 anni addietro
13 Novembre 2003
AMELIA - Il periodo risale sicuramente al 4°-3° secolo avanti Cristo. Per tre terrecotte architettoniche,
dimensioni 70x50, a motivi vegetali e spirali. Tre lastre di terracotta che sono state rinvenute nei giorni scorsi
ad Amelia, durante gli scavi per costruire la seconda parte dell’oratorio, teatro e campo da calcetto, di proprietà
della Curia Vescovile in via Nocicchia. “L’importanza del rinvenimento”dice l’archeologa M.Paola De Iulianis “sta
nel fatto che finora in zona si erano trovati solo frammenti di questo tipo, come risulta dai reperti visibili presso
il Museo Archeologico di Amelia. Questa volta invece le terrecotte sono intere”. Le hanno trovate appoggiate al
contrario, ma dagli ovuli del contorno si è subito intuito che si trattava di qualcosa di particolare. Del resto la
zona non è nuova a questo genere di scoperte. Negli ani ’20 si fecero degli scavi che portarono al ritrovamento
di colonne che oggi si trovano, come afferma il Mancini, al Museo delle Terme di Roma. E a un centinaio di
metri nei pressi dell’attuale oratorio, giaceva il signore di tutti i reperti, il famoso Germanico.
Il bronzeo principe guerriero che, rinvenuto negli anni ’60, oggi fa bella mostra di sé, costituendone
sicuramente il pezzo di maggior pregio, al Museo Archeologico di Amelia. Chissà, forse anche queste belle
terrecotte istoriate potrebbero rivelarci un altro pezzo di storia dell’antica città di Amelia. Forse in loco poteva
esserci un tempio? Magari di quel travertino tipico della zona di Amelia, chiamato arsone? “Non abbiamo ancora
elementi sufficienti per poterlo affermare o escludere” dice la De Iulianis.
Fonte: ilmessaggero.caltanet.it
del 6 ottobre 2003
Disegni sulle mura del palazzo, inquisizione a Palermo
13 Novembre 2003
Navi e segni a forma di croce, risalgono forse all'eta' normanna navi, profili di scafi, motivi triangolari e segni a
forma di croce.
Sono disegni visibili lungo le mura antiche dello Steri, il palazzo del'Inquisizione, ora sede del Rettorato di
Palermo, sia all'interno dell'edificio che nelle aree esterne immediatamente limitrofe alla struttura. La scoperta
e' stata fatta da un gruppo di progettazione dell' universita' di Palermo, formata da archeologi coordinati dall'
ingegner Catalano. In particolare le indagini archeologiche, ancora in corso, sono concentrate all' interno di una
delle celle che costituiscono l'antico edificio carcerario seicentesco. Qui, dove si e' raggiunto una profondita' di
sette metri rispetto all'attuale piano di calpestio, sono stati messe in evidenza diverse fasi edilizie. Al secolo
XVII appartengono i muri e le unita' stratigrafiche che hanno determinato l'attuale configurazione architettonica
dell'ambiente, e che si sovrappongono a due preesistenze murarie. Quel che interessa e' in realta' un muro di
fase edilizia piu' antica sul lato orientale esterno della struttura. Nella parte inferiore della struttura muraria
sono stati ritrovati una serie di disegni fittamente tracciati sull' intonaco. A una prima osservazione e' stato
possibile identificare due cicli. Il primo e' costituito da una serie di motivi circolari racchiudenti segni a forma di
croce. Il secondo, piu' calligrafico, consiste in motivi variamente articolati. L' eccezionalita' del ritrovamento
richiede piu' ampie e approfondite indagini che, oltre a analizzare l' ampio repertorio figurativo, dovranno
chiarire la pertinenza e la tipologia della struttura e la cronologia. Dalle prime analisi la struttura potrebbe
datarsi entro l' eta' normanna.
Fonte: Culturalweb.it
dell'8 ottobre 2003
In luce un migliaio di frammenti del I secolo
14 Novembre 2003
Si è conclusa a Villadose, in località Ca'Motte, la seconda campagna di scavi archeologici di una villa urbanorustica della prima età imperiale. Gli scavi sono stati affidati in concessione al Dipartimento di discipline
storiche, artistiche e geografiche dell'Università degli studi di Verona, diretti da Roberto Bernardi, sotto la
direzione scientifica di Giuliana Maria Facchini, professore associato di Archeologia e Storia dell'arte greca e
romana presso la stessa Università. "La prima campagna di scavi, condotta nel settembre dello scorso anno su
un'estensione di 300 mq, - afferma Facchini - aveva già dato risultati di notevole interesse, fornendo una serie
di informazioni, sia per quanto riguarda lo studio sui rapporti della struttura con la centuriazione, sia sulla
situazione economica del sito, che doveva far parte dell'agro spettante al municipium di Adria".
L'indagine condotta nel 2003, ha esteso lo scavo, portando alla luce un intero settore della villa rustica. "Fra i
materiali recuperati durante lo scavo, che ammontano a circa un migliaio di frammenti - rendono noto gli
archeologi - distinguiamo ceramica fine da mensa, costituita da coppe di terra sigillata norditalica, con
decorazione a rilievo (Sanusschalen), patere e coppette in terra sigillata liscia, di produzione centroitalica e
norditalica con numerosi bolli, coppette a pareti sottili, a pasta grigia; vasellame di uso comune acromo; non
mancano altri reperti di straordinario interesse come, ad esempio, coppe in vetro, strumenti in bronzo fra cui
uno stilo ottimamente conservato e monete. Nel complesso, tutto il materiale che è già stato inventariato,
disegnato, fotografato ed in parte classificato, si inquadra cronologicamente dall'età augustea a tutto il I secolo
d.C. Allo scavo hanno preso parte una quarantina di studenti, laureandi, laureati dell'Università di Verona,
specializzandi in Archeologia e collaboratori (architetti, rilevatori e restauratori) inseriti nel gruppo di ricerca,
oltre a qualche socio del Gruppo Archeologico di Villadose.
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News di Novembre 2003
Fonte: gazzettino.it
dell'8 ottobre 2003
Bibbia, ecco le prove del tunnel di Ezechia
15 Novembre 2003
Stavolta si può dire: la Bibbia aveva ragione. Almeno in un caso. A dimostrarlo è infatti la datazione di un
celebre acquedotto di Gerusalemme, il tunnel di Siloe, che sarebbe davvero opera di re Ezechia, alla fine
dell'ottavo secolo avanti l'era cristiana, più o meno intorno all'anno 701, cioè ventisette secoli fa. Dopo decenni
di smentite, finalmente Werner Keller - che scrisse un libro, tanto fortunato quanto infondato, per dimostrare
come l'archeologia confermasse i racconti biblici in tutti i dettagli - sarebbe contento.
