Mese 6 - giugno - Provincia Romana
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Mese 6 - giugno - Provincia Romana
VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.06 Pagina 1 VITAOSPEDALIERA Rivista mensile dei Fatebenefratelli della Provincia Romana POSTE ITALIANE S.p.A. - SPED. IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, Comma 2 - DCB ROMA ANNO LXIX - N° 06 GIUGNO 2014 VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.06 Pagina 2 VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.06 Pagina 3 EDITORIALE S O M M A R I O RUBRICHE 4 Tre Santi, una riforma: san Giovanni di Dio, san Camillo de Lellis, san Vincenzo de’ Paoli 5 Gli operatori sanitari e la difesa della vita. Aspetti bioetici e operativi 6 Il 107° congresso S.O.T.I.M.I. ospitato all’Ospedale Fatebenefratelli 7 Simbolo e tradizione della scatola di cartone finlandese 8 Storie di ortopedici Ambrogio Paré, un ortopedico moderno del XVI secolo 9 Cari giovani... 10 Inizia a disperdersi in rigagnoli, la medicina XLIV – ...e a non più identificare il paziente con la sua storia; teoria e patologia cellulare; la fisiologia sperimentale (XIX sec.) 11 Schegge Giandidiane N. 36d Fra Paolo Capobianco esemplare frate sannita 15 Vecchi ricordi di Afagnan 16 Le principali malattie parassitarie dell’apparato genitourinario: la Bilharziosi o Schistosomiasi 17 Deficit di Glut-1 Una neuro-patologia da non sottovalutare DALLE NOSTRE CASE 18-19 Ospedale San Pietro - Roma “Malati dʼarte” 20-21 Ospedale Buccheri La Ferla - Palermo In ospedale utilizzata una nuova tecnica per la diagnosi del tumore alla vescica ...e la solidarietà continua... 22 Ospedale Sacro Cuore di Gesù - Benevento A Benevento la cura del dolore è a 360° 23 Newsletter - Filippine VITA OSPEDALIERA Rivista mensile dei Fatebenefratelli della Provincia Romana ANNO LXIX Sped.abb.postale Gr. III-70%- Reg.Trib. Roma: n. 537/2000 del 13/12/2000 Via Cassia 600 - 00189 Roma Tel. 0633553570 - 0633554417 Fax 0633269794 - 0633253502 e-mail: [email protected] [email protected] Direttore responsabile: fra Angelico Bellino o.h. Redazione: Franco Piredda Collaboratori: fra Elia Tripaldi, sac. o.h., fra Giuseppe Magliozzi o.h., fra Massimo Scribano o.h., Mariangela Roccu, Maria Pinto, Raffaele Sinno, Pier Angelo Iacobelli, Alfredo Salzano, Cettina Sorrenti, Simone Bocchetta, Fabio Liguori, Raffaele Villanacci, Bruno Villari, Antonio Piscopo Archivio fotografico: Fabio Fatello Orsini Segreteria di redazione: Marina Stizza, Katia Di Camillo Amministrazione: Cinzia Santinelli Grafica e impaginazione: Duemme grafica srl Stampa: Fotolito Moggio Strada Galli s.n.c. - 00010 Villa Adriana - Tivoli (RM) Abbonamenti: Ordinario 15,00 Euro Sostenitore 26,00 Euro IBAN: IT 58 S 01005 03340 000000072909 Finito di stampare: giugno 2014 In copertina: Fra Paolo Capobianco, cieco ma ispirato da Dio, salva un bambino scivolato da una finestra (dipinto di Eladio S. Santos). TENERSI IN CONTATTO F inalmente dall’11 giugno 2002 il Congresso degli Stati UPiscoponiti d’America ha riconosciuto che l’inventore del telefono non fu Bell, ma il fiorentino Antonio Meucci, che lo mise a punto già nel 1854 e lo brevettò a New York nel 1871, ben cinque anni prima che Bell ne brevettasse, anche lui lì, uno che era assolutamente identico. Polemiche a parte, quell’invenzione ha totalmente cambiato il nostro modo di relazionarci. In Italia, fu Roma la prima città a vedere attivata, già nel 1881, una rete telefonica urbana. Esattamente in tale anno il nostro confratello milanese san Benedetto Menni, di cui proprio ora stiamo celebrando il Centenario della morte, fondava in Spagna, a Ciempozuelos, un Istituto Religioso per l’assistenza ospedaliera alle malate, specialmente mentali e disabili, al quale dette il nome di Suore Ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù. Giusto vent’anni dopo, era ovunque divenuto talmente diffuso il telefonare che Menni, in una lettera del 18 luglio 1901, inviata alla Comunità di Ciempozuelos delle sue Suore, indirizzò loro questa simpatica riflessione spirituale sui vantaggi offerti dal telefono: “Figlie mie, molto amate nel Signore, ho pensato che mi conviene avere un telefono dal mio cuore al Cuore di Gesù. Che ve ne pare, figlie mie? Non è vero che conviene? Da vedere se lo stesso appaia conveniente anche per voi: ed esiste già, poiché desiderio e intenzione fanno da filo per comunicare i sentimenti e le parole del nostro cuore a quello di Gesù. Il sistema è stato già scoperto, dunque mettiamolo in pratica, figlie mie”. Da quarant’anni la diffusione dei cellulari ha reso enormemente più facile e veloce tenersi in contatto, qualunque sia la distanza che ci separa. Ci sembra ormai impossibile vivere senza connettersi di continuo con chi ci sta a cuore, forse solo di tanto in tanto con chiamate a viva voce, abbastanza costose, ma di continuo con messaggini e autoscatti. Specie quando scocca la scintilla dell’amore, pare non ci sia miglior modo d’alimentarlo che con una pioggia di sms o selfie; e se per caso si diradano, vuol dire che l’amore sta morendo. Tale rivoluzione mediatica ha avuto immenso e rapido successo, in quanto risponde a uno dei bisogni fondamentali dell’uomo. Egli, infatti, essendo stato creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1,27), che è per essenza Amore (cfr 1 Gv 4,7-8), è chiamato a crescere in tale somiglianza aprendosi all’amore per Dio e per gli uomini, il che esige mettersi in comunicazione con altri quanto più ampiamente possibile: ciò che i telefonini ci consentono di fare all’istante, raggiungendo le persone dovunque siano. Se vivesse ora, Menni ci farebbe notare l’analogia tra gli sms di oggi e l’antico uso di pie giaculatorie, indirizzate mentalmente al Signore e ai Santi. Egli le usava di continuo e la preferita era: “Gesù mio, di me diffido, nel tuo Cuore confido e mi abbandono”. Credo che meriti ripeterla soprattutto in questo mese, che è dedicato al Sacro Cuore di Gesù, la cui festa cade il 27 giugno. Per inciso, è una festa che fu estesa alla Chiesa Universale nel 1856, ossia proprio quando il quindicenne Menni s’avviò per la via della santità con l’impegnarsi a ricevere Gesù Sacramentato ogni giorno e non solamente ogni primo venerdì del mese; e quando poi nel 1860 entrò dai Fatebenefratelli, vide quanto anche loro propugnassero la devozione al Cuore di Gesù e vollero intitolargli il nuovo Ospedale di Benevento e la rispettiva Chiesa, la prima in città a portare tale titolo e sul cui altar maggiore fu intronizzata nel 1897 la bella tela del pittore Marcello Sozzi, che qui riproduciamo perché felicemente insolita, ossia con Gesù che nell’additarci il suo Cuore ardente d’amore per noi, sostiene al contempo la croce, per ricordarci l’orribile supplizio che affrontò per purificare i nostri cuori e renderci capaci di ardere della stessa fiamma. VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.06 Pagina 4 CHIESA E SALUTE TRE SANTI, UNA RIFORMA: SAN GIOVANNI DI DIO, SAN CAMILLO DE LELLIS, SAN VINCENZO DE’ PAOLI Fra Elia Tripaldi, sac. o.h. Seconda parte: san Camillo de Lellis S i deve alla Chiesa la prima organizzazione dell’assistenza sanitaria con la creazione di ospedali, ospizi, luoghi di cura e di assistenza per ammalati e orfani. L’opera preziosa dei vescovi, dei diaconi e delle diaconesse, delle vedove e delle vergini, dei “fossori”1 in qualità di amministratori del patrimonio della comunità cristiana, di addetti alla cura delle sepolture, all’assistenza agli orfani, alle vedove, al trasporto dei malati, ecc., e quella di personaggi come Fabiola2, Pammachio3, ecc., testimoniano la sollecitudine dimostrata da Cristo per i malati, i sofferenti e i bisognosi. La storia della Chiesa è storia di carità senza la quale non sarebbe la Chiesa di Cristo. Nel cinquecento, caratterizzato dalla centralità dell’uomo e dalla presa di coscienza da parte dello Stato di assumere le proprie responsabilità nel settore dell’assistenza, ormai non più vista come dovere e impegno di carità da parte della Chiesa, si sviluppa il fenomeno dell’‹inumanità dell’umanesimo› che fa sì che gli ospedali e la cura degli infermi presentano spesso gravi fenomeni di disumanizzazione e di emarginazione, con una tecnologia e una scienza capace di curare e guarire, meno di prendersi cura della persona. Figure di Santi come Giovanni di Dio e Camillo de Lellis, grandi riformatori della sanità, promuovono energicamente una “riforma dell’assistenza” basata sul rispetto della persona e sulla cura globale del malato. Essi sono i precursori di una “rivoluzione antropologica che deve essere alla base anche della medicina moderna”4. Questo loro umanesimo – afferma il famoso neuropsichiatra Lombroso “ha radici nella natura dell’uomo, di tutti gli uomini, a prescindere dalle loro condizioni culturali e sociali. Perché la ma- 4 lattia prescinde da tali condizioni, e perché la cura dovrebbe prescinderne”5. Camillo de Lellis (1550-1614), fece la sua prima esperienza come malato nell’ospedale san Giacomo a Roma per una persistente e misteriosa piaga contratta in guerra. Quivi fu in seguito assunto come infermiere e quindi come responsabile di tutti i servizi dell’ospedale sperimentando le drammatiche condizioni dei malati, la negligenza e la mal disposizione degli inservienti (“uomini mercenari”) pensò di raccogliere uomini pii disposti a servire i malati per amore di Dio, anche con pericolo della vita. Il P. Cicatelli, religioso della medesima religione, così rievoca quel provvidenziale momento: “Stando adunque egli una sera verso tardi (che poteva essere un’hora di notte) nel mezzo dell’hospidale soprapreso da queste considerazioni, gli venne il seguente pensiero: ch’à tale inconveniente non si poteva meglio rimediare che con liberare essi infermi da mano di quei mercenarij et in cambio loro instituire una Compagnia d’huomini pij, e da bene, che non per mercede, ma volontariamente e per amor d’Iddio gli servissero con quella charità et amorevolezza che sogliono far le madri verso i loro proprij figliuoli infermi”6. Pur non essendo un uomo di cultura, Camillo ha lasciato scritti di suo pugno: “Le regole per ben servire li poveri infermi” dove lui sviluppa l’idea di un’assistenza realizzata in una visione unitaria dell’uomo, “con ogni charità così dell’anima come del corpo” e “mai cura dello spirituale senza il corporale”. L’umanizzazione, il grande rispetto, l’amore materno verso l’infermo sono caratteristiche consegnate ai suoi figli spirituali: “Desideriamo con la grazia di Dio assistere tutti gli infermi con quell’affet- to che suole avere un’amorevole madre verso il suo unico figlio infermo” (R. XXVII). “E quando il malato sarà abbandonato dal medico o sarà in agonia, si metta tutta la diligenza possibile per aiutarlo a ben morire” (R. XXXIV)7. Camillo, dopo la sua morte avvenuta il 14 luglio 1614, ci ha trasmesso un nuovo stile e una riforma di assistenza, più umana e conforme alla visione antropologica dell’uomo sottolineata dal Concilio Vaticano II. _________________ I fossori (lat. fossores, laborantes) erano operai addetti all’escavazione delle catacombe e all’amministrazione di esse dal momento che essi regolavano l’assegnazione e la compravendita degli spazi sepolcrali disponibili. 2 Fabiola matrona romana, con due matrimoni infelici alle spalle, dopo la sua conversione al Cristianesimo dedicò il resto della sua vita alle opere di carità caricandosi sulle spalle poveri e malati, a volte sgradevoli e ripugnanti. Ella fondò un ospedale dove raccolse tutte le persone sofferenti trovate sulle strade. 3 Pammachio cristiano e senatore romano allorché la moglie morì di parto, si fece monaco e iniziò a dedicarsi all’attività caritativa. Insieme a Fabiola fondò lo xenodochio di Porto, presso le foci del Tevere, per ospitare i poveri e i malati. 