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Gabriele Di Giammarino
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CARDUCCI TRADUTTORE DI HEINE
ella poesia di Carducci, accanto all esaltazione dello spirito eroico,
improntata al gusto neoclassico, vive, in antitesi più apparente che
reale, una moderna idea di eroismo romantico consistente nella sfida
alle convenienze e alle convenzioni, nel vagheggiamento di scelte
avventurose, nella ribellione contro alcuni aspetti della società borghese e
nobiliare. Sono, questi ultimi, i sogni di un intellettuale che ebbe un esistenza
per certi versi abbastanza tranquilla ed aspirò, per un contrasto tutto risolto
nelle immagini della fantasia, a una vita diversa. Nondimeno, mentre la
tensione classicheggiante lo faceva cadere nelle ben note tentazioni retoriche,
il fascino dell avventura, della negazione, della disobbedienza gli apriva
strade intentate e nuove prospettive. Perciò egli non poteva restare sordo a
un esperienza poetica come quella di Heine, dominata da un irrequietezza
interiore dinanzi allo spettacolo del mondo, da un insofferenza verso ogni
forma di oppressione politica e sociale, ma soprattutto pronta a lanciare il
grido di rifiuto e di sfida contro il male che piega e che offende la dignità
dell uomo. È inoltre significativo il fatto che la musa heiniana, a cui, prima di
Carducci, prestarono attenzione privilegiata spiriti liberi e patrioti italiani,
abbia trovato benevola accoglienza in settori intellettuali che si ispiravano
agli ideali del Risorgimento. Per esempio, Ippolito Nievo e Giuseppe Revere,
l uno padovano, l altro triestino, originari cioè di località dove il tedesco
poteva considerarsi una seconda lingua, guardarono con grande interesse ad
Heine. Nievo nel 1859 tradusse alcune liriche del poeta tedesco, dalle quali
aveva tratto qualche spunto per le poesie contenute nei Bozzetti alpini;
Revere nel 1857 pubblicò a Genova i componimenti poetici dei Bozzetti
veneziani, in cui non sono poche le reminiscenze heiniane. Nello stesso anno
un altro patriota friulano, Teobaldo Ciconi, dava alle stampe quello che può
considerarsi il primo saggio di versioni da Heine; ma fu merito del
bergamasco Bernardino Zendrini l averne tradotto nel 1866 l intero
Canzoniere e diffuso la conoscenza con una serie di articoli. Tuttavia sul
versante della critica già il poeta Tullo Massarani, senatore del Regno dopo
l unità d Italia, con lo scritto Enrico Heine e il movimento letterario in
Germania, apparso sul Crepuscolo nel 1854, aveva dato un contributo alla
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conoscenza di un artista che amò la nostra nazione e fu ripagato con la stessa
moneta dagli Italiani.
Tra i molti viaggi attraverso i Paesi d Europa particolare suggestione ebbe
su Heine il viaggio in Italia, avvenuto nel 1828 attraverso molte località, tra
le quali Brescia, che per i tempi era una città abbastanza popolosa con i suoi
40.000 abitanti, meta nell autunno dello stesso anno di un altro poeta tedesco
caro a Carducci, August von Platen; Marengo che gli ispirò profonde
considerazioni sulla battaglia napoleonica e sulla sfida guerriera alla morte;
Milano, da cui trasse lo spunto per celebrare la bellezza del Duomo nel
silenzio di una notte lunare; Trento che gli trasmise l impressione di una
città vecchia e decaduta. Lo affascinò, invece, Verona, prima stazione di
sosta dei turisti tedeschi che abbandonavano le fredde foreste del nord per
godere della dorata luce del sole nell amata Italia . Passarono dinanzi ai suoi
occhi come un incanto Genova, Bologna, Livorno, Lucca.
In Toscana soggiornò, tra l autunno e l inverno di quell anno, a Firenze, la
città ispiratrice delle Notti fiorentine, dove non solo restò estasiato al cospetto
del trionfo di statue, di alte arcate, del Palazzo degli Uffizi, paragonato alle
dimore delle divinità greche, e di fronte all elegante grazia diffusa in ogni
dove a testimonianza dello splendore mediceo, ma fu toccato anche dai segni
del presente, dalla vivacità del mercato che è lo spettacolo più meraviglioso
e interessante da vedere per il suo antico carattere .