E più di lui esulterebbe William Foxwell Albright, vero iniziatore dell'archeologia biblica contemporanea negli
anni Venti e Trenta del Novecento. La sua opera fu infatti meritevole ma i suoi risultati sono stati in gran parte
superati dalla ricerca, come hanno sintetizzato Israel Finkelstein e Neil Asher Silberman nel volume Le tracce di
Mosè (Carocci), peraltro piuttosto conservatore rispetto ad altri studiosi.
Di che si tratta? Lo scorso 11 settembre sulla rivista "Nature" tre scienziati - gli israeliani Amos Frumkin e Aryeh
Shimron e il britannico Jeff Rosenbaum - hanno sintetizzato i risultati di una fortunata ricerca geologica che ha
messo la parola fine a un dibattito che negli ultimi decenni aveva diviso epigrafisti, paleografi e storici sulla
datazione di un'importante iscrizione, ora conservata a Istanbul. E la loro datazione conferma esattamente i
racconti biblici.
Ma andiamo con ordine. Gerusalemme, 1880: un ragazzo si tuffa nelle acque della sorgente del Ghihon e fa una
clamorosa scoperta. Viene infatti alla luce un'iscrizione che descrive un'opera idraulica eccezionale, così
trascritta da Manfred Clauss nel recente Israele nell'età antica (il Mulino): "La perforazione è stata compiuta e
così andarono le cose: mentre gli scavatori brandivano i picconi, l'uno contro l'altro, e mentre rimanevano
ancora tre cubiti (circa un metro e mezzo) da perforare, si udì la voce di uno che chiamava il suo compagno,
perché c'era un foro nella roccia dal lato destro a quello sinistro. E nel giorno della perforazione gli scavatori
batterono l'uno verso l'altro, piccone contro piccone. E l'acqua scorse dalla sorgente fino al serbatoio per 1.200
cubiti (553 metri); e l'altezza della roccia sopra alla testa degli scavatori era di cento cubiti (46 metri)".
La galleria - lunga mezzo chilometro e tuttora percorribile - portava l'acqua dalla sorgente del Ghihon alla
piscina di Siloe, e venne realizzata secondo la Bibbia (2 Re, 20, 20; 2 Cronache, 32, 1-4; Isaia, 22, 9; Siracide,
48, 17) in previsione di un assedio assiro da re Ezechia. Ma vi sono altri sei condotti che attingevano alle stesse
sorgenti, mentre il nome del sovrano non compare nell'iscrizione. Così gli specialisti discutevano se iscrizione e
manufatto risalissero davvero all'ottavo secolo o se non fossero molto più tardi, addirittura del secondo secolo
avanti l'era cristiana. A questo punto entrano in scena i tre geologi, che in mancanza di altri indizi hanno
prelevato una quindicina di campioni dai rivestimenti delle pareti del tunnel. Sono stati così identificati
frammenti di legno e di piante che, grazie alla radiometria, sono stati datati con ragionevole certezza intorno
alla fine dell'ottavo secolo. Insomma il nome manca, ma l'acquedotto è quello di Ezechia, il sovrano che resisté
all'assedio assiro, anche se poi fu costretto a pesanti tributi.
Fonte: avvenire.it
del 9 ottobre 2003
Datare antiche ceramiche
16 Novembre 2003
Alcuni scienziati dell'Università di Bristol, in Gran Bretagna, hanno sviluppato il primo metodo per datare
chimicamente antiche ceramiche e terrecotte esaminando direttamente i grassi animali preservati all'interno dei
vasi e dei recipienti. Il nuovo metodo potrebbe permettere di mettere fine alle dispute che da sempre
circondano lo studio degli oggetti antichi.
Da sempre gli archeologi datano i siti dall'aspetto dei frammenti di vasellame che vi si trovano nei pressi. La
nuova tecnica analitica consentirà di determinare in modo più preciso l'età delle ceramiche e delle terrecotte e,
per estensione, quella degli artefatti e dei siti associati. I dettagli sono stati presentati in un articolo pubblicato
sul numero del 30 settembre della rivista "Analytical Chemistry".
Il chimico Richard Evershed e colleghi avevano esaminato in passato i residui organici contenuti in vasellame
rinvenuto in siti del neolitico, dell'era del bronzo e del ferro. Durante l'analisi, si sono resi conto che i lipidi, o
grassi animali, assorbiti dalle pareti del materiale erano stati preservati in quantità sufficiente per essere datati
con metodi al radiocarbonio. I ricercatori hanno allora analizzato 15 diversi reperti, per lo più vasi e ciotole da
cucina, la cui età variava dal 4000 avanti Cristo al quindicesimo secolo dopo Cristo. Dopo aver assegnato ai
reperti una data con il nuovo metodo, hanno confrontato i risultati con le date storiche verificate in precedenza
tramite artefatti organici (legno od ossa) rinvenuti nei siti. In tutti i casi, i risultati sono risultati in buon accordo
con le date storiche.
Fonte: Le Scienze
del 24 ottobre 2003
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News di Novembre 2003
Trovato a Ostuni uno scheletro di 13.000 anni fa
16 Novembre 2003
OSTUNI - E' stato trovato nel territorio di Ostuni uno scheletro di 13.000 anni fa, durante l'ultima campagna di
scavi nel Parco Archeologico di Santa Maria di Agnano. La scoperta e' stata fatta dal direttore scientifico del
Museo di civilta' preclassiche della Murgia Meridionale,prof.Coppola, lo stesso che nel '91 scopri' lo scheletro di
'Delia', la donna del Paleolitico (24.410 anni fa) morta a pochi giorni dal parto e con in grembo il feto. Il
ritrovamento sara'presentato ufficialmente con diapositive venerdi' a Ostuni.
Fonte: Yahoo! News
del 15 ottobre 2003
Eccezionali scoperte nel fiume Sarca ad Arco del Trentino
17 Novembre 2003
Lo rende noto la Provincia di Trento precisando che il Comune di Arco intende realizzare un ''Antiquarium''
sotterraneo destinato a conservare e mostrare al pubblico gli importanti reperti romani venuti alla luce in questi
anni.