4 COSMACINI G., La salute, la cura, la storia, “Missione Salute”, Velar, Gorle (BG), p. 153 5 Ivi, p. 165 6 CICATELLI S., Vita del P. Camillo de Lellis Fondatore della Religione dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi, (1609), in COSMACINI G., cit. p. 160 7 CASERA D., Chiesa e salute, Ancora Milano 1991, pp. 94-95 1 VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.06 Pagina 5 BIOETICA GLI OPERATORI SANITARI E LA DIFESA DELLA VITA. ASPETTI BIOETICI E OPERATIVI Dobbiamo tenere viva nel mondo la sete dell’Assoluto, non permettendo che prevalga una visione della persona umana a una sola dimensione, secondo cui l’uomo si riduce a ciò che produce e a ciò che consuma: è questa una delle insidie più pericolose del nostro tempo. PAPA FRANCESCO Raffaele Sinno G li operatori del mondo della salute, nel loro comune impegno nella difesa della vita, si trovano spesso di fronte a difficoltà esecutive e complesse per diverse ragioni. Le condizioni che determinano una continua verifica tra modelli etici formativi e procedure assistenziali sono molteplici: in primo luogo si assiste a una velocizzazione degli iter clinici terapeutici congiuntamente a obiettivi di gestione economica del management sanitario in una popolazione sempre più esposta a una fragilità globale, come per gli anziani non autosufficienti, oppure per le persone colpite da patologie neurodegenerative invalidanti o la diffusione di comportamenti sociali che minano l’integrità fisica, psichica e spirituale della persona. La riflessione bioetica contemporanea ha, in diverse occasioni, affermato che la difesa della vita non può rappresentare una generica responsabilità degli operatori della salute, ma è il fulcro di qualsiasi gestione assistenziale. Gli Healt professional, nella loro azione quotidiana, devono considerare tre livelli d’indagine per mantenere fede al loro comune carisma di ministri della vita1 ossia: - La valutazione individuale e del team, alla cooperazione per la difesa della vita; - L’integrazione delle metodologie messe in campo per ottenere un ampliamento della protezione della vita umana; - La costante verifica dei comportamenti o procedure erronee. La valutazione individuale, in difesa della vita, rappresenta il punto cardine sul quale si fonda ogni sistema assistenziale. In effetti, una delle maggiori difficoltà consiste nella standardizzazione e spersonalizzazione delle cure. L’acquisizione delle competenze e della professionalità etica di ogni operatore professionale non dovrebbe pertanto limitarsi a una cooperazione indiretta della mission di una struttura, al contrario si dovrebbe puntare a una formazione continua in tale settore. Recenti studi bioetici dimostrano che, dove la formazione etica del personale è stata un obiettivo prioritario, si è ottenuta una migliore integrazione tra i membri di un’équipe, con una maggiore soddisfazione percepita da parte dei pazienti o dei loro familiari.2 La tutela della vita perciò richiede una sua programmazione, poiché non è più sufficiente dichiarare principi generali, senza essere in grado di mettere in campo metodologie eticamente corrette e condivisibili. Si tratta di avviare una profonda revisione del sistema sanitario, poiché mettere al centro la persona significherà ridare competenza a chi lo assiste, reinvestire sulle necessità sociali, salvaguardare la vita con l’obiettivo di darle un senso.3 Per far ciò è fondamentale una costante verifica dei comportamenti o delle procedure non in maniera burocratica, utilizzando uno scambio sapienziale. Ogni valutazione inoltre dovrebbe considerare che le capacità umane possono e devono essere formate in modo da evitare due pe- ricoli nell’azione professionale: la rassegnazione sull’inevitabilità che nulla cambi del sistema con l’utilizzo della cultura della delega. Le persone vulnerabili, oltre ai loro bisogni primari della cura fisica psichica, richiedono un’assistenza globale, una condivisione attraverso un ascolto che sia dialogo. Prestare aiuto, e non solo soccorso, significa elevare tutto il bene delle attività tecno scientifiche a quelle umane ed etiche. Spesso si ritiene, a torto, che qualità e quantità, che scienza ed etica siano non convergenti, e che un risultato in un campo sia a sfavore di un altro. Nasce così la cultura della delega, in modo che ogni nodo comportamentale diventi sempre più irrisolvibile. Questo rinvio continuo all’autorità preposta nasconde l’incapacità personale, e del sistema, ad affrontare le sfide contemporanee, e si rafforza in definitiva l’idea diffusa che nulla potrà essere modificato. È fondamentale, per ovviare a tale modo di concepire e vivere l’organizzazione sanitaria, che ogni comportamento tuteli la vita di ogni persona. Bisogna ascoltare per dialogare, programmare per verificare, darsi responsabilità per motivare gli altri. In definitiva ogni vita per essere difesa e rispettata non può rimanere confinata nel dibattito dell’egoismo, o limitata da un’esclusiva protezione legale. Per difendere la vita bisogna avere il coraggio di narrarla, anche quando ciò comporta sconfitte e insuccessi, perché la dignità umana non potrà mai essere massificata o cosificata, essa va oltre ogni nostra categoria o tentativo di manipolazione. _________________ Pontificio Consiglio della Pastorale per gli operatori Sanitari, La Carta degli Operatori Sanitari, Introduzione, Roma 1995 2 Mary Ann Baily, Melissa Bottrell et al L’etica dell’utilizzo dei metodi di QI per migliorare la qualità e la sicurezza dell’assistenza, Report dell’ Hasting Center, 2002 3 Raffaele Sinno, Questioni etiche e bioetiche della difesa della vita nell’agire sanitario, in “Corso di formazione per gli operatori sanitari”, Ascoli Piceno 11 e 12 dicembre 2011 1 5 VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.06 Pagina 6 SANITÀ IL 107° CONGRESSO S.O.T.I.M.I. OSPITATO ALL’OSPEDALE FATEBENEFRATELLI Antonio Piscopo È stata presieduta dal dr Antonio Piscopo, direttore della Unità Operativa Complessa di Ortopedia e Traumatologia, l’edizione n. 107 della S.O.T.I.M.I. (società di ortopedia e traumatologia dell’Italia meridionale e insulare) che si è tenuta dal 29 al 31 maggio presso l’aula magna dell’Ospedale Sacro Cuore di Gesù Fatebenefratelli di Benevento. Chirurghi ortopedici di provenienza nazionale e internazionale si sono confrontati su una tematica di notevole importanza e attualità: l’osteolisi periprotesica dell’anca nei suoi aspetti etiopatogenetici, clinici e terapeutici. La S.O.T.I.M.I. nasce nel luglio del 1955 per iniziativa e merito del prof. Pasquale Del Torto, direttore della Clinica Ortopedica dell’Università di Napoli. Il primo congresso della S.O.T.I.M.I. si svolse a Salerno nei giorni 4-5 febbraio del 1956 nella storica sala della Scuola Salernitana di Medicina. In quella occasione, il prof. Del Torto, nel discorso inaugurale, illustrò le motivazioni che lo indussero alla creazione della società. Stimolo alla produzione culturale e scientifica, portare rapidamente a conoscenza degli altri il frutto dei propri studi, tanto da tenere alto il prestigio dell’ortopedia italiana, era il primo imperativo prefisso. Ma, il prof. Del Torto, nello stesso tempo, volle che questo progetto passasse attraverso i giovani ortopedici, in altri termini pretese che la 6 S.O.T.I.M.I. rappresentasse la palestra dove i giovani ortopedici potevano esprimere e confrontare la propria crescita culturale e professionale con colleghi giovani di altre scuole. Ovviamente il tutto doveva avvenire sotto l’occhio vigile e paterno dei Maestri. La storia gli ha dato ragione: all’ombra della S.O.T.I.M.I. sono maturati i grandi maestri della chirurgia ortopedica napoletana: i professori Eugenio Jannelli, Ugo Del Torto, Antonio Mignogna, Nicola Misasi, Giacomo Rosa, Mario Pavone, Vittorio Monteleone, Giuseppe Guida, tutti, massima espressione di quella Clinica Ortopedica dove la S.O.T.I.M.I. rappresen- tava il vero “cuore pulsante”. Nel 1974, il prof. Ugo Del Torto, direttore della Clinica Ortopedica di Napoli, e il prof. Mario Boni, direttore della Clinica Ortopedica di Pavia, propongono il gemellaggio con la S.A.T.O. (società andalusa di ortopedia e traumatologia): il primo congresso S.A.T.O. - S.O.T.I.M.I. si svolge nel 1975 in una terra magica, Granada, terra dove ha visto i natali l’Ordine dei Fatebenefratelli, voluto da san Giovanni di Dio (1495-1550), proclamato patrono degli ospedali, ammalati e operatori sanitari, e riconosciuto dal Papa san Pio V, nel 1572. Presiedere l’edizione 107a della S.O.T.I.M.I. è stato per Me motivo di grande onore, soprattutto perché io stesso sono stato allevato con pazienza presso la Clinica Ortopedica dell’Università di Napoli e all’ombra della stessa S.O.T.I.M.I. ma, motivo di orgoglio è stato soprattutto portare questo Congresso in una Provincia e all’interno di un presidio ospedaliero (tutte le edizioni precedenti si sono svolte in capoluoghi di Regione e mai all’interno di un ospedale). È stato un atto dovuto, di riconoscenza , a tutto il Sannio e in particolare all’Ordine ospedaliero di san Giovanni di Dio, conosciuto in Italia come Fatebenefratelli, di cui quest’anno ricorre il 4° Centenario di presenza a Benevento, ai quali va tutta la mia stima e riconoscenza in quanto, non poco hanno contribuito alla mia crescita umana e professionale. VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.06 Pagina 7 SIMBOLO E TRADIZIONE DELLA SCATOLA DI CARTONE FINLANDESE Mariangela Roccu I l governo finlandese, da oltre settantacinque anni, dona una scatola di cartone alle donne in attesa di un bambino. É diventata una tradizione molto cara al popolo scandinavo, che ormai fa parte di un rito che segna il passaggio verso la maternità e decreta l’unione delle generazioni. La scatola è diventata un vero e proprio simbolo dell’idea di uguaglianza e dell’importanza dei bambini, perché oltre a essere utilizzata come letto, è un utilissimo aiuto economico poiché contiene tutto l’indispensabile per il piccolo nato. Il contenuto della scatola per alcune famiglie sarebbe insostenibile se non fosse gratuito. Il pacco maternità è a disposizione di tutte le donne incinte ed è stato progettato per dare a tutti i bambini, non importa il loro ceto sociale, un uguale inizio nella vita. La scatola con il materassino diven- ta il primo letto di un bambino di ogni estrazione sociale, che fa i suoi primi sonnellini in sicurezza all’interno delle quattro pareti di cartone della scatola. Le mamme possono scegliere tra il pacco maternità o una sovvenzione diretta in denaro, attualmente fissata a 140 euro, ma il 95% preferisce la scatola di cartone che vale molto di più. Gli indumenti possono essere riutilizzati e passare da una bambina a un bambino e viceversa, perché i colori sono volutamente di genere neutro. Il contenuto della scatola nel corso degli anni è cambiato perché riflette i tempi che cambiano. La scatola, che può essere utilizzata come lettino contiene: materasso, coprimaterasso, sottolenzuolo, copripiumino, coperta, sacca/trapunta con imbottitura in pelo naturale (pelo di cammello o lana di pecora naturale); tuta, cappello, guanti e stivaletti coibentati; abito con cappuccio e una tuta leggera lavorata a maglia; calze e guanti, cappello lavorato a maglia e passamontagna; body, tutine, calzini in modelli e colori unisex; accappatoio, asciugamani, forbicine per le unghie, spazzola per capelli, spazzolino da denti, termometro da bagno, tubetto di crema, salviette; libro illustrato e giocattoli per la dentizione. Tra gli oggetti inseriti nella scatola, ha avuto un effetto positivo quello del libro illustrato, perché ha incoraggiato i bambini a maneggiare i libri e un giorno a leggerli. La scatola di cartone ha avuto il merito non solo di fornire alle mamme il necessario per prendersi cura del loro bambino, ma anche di contribuire a orientare le donne in gravidanza a prendere contatti con medici e infermieri al servizio del nascente stato sociale. La Finlandia nel 1930 era un paese povero con un alto tasso di mortalità infantile (65 su 1.000 bambini morti). Alcuni studi hanno dimostrato che la scatola ha contribuito a far raggiungere alla Finlandia uno dei tassi di mortalità infantile più bassi del mondo. Ai genitori si raccomandava di non far dormire i bambini nel loro letto. L’introduzione della scatola di cartone utilizzata come letto, ha aiutato molti genitori a lasciare i loro bambini a dormire separati da loro. Uno degli obiettivi principali di tutto il programma è stato anche quello di far allattare la maggior parte delle donne; infatti, biberon e ciucci sono stati rimossi per promuovere l’allattamento al seno. Non è un caso, quindi, che le mamme finlandesi, come conferma un recente studio, siano le più felici del mondo e si sentano “coccolate” dallo Stato, nonostante la riduzione di alcuni servizi di assistenza. 