L entusiasmo del poeta verso la nostra nazione non fu il solo motivo che
indirizzò l attenzione sulla sua figura da parte dell intellettualità italiana,
ancora un po restia ad aprirsi a una letteratura complessa come la tedesca,
ma senz altro destò forte attrattiva la valenza del suo messaggio sociale di cui
venne subito colto l elemento innovativo. In proposito va ricordato il
rapporto di Heine con Marx che in una nota del Capitale lo chiamò suo
amico 1 e si mostrò sempre affettuoso verso il poeta, anche se col tempo
questa amicizia si affievolì. Non per nulla i due nostri maggiori poeti del
secondo romanticismo, Prati e Aleardi, seppero temperare nei momenti
migliori della loro discontinua ispirazione i toni di un vago sentimentalismo
con il vigore della corda sociale, fatta vibrare dalla lettura dell opera di
Heine. In particolare, Aleardo Aleardi, conoscitore della lingua tedesca e
ungherese, raggiunse il punto più intenso del suo miglior poemetto, Il monte
Circello, nell appassionata descrizione della campagna pontina, infestata
dalla malaria, che vedeva ogni anno la morte di poveri mietitori discesi dai
monti abruzzesi a falciare le messi di signori ignoti . Anche in alcuni
prosatori ottocenteschi sono stati rilevati motivi heiniani, soprattutto nella
sorridente vena satirica dell Asino di Francesco Domenico Guerrazzi che con
spirito laico così esalta la parola e l opera di Gesù salvatore: Se egli ebbe
per antenati i re di Giuda, poco importa conoscere; a noi basti che da Popolo
nacque ed ebbe viscere di Popolo. La povertà e la persecuzione gli porsero le
Carducci traduttore di Heine
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aspre mammelle, ed egli vi succhiava il latte, che lo fe gagliardo alla
battaglia della vita; appena la sua lingua articolò la parola, senza porre tempo
frammezzo imprese l opera santa di esaltare gli umili ed abbattere i potenti 2.
Carducci, dal canto suo, fu attratto dai valori poetici, senza però essere
insensibile allo spirito polemico e alla nota sociale del poeta tedesco.
Seppelliva così come legata al passato, la stagione degli Amici Pedanti e si
apriva alla grande poesia moderna europea: negli anni della composizione dei
Giambi ed Epodi sentì l influenza di Barbier e di Victor Hugo; sin dal 1860 si
volse ad Heine, a von Platen, a Uhland e, via via, a Goethe, a Marlowe, a
Shelley, ai canti popolari francesi e spagnoli. Ma non volle pagare tributo a
nessuno di questi, come invece avvenne a Emilio Praga, a cui egli rimproverò
di aver sacrificato agli autori stranieri l originalità della poesia3. Di Heine lo
coinvolgevano l intelligenza mordace e duttile, l inclinazione al gioco, alla
satira, allo scherno, la vena di scetticismo, il disincanto di fronte al destino
dell uomo, l alternanza di sentimenti ora tristi ora lieti e persino le non poche
contraddizioni. Non gradiva d altro canto, che uno scrittore di formazione
tardo-arcadica e manzoniana, come Zendrini, si accostasse ad Heine e, pur
apprezzando, del letterato bergamasco lo sforzo di traduttore del Canzoniere
(ma non i lavori di critico), volle nelle quartine giambiche dell epodo A un
heiniano d Italia satireggiarne certa inclinazione a soluzioni mollemente
sentimentali.
È innegabile che anche Carducci si sia preso qualche libertà nel tradurre il
poeta tedesco (e un lavoro di raffronto ci porterebbe ben lontano; comunque,
per chi voglia farlo, si allegano in appendice le poesie in lingua originale);
nondimeno il valore della resa poetica, nato da consonanza del sentire su non
pochi argomenti, autorizza a definire queste traduzioni belle fedeli più che
belle infedeli . Forse a Carducci mancò l habitus filologico del germanista,
ma questo non può considerarsi un limite, qualora, come anche nel caso di
Quasimodo traduttore dei lirici greci, motivazioni profonde e serie affinità
sorreggano una tale operazione. Ad esempio, il dissidio romantico tra reale e
ideale, tra l apparire e l essere, viene delineato dal Carducci con appassionata
partecipazione nella lirica In maggio, tradotta nel marzo 1871 e raccolta nel
terzo libro delle Rime nuove, dove in componimenti originali è altresì
presente il motivo dell antagonismo tra paesaggio e stato d animo, tra sogno
e realtà:
Gli amici a cui dissi d amor parole
Peggio m han fatto, ed ho spezzato il cuor:
Spezzato ho il cuor, ma là su alto il sole
Ride e saluta al mese de l amor.