Tre coperchi di sarcofago e una stele funeraria appartenenti ad una necropoli monumentale di eta' romana sono
stati rinvenuti sul greto del torrente Sarca ad Arco, in Trentino, nel corso di lavori di sistemazione dell' alveo. Lo
rende noto la Provincia di Trento precisando che il Comune di Arco intende realizzare un ''Antiquarium''
sotterraneo destinato a conservare e mostrare al pubblico gli importanti reperti romani venuti alla luce in questi
anni. Come informano gli esperti, numerosi sono stati i recuperi di manufatti analoghi in quest' area, a partire
dal 1872, ma l' ultimo rinvenimento, effettuato martedi' scorso, risulta senz' altro uno dei piu' significativi per
quantita' e qualita' dei reperti. Ci sono in particolare tre coperchi di sarcofago, uno dei quali di dimensioni
notevoli (circa 2 metri mezzo di lunghezza), del tipo con tettuccio a doppio spiovente ed acroteri laterali.
Sepolture di questo tipo - precisano gli esperti - senz' altro destinate a persone di un certo rango, sono
caratteristiche delle aree cimiteriali a partire dal III secolo dopo Cristo. Straordinaria e' anche la scoperta di una
stele funeraria, alta circa 90 centimetri e pressoche' integra, offerta da due donne, rispettivamente moglie e
figlia, in ricordo del padre e marito. Questi rinvenimenti, insieme agli altri effettuati in precedenza, ancora di
piu' secondo gli archeologi ribadiscono l' ipotesi dell' esistenza ad Arco in eta' romana di una importante
necropoli monumentale, probabilmente distrutta e trascinata a valle in epoca antica in occasione di una violenta
esondazione del fiume Sarca.
Fonte: Culturalweb.it
del 11 ottobre 2003
Scavi conclusi, gli spagnoli studieranno il mosaico scoperto
17 Novembre 2003
I resti di una fontana in marmo che "annunciava" l'ingresso nel Teatro Greco a Villa Adriana, alcuni frammenti
ossei e tanti altri reperti che raccontano come appariva agli aspiti dell'imperatore la sua residenza tiburtina. E'
quanto è emerso dalla campagna di scavi appena conclusa nella zona nell'area archeologica di Villa Adriana. Lo
studio, organizzato dalla Soprintendenza in collaborazione con i colleghi spagnoli dovrà ricostruire come in un
mosaico di testimonianze una delle parti più "misteriose" della residenza imperiale tiburtina, quella appunto
dell'anfiteatro posizionato a destra dall'entrata, che ora appare appartato dal resto del complesso. E sempre in
Villa Adriana riscuote grande successo di pubblico la mostra "Donne e potere, moda costume e bellezza nei
ritratti di Villa Adriana". E' un viaggio attraverso il tempo nel fascino, si può visitare nello spazio allestito nella
Palazzina Triboletti di Villa Adriana.
Fonte: ilmessaggero.caltanet.it
del 11 ottobre 2003
Grazie a un'iscrizione scoperto un fortino romano
18 Novembre 2003
Londra - Un fortino fino ad ora sconosciuto del Vallo di Adriano è stato scoperto dagli archeologi britannici, che
sono andati a cercarlo seguendo l'iscrizione in latino sul bordo di una piccola coppa di bronzo del secondo secolo
d.C., rinvenuta casualmente nella campagna dello Staffordshire (Inghilterra centro-settentrionale).
L'insolita vicenda risale al mese scorso, ed è stata raccontata dall'archeologo inglese Roger Wilson,
dell'Università di Nottingham, a margine della 14ma Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico in corso
di svolgimento al MART di Rovereto. Sul bordo esterno della coppa romana erano incisi, in sequenza, i nomi di
quattro fortini dell'estremità occidentale del Vallo di Adriano, la muraglia costruita sotto l'imperatore Adriano
per tutta la larghezza dell'isola alla frontiera fra le attuali Inghilterra e Scozia per impedire le scorrerie dei
barbari Scoti verso le città dell'Anglia colonizzata dai Romani (è tutt'ora il monumento archeologico nazionale di
cui i britannici sono più fieri). I nomi nitidamente leggibili sulla coppa sono Mais (l'attuale cittadina di Bowness),
Coggabata (Drumburgh), Uxelodunum (Stanwix) e Cammoglanna (Castlesteads). Il problema - racconta Wilson
- era che del fortino di Coggabata nessuno aveva mai sentito parlare, nè erano state trovate tracce di
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News di Novembre 2003
fortificazioni atte ad ospitare guarnigioni fra Mais (la fortezza terminale del Vallo, sulla costa occidentale) e
Uxelodunum, in fortino successivo verso est.
Eppure la sequenza scritta sulla coppa era chiarissima, così come lo è sul bordo di altre due coppe di bronzo
rinvenute altrove (una in Inghilterra e l'altra in Francia) in ville di magistrati romani, con analoghe decorazioni
smaltate in stile britannico-romano, contenenti i nomi di fortini già identificati lungo il Vallo di Adriano. Non
restava, allora, che andare a cercare i ruderi di quel fortino ignoto, nel tratto della muraglia compresa fra le due
fortezze già note. E gli archeologi britannici lo hanno trovato e identificato perfettamente, in località
Drumburgh.
Sul bordo esterno della coppa figura anche il nome di un personaggio di cui non sappiamo niente: un certo
Aelius Draco. E' legittimo supporre, secondo Wilson, che - analogamente alle altre due coppe citate con i nomi
di castelli del Vallo di Adriano - Aelius Dracus fosse il primo proprietario del reperto, probabilmente un ufficiale
romano che aveva prestato servizio in quei fortini, e che si era portato dietro una coppa per ricordo a fine
servizio. All'interno della coppa sono infatti incisi i nomi di altri personaggi, dei quali pure non sappiamo niente,
ma che - secondo l'ipotesi illustrata da Wilson - erano molto probabilmente i comandanti di quei fortini.
E' stato rocambolesco il ritrovamento della coppa: è tutto merito del venditore di una ditta produttrice di metaldetector, il quale ha effettuato casualmente sul terreno in quel punto della campagna una prova dimostrativa
dello strumento. La piccola coppa si trovava a una trentina di centimetri di profondità, e lo strumento,
evidentemente, ha funzionato bene. Oltre ai nomi di persone e di fortini, il reperto presenta suggestive
decorazioni smaltate di colore rosso, bianco e azzurro, con motivi celtici britannici precedenti l'arrivo dei
Romani.
Fonte: Culturalweb.it
del 10 ottobre 2003
Tivoli, in centro spunta la necropoli
19 Novembre 2003
Una necropoli al centro della città. In piazza Rivarola a Tivoli, durante i lavori di scavo dell'Acea sono state
rivenute decine di ossa e di crani risalenti al Medioevo. Il cantiere è stato bloccato dalla Soprintendenza
archeologica, rischiando così di allungarsi i tempi degli interventi di riqualificazione delle condutture sotterranee
e di ripristino del manto stradale in corso nell'area storica.