7 VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.06 Pagina 8 STORIA DELL'ORTOPEDIA STORIE DI ORTOPEDICI Ambrogio Paré, un ortopedico moderno del XVI secolo Luigi Meccariello, Sara Cioffi, Maria Liberata Meccariello A mbroise Paré (Bourg-Hersent, Laval, 1510 – Parigi, 20 dicembre 1590) è stato un medico e chirurgo francese, considerato come il padre della chirurgia moderna. Era il chirurgo del re di Francia Enrico II, della regina Caterina de’ Medici e della famiglia reale. Va a lui il merito di aver introdotto la legatura dei vasi in seguito alle amputazioni. Fu il primo a pubblicare un libro sul trattamento delle ferite d’arma da fuoco (1545). I suoi studi sulle fratture lussazioni e fasciature rappresentarono le migliori opere trattanti questa materia dall’antichità classica. Nelle sue opere ripropose il metodo Aristotelico della classificazione e fu precursore di Bacone nel concetto della metodologia empirica. Paré poteva vantarsi delle sue qualità didattiche: aveva delle enormi conoscenze conseguite dalla sua formazione autodidatta che lo promosse chirurgo alla corte di Francia, ove servì quattro re. Fu molto richiesta la sua prestazione a Parigi, ciò gli permise di venire a contatto con le più illustri menti di quel tempo. Sebbene non conoscesse il greco e pure poco il latino era, comunque perfettamente al corrente delle opere degli altri nell’antichità classica. Definito “un uomo della pratica”riportava nella prefazione del suo libro delle piaghe: «Sono così determinato a non nascondere il talento che Dio è stato contento di concedermi nella Chirurgia, che è la mia vocazione in questa breve vita, che quanto più i miei giorni passano, tanto più duramente io mi sento guidato a lavorare mentre essi si consumano, per aiutare, se posso, quelli che avranno a che fare con me, finché Dio sarà felice di lasciarmi su questa terra». Paré è stato soprattutto un chirurgo di guerra poiché fece diverse campagne. Conquistò l’arte di 8 togliere i proiettili penetranti in profondità e fu un capace chirurgo. Durante la spedizione a Danvilliers, nel 1552, gli fu ordinato di curare un ufficiale che aveva riportato in battaglia una ferita d’arma da fuoco a una gamba. La tradizione chirurgica voleva che, in seguito a una ferita del genere, l’arto venisse amputato e che il moncone fosse cauterizzato con del ferro rovente. Questo metodo, stimolo alla cicatrizzazione con l’olio di trementina. Famosa è stata la sua prima descrizione della prima notte dopo la prima volta della applicazione di olio di trementina e della legatura dei vasi, riportata nell’opera Journey in diverse places: «La notte non riuscii a dormire tranquillo, col timore, per la mancata cauterizzazione, di trovare morti avvelenati coloro con i quali non avevo usato l’olio bollente; pertanto mi alzai molto presto per visitarli, e, con mia grande sorpresa, scoprii che quelli ai quali avevo applicato la lozione medicinale non soffrivano molto, e le loro ferite non presentavano infiammazione e gonfiore, e la notte avevano riposato ragionevolmente bene; gli altri, su cui avevo usato il detto olio bollente, li trovai febbricitanti, in preda a forte dolore e con gonfiore intorno alle ferite. Allora decisi tra me che mai più avrei crudelmente bruciato dei poveretti feriti con armi da fuoco». Stephen Paget nel suo “Ambroise Paré and his times 1510-1590” disse: «Fece un buon lavoro sotto pessime regole». Ambrogio Paré va ricordato inoltre anche per i suoi trattamenti del piede torto e della scoliosi, precursori dei moderni trattamenti di tali patologie. Paré, senza saperlo, descrisse la scoliosi prima del concetto di “rachidite” di Francesco Glisson Dott. Ambroise Paré (1597-1677) e inoltre descrisse le varie tipologie della scoliosi: idiodi solito, causava la morte del paziente nei patica, atteggiamento scoliotico e secongiorni seguenti a causa della forte infezio- daria. Paré notò la patologia fra gli scolane che colpiva l’ustione. Paré, dunque, si ri e le donne che avevano abiti stretti e una decise ad applicare al moncone dell’uffi- certa tendenza ereditaria potendo freciale la legatura delle arterie, risparmian- quentare famiglie nobiliari. dogli il ferro rovente. L’ufficiale guarì in Fu uno dei primi medici a capire che la tempi relativamente brevi, e rimase grato rachidite, la moderna scoliosi, avesse un ad Ambroise per il resto della sua vita. carattere ereditario a trasmissione materFu il primo tentativo che gli fece for- na. Paré senza dubbio oltre a essere il pamulare l’importanza dell’emostasi con la dre della dignità di emancipazione del legatura delle arterie e vene. Si distinse chirurgo nella scienza medica del XVI, ha anche nell’idealizzazione della prima posto dei principi saldi su cui si basa l’ormedicazione “Grassa” della storia per lo topedia moderna. VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.06 Pagina 9 ANIMAZIONE GIOVANILE CARI GIOVANI… Fra Massimo Scribano o.h. C arissimi giovani del gruppo “Se ognuno fa qualcosa”, in questo mese è a voi che mi rivolgo poiché sono passati tre lunghissimi anni da quando io sono arrivato qui a Palermo. Ricordo ancora come se fosse ieri l’accoglienza che mi avete dimostrato e col passare del tempo l’affetto riversato. Un percorso che abbiamo iniziato insieme a sr Serena Maricosu, delle Ancelle della Sacra Famiglia, e a Padre Carlo Musmarra, della Compagnia di Gesù (Gesuiti). In tre abbiamo coordinato gli incontri settimanali, i ritiri mensili al C.E.I. (Centro Educativo Ignaziano) e i Campi estivi annuali. Abbiamo lavorato con passione e dedizione per trasmettere ai nostri fratelli più piccoli il seme della fede che deve ancora germogliare. Carissimi giovani abbiamo tutti fatto un cammino che ci ha portato ad accorgerci che siamo ancora bisognosi di Dio per poter essere sempre forti ad affrontare la vita. Siate entusiasti di essere cristiani, non vergognatevi di dichiarare apertamente il vostro amore per Dio e per la Chiesa. Abbiate il coraggio di affrontare la vita che vi si presenta davanti con l’entusiasmo, la freschezza e la semplicità di voi giovani. Siate voi stessi, siate capaci di cambiare la mentalità a questo mondo con la tenerezza e la bontà. Essere teneri e affettuosi non è sintomo di debolezza ma di maturità e di capacità di poter affrontare le cose in maniera diversa da come il mondo ci invita a fare ogni giorno. Fra Massimo con i giovani pensare, di scherzare e di ridere. Dio vi ama così come siete. Non dovete cambiare nulla, è tutto in voi, la potenzialità e la bellezza della vostra età. Ma il Signore mi disse: “Non dire: ‹Sono giovane›. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò”. La giovinezza è non solo sintomo di inesperienza, ma anche di slancio vitale per affrontare le difficoltà. Naturalmente manca l’esperienza, la prudenza e la riflessione nel fare determinate cose. Ma abbiate voglia di crescere sani e forti per poter essere pronti a gettare le reti e riuscire come gli apostoli a pescare tanti pesci per diventare pescatori di uomini. Il mondo è malato di soldi, di successo e di gloria. Sono tutte cose che non saziano il nostro cuore, ma saziano il nostro io, che è sempre ingordo. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (Rm 12,2). Siate caritatevoli gli uni con gli altri. La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore (Rm 12,9-11). Siate creativi e originali nel presentarvi al mondo e alla società. Chi vi vede deve percepire che siete speciali nel modo di Il passo biblico, sopra citato, è molto impegnativo ma racchiude in sé una bellezza coinvolgente. Detestate il male, attac- catevi al bene: ancorati al bene senza pensarci che se lasciate il male non è un problema ma camminerete senza pesi inutili e avrete la possibilità di volare in alto e gridare sui tetti che avete incontrato l’Amore che è Dio Padre. Carissimi Giovani siamo giunti al termine di questa pagina e della mia permanenza a Palermo. Ci rivedremo a luglio per il campo che stiamo organizzando. Volevo solo rendere grazie a Dio Padre per avermi concesso di scendere a Palermo e fare parte della vostra vita, a sr Serena che con tanta pazienza e devozione mi ha sopportato e supportato nelle scelte e nei lavori di équipe, a Lei Padre Carlo che ha saputo dare i semi della speranza, della fede e della carità a questi giovani che stanno crescendo. Auguro a tutti voi giovani e lettori un rilassante periodo estivo mantenendo alta la nostra fede e la nostra preghiera. Per chi desiderasse partecipare alle Esperienze di servizio o semplicemente a dei fine settimana a Genzano di Roma per discernimento o orientamento vocazionale, siamo a vostra disposizione. Potete telefonare allo 06.93738200; o scrivere una mail all’indirizzo [email protected]; consultare la pagina Facebook: Centro Giovanile Vocazionale Fatebenefratelli; o il sito www.pastoralegiovanilefbf.it. Buone vacanze a presto! 9 VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.06 Pagina 10 IL CAMMINO DELLA MEDICINA INIZIA A DISPERDERSI IN RIGAGNOLI, LA MEDICINA XLIV – ...e a non più identificare il paziente con la sua storia; teoria e patologia cellulare; la fisiologia sperimentale (XIX sec.) Fabio Liguori P rima dell’800, i rari successi in medicina erano la conseguenza di specifici eventi di singoli scienziati. Al perfezionamento degli strumenti ottici, il XIX secolo annota fondamentali successi in molteplici campi della scienza (batteriologia, fisica, chimica). Ne sono esempio l’isolamento del principale alcaloide dell’oppio (morfina, tedesco F. Serturner, 1805) e la scoperta del cloroformio (1831), che trascineranno la chirurgia verso progressi mai ipotizzati prima. Frattanto, le individuazioni dei grandi batteriologi (Pasteur e Koch), e il ruolo che andava assumendo la fisiologia cellulare e molecolare, stimoleranno lo sviluppo di sempre nuove tecniche biomediche. Ne deriverà un’inevitabile frammentazione del sapere medico, con la medicina che inizia a disperdersi in rigagnoli e a non più considerare il paziente un “tutt’uno” con la sua storia. Celle di conventi, da cui “cellula” 10 Teoria e patologia cellulare. Osservando al microscopio sottili fette di sughero, il fisico inglese Robert Hooke aveva già identificato (1665) strutture apparentemente vuote somiglianti alle “celle” dei conventi, che chiamò appunto cellule. Si trattava di pareti di cellule morte di cui, perciò, non avrebbe potuto individuare né il nucleo, né gli altri organi cellulari. L’olandese Antoni van Leeuwenhoeh aveva invece per primo intravisto al microscopio (1674) cellule vive che definì animaluncoli (protozoi). Soltanto un secolo e mezzo dopo (1824), con il perfezionarsi dei microscopi il medico e botanico francese Henri Dutrochet potrà formulare uno dei dogmi della moderna teoria cellulare: essere, cioè, la cellula elemento fondamentale dell’organismo, unità presente in tutti gli esseri viventi; e la malattia una conseguenza dell’alterazione cellulare. Altra pietra miliare è l’individuazione (tedesco Theodor Schwann, 1839) della cellula nucleata. Sarà poi ancora un tedesco, il medico e naturalista Rudolf Virchow (18211902), a concludere che ogni cellula nasce da un’altra cellula (proliferazione cellulare). Iniziano così i moderni studi di patologia cellulare che comprendono gli stimoli che colpiscono la cellula, le lesioni che ne conseguono, e le reazioni della cellula a tali stimoli: fino all’invecchiamento e alla morte della stessa. La