Primavera fiorisce: allegri cori
D augelli empiono il bosco giovenil:
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Virginee ridon le fanciulle e i fiori:
Oh come orribil sei, mondo gentil!
L Orco vogl io: miglior le piagge bige
Danno asilo a i dolenti: ivi non più
Contrasto e scherno. Oh, meglio de la Stige
Errar su le notturne acque là giù.
Il triste mormorio de l onde lente,
De le figlie di Stinfalo il gracchiar,
La canzon de l Eumenidi stridente,
Il continuo di Cerbero latrar,
Son fiera cosa che al dolor s accorda:
Di dolore ogni cosa ha vista e suon
Ove impera su l ombre Ecate sorda
Ed eterno del pianto ulula il tuon.
Ma qua su come e di che duro oltraggio
E sole e rose a me fiedono il cuor!
M insulta il ciel, l azzurro ciel di maggio...
O mondo bello, tu sei pien d orror! (Cfr. App. 1)
Qui dolcezza e asprezza si intrecciano trapassando, in efficace contrasto,
dalle immagini cupe dell oltretomba al gioioso tripudio della primavera e,
persino sotto l aspetto formale, alternando l inusuale accento sulla quinta
sillaba del primo verso e il tempestoso procedimento giambico dell ultima
quartina alle piane movenze liriche della seconda strofa. Ma ancor più
vigorosa e innovativa appare a Carducci la dimensione polemica di Heine sia
per la scelta di temi specifici sia per l intrinseca distinzione dalla tradizionale
poesia romantica, incline ad esaltare la patria, la religione, l autorità, pur se
diversamente configurate che nel passato. Questi ideali, a cui nel corso della
storia era stato dedicato tanto contributo di sangue e di pensiero,
cominciarono intorno alla metà dell Ottocento a logorarsi sotto il drammatico
incalzare delle grandi questioni sociali. Ad essi s ispirava in toni aspri una
lirica di Heine, I tessitori, di cui Carducci diede all inizio dell estate del 1872
una versione riportata nell VIII libro di Rime nuove. Dio, la patria, il re si
erano rivelati strumenti repressivi di una società, fondata sul privilegio e la
corruzione, agli occhi dei tessitori della Slesia che, per ottenere migliori
condizioni di vita, avevano organizzato nel 1844 una rivolta, ferocemente
repressa dai militari con l approvazione delle forze conservatrici e della
stessa borghesia liberale. Il poeta rappresenta i tessitori nel momento in cui,
umiliati e delusi per la fiducia mal riposta e ripagati con lo scherno,
l inganno, le uccisioni, riprendono il lavoro senza una lagrima, ma urlano una
Carducci traduttore di Heine
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profezia di morte contro la Germania, per cui simbolicamente intessono un
lenzuolo funebre.
Non ha ne gli sbarrati occhi una lacrima,
Ma digrignano i denti e a telai stanno.
Tessiam, Germania, il tuo lenzuolo funebre,
E tre maledizion l ordito fanno.
Tessiam, tessiam, tessiamo!
Maledetto il buon Dio! Noi lo pregammo
Ne le misere fami, a i freddi inverni:
Lo pregammo, e sperammo, ed aspettammo:
Egli, il buon Dio, ci saziò di scherni.
Tessiam, tessiam, tessiamo!
E maledetto il re! de i gentiluomini,
De i ricchi il re, che viscere non ha:
Ei ci ha spemuto infin l ultimo picciolo,
Or come cani mitragliar ci fa.
Tessiam, tessiam, tessiamo!
Maledetta la patria, ove alta solo
Cresce l infamia a l abominazione!
Ove ogni gentil fiore è pesto al suolo,
E i vermi ingrassa la corruzïone.