E' il secondo ritrovamento di reperti umani nella zona: una settimana fa il cranio ed il busto molto
probabilmente appartenuti ad una donna erano spuntati a pochi metri di distanza, in via San Valerio, ed i lavori,
dopo uno stop di qualche giorno, sono stati riattivati. Ieri mattina ad assistere alle operazioni di scavo c'erano
decine di curiosi e gli archologi della cooperativa che sta seguendo gli interventi della messa in opera delle
condutture dell'Acea. Nella sezione portata alla luce le ossa umane appaiono posizionate in maniera stratificata
su un muro. Per gli studiosi non ci sono dubbi: era un cimitero dei poveri, forse una fossa comune dove
venivano sepolti i cadaveri appena fuori la chiesa di San Valerio, l'edificio di culto costruito nel Medioevo e
distrutto nel 1700. "Era intuibile che nel sottosuolo di piazza Rivarola ci fosse una sorta di necropoli- spiega
Franco Sciarretta, studioso storico tiburtino ed autore di decine di pubblicazioni sulla città - mentre i nobili
venivano sepolti in chiesa per i poveri non c'era scelta: finivano nei cimiteri allestiti appena fuori. La chiesa di
San Valerio era una delle più antiche della città, uno dei primi luoghi di culto a Tivoli". Sull'importanza del
ritrovamento la soprintendenza sta ancora effettuando degli accertamenti, si saprà di più tra qualche giorno.
Nella città d'arte, piena di testimonianze storiche di tutte le epoche, ogni volta che si effettua uno scavo le
sorprese non mancano. Sotto l'attuale piazzale Matteotti c'è una enorme necropoli risalente all'età del ferro, ed
un'altra meno estesa è stata individuata presso la centrale idroelettrica dell'Acquoria.
Ed intanto continuano i disagi per gli abitanti del centro storico di via del Colle e via San Valerio: da 8 mesi
combattono con i cantieri aperti ed improvvisi blocchi dei lavori, che hanno fatto saltare la data prevista della
consegna fissata ad agosto. In occasione della messa in opera dei collettori fognari e della pavimentazione in
sampietrini relativi all'appalto regionale di 200 mila euro, sono state chiamate in causa anche l'Italgas, l'Acea e
l'Enel per l'adeguamento sotterraneo delle utenze. "In via San Valerio- dice Marcello Eletti, direttore dei lavori
insieme a Sergio Lucianetti - tempo permettendo verrà ultimata entro la prssima settimana e per dicembre
verrano chiusi tutti i cantieri: in corso d'opera ci sono stati diversi imprevisti, ora siamo in dirittura d'arrivo".
Fonte: ilmessaggero.caltanet.it
del 11 ottobre 2003
Scoperta archeologica a Colfiorito
20 Novembre 2003
Foligno - Una scoperta archeologica, consistente in una grande camera ancora piena di terriccio, con mura di 16
metri per 16 alte circa due metri, e' stata fatta a Colfiorito di Foligno, nella zona di Monte Castellaro gia' sede di
un plesso preistorico gia' visibile. Al momento i tecnici della soprintendenza subito accorsi ai primi segnali di
ritrovamento del reperto archeologico, non sanno identificare con chiarezza cosa fosse quel locale. "Non
abbiamo alcun elemento per capire, ad oggi - ha detto Laura Bonomi della Soprintendenza archeologica - su
cosa stiamo lavorando; una pieve, un convento?; non sappiamo anche se in passato, la zona ha permesso il
ritrovamento di tombe longobarde". Dopo le scoperte di Annifo (una necropoli venuta alla luce tempo fa) ora a
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News di Novembre 2003
pochi chilometri, questa nuova scoperta sulla quale stanno operando gli esperti della Soprintendenza e gli
operai che comune che dovranno rimuovere la terra e ripulire assieme ai volontari del gruppo archeologico DLF
di Foligno, le mura ritrovate.
Fonte: agi.it
del 14 ottobre 2003
Reperti medievali nei locali della curia vescovile di Savona
20 Novembre 2003
Tutto il materiale ritrovato risale all' epoca medioevale e rinascimentale, ovvero al periodo di maggior splendore
del convento francescano che ospito' Papa Sisto IV.
Il materiale, che e' gia' stato visionato dal funzionario della Sorpintendenza ligure ai beni archeologici
Alessandra Frondoni, deve essere ora catalogato.
''La scoperta non e' stata frutto del caso - spiega l' architetto Giuseppe Martinengo, uno dei progettisti del
nuovo museo diocesano -. Prima di appaltare il progetto esecutivo definitivo dei lavori, dovevamo procedere
alla fase diagnostica per verificare l' eventuale presenza di reperti storici.
Sarebbe stato assurdo partire con i lavori di realizzazione del museo senza aver prima un quadro preciso dell'
esistente''. Particolare curiosita' e' stata suscitata dall' ubicazione del pozzo, che non e' al centro del chiostro
ma sulla diagonale. Della ghiera circolare che chiudeva il pozzo sono stati rinvenuti tre 'conci'. Sulla
pavimentazione e' stata avanzata l' ipotesi che questa possa essere ricondotta ad un' abitazione privata
medioevale: ''Ma e' solo una supposizione þ ha detto Martinengo -. Sara' la Soprintendenza ad elaborare ipotesi
scientificamente attendibili sulla datazione e sulla provenienza dei reperti''.
Fonte: Culturalweb.it
del 13 ottobre 2003
Sardegna, recuperati reperti trafugati al museo di Bagdad
21 Novembre 2003
OLBIA Una serie di reperti che risultano tra quelli trafugati nel museo di Bagdad, sono stati recuperati dai
carabinieri del Nucleo di tutela archeologica e culturale in un bazar gestito da un cittadino libanese a Golfo
Aranci. L'uomo è stato denunciato per commercio illegale e ricettazione di reperti archeologici. Si tratta di 33
tavolette con scrittura cuneiforme risalenti al periodo assiro-babilonese. Mediamente i reperti venivano venduti
a 1500 euro, prezzo di gran lunga inferiore anche al solo valore commerciale.
"Operazione Nabucodonosor", questo il nome dell'indagine, coordinata dal Procuratore della Repubblica del
tribunale di Tenpio Pausania, Valerio Cicolò, che è partita a luglio, con una serie di controlli in diverse città
italiane dopo la segnalazione dell'arrivo di pezzi provenienti dal museo di Bagdad. I carabinieri sono risaliti al
bazar di Golfo Aranci seguendo le tracce di alcune tavolette con scrittura cuneiforme immesse sul mercato dei
collezionisti di reperti archeologici. Sono così arrivati al negozio (una sorta di succursale di un altro bazar che ha
a Genova) di Omar B. di 45 anni, di Beirut. L' uomo l' aveva chiuso da alcuni giorni, prima che i carabinieri vi
mettessero i sigilli, in esecuzione di un provvedimento della magistratura.