fisiologia sperimentale. Il fisiologo francese Claude Bernard (1813-1878) per la prima volta sostiene che tutte le creature viventi sono in uno stato di equilibrio interno del corpo in continua regolazione, hanno cioè la capacità di mantenere costanti temperatura, pressione cardiaca, contenuto idrico, produzione di energia, ecc., anche al variare di condizioni ambientali esterne. Questo concetto viene Proliferazione cellulare definito con il termine di omeostasi, e costituisce la nascita della fisiologia sperimentale. Le ricerche di Bernard riguarderanno, in particolare, le funzioni del fegato (la glicogena sarà chiarificatrice della causa del diabete mellito), e l’esistenza di nervi vaso-motori, vaso-dilatatori e vasocostrittori; ipotizzando anche secrezioni endogene da ghiandole che versano i loro secreti direttamente nel sangue (gli ormoni, scoperti poi nel 1902), e dimostrando che l’organismo è capace di scindere e sintetizzare complesse sostanze, getta le basi del metabolismo. Il chimico tedesco J. von Liebig (1803-1873) classifica infine gli alimenti (grassi, proteine, carboidrati) e loro funzioni. Frattanto, molti erano ancora scettici verso la nascente “scienza batteriologica”, tra cui il tedesco Virchow che asseriva essere la scoperta di alcuni microrganismi “non sempre significato della malattia”. Tuttavia, molto prima che venissero scoperte le tossine ipotizzò che alcuni microbi potessero produrre sostanze responsabili di azioni simili. Ogni futura applicazione nelle conoscenze mediche ora si concentra sull’osservazione microscopica. Omeostasi (“equilibrio” interno del corpo) VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.07 Pagina 11 Schegge Giandidiane N. 36d Fra Paolo Capobianco esemplare frate sannita I carismi sono doni gratuiti del Signore e non c’è perciò modo di conquistarli. L’iniziativa parte solo dal Signore e l’unica cosa che noi possiamo fare è di aprire il nostro cuore se Lui vi bussa. Ma la porta del cuore ha la maniglia solamente all’interno: Gesù può bussare ma, per rispettare la nostra libertà, non può essere lui ad aprire e aspetta che lo facciamo noi, quando infine ci accorgeremo che sta bussando. Nella nostra vita quotidiana siamo portati a centrare l’attenzione su cose effimere, finché non arrivi il momento benedetto di convertirci, ossia di operare un’inversione di rotta e focalizzarci finalmente su Gesù, l’unico che può rendere la nostra vita degna d’esser vissuta. Nella primissima e più accreditata biografia di San Giovanni di Dio, ultimata nel 1581 da Francisco de Castro, Cappellano dell’Ospedale di Granada fondato dal Santo, così è narrato il primo ba- San Giovanni di Dio ebbe il suo Fu Cristo il centro della vita del Santo luginare del carisma dell’Ospitalità nel cuore del Santo: nel cap. VIII è descritta la sua pena nel veder “trattati così male e con tanta crudeltà questi poveri infelici e fratelli miei che si trovano insieme con me” e nel veder inascoltato l’accorato suo appello di “avere compassione di essi e delle loro sofferenze, e di pulirli e dar loro da mangiare con più carità e amore”; e nel cap. IX si aggiunge che il Santo “vedendo castigare gli infermi mentali, suoi compagni di degenza, diceva: «Gesù Cristo mi conceda il tempo e mi dia la grazia di aprire un ospedale, in cui poter accogliere i poveri abbandonati e i privi della ragione, e servirli come desidero io». Per realizzare tale proposito e appena ottenne d’esser dimesso, andò prima nel Santuario Mariano di Guadalupe ad implorare l’aiuto della Madonna, poi da San Giovanni d’Avila a Baeza affinché desse solide basi interiori al suo proposito di consacrarsi a Dio, e infine a Granada, dove riuscì ad avviarvi un Ospedale come lo sognava lui. Già prima che finisse il 1539, gli si affiancarono i primi discepoli e agli inizi del 1540 il vescovo di Tuy gli impose un abito religioso e il nuovo nome di Giovanni di Dio. Tale cambio di nome e d’abito fu adottato anche dai suoi discepoli, che dopo la sua morte presero a diffondersi in varie città, rendendo vera la sua profezia riportata nel cap. XVIII, in cui si legge che egli l’aveva confidata ad uno dei suoi primi compagni col dirgli “che ci sarebbero stati molti del F.G.M. : Schegge Giandidiane. N. 36d – Fra Paolo Capobianco, esemplare frate sannita momento di conversione nell’udire predicare San Giovanni d’Avila e da quel momento al centro dei suoi pensieri ci fu Cristo, morto in croce per redimerci da qualsiasi peccato: brandendo un crocifisso, prese a urlare i propri peccati, sicché lo ritennero matto e finì ricoverato in Manicomio, ma fu provvidenziale poiché ora che Gesù era dentro il suo cuore, ricevette il carisma di veder tutto con gli occhi di Lui e d’intuire la realtà del Corpo Mistico, grazie al quale siamo tutti fratelli in Cristo, sicché non solo i problemi degli altri diventano anche miei, ma se me ne faccio carico, Gesù ritiene rivolto a Lui ogni mio gesto d’aiuto per chi è in difficoltà. 225 A Benevento i Fatebenefratelli hanno messo piede da ben quattrocento anni, facendovi fiorire il carisma che San Giovanni di Dio aveva ricevuto dal Signore in Spagna nella città di Granada, dove nel 1539 fu spinto da esso ad aprire il suo primo Ospedale. Ogni carisma è un dono, che il Signore concede ad un’anima non solo per darle la capacità d’incarnare in uno specifico contesto l’Amore di Dio, ma anche per contagiare col fuoco di tale carisma anche altre anime, in una mistica catena che arriva ad estendersi in altri luoghi e talora per secoli, finché continua a trovar anime generose, disposte a fargli spazio nel loro cuore. VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.07 Pagina 12 nosciuta nobiltà della moglie e nel 1667 di veder riconosciuti come marchesati i due citati feudi, sicché acquisì per se stesso il titolo di marchese di Carife e per un suo nipote quello di marchese di Rocca San Felice. In definitiva, il celebre giurista e i due marchesati sono per il casato beneventano dei Capobianco glorie veritiere di cui potersi vantare, ma posteriori a fra Paolo. P. Arias, pioniere della presenza a Napoli, e la Sala Degenze dell’Ospedale della Pace suo abito a servizio dei poveri in tutto il mondo”. 226 F.G.M. : Schegge Giandidiane. N. 36d – Fra Paolo Capobianco, esemplare frate sannita In Italia la prima fondazione fu a Napoli, iniziata nel 1572 da fra Sebastiano Arias e poi continuata da fra Pietro Soriano, e fu nella sede definitiva di Santa Maria della Pace che entrò di Comunità fra Paolo Capobianco, esimia figura beneventana della quale merita ricostruire il profilo biografico non solo per l'esemplarità di vita e perché fu il primo frate d’origine sannita, ma anche perché rappresentò il punto di partenza del nostro primo Ospedale a Benevento, del quale stiamo celebrando il IV Centenario della sua apertura. Fra Paolo nacque a Benevento, intorno al 1570, e da frate visse sempre nella nostra Comunità di Napoli, dove entrò a 18 anni e morì a 66 anni, lasciando un ricordo vivissimo, tanto che nel 1721 fra Francesco Maria Angrisani, nel raccogliere in un manoscritto le lezioni che aveva dato ai Novizi di Napoli, dedicò a lui ben 32 pagine, utilizzando i ricordi tramandati dai confratelli e alcune informazioni sulla sua famiglia, forse avute, ma purtroppo in maniera imprecisa, da una parente che viveva a Napoli, poco lontano dall’Ospedale. Secondo tali informazioni, suo padre sarebbe stato il giurista Giovanni Francesco Capobianco, autore di un trattato, ristampato più volte, sui diritti e doveri dei baroni, e che ebbe una brillante carriera da magistrato, culminata a Napoli nel 1626 con la nomina a giudice della Gran Corte della Vicaria; la madre sarebbe stata Eleonora Vulcano della Vipera, appartenente alla nobiltà napoletana del Seggio di Nido, ma secondo le ricerche fatte da don Giovanni Giordano, che è stato lo storiografo più accurato del nostro Ospedale di Benevento, la moglie del giurista si chiamava Laura Ciacci e fu invece il loro primogenito Antonio a sposare una Vulcano, che però si chiamava Teresa e dalla quale non ebbe figli. Difficile dunque stabilire a quale ramo famigliare del casato dei Capobianco sia appartenuto fra Paolo. Quanto ai titoli nobiliari di tale casato, risulta che il giurista, che per inciso era lucano e non beneventano, comprò nel 1635 il feudo di Rocca San Felice e sua moglie comprò nel 1649 il feudo di Carife (e non Calitri, come scrisse l’Angrisani) e che poi Antonio loro primogenito, avendo sposato la figlia di un nobile beneventano di uguale cognome, ottenne di poter includere il proprio casato in quello di rico- Secondo l’Angrisani, fra Paolo nacque a Benevento ed ebbe un solo fratello, Giovanni Francesco, nato postumo poco dopo la morte del padre. A Benevento fra Paolo trascorse sia l’infanzia sia la prima adolescenza, studiando dai Padri Domenicani e iniziandovi con tale successo gli studi umanistici, che l’esortarono a continuarli a Napoli, sicché suo padre per assecondarlo si trasferì in tale città, dove aveva comunque dei legami, per rendere più facile al figlio di diventare un valente dottore in Diritto Civile ed Ecclesiastico. A Napoli strinse una grand’amicizia con un compagno di studi, Geronimo Caravita, anche lui rampollo di una famiglia nobile di Eboli, d’origine spagnola, con il quale condivideva un profondo spirito religioso, sicché mai i due mancavano d’ascoltare insieme la Messa domenicale nella Chiesa di San Domenico Maggiore, dov’era l’Università dei Domenicani, e di ricevervi la Santa Comunione. Una domenica del 1588 egli informò il papà che l’amico aveva proposto di spendere qualche ora tra i malati dell’Ospedale degli Incurabili, ma il papà gli obiettò che codesto Ospedale era abbastanza lontano e che era meglio recarsi nell’assai più vicino Ospedale della Pace, gestito dai Fatebenefratelli, il che essi fecero. Quando entrarono nella Sala di Degenza, no- VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.07 Pagina 13 Nel frattempo sopraggiunse il padre Priore, che difese il novizio per avere, con la stessa prontezza del- Nel frattempo il padre dovette rientrare a Benevento per qualche tempo a sistemarvi delle pendenze nelle sue proprietà, ma lasciò dei servitori che avessero cura di suo figlio e nulla sospettò quando nel congedarsi da lui lo vide chiedergli la benedizione, approssimandosi ormai la sua entrata in Noviziato, che avvenne nel novembre 1588. Appena disparve di casa e i servi scoprirono dov’era, avvertirono il padre, che ne fu così contrariato da non volerlo più considerare suo figlio. Invece la mamma continuò ad amarlo tanto e un giorno pagò il sarto di famiglia perché andasse a Napoli e verificasse come stava il figlio e se gli occorreva qualcosa. Questo sarto si chiamava Nunzio de Limata, non aveva famiglia e la sua sola ambizione era accumular soldi e farli fruttare con l’usura, sicché ben volentieri accettò di far quel viaggio a pagamento fino a Napoli per incontrarvi fra Paolo. Evidentemente in quel tempo i frati del nostro Ospedale vivevano il carisma di San Giovanni di Dio con tale serafico ardore e con tale distacco dai beni terreni, anche quando erano di nobile lignaggio e assuefatti in famiglia ad uno stile di vita nettamente sontuoso, che il sarto ne restò scosso, non certo fino al punto di farsi anche lui frate, ma ridimensionando la sua ansia d’accumular denaro e ipotizzando di redimersi dalle malversazioni cedendo in beneficenza ogni suo avere. In effetti, il 20 agosto 1602 firmò un testamento, da rendere pubblico dopo la sua morte, con cui destinava le sue proprietà alla creazione di un Ospedale per i poveri, da far gestire a Benevento dai Fatebenefratelli. Questo suo testamento fu reso pubblico il 18 aprile 1610 ma l’edificio, dove egli sug- Albarello dell’antico Ospedale della Pace e facciata della Chiesa (incisione del 1718) F.G.M. : Schegge Giandidiane. N. 36d – Fra Paolo Capobianco, esemplare frate sannita Paolo condivise in pieno quella pia riflessione e aggiunse da parte sua che si sentiva pronto a lasciare la vita mondana, se Dio gli avesse fatto intuire in qual maniera farlo, il che davvero capitò in brevissimo tempo. Avvenne, infatti, che il suo amico, all’insaputa di tutti, si fece fatebenefratello, e fra Paolo, non vedendolo più alla consueta Messa della domenica, andò a cercarlo e s’imbatté nel padre, che afflitto lo informò che era sparito. Quando però fu la festa dell’Assunta, capitò che egli andasse a Messa da noi, per lucrarvi l’indulgenza plenaria concessa ai nostri Ospedali, e poi passò a visitare gli infermi. Lì, con gran sua sorpresa, scoprì l’amico con la veste dei Fatebenefratelli, mentre con ardente zelo stava imboccando un malato. Se ne commosse e, piangendo, così lo rimproverò: “Perché non mi hai detto nulla? Forse t’avrei seguito o almeno avrei consolato tuo padre, che vive amareggiato, poiché non riesce a sapere che fine hai fatto”. l’apostolo Matteo, risposto alla chiamata del Signore, che invita chi vuol seguirlo a lasciare “padre e madre, amici e fratelli”. Al che fra Paolo, assentendo, gli replicò che, pur non avendo le virtù esimie di fra Geronimo, anch’egli intendeva seguire il Signore e ben volentieri si sarebbe consacrato a Lui nel servizio dei malati. Gli rispose prudentemente il Priore che se avesse dimostrato di perseverare in tale intento, avrebbero potuto accettarlo. Fu così che da quel dì egli, pur continuando i suoi studi, impiegò ogni tempo libero per i malati e i poveri, donando loro ogni denaro che riceveva dai genitori. 