Tessiam, tessiam, tessiamo!
Vola la spola ed il telaio scricchiola,
Noi tessiamo affannosi e notte e dì:
Tessiam, vecchia Germania, il lenzuol funebre
Tuo, che di tre maledizion s ordì.
Tessiam, tessiam, tessiamo! (Cfr. App. 2)
Heine applicò questa chiave di lettura anche agli eventi del passato per
distaccarsi dalla visione mitografica della storia, propria della poesia
romantica europea, e per dare al gioco della fantasia un esemplarità realistica.
Attento a tale aspetto, Carducci tradusse dal Romancero heiniano un
componimento intitolato Carlo I: si tratta della storia di questo re, salito al
trono d Inghilterra nel 1625, e immaginato all interno della capanna di un
carbonaio dove ha il tragico presentimento che il bimbo di costui, ancora
nella culla, sarà il suo boia. Il sovrano infatti, feroce assertore
dell assolutismo, sa di non essere amato dal suo popolo: aveva infatti sciolto
più volte, a ogni minimo contrasto, il Parlamento, condotto disastrose
spedizioni contro la Spagna e la Francia, fomentato discordie tra le
confessioni religiose e infine portato il suo Paese alla guerra civile. L esercito
Gabriele Di Giammarino
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regio fu sconfitto a Naseby nel 1645 dal Cromwell, che era a capo delle teste
rotonde , com erano detti con aristocratico disprezzo popolani e piccoli
agricoltori per il taglio corto dei loro capelli; il re vinto fu processato e
condannato alla pena capitale nel 1649. Ecco la traduzione carducciana
riportata nell VII libro di Rime nuove:
Cupo e solo nel bosco, a la capanna
Del carbonaio il re sedeva un dì:
A la culla sedea, la ninna nanna
Ei brontolava al pargolo così.
Ninna nanna! Che cosa si rimescola
Ne la paglia? perché bela l ovil?
Tu porti il segno in fronte, e ridi orribile
In mezzo al sonno, o pargolo gentil.
Il gatto è morto, ninna nanna! In fronte
Tu il segno porti: crescerai d età,
E brandirai la scure, uom fatto: al monte
Treman le querce e nella selva già.
Sparì del carbonar l antica fede:
Del carbonaro il figlio, ecco, su vien:
Nel buon Dio, ninna nanna, ei più non crede,
E nel re, ninna nanna, ancora men.
Il gatto è morto, e i topi allegramente
Ballan d intorno: il dì lungi non è
Che diverremo favola a la gente,
Dio nel ciel, ninna nanna, e in terra il re.
Ahi! mi cade il coraggio e fuor di spene
Io mi sento malato ogni dì più!
Ninna nanna, lo so, lo veggo bene:
Carbonaietto, il mio boia sei tu.
E ninna nanna a te l oscuro e lento
Salmo di morte a me. Cresci a tagliar
Questi grigi cernecchi: al collo, ahi, sento
Il freddo de le forbici strisciar.
Ninna nanna! qualcosa ne la paglia
Si rimescola: il regno hai preso tu!
Or via dal vecchio tronco abbatti e scaglia
Questo mio capo: il gatto è morto: giù.
Carducci traduttore di Heine
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Ninna nanna! la paglia si rimescola,
Belan le capre ne lo stabbio pien,
Il gatto è morto e i topolini ballano.
Dormi, boietto mio, dormi per ben. (Cfr. App. 3)
Meno felice può considerarsi Heine nella trasposizione di fatti e personaggi
della Germania contemporanea in terre lontane: L imperatore della Cina, ad
esempio, è un allegoria di Federico Guglielmo IV, re di Prussia, fratello e
predecessore dell imperatore Guglielmo il Vittorioso, trasposto
fantasticamente in quella lontana terra dell estremo Oriente. Altre
simbologie, un po astruse, sono la gran pagoda , che rappresenta la
cattedrale di Colonia, l ordine del drago , che è l ordine dell Aquila Nera,
fondato nel 1701 e portato dai membri della famiglia reale e dai grandi del
regno prussiano, i cui sudditi sono i Mansciù , e infine, la zozza , vocabolo
popolare toscano, con cui Carducci traduce il tedesco Schnaps che indica una
specie di acquavite al cui uso l imperatore amava abbandonarsi. In ogni
modo, i simboli non danno ala all ispirazione che qui appare viziata da
elementi extrapoetici, ed anche la versione carducciana non è tra le più
efficaci.