Le indagini proseguono a livello nazionale per risalire ad altre persone coinvolte nel giro di reperti archeologici
trafugati dal Iraq dopo la caduta del regime di Saddam Hussein.
Fonte: ilmessaggero.caltanet.it
del 14 ottobre 2003
I mercenari campani venuti a morire in Sicilia
21 Novembre 2003
PALERMO - Sono di mercenari campani le due tombe, risalenti al IV secolo a.C., appartenenti ad un uomo e una
donna, scoperte per la prima volta in Sicilia nell' area archeologica di Entella (nel palermitano) da ricercatori del
Laboratorio di Storia, Archeologia e Tipografia del Mondo Antico della Scuola Normale Superiore di Pisa. I
risultati della ricerca sono stati presentati nel Centro ''Ettore Majorana'' di Erice (Trapani) nell' ambito delle
''Quinte Giornate Internazionali di Studi sull' Area Elima''. ''Nella tomba del maschio - dice il professor Carmine
Ampolo della 'Normale' - abbiamo trovato un cinturone in bronzo e una lancia, segni ben precisi d' identita' del
guerriero campano; nella sepoltura della femmina c' era una fibula con incastonato corallo''. Ad Erice gli studiosi
hanno ricostruito, con un sistema virtuale e con uno grafico, le due sepolture: i cadaveri con l' abbigliamento ed
i monili. ''Si tratta di una scoperta importante sia dal punto di vista storico sia culturale - dice Ampolo - di
guerrieri campani in Sicilia durante la guerra tra Siracusa ed Atene ne parla pure Platone, secondo cui
avrebbero rappresentato un grosso pericolo, come i Cartaginesi, per la grecita' della Sicilia''.
Fonte: ansa.it
del 17 ottobre 2003
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News di Novembre 2003
Quel vascello in fondo al mare carico di futuro
22 Novembre 2003
PALERMO - Dopo 2.500 anni dal naufragio nel mare di Gela (Caltanissetta), la settimana scorsa gli archeologi
subacquei della soprintendenza nissena alle antichita' hanno riportato in superficie il primo pezzo della nave
greca arcaica, il cui relitto, in ottimo stato di conservazione, fu ritrovato quindici anni fa a 800 metri dalla costa.
Un singolare connubio tra passato, presente e futuro, visto che il relitto si trova a due miglia dal petrolchimico
dell' Eni, a ridosso del gasdotto Sicilia-Libia. E' scattata cosi' la prima fase della campagna di recupero del piu'
importante per dimensioni (misura 21 metri di lunghezza e 6.50 di larghezza) e per stato di conservazione dei
relitti arcaici del Mediterraneo, testimonianza unica unica di fasciame della carena cucite con fibre vegetali. L'
operazione si concludera' nel 2004. Il troncone recuperato e' un ''modiero'', il piu' lungo del tratto di prua, che
costituisce parte dell' ossatura della nave del V secolo Avanti Cristo. ''Salpare dalla raffineria per raggiungere la
nave arcaica - ha detto l' assessore regionale dei beni culturali Fabio Granata - ha un valore simbolico perche'
costituisce il ripensamento di un modello di sviluppo che deve ripartire dalla nostra identita' culturale,
valorizzando il capitale storico e archeologico dei siti siciliani deturpati da certe scelte industriali del passato''. L'
assessore ha sottolineato la necessita' ''di costruire un percorso economico e anche occupazionale, legato alla
musealizzazione della nave arcaica'' ed ha auspicato l' istituzione della ''Soprintendenza del Mare'' con
competenze di archeologia subacquea e autorita' sui parchi e riserve marine. La giornata di studi e' proseguita
con la visita all' emporio arcaico scoperto nella zona del ''Bosco Littorio'', dove una campagna di scavi, diretta
da Rosalba Panvini, ha portato alla luce nuovi ambienti che per altezza delle strutture la fanno assomigliare a
una piccola Pompei. Sono stati presentati i reperti localizzati nell' emporio e le scoperte fatte nell' Acropoli, in
particolare un mezzobusto della dea Athena, di rilevante fattura e di dimensioni umane. Rosalba Panvini,
responsabile del servizio archeologico della soprintendenza di Caltanissetta ha parlato di ''evento scientifico
importante, per le scoperte fatte a terra e in mare, che ribadiscono il ruolo centrale di raccolta e di smistamento
delle merci verso l' interno e verso altri porti siciliani, sottolineando l' importanza di Gela quale polo economico
e commerciale del Mediterraneo''.
Fonte: ansa.it
del 17 ottobre 2003
Anfore, il tesoro sommerso
23 Novembre 2003
CITTA' S.ANGELO - Pregevoli anfore per esportare il vino abruzzese in tutta l'area del Mediterraneo. Questa la
prima conclusione sull'eccezionale ritrovamento di reperti archeologici di elegante fattura rinvenuti a Marina di
Città S.Angelo in un fornace di epoca romana. Il gustoso nettare -che in passato era servito ad Annibale, di
passaggio lungo l'Abruzzo costiero, per curare la scabbia dei suoi cavalli- restava anche nel primo secolo avanti
Cristo, un prodotto di grande valore, tanto da finire sulle mense delle famiglie vip. E che si producesse dalle
nostre parti è segno inequivocabile che nella zona di Marina risiedessero famiglie gentilizie.
Con le anfore e gli altri reperti, il passato dunque riaffiora in tutta la sua ricchezza, a testimonianza di una vita
economica prospera, che i nostri progenitori conducevano -come spesso avveniva- in prossimità di un fiume e
alla confluenza di questo con il mare. Già si conosceva il sito archeologico di Marina di Città S.Angelo, ma
questa volta sono state rinvenute interessanti anfore risalenti con molta approssimazione al 50 a.C. Dunque già
nel primo secolo ante Christum natum nella famosa Civitas ad Angulum si producevano beni di uso comune. Ad
avvalorare l'interesse per queste anfore romane sono giunti da Roma esperti come Clementina Panella, Maria
Luisa Stoppioni e da Cattolica l'ispettore della Sovrintendenza per i Beni archelogici Andrea Staffa. Si è saputo
che la scoperta risale al mese di maggio scorso e che la Saci, Società archeologica per il Centro Italia, sta
proseguendo con le opere di scavo. Sono stati rinvenuti di volta in volta una gran quantità di frammenti, 4
anfore intatte, numerosi "colli" ed altri reperti che portano i bolli delle famiglie proprietarie.
