Essere homeless - Newsletter di Sociologia

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Essere homeless - Newsletter di Sociologia
Settembre 2006, Anno 3, Numero 5
Newsl ett er di S ociol ogia
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“ESSERE HOMELESS”
Studio etnografico su un fenomeno di marginalità a Torino
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Introduzione
Questo lavoro è il risultato di una ricerca etnografica sugli homeless condotta a Torino nei primi mesi del 2006 da
Claudia Celestino, Lucia Sternativo, Danila Matteo e Angela Gennarino.
Abbiamo cercato di capire chi sono queste persone, alcune delle cause della loro condizione, come vivono e come si
svolge la loro giornata quotidiana, la presenza di stereotipi nei loro confronti. A tal fine abbiamo ritenuto necessario
affidarci a diverse associazioni di volontariato per entrare in contatto con le reti di sostegno e con i contesti sociali da loro
frequentati.
Abbiamo scelto il metodo etnografico il cui tratto distintivo è l’osservazione partecipante perché più di altri consente di
venire a contatto con l’oggetto di studio, scendendo sul campo e confrontandosi con situazioni diverse. Entrando a far
parte totalmente del contesto di studio, il ricercatore interagisce con l’oggetto riducendo la distanza che lo separa da
questo. In particolare abbiamo adottato l’osservazione partecipante scoperta, che consiste nell’entrare a far parte di un
contesto dichiarando esplicitamente la nostra identità di ricercatrici. Questa scelta è dipesa dalla complessità e delicatezza
del tema affrontato, da una parte, e dalle nostre difficoltà personali nel confonderci in quel contesto, dall’altra. Questo
perché eravamo intimorite da situazioni così distanti dalla nostra quotidianità e inoltre il tempo a nostra disposizione era
limitato. Infine, questa scelta ci ha permesso di muoverci più liberamente sul campo.
Abbiamo utilizzato diversi metodi per scegliere le persone con le quali entrare in contatto; in alcuni casi ci sono state
consigliate dagli operatori perché considerate più adatte; altre si sono mostrate disposte a raccontarci la loro storia; ad
altre ci siamo rivolte poiché ci ispiravano fiducia e nel dormitorio abbiamo parlato solo con donne perché secondo la
direttrice del centro più disponibili a raccontare la loro storia. Per svolgere la ricerca il gruppo si è orientato verso territori
abitualmente frequentati dagli homeless come associazioni di volontariato, laiche e religiose, mense, ricoveri notturni, case
popolari e ospedali.
Il metodo da noi scelto si è mostrato efficace ai fini della nostra ricerca, anche se a volte la nostra presenza ha creato
disagio. Questo era evidente nei tentativi di queste persone di dare un’ immagine di sé diversa dalla loro condizione,
esaltando aspetti positivi del proprio essere. Questo è un tentativo di “salvare la faccia” costruendosi una corazza di fronte
a chi nel senso comune viene considerato normale (Goffman, 1968).
Una tipologia degli homeless
Nel corso della nostra osservazione siamo venute a contatto con diverse sfumature dello stesso fenomeno, pertanto
abbiamo ritenuto opportuno ricorrere alla distinzione di Navarini e Colombo (1999). Tale tipologia presenta tre diverse
categorie di homeless distinte sulla base delle cause che li hanno condotti a questa condizione.
La tipologia si articola come segue.
1) barboni puri: sono il simbolo della vita di strada, essi si trovano in questa condizione in seguito a particolari eventi
della propria vita come la morte del coniuge, la malattia mentale, la rottura con la famiglia; molti di loro quindi,
prima erano persone cosiddette “normali” e comunque senza grandi difficoltà economiche;
2) esperti della vita di strada: sono persone di entrambi i sessi che per difficoltà economiche hanno una vita
prevalentemente nomade, alternando periodi di lavoro a periodi di vagabondaggio; si sanno adattare alla vita
metropolitana e conoscono tutte le opportunità che la città può offrire; sanno dove trovare accoglienza da parte
del volontariato e dove possono guadagnare qualcosa anche attraverso piccoli furti;
3) persone che si trovano in una situazione temporanea o potenziale di vita di strada: sono soprattutto persone che
hanno perso temporaneamente il lavoro, o che sono state sfrattate; persone appena uscite dal carcere o da altri
istituti o che pur avendo un lavoro e una famiglia sono in una situazione di estrema povertà e che quindi
approfittano della distribuzione gratuita di cibo e vestiti. Queste persone parlano di loro stesse prendendo le
distanze dai senza fissa dimora, ma in realtà sono dei “potenziali emarginati”. Ciò che si riesce a capire con
certezza è la loro precarietà economica ma soprattutto il loro stato di solitudine.