Mio padre era un balordo astemio Cesare,
Un sornione in trono:
Io bevo la mia zozza, ed un magnanimo
Imperatore io sono.
Oh magica bevanda, indovinata
Dal mio paterno core!
Io bevo la mia zozza, e si dilata
La Cina tutta in fiore.
Il mio regno del centro apre e si spampana
Come un bocciuol di rosa.
Io quasi quasi un uom divento, e gravida
Si trova la mia sposa.
È una cuccagna! I moribondi in festa
Dànno calci a le bare:
Del mio Confucio imperial la testa
Annaspa idee più chiare.
A miei prodi soldati il pan di segala
Diventa mandorlato,
E gli straccioni de l impero marciano
Tutti in seta e broccato.
Gabriele Di Giammarino
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Quegli invalidi frolli, quelle ignude
Zucche de mandarini,
Ripigliano il vigor di gioventude
E scuotono i codini.
Compiuta è alfin la gran pagoda, mistico
Asil di fede e imago:
Già gli ultimi giudei vi si battezzano
E han l ordine del drago.
Posa ogni senso di ribellione,
E gridano i Mansciù:
Noi non vogliamo la costituzione,
Noi vogliamo il kansciù,
Vogliam la verga! - Il medico di corte
Fa gli occhi spaventati.
Esculapio, io vo ber fino a la morte
Per il ben de miei stati.
E zozza ancora! E zozza ancora! Un gocciolo
Ancor di questa manna!
Il mio popol, vedete, è in visibilio,
E canta - Osanna osanna! (Cfr. App. 4)
Tuttavia, fuori delle rivisitazioni storiche e delle contingenze politiche,
sussisteva in Heine una vocazione lirica, a cui Carducci si era accostato con
particolare interesse. Egli infatti, traducendo Lungi lungi rese magistralmente
nelle cinque strofe tetrastiche di decasillabi piani e tronchi alternati il sogno
d amore e di felicità che il poeta tedesco immaginò nello sfondo naturale di
una terra esotica magicamente bella. La versione del 1872 è nel III libro delle
Rime nuove.
Lungi, lungi, su l ali del canto
Di qui lungi recare io ti vo :
Là, ne i campi fioriti del santo
Gange, un luogo bellissimo io so.
Ivi rosso un giardino risplende
De la luna nel cheto chiaror:
Ivi il fiore del loto ti attende,
O soave sorella de i fior.
Le viole bisbiglian vezzose,
Guardan gli astri su alto passar;
E tra loro si chinan le rose
Odorose novelle a contar.
Carducci traduttore di Heine
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Salta e vien la gazella, l umano
Occhio volge, si ferma a sentir
Cupa s ode lontano lontano
L onda sacra del Gange fluir.
Oh che sensi d amore e di calma
Beveremo ne l aure colà!
Sogneremo, seduti a una palma,
Lunghi sogni di felicità. (Cfr. App. 5)
Dire che questa lirica (giudicata da Vittorio Santoli con eccessiva severità
un po di maniera) sia interamente risolta nello spirito della Sehnsucht
romantica è dire una parte di verità, ma non tutta, in quanto il luogo incantato
della Sehnsucht non ha mai una determinazione geografica, ancorché vaga,
ma soltanto ideale, come avviene in una celebre poesia di Schiller che
appunto da questo termine trae il titolo:
In fondo a questa valle che la nebbia
opprime, fredda, s io trovar potessi
la via d uscita, oh, allor sarei felice!
Vedo colà bei colli eternamente
giovani e verdeggianti. Oh, avess io piume,
avessi ali, in quei colli volerei!
Valle e colli sono i simboli della condizione umana, drammaticamente
scissa, secondo il gusto romantico, tra le angustie del reale e gli spazi
dell ideale; un soffio di magia spinge la barca che trasporterà il poeta in quel
regno incantato:
Un anima si asconde
nelle sue vele. Credere, osar devi,
ché nulla ti assicurano gli dèi.