Nel corso di un ulteriore sopralluogo, continuando il lavoro di scavo in un butto adiacente alla fornace (il butto è
un sito dove vengono ritrovate grandi quantità di reperti alla rinfusa), sono venuti alla luce una serie di
elementi nuovi, tra i quali spiccano delle anse e dei colli, che gli studiosi non hanno esitato ad attribuire ad
anfore greco-italiche di un secolo precedenti alle altre già rinvenute. Particolarmente entusiasta per questi
reperti, la professoressa Maria Luisa Stoppioni, responsabile del museo di Cattolica ed esperta scavatrice di
fornaci; al suo attivo ben 18 ritrovamenti, per la massima parte ubicati in Emilia Romagna. L'area angolana del
rinvenimento misura circa 100x 90 metri. Ovviamente gli scavi ocntinuano.
Fonte: ilmessaggero.caltanet.it
del 18 ottobre 2003
Scoperta città reale a Gonur in Turkmenistan
23 Novembre 2003
MOSCA - Una spedizione archeologica russa, guidata da Victor Sarianidi, ha riportato alla luce le rovine di un
grande complesso nella citta' reale di Gonur. Alla capitale dell'antica terra di Margush sono legate le origini dello
zoroastrismo. Secondo Sarianidi il complesso, vasto oltre 10 ettari e' circondato da mura con un gran numero di
torri di guardia. Gli scavi a Gonur vanno avanti da tempo ed hanno gia' portato in passato alla luce le rovine di
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News di Novembre 2003
molti templi e palazzi.
Fonte: news2000.libero.it
del 18 ottobre 2003
Un'antica città Maya
24 Novembre 2003
Un vasto scavo archeologico ha riportato alla luce una città perduta che potrebbe essere stata una delle più
ricche e prosperose dell'antica civiltà Maya. Per sei anni, i ricercatori hanno decifrato i geroglifici e studiato i
palazzi rinvenuti a Piedas Negras, in Guatemala, nei pressi del confine con il Messico. Lo studio ha rivelato che
la città era sorta come centro agricolo almeno nel 400 a.C., per scomparire in seguito a lotte di potere circa
1400 anni più tardi, più o meno nello stesso periodo in cui l'intera civiltà Maya cominciò a collassare.
"Siamo praticamente riusciti a scrivere la biografia della città, - afferma Stephen Houston, archeologo della
Brigham Young University di Provo, nello Utah - Si tratta di una storia plausibile sulla nascita, la crescita e infine
la morte di un ricco insediamento".
La causa dell'improvviso declino della grande civiltà Maya, che un tempo si estendeva dalla penisola dello
Yucatan in Messico fino all'Honduras, è ancora oggetto di grandi dibattiti. la ricerca di Houston, parzialmente
finanziata dalla National Geographic Society, suggerisce che la cultura collassò non in seguito alla siccità, come
ritengono alcuni esperti, ma alla scomparsa della corte reale.
"La città - spiega infatti Houston - giunge alla sua fine attorno all'800 d.C., quando l'ultimo re conosciuto venne
preso prigioniero da un regno vicino. Una volta scomparsi il re e la sua corte, sembra che non ci fu più una
ragione per l'esistenza della città".
Fonte: Le Scienze
del 15 ottobre 2003
A Cuma spunta la tomba di un re sannita di 2500 anni fa
25 Novembre 2003
Un ritrovamento che ha scatenato l'entusiasmo di archeologici e storici: a Cuma spunta infatti una tomba
sannitica. Si tratta di una scoperta di grande rilevanza storica e archeologica, ad opera del Responsabile
dell'Ufficio archeologico di Cuma Paolo Caputo. Anche andando indietro con la memoria nessuno ricorda un
ritrovamento simile per tutta l'area flegrea. La Cuma greca ebbe più o meno tre secoli di vita: fondata dai
calcidesi nel 730 a.C., fu presa dai Sanniti nel 421. Tant'è che, dopo i primi rilievi degli esperti, la tomba è stata
datata nel periodo tra il V-IV secolo avanti Cristo. L'affresco al suo interno è di incomparabile bellezza:
l'ambiente che lo custodisce è costruito in tufo e misura 1,50m. per 2,20m. in lunghezza e 2,70 m. di altezza. Il
dipinto murario raffigura un personaggio (probabilmente si tratta di un re) circondato da alcune ancelle. I colori,
malgrado il trascorrere dei millenni, sono ancora vivaci e brillanti. La tomba è stata rinvenuta in ottimo stato
anche perché era "sigillata" e quindi non ha subìto quei danni prodotti generalmente dagli agenti atmosferici.
Gli archeologi sono rimasti increduli dinanzi a una simile scoperta, che contribuirà a chiarire il mistero sannitico.
Nel V secolo a.C. cominciò infatti la discesa dalle montagne del Sannio degli Oschi, che poi premeranno sulle
città greca della costa: tra cui "Kyme", ovvero Cuma.
Fonte: leggonline.it
del 21 ottobre 2003
Scoperta tomba etrusca in una necropoli a Sarteano
25 Novembre 2003
Una tomba etrusca a camera con pitture parietali databili al IV secolo a.C. in sorprendente stato di
conservazione e' stata scoperta nella necropoli etrusca delle Pianacce nel territorio del comune di Sarteano.
Le indagini archeologiche vengono condotte in questa localita' dal 2000. Il monumento funerario, che si trova in
un ipogeo gia' anticamente saccheggiato ed utilizzato come rifugio in eta' medievale, e' decorato con la
raffigurazione di un simposio nell' Aldila' e di un demone femminile che si allontana su una quadriga.
Nella camera principale sono raffigurati anche animali favolosi, tra i quali un serpente a tre teste, caratteristici
dell' immaginario ultraterreno etrusco.
Il sindaco di Sarteano, Fabio Dionori, ed il soprintendente ai beni archeologici, Angelo Bottini, hanno gia'
concertato una serie di interventi d' urgenza per assicurare la tutela della tomba.
Fonte: Culturalweb.it
del 22 ottobre 2003
Goti in Friuli, scoperta la paga del soldato
26 Novembre 2003
Un importante rinvenimento effettuato quest'estate sulle colline di Attimis conferma la presenza dei Goti in
Friuli. Si tratta di una rara moneta d'oro, la prima del genere trovata in regione, che risale al 550 dopo Cristo.
Del diametro di circa 10 millimetri, è in ottimo stato di conservazione e rappresenta il punto di partenza di un
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News di Novembre 2003
nuovo viaggio nel tempo alla scoperta della collina di San Giorgio e di tutto il Friuli."Qui, sulle alture di Attimis,
da tempo sospettavamo la presenza di un accampamento goto dice Massimo Lavarone, archeologo della Società
friulana di archeologia di Udine Le indagini condotte quest'anno da Luca Villa l'hanno confermato pienamente.