227 tarono che v’era un malato in agonia e attorno al suo letto v’era non solo un sacerdote, inginocchiato a raccomandare alla misericordia del buon Dio l’anima del moribondo, ma v’erano anche molti altri frati, accorsi per unirsi a quelle devote preghiere e lo facevano con tale compunzione che i due giovani, rimasti edificati, si trattennero lì finché l’infermo spirò, dopo di che si appartarono in un angolo e Geronimo confidò a Paolo che quello spettacolo l’aveva indotto a riflettere sulla vanità della vita e su come le lusinghe del mondo ci fanno spesso dimenticare che noi siamo stati creati per Dio e solo in Lui possiamo trovare una perenne felicità. VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.07 Pagina 14 Fra Paolo (Fernando Michelini, 1957) 228 F.G.M. : Schegge Giandidiane. N. 36d – Fra Paolo Capobianco, esemplare frate sannita geriva porre l’Ospedale, non parve adatto e l’arcivescovo di Benevento, il cardinale Pompeo Arrigoni, munificamente mise a disposizione altri spazi e rendite, sicché il 22 aprile 1614 fu in grado di consegnare ai Fatebenefratelli l’appena ultimato Ospedale di San Diodato, dove essi si prodigarono anche dopo che fu confiscato al momento dell’Unità d’Italia; lo lasciarono solo al termine del 1893 per trasferirsi dal primo gennaio 1894 nella nuova sede, edificata a sue spese da fra Pietro Maria De Giovanni, e che fu intitolata al Sacro Cuore di Gesù. L’antico Ospedale di San Diodato andò distrutto nell’ultima guerra e ne resta solo una lapide ricordo. Tornando a fra Paolo, Nunzio riferì alla madre che l’aveva visto assistere i malati e che pareva un angelo. Lei se ne consolò e pregò poi sempre l’Immacolata e i Santi di aiutarlo a ben perseverare. Egli fu ammesso ai Voti il 25 novembre 1589 e, dopo una santa vita, morì a Napoli il primo gennaio 1636. Si distinse non solo per l’amore agli infermi e ai poveri, cui dava ogni cosa che riceveva dalla famiglia, ma anche per la profonda vita di preghiera e la grande umiltà, al punto che quando nel 1621 fu fatto Priore di Napoli, tanto supplicò che ottenne di potervi rinunciare. Nel 1631 un’emorragia cerebrale lo rese cieco, ma egli, facendosi guidare da un confratello, seguitò a recarsi in corsia per confortare con pie esortazioni gli infermi e specie i moribondi, come pure ad andare talora in Tribunale, per intercedere clemenza dai giudici per qualche povero diavolo, magari incapace per poca cultura di spiegare le sue ragioni. Per inciso, gli capitò una volta in tribunale che un giudice, infastidito delle sue suppliche, gli desse uno schiaffone, ma lui gli offrì mitemente l’altra guancia; e quando poi i presenti denunciarono il giudice per l’oltraggio, fra Paolo ottenne che fosse perdonato. Già cieco, fu protagonista di un evento prodigioso, poi immortalato in uno degli affreschi ovali della Sala Degenze, tuttora visibile, pur se assai rovinato. Un dì fra Ippolito lo stava accompagnando a visitare suo fratello, che abitava in città, e mentre procedevano dalle parti della Giudecca, capitò che ad una madre, affacciata ad un’altissima finestra, sfuggì dalle braccia una neonata di pochi mesi: fra Fra Paolo (Eladio S. Santos, 2014) Paolo, ispirato certo dal buon Dio e pur non vedendo nulla, tese in avanti lo scapolare e la piccina vi piombò incolume, sicché egli poté ridarla alla mamma, dando lodi al Signore e all’Immacolata. Poco dopo compiuti nel 1635 i 46 anni di Professione Religiosa, la sua salute andò peggiorando e nel primo giorno dell’anno seguente fece avvertire il Priore che sentiva avvicinarsi la morte, sicché tutti i frati accorsero al suo capezzale e a tutti chiese perdono delle proprie mancanze. Dopo aver ricevuto gli ultimi sacramenti e dato ad ognuno un ultimo abbraccio, santamente spirò nel Signore, invocando la Vergine Immacolata, San Michele Arcangelo, Sant’Agostino e il Beato GioLa lapide a ricordo del distrutto Ospedale San Diodato vanni di Dio. VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.07 Pagina 15 “I L M E L O G R A N O ” VECCHI RICORDI DI AFAGNAN Fra Giuseppe Magliozzi o.h. I Fatebenefratelli della Provincia Lombardo-Veneta celebrano il mezzo secolo del loro Ospedale di Afagnan, sito in Togo, un piccolo stato dell’Africa Occidentale, con poco più di sei milioni d’abitanti. Pionieri della nuova fondazione furono fra Onorio Tosini e fra Aquilino Puppato, che s’imbarcarono per l’Africa il 15 marzo 1961. La prima pietra fu benedetta l’8 marzo 1962 e l’edificio fu inaugurato il 5 luglio 1964. Alle vicende di tale Ospedale sono dedicate varie pagine del calendario italiano dei Fatebenefratelli e v’è anche un accenno alla sua Scuola per Infermieri, che vi fu autorizzata nel 1989 e che mi dette modo d’avere la mia prima esperienza missionaria. Premessa di tale Scuola fu la decisione, presa nel Capitolo Generale del 1983, di unificare i nostri Centri di Formazione in Africa: quello per la preparazione ai Voti Solenni, che è chiamato Scolasticato, fu aperto ad Afagnan, poiché essendovi un Ospedale Generale di 180 posti letto, vi si poteva organizzare anche una Scuola per Infermieri, però quest’ultimo intento incontrò ostacoli, sia da parte del Governo Togolese, riluttante ad autorizzare Scuole Infermieri ritenendo che per i diplomati non c’erano prospettive di lavoro sicché bastava la Scuola della capitale che apriva giusto un corso ogni tre anni, sia da parte del nostro sparuto organico medico, che non riusciva a trovar tempo per impartire lezioni con regolarità. Per risolvere tali difficoltà il Padre Generale, fra Pierluigi Marchesi, pensò di chiedermi aiuto, visto che da 15 anni ero responsabile a Roma dei corsi infermieristici dell’Ospedale San Pietro. Per ufficializzare il Corso che era stato avviato ad Afagnan, lo inquadrai come una transitoria Sezione Staccata di Roma; e per completare il programma andai ad Afagnan a insegnare le materie teoriche, in cui ero ferrato grazie alla mia specializzazione in Igiene e Tecnica Ospedaliera, mentre per quelle cliniche si offersero medici dell’Isola Tiberina, che a rotazione andarono per un mese in Africa a darvi lezioni, sicché il corso fu potuto completare puntualmente in tre anni. Io fui il primo a partire e mi trattenni in Africa per complessivi nove mesi, di cui metà nel 1985 e metà nel 1986. Gli allievi erano otto Confratelli africani: del Togo c’era solo fra Denis; della Sierra Leone due, fra Victor e fra Patrick; del Ghana, fra George; e ben quattro del Camerun, fra Henry, fra Evaristus, fra Pascal e fra Ivo. All’inizio erano un poco demotivati, certo a causa dell’irregolarità delle classi nel primo anno, ma quando li avvertii che se non s’impegnavano non sarebbero stati sufficienti due anni per chiudere il corso, ce la misero tutta e giunsero così preparati all’esame, che decisi di giocare d’astuzia col Governo, chiedendo ad un buon amico dei frati e medico di fiducia del Presidente del Togo, di venire a presiedere l’esame di diploma. Costui rimase impressionato della preparazione degli allievi e ne parlò col Presidente, che dette il suo be- Com’era l’Ospedale d’Afagnan quando vi andai a insegnare nel 1985 nestare al riconoscimento della Scuola, anche se col limite d’accettare solo i membri di Istituti Religiosi, il che permise poi altre volte di tenere corsi per frati e suore. Maestro degli Scolastici era allora uno spagnolo, fra Avellino Ruiz, con cui non feci fatica ad intendermi, poiché la lingua straniera che parlo meglio è lo spagnolo. Però faticai un po’ a insegnar in francese, che avevo studiato a scuola ma senza far pratica, sicché mi dovevo preparare le lezioni in anticipo, verificando la corretta grafia dei termini tecnici; dopo un paio di mesi già ingranavo bene e fu allora che fra Avellino mi propose una gita in Ghana di tre giorni, ossia uno per andare, uno di sosta e uno per tornare. La ragione di quel viaggio era che per il 23 giugno di quell’anno era prevista la Beatificazione di Menni e le sue suore del Ghana erano venute da noi ad Afagnan per ordinare una statua del Fondatore a un artista togolese, Edoh Kenou, che, aiutato dai frati, s’era perfezionato a Ortisei nello scolpire in legno. Ora la statua era pronta e fra Avellino, come promesso alle suore, la recava in Ghana nel nostro Ospedale di Koforidua, dove loro l’avrebbero ritirata. Appena giunti a destinazione, fra Avellino prese a conversare con due frati spagnoli che v’erano di Comunità e io non ebbi problemi a partecipare alla conversazione, ma quando andammo a pregare in Chiesa, mi trovai a disagio perché lo facevano in inglese, di cui sapevo solo poche parole, sicché nel mio cuore dissi ingenuamente a Dio: “Ho penato a dominare il francese e ora tutto vorrei fuorché iniziare a lottare con l’inglese!”. Bene, sapete quale fu la risposta a quella mia puerile invocazione? Fu che, dopo l’esperienza africana, fui inviato nelle Filippine, dove ci misi non due mesi ma due anni, prima d’arrivare a districarmi sufficientemente con l’inglese! Meglio dunque non angustiarsi pel futuro e porsi serenamente nelle mani del Signore, che ben sa quello che fa: immancabilmente verrà il momento in cui ci renderemo conto che quello che Egli dispose per noi, non solo fu frutto della sua saggezza ma, ancor più, del suo amore di Padre, sia per noi stessi, sia per coloro che beneficò tramite noi. 15 VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.07 Pagina 16 PA G I N E D I M E D I C I N A LE PRINCIPALI MALATTIE PARASSITARIE DELL’APPARATO GENITOURINARIO: LA BILHARZIOSI O SCHISTOSOMIASI Franco Luigi Spampinato L a Bilharziosi o Schistosomiasi è una malattia parassitaria molto complessa, tipica dei climi caldo umidi, ove è frequente, interessante circa 350 milioni di persone. I tre parassiti vermiformi che la provocano sono lo Schistosoma mansoni, lo Schistosoma japonicum, lo Schistosoma haematobium (Bilharzia Hematobium); i primi due colpiscono prevalentemente il colon, mentre il terzo ha uno spiccato tropismo per l’apparato urogenitale. La malattia è endemica nelle aree provviste di sistemi di irrigazione rurali che favoriscono la crescita dell’ospite intermedio, la lumaca d’acqua dolce. La parassitosi che colpisce prevalentemente l’apparato urogenitale interessa soprattutto la vescica, gli ureteri, le vescicole seminali, con ulteriore estensione alla prostata e all’uretra. A causa dell’immigrazione di persone dalle aree endemiche, tale malattia sta aumentando d’incidenza nell’Europa e negli Stati Uniti. L’uomo è infestato per via transcutanea dalle larve presenti nei sistemi di irrigazione, fiumi, laghi, canali. Tali larve, denominate