Nella regione bella dei prodigi
Solo un prodigio ti potrà guidare. (trad. it. di G. D.G)
In Lungi lungi, invece, convive con la trasfigurazione idealizzante del
paesaggio la collocazione del sogno d amore nell India lontana presso le
sacre rive del Gange. Heine anticipa così quel gusto esotico, sospeso tra
realtà e fantasia, prediletto nella seconda metà dell Ottocento europeo da
pittori (Gauguin), poeti (Rimbaud, Verlaine), narratori (Loti, Gozzano,
Conrad).
Carducci fece l ultima traduzione da Heine nell agosto 1882: si tratta di un
breve Lied, intitolato Passa la nave mia, reso dal nostro con uno strambotto
assonanzato, nei versi delle sedi dispari e aperto da un incipit che ricorda il
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sonetto petrarchesco Passa la nave mia colma d oblio, già da lui ripreso nel
1851 nel sonetto Passa la nave mia, sola, tra il pianto. Di questa canzoncina
di Enrico Heine annota Carducci come di molte altre sue, tutto lo spirito è
nel motivo fantastico e popolare. Il solo merito, della mia versione, se merito
alcuno può avere, è del metro e dello stil popolare vecchio italiano ripreso a
rendere il romantico tedesco del secolo XIX 4). Ma leggendo il musicale
strambotto, si deve dire che in questo caso Carducci manifesta un eccesso di
modestia.
Passa la nave mia con vele nere,
Con vele nere pe 1 selvaggio mare.
Ho in petto una ferita di dolore,
Tu ti diverti a farla sanguinare.
È, come il vento, perfido il tuo core.
E sempre qua e là presto a voltare.
Passa la nave mia con vele nere,
Con vele nere pe l selvaggio mare. (Cfr. App. 6)
A questo punto sarebbe lungo parlare dei numerosi spunti heiniani nelle
poesie di Carducci, anche perché il discorso rischierebbe di apparire alquanto
analitico; tuttavia, in linea generale, giova non solo ripetere che allo spirito
del poeta tedesco fatti salvi i differenti contesti storici ci riporta il piglio
popolareggiante e giacobino dei Giambi ed Epodi, ma è opportuno cogliere
anche quegli elementi che avvicinano i due autori, come gli abbandoni
improvvisi alle memorie tristi e liete, i momenti di nostalgia, l attonito
stupore dinanzi all arcana bellezza dell universo, il sorriso ora ironico ora
amaro che tempera la malinconia.
Per concludere è bene fare un breve cenno al seguito che ebbe questa
esperienza nell ambiente carducciano. Giuseppe Chiarini, legato a Carducci
sin dagli anni giovanili, modesto poeta ma fine stilista e metricologo,
pubblicò nel 1878 a Bologna la versione dell Atta Troll, nel 1882 La
Germania e l anno seguente le Poesie di Heine.
Il discepolo prediletto di Carducci, Severino Ferrari nel 1884 aveva dato
alle stampe il suo poemetto di satira antiromantica, antiveristica,
antidarwiniana, Il Mago, in cui amò muoversi tra fantasie ariostesche e
heiniane, com è stato ripetuto dal saggio di Croce in poi. Furio Felini,
nell introduzione a Tutte le poesie5, scrive che il Ferrari aveva potuto
conoscere direttamente l Heine di Atta Troll attraverso la traduzione
chiariniana presentata con una vivace prefazione dallo stesso Carducci. E non
sarebbe difficile rintracciare nel Mago suggestioni e suggerimenti venuti al
Ferrari proprio dalla lettura di quella prefazione 6, soprattutto il motivo della
simbolica caccia 7, delle metamorfosi degli uomini in cani8,
dell insoddisfazione di sentirsi uomo in una universale società di sazi e
Carducci traduttore di Heine
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contenti filistei 9, della magia poetica evocante il volo di ombre, sogni,
visioni10.
Altri ancora si sono cimentati nella traduzione di poesie heiniane, con
particolare interesse all eleganza poetica più che al rispetto dello spirito,
come Tommaso Gnoli, Giovanni Alfredo Cesareo, Emilio Mariani, Rosa
Errera, o con squisito senso filologico, come Fernando Palazzi e Vincenzo
Errante. Ma si può dire che, dopo la stagione carducciana e post-carducciana,
calò il silenzio su questo poeta: altre poetiche, altri indirizzi, altre mode si
affacciavano alla ribalta del panorama letterario di un Europa sempre più
inquieta.