C'è di più: questo è l'unico insediamento del genere scoperto fino ad oggi in Friuli". La moneta raffigura da un
lato il volto dell'imperatore Giustinano, che al tempo era a capo dell'Impero Romano d'Oriente. "Si tratta di
un'imitazione eseguita dai goti spiega Lavarone su modello di una moneta bizantina, il solidus. Sappiamo che è
un falso perché i goti, non conoscendo la scrittura bizantina, hanno ricopiato la scritta originale facendo degli
errori". Quasi certamente la moneta apparteneva ad un alto ufficiale dell'esercito. "Il valore di questo pezzo
d'oro potrebbe equivalere ai circa mille e 500 euro di oggi spiega in parole povere l'archeologo Probabilmente
era la paga mensile del soldato che con quel valore poteva sostenere se stesso e la famiglia per almeno un
mese".Il rinvenimento è stato effettuato nei pressi di una muro di contenimento venuto alla luce sul cocuzzolo
della collina, a pochi passi dalla chiesa di San Giorgio. "Qui dice lo studioso abbiamo trovato anche le basi in
pietra di due piccole case dell'accampamento. Se le fondazioni erano solide, l'alzato era costituito da muri in
legno, andati perduti. C'è ancora molto da fare per ricostruire la vita in questo villaggio difensivo. Gli scavi
continueranno il prossimo anno". I goti, popolazioni barbariche discese dal Nord Europa, si erano stabiliti nella
nostra Penisola dopo la caduta dell'Impero ma intorno al 550 erano stati attaccati dai bizantini e questo li
spinse a rifugiarsi al nord e sulla alture: ecco quindi spiegata la scelta delle colline di Attimis, da secoli luogo
strategico di osservazione. Da qui il popolo venne poi cacciato dai Longobardi che arrivarono nel 568.La moneta
è stata trovata da alcuni studenti dell'università di Parma. "È stata una sorpresa entusiasmante per tutti dice lo
specialista Per essere certi del periodo di appartenenza abbiamo inviato il reperto ad esperto di Padova, il dottor
Callegher dell'istituto Bottacin. La sua analisi ha confermato con sicurezza la datazione". Anche altri reperti
venuti alla luce sulla collina parlano del 550 dopo Cristo. Si tratta di frammenti di ceramiche e altri oggetti d'uso
quotidiano attualmente affidati ai restauratori.
Fonte: gazzettino.it
del 22 ottobre 2003
Woerden. Trovata in Olanda una nave romana
27 Novembre 2003
Woerden - Un gruppo di archeologi olandesi ha oggi annunciato di avere scoperto un'antica nave da carico
romana a remi: un ritrovamento unico che fornisce un'indicazione importante su come gli antichi romani
difendevano le frontiere del proprio impero nel nord dell'Europa. L'imbarcazione - lunga circa 30 metri e
risalente a 100 anni prima di Cristo - si trovava sotterrata nella città olandese di Woerden, dove nell'antichità
era situato l'insediamento militare romano sulle rive del Reno di Castellum Laurium. Secondo gli esperti, la nave
dalla chiglia piatta impiegava almeno 12 rematori. I remi avrebbero permesso ai romani di navigare
controcorrente fino alla regione tedesca di Eiffel, da dove 'importavano' rocce e massi necessari a rafforzare i
propri forti lungo le frontiere dell'impero. "E' la prima volta che abbiamo una prova che queste chiatte potevano
risalire la correntè", ha sottolineato uno degli studiosi olandesi, Wouter Vos. Finora, archeologi e storici
ritenevano infatti che i romani fossero solamente in grado di navigare a vela seguendo la corrente con le loro
navi da carico dalla chiglia piatta, simili alle odierne chiatte.
Fonte: Kataweb.it
del 22 ottobre 2003
Allarme per il villaggio preistorico del lago di Albano
27 Novembre 2003
Il villaggio preistorico denominato "Villaggio delle Macine", rinvenuto cinque anni fa grazie all'abbassamento
delle acque del Lago di Albano, oggi rischia di sparire se non si interviene con massicci investimenti per la
dovuta protezione.
La Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio ha iniziato cinque anni fa lo scavo del "Villaggio delle
Macine" (così definito dal rinvenimento di numerose macine di varie dimensioni), quando il notevole abbassamento delle acque del Lago di Albano ha fatto emergere una parte del villaggio preistorico. Si tratta di un insediamento risalente all'età del bronzo (sec. XVIII-XVII a. C.) che si estende per vari ettari; la parte emergente è
costituita da numerose palafitte lignee, e gli scavi effettuati hanno fornito parecchio materiale archeologico assai interessante, come vasi di ceramica, pugnaletti e asce di bronzo, collane in ambra, pasta vitrea, brocche,
boccali in ceramica. Tutto questo materiale, in gran parte già catalogato, si continua a catalogare grazie al
lavoro volontario di laureandi. Inoltre sono anche stati catalogati e georeferenziati più di settemila pali lunghi
circa tre metri. I reperti archeologici rinvenuti sono visibili presso il Museo Nazionale delle Navi Romane di Nemi. Ma l'insediamento preistorico è in pericolo, in quanto la parte emersa ha un bisogno continuo di intervento
per la dovuta protezione. "La situazione è tragica", dice l'archeologa Annalisa Zarattini, responsabile del Servizio della Preistoria e del Nucleo Operativo di Archeologia Subacquea, "se non si interviene subito, l'eccezionale
ritrovamento sarà distrutto dall'azione dell'aria che polverizza il legno e i materiali deperibili. Con i pochi fondi
che abbiamo avuto a disposizione si è fatto il minimo indispensabile, mentre occorrerebbero investimenti.
Fonte: Culturalweb.it
del 23 ottobre 2003
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News di Novembre 2003
A Canosa di Puglia molte novità durante gli scavi
28 Novembre 2003
I risultati della terza campagna di scavi nell'area di 'San Pietro' di Canosa di Puglia, saranno presentati,
mercoledi' 29 ottobre nella Basilica San Sabino, nel corso di una manifestazione organizzata dall' equipe di
scavo diretta da Giuliano Volpe, docente dell'Universita' di Foggia.
Nel darne notizia il Comune ricorda che la terza campagna di scavi ha avuto inizio il 15 settembre scorso ed e'
stata coordinata dalle universita' di Foggia (Facolta' di Lettere e Filosofia-Dipartimento di Scienze umane) e di
Bari (Dipartimento di Studi classici e cristiani), con la collaborazione della Soprintendenza archeologica della
Puglia e la direzione di Giuliano Volpe.