Cercariae, sono eliminate nell’ambiente dalle lumache d’acqua dolce. Una volta penetrate nel corpo, si trasformano in una forma successiva, lo Schisto- 16 somulo e si diffondono nella circolazione generale per via linfovenosa, localizzandosi negli organi bersaglio. Le uova prodotte dalla forma successiva, lo Schistosoma, sono eliminate dai soggetti infestati e, captate dalle lumache d’acqua dolce, subiscono la trasformazione in larve e vengono eliminate nell’ambiente, iniziando di nuovo il loro ciclo biologico. Le uova prodotte dal parassita, con il parassita stesso morto, intrappolati nei tessuti, provocano una grave reazione infiammatoria locale, con formazione, soprattutto nella vescica, organo bersaglio principale, di ulcere, noduli, polipi, reazioni fibrosclerotiche e calcificazioni, con frequente trasformazione carcinomatosa. Il passaggio transcutaneo delle Cercariae avviene anche a cute integra, provocando transitoria iperemia e prurito nelle sedi di penetrazione. Nel successivo stadio di invasione compaiono sintomi aspecifici come: febbricola, astenia, malessere generale, dolori lombari, cefalea, sudorazione. Nella successiva fase di localizzazione urogenitale compaiono, in modo ingravescente, disturbi cistitici, ematuria, coliche renali, febbre, calcolosi vescicole; in tale fase si verifica l’eliminazione di uova con le urine. La ricerca delle uova del parassita nelle urine è un accertamento diagnostico fondamentale; inoltre, nelle forme conclamate, deve essere esclusa la presenza di un concomitante Carcinoma vescicale, generalmente di tipo squamocellulare. Sono stati anche utilizzati metodi diagnostici immunologici. La diagnostica per immagini deve essere utilizzata in tutte le sue applicazioni: ecografia, radiologia tradizionale, tac, rmn e permette di studiare la presenza di calcificazioni e, soprattutto, la caratteristica, anche ostruente, delle lesioni. L’esame uretrocistoscopico, integrato con eventuale elettroresezione di lesioni visibili, permette di evidenziare una eventuale trasformazione carcinomatosa e di individuare nel tessuto asportato, le uova del parassita. La terapia medica della malattia è molto complessa; anche se i moderni farmaci antiparassitari sono meno tossici dei precedenti, che erano a base di antimonio. Attualmente si usano il Praziquantel, il Metrifonato, l’Oxamniquina, il Niridazolo. La chirurgia è riservata alle complicanze della malattia, di cui una delle più gravi è il Carcinoma squamocellulare della vescica, lesione purtroppo di prognosi spesso infausta. In questi casi esiste indicazione assoluta all’esecuzione della cistectomia radicale, che se non può essere sicura di assicurare il completo controllo oncologico, sicuramente migliorerà la qualità della vita, eliminando i gravissimi dolori vescicali. Non a caso, a causa della grande incidenza di tale patologia nella regione, nella città di Mansoura, nel delta del Nilo, esiste un importante e avanzato centro urologico, conosciuto e stimato ovunque, per il trattamento medico e chirurgico della Bilharziosi urogenitale. La prognosi, direttamente collegata agli stati di sviluppo della malattia, è buona nelle forme iniziali. Per quanto riguarda un aspetto pratico è necessario informare i turisti che devono sempre astenersi dal fare il bagno, anche se la tentazione è forte, in aree dove la parassitosi è endemica. VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.07 Pagina 17 DEFICIT DI GLUT-1 Una neuro-patologia da non sottovalutare Raffaele Pilla N on tutti sono a conoscenza della sindrome da deficienza da Glut1, una patologia sempre più diagnosticata nel mondo. Si tratta di una disfunzione che colpisce il sistema nervoso e può manifestarsi tramite una serie di sintomi neurologici. Circa il 90% dei pazienti è affetto da convulsioni di tipo epilettico sin dal primo mese di vita. Nei neonati questo si riscontra tramite il movimento involontario rapido e irregolare degli occhi, mentre nei bambini si osserva una crescita di cervello cranio notevolmente rallentata (microencefalia). Pazienti affetti da tale forma della patologia possono avere ritardi nello sviluppo o disagi intellettivi. Gli individui maggiormente colpiti presentano anche altri problemi neurologici, come rigidità causata da ipertensione muscolare (spasticità), difficoltà nel coordinare i movimenti (atassia), e difficoltà nel discorso (disartria), talora episodi di confusione, mancanza di energie (letargia), mal di testa o brevi contrazioni muscolari (miocloni), in particolare durante periodi di digiuno. Circa il 10% dei pazienti possiedono una forma non epilettica della sindrome, meno severa ma che causa comunque ritardi nello sviluppo e nelle capacità intellettive. La maggior parte di loro ha problemi di movimento causati da atassia o distonia. La sindrome da deficienza di Glut-1 è una patologia rara: soltanto circa 600 casi sono stati documentati nel mondo da quando la malattia fu identificata nel 1991. In Australia, la prevalenza della patologia è di 1 ogni 90.000 persone. I ricercatori sostengono che la patologia sia sottovalutata e sotto-diagnosticata, a causa del fatto che molti disordini neurologici possono causare sintomi simili. La sindrome da deficienza di Glut-1 è causata da mutazioni del gene SLC2A1. Tale gene codifica le informazioni necessarie per la produzione di una proteina chiamata trasportatore del glucosio di tipo 1 (Glut1), incorporata nella membrana cellulare esterna, con il compito di trasportare il glucosio all’interno delle cellule dal sangue o da altre cellule, come fonte nutritiva. In ambito cerebrale, la proteina Glut-1 è implicata nello spostamento del glucosio, principale fonte energetica, attraverso la barriera ematoencefalica. Tale barriera agisce come “frontiera” tra sottili vasi sanguigni (i capillari) e il tessuto cerebrale circostante e protegge il delicato tessuto nervoso impedendo a molti altri tipi di molecole di penetrarvi. La proteina Glut1 mobilita inoltre il glucosio tra le cellule della glia, che hanno il compito di proteggere e sostenere i neuroni. Le mutazioni del gene SLC2A1, principale responsabile del deficit, riducono o eliminano completamente la funzione della proteina Glut-1. In condizioni di deplezione della proteina Glut-1, si ha una diminuzione della quantità totale di glucosio disponibile per le cellule nervose, il che influenza fortemente lo sviluppo e la funzione cerebrale. Tale condizione patologica viene generalmente ereditata in maniera autosomica dominante, il che vuol dire che una copia del gene alterato in ogni cellula è sufficiente a causare la malattia. Circa il 90% dei casi di sindrome da deficienza di Glut1 deriva da nuove mutazioni nel gene. Tali casi sono stati riportati in soggetti che non hanno precedenti del disordine nello storico familiare. In altri casi, i soggetti affetti ereditano la mutazione da un genitore. Raramente la sindrome da deficienza di Glut-1 viene ereditata in maniera autosomica recessiva (entrambe le copie del gene in ogni cellula presenta mutazioni). I genitori di un individuo che presenta una condizione autosomica recessiva possono entrambi possedere una copia del gene mutato, ma tipicamente non mostrano segni e sintomi della patologia. La terapia riconosciuta per la sindrome da deficit di Glut-1 è la dieta chetogenica, che fornisce chetoni come risorsa energetica in luogo del glucosio. Alcuni esperti hanno ipotizzato che fino all’1% dei pazienti affetti da epilessia generale potrebbero essere anche affetti da deficienza di Glut-1. L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara che circa 50 milioni di persone sul pianeta sono affette da epilessia, il che potrebbe farci pensare a potenzialmente 500.000 casi (e questo numero non è inclusivo di quel 10% dei pazienti che non presentano convulsioni). La diagnosi precoce è cruciale, poiché esiste un trattamento efficiente tramite dieta chetogenica che aiuta a nutrire il cervello e conservarne lo sviluppo, pertanto prima si agisce e meglio è. Di solito i farmaci non sono efficaci, quindi una diagnosi precoce potrebbe anche aiutare a evitare i non indispensabili e talvolta invasivi trials clinici che i pazienti epilettici devono spesso sopportare. 17 VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.07 Pagina 18 OSPEDALE SAN PIETRO - ROMA “MALATI D’ARTE” Carlo Dalia L a cosa che non smette mai di stupirmi è scoprire nei nostri Ospedali una miriade di micro cosmi di umanità e solidarietà non sempre adeguatamente pubblicizzati. Questi mondi animati da collaboratori, volontari religiosi e società civile sono un patrimonio a cui noi tutti spesso attingiamo per rigenerare il nostro vivere socialmente. Uno di questo mondo vive all’interno all’Ospedale san Pietro da diversi anni e si chiama “Settecolorisoprailnero”. Spiegare di cosa si occupa questa associazione, senza cadere nella retorica è difficile, ma senza girarci troppo intorno, possiamo dire che essa utilizza l’arte e il suo potenziale creativo per dare ai malati di oncologia, in particolare quelli di “carcinoma”, una speranza e un motivo per sentirsi “normali”. Questa malattia, “la peste del terzo millennio”, oltre a corrodere parti vitali di questa complessa macchina che chiamiamo corpo, blocca la mente di chi la subisce, offuscando pensieri, passione e soprattutto impedisce al “malato” di “sognare”. Il gruppo al lavoro tisti. Intrattenersi con questi pittori, parlare di bellezza e di arte è stato veramente piacevole. Persino quelle parrucche e quelle calvizie, alla fine, sembrano un tuttt’uno con il contesto. Si parlava e si discuteva tra appassionati di arte, non esistevano più “malati” e “sani”. Anna, Maria Antonietta, Sabrina, Sandra Alessandra, Mario, Corrado, Vita Rosa, Raffaella, Renata, Angelica, Rossella, alcuni dei partecipanti al gruppo, sono stati i veri protagonisti della mostra. Con i loro sorrisi, erano un inno alla vita, la loro maestria ha catturato l’attenzione dei presenti e per loro sentirsi ammirati e non compatiti è stato veramente sentirsi “normali”. Loro in quel momento, come d’altronde accade mentre dipingono, ci hanno detto con impeto e passione che si sentono “malati” di arte e non della malattia. Il potere dell’arte li porta oltre la malattia, li trasporta in una dimensione senza tempo e senza spazio”. Settecolorisoprailnero grazie alla conoscenza e insegnamento delle arti (pittura, poesia, narrativa) permette a questi amici sofferenti di estraniarsi dalla malattia e di normalizzare il loro modus vivendi. Martedì 15 aprile u.s. si è svolta una mostra di pittura organizzata nell’ingresso dell’Ospedale san Pietro da questa mirabile associazione e voglio sintetizzare il coacervo di emozioni che tutti abbiamo provato nel vedere queste bellissime opere con una frase scritta in mezzo ai dipinti di uno degli espositori “la malattia è un viaggio che sono costretto a fare... ma voglio farlo in prima classe!!!” Tutti siamo rimasti molto colpiti dalla qualità dei lavori e dalla tecnica degli ar- 18 Il gruppo Settecolorisoprailnero con gli organizzatori VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.07 Pagina 19 Momenti della mostra Tornando alla mostra dobbiamo dire che è stata ben organizzata. La location, all’ingresso dell’Ospedale, ha permesso a tantissime persone di visionare i lavori pittorici che erano molti e ben fatti. C’erano dipinti su tela, disegni, pop art, acquarelli e persino poesie. Ma non solo abbiamo visto anche interessanti scenografie, sculture in legno e di cartapesta. Molto gradita, vista la vicinanza con la Pasqua, è stata la simpatica iniziativa di donare a tutte le persone che amabilmente si intrattenevano con gli artisti, una piccola composizione di ovetti pasquali. Caro Amico, “Il sogno e la nostalgia ci dicono che l’uomo è segnato dalla Speranza. La Speranza sa che ogni cosa resta sempre possibile, aperta ...; l’avvenire è il regalo che la vita ci offre. È vecchio colui che ha perso la speranza e ne ha nostalgia, non ha più l’energia per dire “Domani!”