Durante la nostra ricerca abbiamo incontrato persone che possono rientrare in questa tipologia, anche se i casi
empirici, come ovvio, in alcuni casi si discostano anche molto dal modello proposto: non sempre le tipologia riescono a
comprendere tutti i casi osservati.
Per brevità, decidiamo di presentare qui alcuni tratti della storia di Federico, il quale rientra nel primo tipo di
senzatetto, quello dei barboni puri.
Federico è un uomo sulla cinquantina che ha vissuto tutta la sua vita per strada. Solo recentemente gli è stato
attribuito un appartamento in case popolari. A condurre la sua vita in questo modo lo ha portato una situazione famigliare
problematica: la scomparsa prematura di sua madre e comportamenti poco corretti da parte dei fratelli. Nicoletta, la
volontaria che ha accompagnato Angela da Federico, descrive questa situazione così:
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…A volte a farli andare sulla strada sono eventi normalissimi. Innanzitutto è il primo di tre figli, a diciassette
anni gli è morta la madre, lui ne ha patito molto e quando ha dovuto fare il servizio militare, ha fatto firma per
tre anni per stare lontano da casa sua che gli ricordava la mamma. Così ha fatto il cuoco alla marina militare
per tre anni. Quando è tornato, i suoi fratelli gli avevano preso tutto quello che il padre e la madre avevano, è
per questo che spesso a noi, quando andiamo, parla male di un suo fratello in particolare; così è andato in
strada ed è stato da allora, fino a qualche tempo fa. (Angela, N.E)
Ora, in momenti di sconforto rievoca la strada pensandola con un certo rimpianto. Così si rivolge a Nicoletta:
Federico: “Tra un po’ la prendo la strada, sì..sì”
Nicoletta: “E che strada vuoi prendere?”
Federico: “La strada. Torno a fare il barbone.”
Nicoletta: “Dai, smettila, Federico, lo sai tu per primo cosa vuol dire, qui hai un tetto, un bagno, la cucina,
anche se il rubinetto è quello che è; dormi al caldo.”
Federico: “Per strada devi stare attento che non ti piscino in testa ma qui sono solo”
Nicoletta: “Ma mica solo, e poi è meglio lavarsi qui che insieme ad altri.” Federico: “Sì…..é brutto stare soli”
(Angela, N.E)
Ma è comunque consapevole che non è una soluzione, anzi, ora con un tetto sulla testa deve ritenersi molto fortunato.
Territori
Le associazioni laiche di volontariato a sostegno degli homeless con le quali siamo venuti a contatto sono: la mensa “La
Ragnatela - Centro di Faà di Bruno”, il “Dormitorio Gruppo Abele, via Pacini”e l’associazione “Opportunanda”.
L’unica associazione religiosa con la quale siamo venuti in contatto è l’Istituto Vincenziano.
Il territorio più difficile da esplorare è stato quello delle stazioni e dei luoghi limitrofi. Abbiamo riscontrato molta
diffidenza in quel contesto: la strada è il territorio degli homeless, la loro “casa”, un territorio per noi di difficile accesso.
Proprio per questo non siamo riusciti ad esplorarlo.
Ancora per brevità, qui presentiamo solo uno di questi territori, il Dormitorio Gruppo Abele di Via Pacini.