Nelle ricerche sono stati impegnati circa 90 studenti delle due universita' e un gruppo di studenti dei licei
classici 'O. Flacco' di Bari e 'Oriani' di Corato perche' - ricorda il Comune - ''si tratta di uno dei piu' grandi
cantieri di scavo con finalita' didattiche d'Italia''.
Le scoperte fatte nelle prime settimane di scavo oltre a confermare le ipotesi formulate lo scorso anno - anticipa
Volpe - hanno apportato numerose novita'. ''Si sta completando lo scavo della cattedrale paleocristiana di San
Pietro - si precisa nella nota - fatta costruire nel VI secolo dal famoso vescovo canosino Sabino, che proprio in
questa chiesa fu sepolto.
La chiesa, a tre navate e di notevoli dimensioni, presenta un pavimento realizzato in parte con un mosaico
policromo geometrico e in parte con i noti mattoni recanti il monogramma di Sabino. Sono in corso di scavo,
inoltre, decine di tombe che occupavano il nartece della chiesa e i portici dell'atrio antistante l'edificio di culto.
Notevole e' la scoperta di una monumentale cisterna-fontana posta al centro dell'atrio, anch'essa fatta costruire
da Sabino. Grande interesse riveste anche il rinvenimento di preziosi elementi dell'arredo della chiesa, tra cui
quattro colonnine di marmo che sorreggevano una mensa d'altare''. ''I nuovi scavi, infine - ha ricordato Volpe stanno portando alla luce anche il settore artigianale del quartiere vescovile: e' in corso di scavo infatti una
fornace adibita alla produzione di mattoni''.
Nel corso della manifestazione del 29 ottobre, inoltre, ci sara' la sottoscrizione di una convenzione tra il Comune
di Canosa e l'Universita' di Foggia, che prevede, tra l'altro, l'attivazione del 'Centro Studi archeologici Aufidus'.
Alla manifestazione sono previsti gli interventi di Raffaele Fitto, presidente della Regione Puglia, Giuseppe
Andreassi, soprintendente per i Beni Archeologici della Puglia, Giorgio Otranto, direttore del Dipartimento di
Studi Classici e Cristiani, Francesco Ventola, sindaco di Canosa, don Felice Bacco, parroco della cattedrale,
Marisa Corrente, della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, Marcello Vernola, presidente della
Provincia di Bari, Antonio Muscio, rettore dell'Universita' di Foggia, Franca Pinto Minerva, preside della Facolta'
di Lettere e Filosofia dell'Universita' di Foggia, monsignor Raffaele Calabro, vescovo di Andria, Canosa e
Minervino, Sabino Silvestri, presidente della Fondazione Archeologica Canosina, Giuliano Volpe.
Fonte: Culturalweb.it
del 20 ottobre 2003
Scoperto il segreto delle mummie egiziane?
29 Novembre 2003
Londra - E' il guaiacolo, una sostanza trovata nel legno di cedro, il segreto della conservazione delle mummie
egiziane. Lo sostengono scienziati tedeschi delle università di Tubinga e di Monaco di Baviera che spiegano in
uno studio pubblicato da Nature come sono arrivati a questa conclusione, destinata a sorprendere molti
egittologi che ritenevano fosse il ginepro il materiale dal quale veniva estratto il liquido destinato ad aiutare i
morti a continuare a vivere.
Gli studiosi tedeschi hanno provato un derivato dal legno di cedro sulle costole di un maiale appena morto
riscontrando capacità molto forti anti-batteriche senza con questo danneggiare la pelle. I ricercatori hanno
anche voluto verificare se doti analoghe fossero riscontrabili nel ginepro, con risultati però negativi. I ladri di
tombe avevano obbligato gli antichi egiziani che mummificavano i loro morti a seppellire i corpi molto
profondamente. La decomposizione risultava così più veloce per cui furono spinti a cercare una sostanza che
asciugasse e conservasse i tessuti, un pò come agisce il sale.
I ricercatori tedeschi per l'estrazione dell'olio dal legno di cedro hanno usato un metodo descritto da Plinio il
Vecchio che definiva come 'cedrium' l'unguento usato. E' stato così che i ricercatori si sono indirizzati sul cedro
individuando la sostanza chimica del guaiacolo. Per la verifica finale l'equipe ha potuto fare controlli su
materiale usato per l'imbalsamazione trovato vicino alla tomba di una mummia di 2500 anni chiamata 'Saankkare' . Ha così potuto svolgere analisi chimiche di un unguento non contaminato dal contatto con il tessuto
utilizzato per l'imbalsamazione.
Fonte: Kataweb.it
del 23 ottobre 2003
Emergono i magazzini del porto fluviale di Minturnae
30 Novembre 2003
Il lavoro di scavo per la costruzione del Centro Visite, che doveva sorgere interrato nell'attuale area di
parcheggio del comprensorio archeologico, ha fatto scoprire un grande ed interessante edificio rettangolare che
potrebbe essere un magazzino a servizio del porto fluviale dell'antica Minturnae.
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News di Novembre 2003
Si suppone che scavare in una zona facente parte dell'area archeologica di Minturnae porti prevedibilmente a
trovare materiale archeologico e resti di strutture. "Ma non è così", ci dice l'archeologa Giovanna Rita Bellini che
è Direttore del Comprensorio Archeologico e dell'indagine di scavo, "quando si realizzarono, tempo fa, gli uffici e
gli altri impianti di servizio dell'area archeologica, non vi furono rinvenimenti di presenze antiche".
E invece lo scavo per la costruzione del Centro Visite (che doveva sorgere interrato per motivi vincolistici
ambientali, paesaggistici e archeologici), pur essendo ubicato nella zona più esterna all'area archeologica, ha
riservato notevoli sorprese, ancora più inaspettate dal momento che il terreno, a poca distanza dal fiume
Garigliano, composto da sabbie eoliche ("duna antica") dava garanzia di non imbattersi in resti archeologici.
Ma ad una quota di oltre tre metri di profondità si è fatta una scoperta imprevista: il rinvenimento di un grande
edificio con pilastri quadrangolari collocabili nella piena età imperiale. All'interno dell'edificio, addossate alle
strutture murarie, sono state riportate in luce sepolture in anfore di epoca successiva. L'intero impianto insiste
su livelli di età repubblicana. "L'ubicazione dell'edificio", dice la dottoressa Bellini, "il suo impianto planimetrico,
e i reperti ceramici rinvenuti lasciano ipotizzare con buona probabilità l'interpretazione dello stesso come
magazzino a servizio del porto fluviale di Minturnae".
Fonte: Culturalweb.it
del 23 ottobre 2003
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