. L’artista è colui che non rinuncia ai suoi sogni di bambino, e come il bambino non smette di dire: “quando sarò grande io”... (da: Le Dieci Parole di Mare Alain Ouaknin). Per chi volesse aderire al gruppo o magari solo condividere e visionare i lavori, può farlo andando presso la direzione sanitaria dell’Ospedale ogni giovedì pomeriggio, oppure chiedere informazione al Servizio Pastorale dell’Ospedale san Pietro. Giova ricordare che la presenza di tutti noi, la nostra solidarietà, la nostra vicinanza, è importante per questi amici, per farli sentire meno soli. Ci scusiamo per questo inizio poco tradizionale. La nostra lettera vuole essere la presentazione di Settecolorisoprailnero “malati d’arte”, gruppo nato da un’esperienza vissuta che ha messo a disposizione degli altri tutto ciò che l’arte può significare per l’uomo e la sua mente. A volte anche solo un sorriso può guarirci. “Dipingere è stupendo, per molti di noi è un sogno che si realizza, per altri una conquista, per altri ancora una sfida con se stessi e con la malattia, ma per tutti noi è un modo di esserci, di partecipare alla vita in maniera attiva in un modo piacevole e pieno”. Dopo queste parole pronunciate con enfasi, al limite della commozione da una delle espositrici che altro dire? Che un luogo di cura si aprisse anche a una esperienza d’arte ci ha subito incuriosito, entrare in Ospedale per dipingere ... è una sensazione nuova che ci fa sentire estranei alla situazione che stiamo vivendo. Dipingere è stupendo, per alcuni di noi è un sogno realizzato, per altri è una conquista, per altri ancora una sfida con se stessi e con la malattia che cerca di limitare il tempo, per tutti noi è un modo di “esserci” di partecipare alla vita nel modo più pieno e piacevole. Partecipano al gruppo: Anna, Maria Antonietta, Sabrina, Sandra, Alessandra, Mario, Corrado, Vita Rosa, Raffaella, Renata, Angelica, Rossella, questi (i più assidui) i nomi del gruppo “malati d’arte”, abbiamo lasciato la parola malati perché in realtà lo siamo, ma ci piace sottolineare che non lo siamo di “malattia” ma di “arte”, inutile spiegare la nostra sigla... Settecolorisoprailnero parla da sola... sottolineiamo solo la sua non interruzione, a simboleggiare che l’arte dentro di noi si espande all’infinito nel tempo e nello spazio (e noi con l’arte ...). All’interno del gruppo realizziamo esperienze diverse: dipinti su tela, disegni, pop-art, acquerelli, poesie, (è stato pubblicato un libro di poesie in vernacolo di cui abbiamo curato l’illustrazione) scenografie, sculture su legno, cartapesta e tante se ne potranno aggiungere; sono stati pubblicati diversi articoli sul giornalino interno e di quartiere, il lavoro del gruppo è stato oggetto di una tesi di laurea, abbiamo fatto mostre in Ospedale e fuori (Bracciano, Camaldoli (AR). Parrocchia san Giovanni della Croce). Ringraziamo 1’Ospedale che ci ospita, i medici e paramedici dell’Oncologia (reparto e DH - day hospital - e la Direzione Sanitaria che sopporta con grande serenità il nostro “cicaleccio”. Settecolorisoprailnero gruppo “malati d’arte”. 19 VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.07 Pagina 20 O S P E D A L E B U C C H E R I L A F E R L A - PA L E R M O IN OSPEDALE UTILIZZATA UNA NUOVA TECNICA PER LA DIAGNOSI DEL TUMORE ALLA VESCICA Cettina Sorrenti I l carcinoma alla vescica è il tumore più comune del tratto urinario. In Italia, è al 4° posto fra i tumori più frequenti negli uomini, dopo quello della prostata, del polmone e del colon. Il nostro Paese è al 2° posto dopo la Spagna con più alti tassi di incidenza: 24.600 nuovi casi anno. I dati annuali sui nuovi casi di cancro e sull’alto tasso di recidiva dimostrano la gravità del problema. I costi economici che ne derivano non comprendono solo i costi medici diretti, ma anche un significativo calo nella produttività dovuto alla perdita di giorni di lavoro per effettuare gli esami medici necessari, le cure ricorrenti, la degenza ospedaliera e i possibili effetti collaterali in seguito alla chemioterapia. Inoltre, non va sottovalutato l’impatto psicologico sul paziente anche se non può essere considerato come costo diretto. Anche per tutto ciò è di rilevante importanza l’ottimizzazione della diagnosi e del trattamento al fine di ridurre i trattamenti ripetuti legati alle recidive e alla progressione. Il tumore della vescica può presentarsi come carcinoma a cellule transizionali (Tcc) di basso grado, papillare, non inva- sivo e con un’alta probabilità di recidiva ma bassa tendenza a progredire. L’altra forma è caratterizzata da lesioni di alto grado che spesso originano come carcinoma in situ (Cis), a maggior rischio di recidiva e con predisposizione alla metastatizzazione. Il carcinoma in situ, risulta poco visibile, si rivela molto aggressivo e dal comportamento imprevedibile. Il trattamento, spesso, comporta la completa asportazione della vescica. Pertanto, la diagnosi precoce è fondamentale per una migliore gestione della patologia. Nella rilevazione delle lesioni piatte, come il carcinoma in situ, la cistoscopia standard a luce bianca a volta risulta inefficace, anche se eseguita da urologi esperti. La presenza di tumori residui e il conseguente rischio di recidiva e progressione, oltre ad avere un impatto clinico sulla prognosi del paziente e sulla sua qualità di vita, determinano un carico di lavoro elevato per gli specialisti e un notevole assorbimento di risorse sanitarie. Oggi, grazie a una nuova metodica è possibile migliorare sensibilmente: la diagnosi, il trattamento e la gestione di questo tipo di tumore. Si tratta della diagnosi foto dinamica (PDD). Dal dicembre 2013, presso l’Unità Operativa Complessa di Urologia dell’Ospedale, diretta dal dott. Danilo Di Trapani, viene utilizzata la nuova tecnica. È l’unico Centro della Sicilia occidentale in cui routinariamente viene effettuata. Dott. Danilo Di Trapani 20 La cistoscopia a fluorescenza, si esegue iniettando in vescica mediante catetere, un liquido particolare che, attraverso una luce polarizzata, colora la parete vescicale normale in blu e le eventuali aree tumorali in rosso. Mette in evidenza aree anomale della mucosa delle vie urinarie, apparentemente sane all’occhio umano e alla cistoscopia standard, ma in cui ci sono già alterazioni cancerose in atto. Rispetto alla tecnica tradizionale a luce bianca: migliora del 40% il rilevamento di lesioni tumorali, rileva il 67% in più di lesioni CIS, rileva il 30% in più di pazienti affetti da cancro della vescica. Nella chirurgia demolitiva consente di non lasciare tessuti neoplastici ai margini. Per ciò, si può effettuare una demolizione più completa del tumore vescicale aumentando le probabilità di guarigione dalla malattia e in ogni caso si allunga il periodo di assenza da malattia. Tutte le Linee Guida European Association of Urology (EAU), dal 2005 alle recentissime di fine 2013, Linee Guida Scozzesi SIGN e i vari Consensi internazionali (Europeo, Scandinavo, NHS England) raccomandano fortemente l’uso della PDD nella diagnosi e gestione del Tumore della Vescica non muscolo invasivo. “Abbiamo già effettuato 35 cistoscopie a fluorescenza – spiega il dott. Di Trapani –. Il 70% sono risultate positive. La tecnica viene adoperata sui pazienti che ne hanno effettivo bisogno seguendo protocolli controllati e come altamente raccomandato dalle Linee Guida europee e dai consessi internazionali. Va utilizzata nei casi che presentano frequenti recidive, citologie positive, precedenti neoplasie di alto grado, tumori multifocali, carcinoma in situ. Particolarmente indicata per quest’ultimo che se non viene diagnosticato in tempo (come può accadere con luce normale) può diventare pericoloso per la salute del paziente. Recenti studi sull’utilizzo di questa metodica hanno videnziato una forte diminuzione delle recidive e un significativo allungamento del periodo libero da malattia”. VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.07 Pagina 21 ...E LA SOLIDARIETÀ CONTINUA… C ostante è l’impegno della sezione locale AFMaL dell’Ospedale rivolta alla raccolta fondi per la costruzione del Centro di Accoglienza notturno “Beato P. Olallo”. I lavori di realizzazione dell’Opera sono in corso. L’entusiasmo e la partecipazione coinvolge tutti. Diverse sono le iniziative che hanno avuto luogo in questi mesi. Inoltra, continua l’impegno del superiore, fra Luigi Gagliardotto, finalizzato alla divulgazione del Centro e delle attività che svolgiamo. Ha concelebrato la santa Messa in diverse parrocchie della città. È stata l’occasione per far conoscere ai fedeli l’Associazione e contestualmente chiedere un contributo per la costruzione del Centro. Sull’esempio di san Giovanni di Dio, l’elemosina viene chiesta con il ritornello tanto caro al santo Fondatore, “fate bene fratelli per amor di Dio a voi stessi”. Tra le iniziative realizzate durante l’inverno, vi è stato il primo torneo ospedaliero di “calcio a cinque”. Infermieri, medici, ausiliari e altri collaboratori hanno giocato per la solidarietà e ha avuto luogo un torneo molto combattuto e avvincente. E ancora, una rassegna teatrale di commedia in dialetto siciliano, una volta al mese ha intrattenuto e divertito un pubblico nu- Scene e attori della compagnia Panta Rhei che ha messo in scena la commedia: Pane, amore e timpulati. meroso e sensibile alle finalità delle serate. Si sono esibite gratuitamente all’interno della nostra aula polifunzionale due compagnie amatoriali: Panta Rhei, diretta da Salvatore Troia e gli Amici dell’Arte, diretta da Giuseppe Semilia. Nella serata Fra Luigi Gagliardotto, dott. Giovanni Lentini, Salvatore Troia, Giuseppe Semilia e attori delle Compagnie. conclusiva fra Luigi Gagliardotto e il dott. Giovanni Lentini hanno premiato sia i vincitori del torneo che gli artisti teatrali. Infine, nel periodo pasquale, un gruppo di collaboratrici e amiche dell’AFMaL per un giorno hanno dismesso gli abiti di lavoro per indossare il grembiule e trasformarsi in abili pasticcere. Sono state realizzate all’incirca 150 pecore di pasta di mandorle (nel nome della buona tradizione pasquale siciliana). Molti benefattori hanno fatto un’offerta per i dolcini che sono andati subito a ruba. “Il coinvolgimento e la partecipazione di tutti – dichiara fra Luigi – è molto commovente. Trovare il tempo per gli altri e impegnarsi in attività extra ospedaliere contribuiscono a creare un ambiente più familiare e a rinforzare il concetto di famiglia ospedaliera. Non dobbiamo mai lasciarci sfuggire l’occasione di fare del bene che sempre ritornerà centuplicato ”. 