Si tratta di una grossa struttura che funziona principalmente come ricovero notturno, cioè offre un servizio di
accoglienza per le persone senzatetto o senza fissa dimora. Di giorno offre anche altri servizi e attività ai frequentanti. La
mattina vi è la distribuzione di vestiti e siringhe per i tossicodipendenti. Ci ha stupito molto che la distribuzione delle
siringhe sia stato messo sullo stesso piano della distribuzione dei vestiti. Ci ha sconvolto che le siringhe siano indispensabili
come i vestiti. Inoltre vengono svolte una serie di attività relative ai problemi riguardanti la maggior parte dei membri:
corsi di italiano per extracomunitari, corsi di computer per trovare lavoro, e per i tossicodipendenti attività volte al loro
recupero.
Questi corsi sono scarsamente frequentati come ci riferiscono Elisa e Teresa, accolte dal centro
“… Ovviamente nessuno ci va… ci sono anche i corsi di italiano per imperare la lingua… anche solo qualche
parola… giusto per riuscire almeno ad andarti a fare la carta d’identità… no, manco quello… non c’è volontà di
integrarsi…” (Claudia e Lucia N.E).
Le persone che popolano il dormitorio sono tutte senzatetto, possono essere poveri mendicanti, drogati, prostitute,
chiunque viva per strada e trovi conforto in un posto letto sotto un tetto. Le persone che frequentano il servizio possono
essere ulteriormente suddivise in base alle loro condizioni. In particolare nel periodo di osservazione abbiamo incontrato
tossicodipendenti, prostitute e persone in situazioni di povertà, sia per perdita del lavoro e/o della casa sia per emigrazione
da un paese straniero. Tali condizioni personali si intersecano in vari modi con la tipologia degli homeless.
La compresenza di questi diversi gruppi all’interno del dormitorio genera conflitti e disordini che gli operatori devono
cercare di mediare. Elisa, frequentante del centro per difficoltà economiche, a questo proposito ci racconta:
… non vi dico lo shock quando sono entrata per la prima volta in un dormitorio, persone sporche, una puzza
terribile…in bagno chi beve, chi fa i conati di vomito da una parte…. chi rutta dall’altra… chi si alza le mani…
e agli operatori tocca anche intervenire … come fai ad abituarti a tutto questo?!…gente di tutte le razze e
tutte le culture…non si capisce niente... (Claudia e Lucia N.E)
Come si nota dalla testimonianza di Elisa i senza fissa dimora per motivazioni economiche hanno difficoltà ad integrarsi
tra gli altri emarginati, sia perché non vogliono riconoscersi come tali sia perché non riescono ad accettare il loro
fallimento. Per loro il dormitorio costituisce un’esperienza traumatica, un annullamento di se stessi, una perdita di identità.
Sempre Elisa:
… Non riuscivo proprio ad accettare tutto questo, io che ho sempre lavorato, avevo la mia macchina… la mia
vita, le mie abitudini… cominci a riflettere su quello che ti è successo… arrivi a chiederti chi sei, cosa fai lì
quando perdi dall’oggi al domani la tua vita, perdi l’identità, la tua personalità, non sei più una persona,
perdi te stessa, ti annulli completamente… è una esperienza proprio devastante, non triste… ma penosa… è
stato uno shock. (Claudia e Lucia N.E)
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La differenza che queste persone percepiscono tra esse e gli altri emarginati è quindi sostanziale: mentre per loro il
dormitorio costituisce una caduta, un’ esperienza che può spersonalizzare, ritengono che per gli extracomunitari e per i
tossicodipendenti il dormitorio costituisca invece un punto di arrivo, un rifugio, una casa. Questa percezione deriva dal
fatto che questi ultimi sono coloro che più degli altri rubano, bevono e continuano a drogarsi dimostrando, nelle parole
degli altri, di non voler cambiare e di non voler uscire da quella situazione. Elisa:
… Bevono, spacciano… ti trattano male… non c’e volontà di integrarsi… per i drogati, per le prostitute … in
loro non c’è volontà di cambiare…per loro il dormitorio è ormai una casa, un rifugio, non si sentono fuori
posto… (Claudia e Lucia N.E)