GABRIELE DI GIAMMARINO
Roma
__________
NOTE
1
Karl Marx, Il capitale, introduzione di Maurice Dobb, trad. it. di Delio Cantimori,
Vol. I, Roma: Editori Riuniti, 1970, p. 667, n. 63.
2
A proposito dell influenza heiniana sui nostri poeti romantico-sentimentali e sul
Guerrazzi si veda la voce Heine , in Dizionario enciclopedico della letteratura
italiana, a cura di G. Petronio, Vol. III, Palermo: Laterza-Unedi, 1967, p. 241.
3
G. Carducci, Opere, Bologna: Zanichelli, 1942, p. 251.
4
Poesie di G. Carducci 1850-1900, Bologna: Zanichelli, 1901, p. 631.
5
Tutte le poesie, a cura di Furio Felcini, Rocca San Casciano: Cappelli, 1966.
6
Ibidem, pp. 47-48.
7
Ibidem, p. 48.
8
Ibidem, p. 139.
9
Ibidem, p. 162.
10
Ibidem, p. 183.
Heinrich Heine
Appendice 1:
Im Mai
Die Freunde, die ich geküßt und geliebt,
Die haben das Schlimmste an mir verübt.
Mein Herze bricht; doch droben die Sonne,
Lachend begrüßt sie den Monat der Wonne.
Es blüht der Lenz. Im grünen Wald
Der lustige Vogelgesang erschallt,
Und Mädchen und Blumen, sie lächeln jungfräulich O schöne Welt, du bist abscheulich!
Gabriele Di Giammarino
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Da lob ich mir den Orkus fast;
Dort kränkt uns nirgends ein schnöder Kontrast;
Für leidende Herzen ist es viel besser
Dort unten am stygischen Nachtgewässer.
Sein melancholisches Geräusch,
Der Stymphaliden ödes Gekreisch,
Der Furien Singsang, so schrill und grell,
Dazwischen des Cerberus Gebell Das paßt verdrießlich zu Unglück und Qual Im Schattenreich, dem traurigen Tal,
In Proserpinens verdammten Dornänen,
Ist alles im Einklang mit unseren Tränen.
Hier oben aber, wie grausamlich
Sonne und Rosen stechen sie mich!
Mich höhnt der Himmel, der bläulich und mailich O schöne Welt, du bist abscheulich!
Appendice 2:
Die schlesischen Weber
Im düstern Auge keine Träne
Sie Sitzen am Webstuhl und fletschen die Zähne:
Deutschland, wir weben dein Leichentuch,
Wir weben hinein den dreifachen Fluch Wir weben, wir weben!
Ein Fluch dem Gotte, zu dem wir gebeten
In Winterskälte und Hungersnöten;
Wir haben vergebens gehofft und geharrt Er hat uns geäfft, gefoppt und genarrt Wir weben, wir weben!
Ein Fluch dem König, dem König der Reichen,
Den unser Elend nicht konnte erweichen
Der den letzten Groschen von uns erpreßt
Und uns wie Hunde erschiessen läßt Wir weben, wir weben!
Ein Fluch dem falschen Vaterlande,
Wo nur gedeihen Schmach und Schande,
Wo jede Blume früh geknickt,
Wo Fäulnis und Moder den Wurm erquickt -
Carducci traduttore di Heine
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Wir weben, wir weben!
Das Schiffchen fliegt, der Webstuhl kracht,
Wir weben emsig Tag und Nacht Altdeutschland, wir weben dein Leichentuch,
Wir weben hinein den dreifachen Fluch,
Wir weben, wir weben!
Appendice 3:
Karl I
Im Wald, in der Köhlerhütte, sitzt
Trübsinnig allein der König;
Er sitzt an der Wiege des Köhlerkinds
Und wiegt und singt eintönig:
Eiapopeia, was raschelt im Stroh?
Es blöken im Stalle die Schafe
Du trägst das Zeichen an der Stirn
Und lächelst so furchtbar im Schlafe.
Eiapopeia, das Kätzchen ist tot
Du trägst auf der Stirne das Zeichen
Du wirst ein Mann und schwingst das Beil,
Schon zittern im Walde die Eichen.