21 VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.07 Pagina 22 OSPEDALE SACRO CUORE DI GESÙ - BENEVENTO A BENEVENTO LA CURA DEL DOLORE È A 360° verso il rapido ripristino delle funzioni vitali. Conseguenza diretta del controllo del dolore è stato un decorso post operatorio qualitativamente migliore, con una riduzione della degenza ospedaliera. Renata Di Gregorio A ll’Ospedale ”Sacro Cuore di Gesù” di Benevento, l’attenzione al dolore quale malattia e la ricerca di cure adeguate per contrastarlo è stato sempre un obiettivo primario, già molti anni prima dell’entrata in vigore della legge 38 del marzo 2010, che sancisce il diritto del cittadino a ricevere cure adeguate per il dolore in ogni sua espressione. Questo impegno si è tradotto nella istituzione della UOS (Unità Operativa Semplice) di Terapia del Dolore, che si è caratterizzata nel tempo non solo per garantire ai pazienti con sindromi dolorose acute e croniche tutte le opzioni terapeutiche più innovative, ma anche per fare cultura del dolore, che in Italia rispetto alle altre nazioni europee e nel Meridione soprattutto costituisce ancora una grossa problematica anche per gli addetti ai lavori. Fin dal 2003 si è dato vita alla analgesia epidurale in travaglio di parto, solo dal 2011 nei LEA (livelli essenziali d’assistenza, che è una tecnica sicura ed effica- ce, per ridurre il dolore da parto, favorendo quindi il parto naturale e dando alla donna una maggiore consapevolezza e partecipazione al momento più bello della propria vita: la nascita di un figlio. Tale possibilità di partorire senza dolore, che è una libera scelta per una donna con un parto non complicato, diviene necessaria in situazioni specifiche, come nel parto prematuro, nel parto gemellare, nel parto indotto, dove eliminare la componente dolore significa migliorare l’andamento del travaglio e promuovere il benessere di quel binomio perfetto madre-figlio. Grande attenzione è stata data al dolore post-operatorio. Sono stati redatti protocolli di analgesia post-operatoria per tutti gli interventi chirurgici e validata una scheda di registrazione dedicata al controllo del dolore, quale V parametro vitale. Il rispetto di questi protocolli ha permesso di ridurre le complicanze legate al dolore post-operatorio e di migliorare l‘outcome del paziente chirurgico attra- Una peculiarità dell’attività della nostra UO (Unità Operativa) è la presenza di un Ambulatorio di Agopuntura Cinese, raro esempio in Italia di ambulatorio ospedaliero, che è una tecnica di Medicina Complementare, che noi affianchiamo alle Terapie Convenzionali sia nel dolore cronico oncologico che in quello benigno, secondo la più recente visione olistica dell’ammalato e non la mera considerazione della malattia come target del nostro intervento. L’utilizzo di queste Tecniche Complementari, che non si basano sull’uso di farmaci, risulta di particolare utilità nella cura di pazienti anziani, pazienti con comorbidità e per questo sottoposti già a politrattattamenti farmacologici. La ricerca continua di nuove offerte assistenziali ha portato alla realizzazione di un Day Hospital dedicato alle procedure mini invasive per il trattamento del dolore del rachide. Queste tecniche sono dedicate ai pazienti con dolore del rachide non suscettibile di terapia chirurgica e/o non rispondente alle terapie mediche e/o fisioterapiche. In questo subset di pazienti particolarmente interessante è l’associazione tra le tecniche mini invasive e l’agopuntura. Dott.ssa Renata Di Gregorio 22 All’attività assistenziale si è associata un’attività di ricerca clinica, in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano per il progetto “Il dolore nel paziente con cancro”, prima nello studio C.P.O.R. (Cancer Pain Outcome Research) e attualmente con lo studio C.E.R.P. (Center for the Evaluation and Research on Pain), collaborazione che ha portato alla realizzazione di pubblicazioni su riviste internazionali con elevato impact factor. VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.07 Pagina 23 MISSIONI FILIPPINE NEWSLETTER TUTTI AD AMADEO Com’è ormai consuetudine, le due Comunità delle Filippine si son riunite ad Amadeo nella mattinata del primo maggio per celebrare la festa di San Riccardo Pampuri, titolare della Casa, nonché l’onomastico dei confratelli fra Riccardo S. Quillo e fra Riccardo Tawamana; e, a rendere più grande la festa, ben tre Scolastici, fra Riccardo S. Nelson, fra Rocco T. Jusay e fra Aroldo I. Alquicer, hanno rinnovato durante la Messa i loro Voti annuali nelle mani di fra Firmino O. Paniza, a ciò Delegato dal Superiore Provinciale, fungendo da testimoni fra Romanito M. Salada, che è il Priore di Amadeo, e fra Gian Marco L. Languez. tirocinanti in Terapia Fisica e Occupazionale: in più, verranno addestrati in sito alcuni riabilitatori volontari di base, che diano continuità al servizio. de Castro, fra Riccardo S. Quillo, fra Rocco T. Jusay, fra Ramiele A. Guinandam e due nostri collaboratori laici, nativi del posto e che erano lì in vacanza, l’insegnante Angela Mae T. Longgakit e l’ex assistente sociale Charine C. Serapion; inoltre, hanno aiutato nell’animazione anche vari responsabili di gruppi ecclesiali locali. INCONTRO VOCAZIONALE Nel fine settimana del 3 e 4 maggio è stato organizzato a Cabadbaran, con la preziosa collaborazione logistica della Diocesi di Butuan e della Parrocchia della Madonna della Candelora, un Incontro sulla Vocazione Ospedaliera, al quale hanno partecipato un’ottantina di giovani d’entrambi i sessi, per lo più studenti. La programmazione di questo Incontro, nel quale è stato dato risalto alla figura di San Benedetto Menni ricorrendone il centenario della morte, era stata concordata con le Suore Ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù, cinque delle quali vi hanno partecipato come animatrici; da parte nostra gli animatori sono stati padre Ildefonso L. I partecipanti sono rimasti entusiasti dell’Incontro e han chiesto di ripeterlo, perché l’hanno trovato arricchente; e, in effetti, c’era già tra di loro qualcuno “recidivo”, avendo partecipato a un precedente Incontro nella medesima Provincia di Agusan del Norte. Inoltre, due giovani si sono mostrati interessati ad un possibile ingresso nell’Ordine. VIAGGIO DI STUDIO Dal 23 al 27 maggio fra Gian Marco Languez ha guidato 11 collaboratori di Manila e di Amadeo in un viaggio di studio in Vietnam per far conoscere loro le iniziative assistenziali svolte dai nostri confratelli di Biên-Hoa; al tempo stesso, sia fra Gian Marco, sia la nostra capo fisioterapista di Manila, Shiela M. Imatong, hanno mostrato ai frati e collaboratori locali le tecniche ergonometriche usate in Manila con i ragazzi costretti a muoversi in carrozzella. Quest’anno, per la prima volta, la Messa l’ha celebrata padre Ildefonso L. de Castro, che nell’omelia non ha mancato di porre in evidenza come il carisma ospedaliero, così ben vissuto dal giovane medico pavese, continui a entusiasmare altri giovani, come i tre filippini che proprio in tale giorno hanno rinnovato i loro Voti, sotto il fraterno auspicio dell’illustre Santo. A motivo della sua festa, di lato all’altare erano state Vietnam: foto con don Pietro, già nostro Cappellano collocate la statua di lui e una sua reliquia, poi offerta alla fine della Messa al bacio dei fedeli. Riguardo ad Amadeo, va segnalato che dal 5 maggio la nostra Scuola per Disabili ha iniziato un programma di riabilitazione a domicilio per coloro che per la distanza o altre ragioni non possono venire a Scuola. L’attività è coordinata da fra Gian Marco Languez e vi parteciperanno anche i Non sono mancate alcune escursioni e anche una visita a due nostri antichi cappellani di Manila, poi rientrati in patria: don Domenico Mai Xuan Vinh e don Pietro Nguyen Dai. RITIRO ANNUALE Amadeo: foto a ricordo della Rinnovazione di Voti Nell’ultima settimana di maggio i confratelli della Delegazione hanno avuto il Ritiro Annuale a Tagaytay, predicato con ardente fervore dal comboniano padre Lorenzo Carraro. 23 VO n° 06 giugno 2014_VO n° 06 giugno 2014 01/07/14 09.07 Pagina 24 I FATEBENEFRATELLI ITALIANI NEL MONDO I Fatebenefratelli d'ogni lingua sono oggi presenti in 52 nazioni con circa 290 opere. I Religiosi italiani realizzano il loro apostolato nei seguenti centri: CURIA GENERALIZIA www.ohsjd.org • ROMA Centro Internazionale Fatebenefratelli Curia Generale Via della Nocetta 263 - Cap 00164 Tel 06.6604981 - Fax 06.6637102 E-mail: [email protected] Ospedale San Giovanni Calibita Isola Tiberina 39 - Cap 00186 Tel 06.68371 - Fax 06.6834001 E-mail: [email protected] Sede della Scuola Infermieri Professionali “Fatebenefratelli” Fondazione Internazionale Fatebenefratelli Via della Luce 15 - Cap 00153 Tel 06.5818895 - Fax 06.5818308 E-mail: [email protected] Ufficio Stampa Fatebenefratelli Lungotevere de' Cenci, 5 - 00186 Roma Tel.: 06.6837301 - Fax: 06.68370924 E-mail: [email protected] • CITTÀ DEL VATICANO Farmacia Vaticana Cap 00120 Tel 06.69883422 Fax 06.69885361 • PALERMO Ospedale Buccheri-La Ferla Via M. Marine 197 - Cap 90123 Tel 091.479111 - Fax 091.477625 www.ospedalebuccherilaferla.it • MONGUZZO (CO) Centro Studi Fatebenefratelli Cap 22046 Tel 031.650118 - Fax 031.617948 E-mail: [email protected] • ALGHERO (SS) Soggiorno San Raffaele Via Asfodelo 55/b - Cap 07041 • ROMANO D’EZZELINO (VI) Casa di Riposo San Pio X Via Cà Cornaro 5 - Cap 36060 Tel 042.433705 - Fax 042.4512153 E-mail: [email protected] MISSIONI • FILIPPINE San Juan de Dios Charity Polyclinic 1126 R. Hidalgo Street - Quiapo 1001 Manila Tel 0063.2.7362935 - Fax 0063.2.7339918 E-mail: [email protected] http://ohpinoy.wix.com/phils Sede dello Scolasticato e Postulantato della Delegazione Provinciale Filippina San Ricardo Pampuri Center 26 Bo. Salaban Amadeo 4119 Cavite Tel 0063.46.4835191 - Fax 0063.46.4131737 E-mail: [email protected] http://bahaysanrafael.weebly.com Sede del Noviziato della Delegazione PROVINCIA ROMANA PROVINCIA LOMBARDO-VENETA www.provinciaromanafbf.it www.fatebenefratelli.it • ROMA Curia Provinciale Via Cassia 600 - Cap 00189 Tel 06.33553570 - Fax 06.33269794 E-mail: [email protected] Centro Studi e Scuola Infermieri Professionali “San Giovanni di Dio” Via Cassia 600 - Cap 00189 Tel 06.33553535 - Fax 06.33553536 E-mail: [email protected] Sede dello Scolasticato della Provincia Centro Direzionale Via Cassia 600 - Cap 00189 Tel 06.3355906 - Fax 06.33253520 Ospedale San Pietro Via Cassia 600 - Cap 00189 Tel 06.33581 - Fax 06.33251424 www.ospedalesanpietro.it • GENZANO DI ROMA Istituto San Giovanni di Dio Via Fatebenefratelli 3 - Cap 00045 Tel 06.937381 - Fax 06.9390052 www.istitutosangiovannididio.it E-mail: [email protected] Sede del Noviziato Interprovinciale • BRESCIA Centro San Giovanni di Dio Via Pilastroni 4 - Cap 25125 Tel 030.35011 - Fax 030.348255 [email protected] Sede del Centro Pastorale Provinciale Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico San Giovanni di Dio Via Pilastroni 4 - Cap 25125 Tel 030.3533511 - Fax 030.3533513 E-mail: [email protected] Asilo Notturno San Riccardo Pampuri Fatebenefratelli onlus Via Corsica 341 - Cap 25123 Tel 030.3501436 - Fax 030.3530386 E-mail: [email protected] • CERNUSCO SUL NAVIGLIO (MI) Curia Provinciale Via Cavour 2 - Cap 20063 Tel 02.92761 - Fax 02.9241285 Sede del Centro Studi e Formazione Sede Legale Milano: Via San Vittore 12 - Cap 20123 e-mail: [email protected] Centro Sant’Ambrogio Via Cavour 22 - Cap 20063 Tel 02.924161 - Fax 02.92416332 E-mail:a [email protected] • SAN COLOMBANO AL LAMBRO (MI) Centro Sacro Cuore di Gesù Viale San Giovanni di Dio 54 - Cap 20078 Tel 037.12071 - Fax 037.1897384 E-mail: [email protected] • SAN MAURIZIO CANAVESE (TO) Beata Vergine della Consolata Via Fatebenetratelli 70 - Cap 10077 Tel 011.9263811 - Fax 011.9278175 E-mail: [email protected] Comunità di accoglienza vocazionale • SOLBIATE (CO) Residenza Sanitaria Assistenziale San Carlo Borromeo Via Como 2 - Cap 22070 Tel 031.802211 - Fax 031.800434 E-mail: [email protected] Sede dello Scolasticato • TRIVOLZIO (PV) Residenza Sanitaria Assistenziale San Riccardo Pampuri Via Sesia 23 - Cap 27020 Tel 038.293671 - Fax 038.2920088 E-mail: [email protected] • VARAZZE (SV) Casa Religiosa di Ospitalità Beata Vergine della Guardia Largo Fatebenefratelli - Cap 17019 Tel 019.93511 - Fax 019.98735 E-mail: [email protected] • VENEZIA Ospedale San Raffaele Arcangelo Madonna dellʼOrto 3458 - Cap 30121 Tel 041.783111 - Fax 041.718063 E-mail: [email protected] Sede del Postulantato e dello Scolasticato della Provincia • CROAZIA Bolnica Sv. Rafael Milosrdna Braca Sv. Ivana od Boga Sumetlica 87 - 35404 Cernik E-mail: [email protected] MISSIONI • NAPOLI Ospedale Madonna del Buon Consiglio Via A. Manzoni 220 - Cap 80123 Tel 081.5981111 - Fax 081.5757643 www.ospedalebuonconsiglio.it • ERBA (CO) Ospedale Sacra Famiglia Via Fatebenefratelli 20 - Cap 22036 Tel 031.638111 - Fax 031.640316 E-mail: [email protected] • ISRAELE - Holy Family Hospital P.O. Box 8 - 16100 Nazareth Tel 00972.4.6508900 - Fax 00972.4.6576101 • BENEVENTO Ospedale Sacro Cuore di Gesù Viale Principe di Napoli 14/a - Cap 82100 Tel 0824.771111 - Fax 0824.47935 www.ospedalesacrocuore.it • GORIZIA Casa di Riposo Villa San Giusto Corso Italia 244 - Cap 34170 Tel 0481.596911 - Fax 0481.596988 E-mail: [email protected] • TOGO - Hôpital Saint Jean de Dieu Afagnan - B.P. 1170 - Lomé Altri Fatebenefratelli italiani sono presenti in: • BENIN - Hôpital Saint Jean de Dieu Tanguiéta - B.P. 7
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