La distinzione tra le diverse categorie si riscontra anche nel differente rapporto con i servizi sociali. All’interno del
dormitorio coloro che ricevono più sostegno da parte degli assistenti sociali ottenendo più sussidi sono tossicodipendenti e
prostitute. Questo dagli altri ospiti è visto in maniera negativa poiché da un lato incentiva queste persone a rimanere
stabili nella loro condizione, dall’altro induce le altre categorie a drogarsi o a prostituirsi per ricevere un sussidio. Elisa:
Le persone che riescono a ottenere i sussidi sono i drogati, le prostitute…e ricevendo sussidi rimangono
stabili nella loro condizione … questa è la società, è la società che ti induce a rimanere nella miseria… a volte
capita che se non ti droghi, diventi drogato lo stesso per avere un aiuto… io sono contenta di non essere
caduta in questo giro… (Claudia e Lucia N.E)
I senza fissa dimora si distinguono nelle loro categorie anche per quanto riguarda il rapporto con gli operatori. Questi
ultimi spesso si trovano a mediare litigi tra extracomunitari, a dover rimproverare coloro che consumano alcool e droghe
contro il regolamento all’interno del centro, a dover cercare di scoprire e controllare chi ruba. Le persone più aperte che
non hanno problemi come l’alcolismo, la tossicodipendenza e che non sono coinvolte nel fenomeno della prostituzione,
sono anche le più disponibili ad avere un rapporto più diretto e più sereno con gli educatori. Questo perché chi ha meno
problemi è più propenso ad aprirsi con gli altri “Vivendo in strada si perdono […] le capacità di scambiare affettività e
sostegno emotivo, di provare empatia, di cooperare e di impegnarsi in legami sociali significativi. Piuttosto si sviluppano e
perfezionano altri tipi di competenze relazionali che hanno a che fare con la manipolazione dell’altro in chiave strumentale,
la negoziazione, la persuasione, la capacità di presentare diverse immagini di sé in modo credibile e di risultare
convincenti.” (Meo, 2000).
Ma all’interno del contesto del dormitorio tale dialogo viene interpretato dagli altri come un rapporto privilegiato e
pertanto ingiusto. Elisa a questo proposito ci spiega:
… appena la gente vede che parli con gli operatori, fai il caffè… subito ti sparlano dietro dicendo che tu hai
un rapporto privilegiato … perché te la fai con quello, con quell’altro….. non mi raccapacito di come possa
esistere la cattiveria e l’invidia anche nella miseria… anche quando non si ha niente… (Claudia e Lucia N.E)
L’opinione che i frequentanti hanno del centro è positiva. Il dormitorio è considerato pulito e accogliente; gli operatori
bravi e disponibili, Elisa:
… Qui al Pacini va più che bene… mi trovo bene… è abbastanza pulito… con molte persone lego, parlo,
chiacchiero… ho un bel rapporto con gli operatori… ci parlo tranquillamente … sono bravissimi… persone
fantastiche… (Claudia e Lucia N.E)
Conclusioni
Il nostro studio etnografico ci ha permesso di capire che i fenomeni di marginalità sono molteplici e complessi: dalle
persone costrette a vivere per strada o a rivolgersi a un ricovero notturno, alla gente che pur avendo una casa o un
sussidio minimo è ridotta all’estrema povertà e non arriva a fine mese.
Questi soggetti trovano un gran sostegno nelle associazioni di volontariato, quali mense, ricoveri notturni, centri adibiti
alla distribuzione di cibo e vestiti; ma il rischio fondamentale è che proprio l’accoglienza diventi un motivo per non provare
il cambiamento e modificare la propria condizione. Il dibattito su questi temi è ancora aperto.
Le diversità degli homeless diventano motivo di conflitto tra loro, soprattutto all’interno dei servizi sociali. Sono persone
ognuna con un diverso vissuto in relazione ai motivi della propria emarginazione: individui che in una condizione di miseria
tentano di costruirsi un’identità che funga da corazza per un mondo che non li ha ancora accettati. La nostra ricerca
potrebbe essere spunto per ulteriori approfondimenti sulla vita di strada, un tema dalle molte sfaccettature che, nostro
malgrado per mancanza di tempo e per il tipo di obiettivo che ci siamo proposte, non siamo riuscite ad ampliare come
avremmo voluto.