Der alte Köhlerglaube verschwand,
Es glauben die Königskinder
Eiapopeia nicht mehr an Gott,
Und an den König noch minder.
Das Kätzchen ist tot, die Mäuschen sind froh Wir müssen zuschanden werden Eiapopeia - im Himmel der Gott
Und ich, der König auf Erden.
Mein Mut erlischt, mein Herz ist krank,
Und täglich wird es kränker Eiapopeia - du Köhlerkind,
Ich weiß es, du bist mein Henker.
Mein Todesgesang ist dein Wiegenlied Eiapopeia - die greisen
Haarlocken schneidest du ab zuvor Im Nacken klirrt mir das Eisen.
Gabriele Di Giammarino
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Eiapopeia, was raschelt im Stroh?
Du hast das Reich erworben,
Und schlägst mir das Haupt vom Rumpf herab Das Kätzchen ist gestorben.
Eiapopeia, was raschelt im Stroh?
Es blöken im Stalle die Schafe.
Das Kätzchen ist tot, die Mäuschen sind froh Schlafe, mein Henkerchen, schlafe.
Appendice 4:
Der Kaiser von China
Mein Vater war ein trockner Taps,
Ein nüchterner Duckmäuser,
Ich aber trinke meinen Schnaps
Und bin ein großer Kaiser.
Das ist ein Zaubertrank! Ich habs
Entdeckt in meinem Gemüte:
Sobald ich getrunken meinen Schnaps,
Steht China ganz in Blüte.
Das Reich der Mitte verwandelt sich dann
In einen Blumenanger,
Ich selber werde fast ein Mann,
Und meine Frau wird schwanger.
Allüberall ist Überfluß,
Und es gesunden die Kranken;
Main Hofweltweiser Confusius
Bekömmt die klarsten Gedanken.
Der Pumpernickel des Soldats
Wird Mandelkuchen O Freude!
Und alle Lumpen meines Staats
Spazieren in Samt und Seide.
Die Manclarinenritterschaft,
Die invaliden Köpfe,
Gewinnen wieder Jugendkraft
Und schütteln ihre Zöpfe.
Die große Pagode, Symbol und Hort
Des Glaubens, ist fertig geworden;
Carducci traduttore di Heine
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Die letzten Juden taufen sich dort
Und kriegen den Drachenorden.
Es schwindet der Geist der Revolution,
Und es rufen die edelsten Mandschu:
Wir wollen keine Konstitution,
Wir wollen den Stock, den Kantschu!
Wohl haben die Schüler Äskulaps
Das Trinken mir widerraten,
Ich aber trinke meinen Schnaps
Zum Besten meiner Staaten.
Und noch einen Schnaps, und noch einen Schnaps!
Das schmeckt wie lauter Manna!
Mein Volk ist glücklich, hats auch den Raps,
Und jubelt: Hosianna!
(Neue Gedichte)
Appendice 5:
Lyrisches Intermezzo
Auf Flügeln des Gesanges,
Herzliebchen, trag ich dich fort,
Fort nach den Fluren des Ganges,
Dort weiß ich den schönsten Ort.
Dort liegt ein rotblühender Garten
Im stillen Mondenschein;
Die Lotosbumen erwarten
Ihr trautes Schwesterlein.
Die Veilchen kichern und kosen,
Und schaun nach den Sternen empor;
Heimlich erzählen die Rosen
Sich duftende Märchen ins Ohr.
Es hüpfen herbei und lauschen
Dic frommen, kluzgen Gazelin;
Und in der Ferne rauschen
Des heiligen Stromes Welin.
Dort wollen wir niedersinken
Unter dem Palmenbaum,
Und Liebe und Ruhe trinken,
Und träumen seligen Traum.
(Auf Flügeln des Gesanges)
Gabriele Di Giammarino
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Appendice 6:
Verschiedene - Seraphine
Mit schwarzen Segein segelt mein Schiff
Wohl über das wilde Meer;
Du weißt, wie sehr ich traurig bin,
Und kränkst mich doch so schwer.
Dein Herz ist treulos wie der Wind
Und flattert hin und her;
Mit schwarzen Segein segelt mein Schiff
Wohl über das wilde Meer.
(Neue Gedichte)

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